Paolo VI Catechesi 50576

Mercoledì, 5 maggio 1976

50576
Noi siamo ancora col pensiero, col cuore rivolti alla grande festa che abbiamo celebrata, la Pasqua. Noi viviamo spiritualmente, cioè con tutta l’anima, col ricordo, con i propositi compiuti, col modo di vivere e di pensare, il nostro dopo-Pasqua; il che vuol dire il nostro dopo-battesimo. Pasqua e battesimo, noi lo abbiamo già meditato, per noi coincidono: il battesimo ci fa vivere il mistero della morte e della risurrezione di Gesù Cristo (Cfr.
Rm 6,3; S. AUGUSTINI De Baptismo: PL 43, 108 ss.). Scaturisce da questa assimilazione del battesimo con la morte e con la risurrezione del Signore, cioè con la sua opera redentrice comunicata a ciascuno di noi mediante il battesimo un duplice effetto, tutti lo sappiamo dal catechismo: primo, siamo fatti «cristiani», cioè partecipi della vita stessa di Cristo, siamo rinati in lui, rigenerati, santificati, destinati, se buoni, alla felicità eterna; siamo «in grazia» di Dio, cosa questa che dovrebbe sempre riempirci di riconoscenza al Signore, di meraviglia, di gioia, di buon volere, di speranza e di amore; dovrebbe cioè alimentare la nostra coscienza di questa stupenda novità, quella di essere e di saperci «cristiani», persone nuove, in comunione con Dio, elevati ad una dignità superiore di vita e ad un destino immortale (Cfr. 1P 2,9); e secondo, siamo segnati interiormente, nell’animo, nel nostro essere da un’impronta sacra, da un «carattere», da una somiglianza con Cristo, la quale non si cancella più. Possiamo, per somma sventura, perdere la grazia, cioè la vita divina del battesimo; ma non possiamo più perdere questo sigillo, questo carattere, che stampa in noi una particolare immagine di Cristo, per la quale cristiani saremo sempre, in condizione d’essere favoriti dall’amicizia del Signore, ma anche sempre responsabili di questo rapporto nuovo e indelebile della nostra vita con quella infinita di Dio: siamo suoi, siamo per sempre cristiani (Cfr. DENZ-SCHÖN. DS 1609 DS 1767; etc.). Questo è una fortuna; questo è un dovere.

Su questa fortuna, su questo dovere, il fatto cioè d’essere cristiani, sia perché oggetto d’un amore immenso di Dio, la grazia, e sia perché vincolati ad una parentela sacra con lui, il carattere, noi dovremmo meditare di più. Dobbiamo invece spesso osservare come non sempre i cristiani si sappiano cristiani; non sempre traggano da questa realtà che li definisce la linea ispiratrice della loro vita. Pensate innanzitutto alla scarsa e debole consapevolezza che un ragazzo ha di questa sua elezione all’ordine religioso soprannaturale: la pedagogia cattolica dovrebbe essere subito rivolta a creare nel bambino, nel ragazzo, nel giovane questa particolare avvertenza spirituale propria d’un cristiano. Un ragazzo può avere questa consapevolezza, come egli l’ha d’essere membro d’una classe sociale, la classe operaia, la nobiltà; ovvero d’essere membro d’una tribù piuttosto che d’un’altra, oppure d’essere figlio d’un popolo, d’una nazione, d’una razza. Tanto di più si dovrebbe coltivare nell’adolescente la coscienza della sua religione, e specialmente di quella cattolica che conferisce alla coscienza giovanile stessa il senso di comunione con Dio, con Cristo, con i Santi, con i Defunti, con la Chiesa viva, derivando subito da tale mentalità un deciso orientamento morale e sociale.

Questa pedagogia della coscienza cristiana dovrà affinarsi e affermarsi tanto di più quando il ragazzo passa dall’adolescenza alla gioventù; passaggio questo che sconvolge la primitiva coscienza e sembra doverla affrancare, da un lato, dall’ingenua mentalità puerile e dall’autorità dell’ambiente, sia familiare, che scolastico o associativo, per fare del giovane un soggetto libero, il quale, dall’altro lato, è inconsciamente e appassionatamente assorbito dalla servilità dell’ambiente esteriore e sociale a cui egli si dona: sovente in questo momento, il momento della cosiddetta «crisi» giovanile, la coscienza religiosa, anche quella cristiana, se non è sostenuta appunto da un’arte pedagogica saggia, nuova e esigente e da un ambiente in sana sintonia con la fiorente vivacità giovanile, si oscura, si riempie di dubbi e di ribellione, si spegne, almeno nel sentimento e nella pratica della prima età, e resta disarmata e inetta a reagire alle tentazioni della prima maturità e alle seduzioni d’un ambiente profano e irreligioso. Questo possibile naufragio del cristianesimo, della integrità e della bellezza battesimale, dovrebbe formare l’oggetto principale, decisivo dell’educazione cristiana. Esso non ha ragione d’essere, e non ha nemmeno l’infausta potenza che gli si attribuisce: un giovane deve essere preparato e capace di navigare, non solo senza perdere il tesoro di idee e di forze, di cui la prima formazione cristiana lo ha dotato, ma accrescendo piuttosto questo tesoro, e sapendone sperimentare, nella lotta e nella gioia, la superiorità, la originalità, la felicità. Il battesimo può essere il galleggiante infallibile di queste giovanili tempeste.

Poi succede la maturità, la vita cioè nella pienezza della coscienza, nella scoperta dell’amore e del dovere, nell’esperienza della vita sociale e della sua babelica pluralità. Allora un battesimo, coltivato dall’istruzione e sostenuto dalla ricchezza della comunità ecclesiale, rivela magnificamente la sua potenziale vitalità: esso dà il senso della vera dignità della vita, distende allo sguardo dell’uomo la scala dei valori autentici, non lascia senza risposta, almeno nella vera speranza, alcun problema della vita.

Tutto questo esigerebbe un discorso senza fine. Noi lo concluderemo con una sola parola, che riassume, sotto gli aspetti appena accennati, il nostro «dopo-battesimo»; e la parola è fedeltà. Il battesimo si prolunga per tutta la vita nella fedeltà, alla grazia di cui è fonte. alle promesse di cui è principio. Come dice il Signore nell’Apocalisse: «Sii fedele fino alla morte, e ti darò la corona della vita» (Ap 2,10).

Con la nostra Apostolica Benedizione.


Alcuni gruppi di giovani studenti

Ein wort besonderer Begrüssung richten Wir an die Vertreter des Cartellverbandes der Katholischen Deutschen Studentenverbindungen wie auch des Bruderverbandes aus Osterreich und des Schweizer Studentenvereins.

Sie feiern, sehr geehrte Herren, in diesem Jahr Ihr hundertzwanzigjähriges Bestehen in München. Zu diesem bedeutsamen Jubiläum entbieten Wir Ihnen Unsere besten Glückwünsche. Setzen Sie in mutiger Entschlossenheit und Opferbereitschaft die wertvolle Tradition Ihres verdienten Verbandes fort, indem Sie als durch eine vorbildliche sittliche Haltung in Ihrem Privat- und Berufsleben für Christus und seine Kirche Zeugnis ablegen.

Dazu erteilen Wir Ihnen wie allen Anwesenden aus der Fülledes Herzens Unseren Apostolischen Segen.

Alunni di scuole elementari, medie e superiori

Rivolgiamo ora un affettuoso saluto ai numerosi gruppi di alunni delle scuole elementari, medie e superiori, tra i quali vogliamo ricordare i ragazzi e le ragazze dei Centri Giovanili Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice, provenienti da varie Regioni d’Italia, dalla Germania Federale, dall’Irlanda e dalla Thailandia.

Desideriamo esprimervi, carissimi figliuoli, tutta la nostra letizia per la vostra presenza, e il nostro compiacimento per il messaggio di gioia cristiana, che intendete trasmettere a tutti i vostri condiscepoli. Siate sempre, nella vostra vita, amici fedeli di Gesù, ricevetelo spesso nell’Eucaristia, ascoltate, meditate e mettete in pratica il suo insegnamento, per essere buoni, generosi, sereni, puri, esempio per i vostri compagni e conforto per i vostri genitori e superiori.

Con la nostra Benedizione Apostolica.

Un gruppo proveniente dalla Norvegia e dalla Svezia

With great joy and special affection we extend our welcome to the group from Norway and Sweden. You have come in pilgrimage to honour Saint Francis in this year that marks the anniversary of his death. May all of you find new inspiration in his evangelical simplicity and ardent charity. And having experienced the peace of Saint Francis may you return home to give the witness of Christian love to your fellowmen: “ . . . that they may see your good works and give glory to your Father who is in heaven” (Mt 5,16).



Mercoledì, 12 maggio 1976

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Ancora ci insegue il pensiero dominante del mistero pasquale, il mistero della morte e della risurrezione di Gesù Cristo, il mistero della Redenzione, cioè del riflettersi, del ripetersi in noi di questo mistero di salvezza, mediante il sacramento del battesimo. Non lo possiamo, non lo dobbiamo più dimenticare.

Il battesimo è per noi una rigenerazione, una rinascita, una concezione nuova della vita, una mentalità nuova, una filosofia originale sopra i grandi problemi della nostra esistenza, classificati e illuminati da una sapienza, propria del cristiano. «Voi, insegna S. Paolo, vi siete spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni, e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza ad immagine del suo Creatore» (
Col 3,9-10). E ancora: «Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani nella vanità della loro mente, accecati nei loro pensieri, estranei alla vita di Dio, . . . Ma voi non così avete imparato a conoscere Cristo, . . . secondo la verità che è in Gesù, per la quale verità dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima, . . . e dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità» (Ep 4,17-24).

Quanto, quanto ci resta sempre da dire, da pensare, da fare in ordine a questa rigenerazione interna ed esterna del cristiano! E non pensate che per il fatto del carattere soprannaturale di questa mentalità, imbevuta di mistero (cioè di realtà trascendente la nostra naturale esperienza), noi perdiamo il senso della realtà concreta della vita vissuta; no, noi lo accresciamo, come si accresce la chiarezza d’una stanza in cui si accenda una luce nuova, che le manca: tutto, al comparire di questa luce superiore, prende forma, colore, misura, posizione, definizione . . . Così è la fede battesimale, il lumen Christi, acceso nella notte della nostra vita terrena. Il cristiano sa tutto ciò che gli è indispensabile sapere per avere una visione sufficiente (anche se tuttora limitata e provvisoria) sul mondo, sulla vita, sul destino dell’uomo, e, in pratica, su ciò che è bene e ciò che è male.

Quest’ultima scoperta, sul bene e sul male, merita da sé una riflessione tutta propria del cristiano, a cominciare dalla meraviglia, stimolo e corona della conoscenza scientifica, che obbliga lo spirito umano cristianamente illuminato, a cantare e a inneggiare a Dio creatore. Pensate a San Francesco. Pensate alle sorgenti interiori ed inesauribili dell’arte cristiana, la quale vede, quasi facendo proprio l’occhio divino, che ogni cosa è buona, è bella (Cfr. Gn 1,12 Gn 1,25). Ma la meraviglia, in certi momenti, diventa stupore, diventa terrore (Cfr. Qo 1,18, «chi accresce il sapere, accresce il dolore».). Cioè: l’instaurazione dell’ordine nuovo, soprannaturale, evangelico, non sopprime il male, ch’è nel mondo, ch’è nell’uomo.

Questo è uno degli scogli più pericolosi e più frequenti per il cristiano, ammesso alle prime visioni del regno dei cieli. Il male esiste ancora. Anzi il cristiano è reso più sensibile del pagano, del laico all’avvertenza del male. Ricordiamo la celebre parabola della zizzania seminata nel campo privilegiato del regno dei cieli (Mt 13,24-30). Il cristiano incontrerà ancora sui sentieri del pensiero l’oscurità del vero e la facilità dell’errore; sui sentieri dell’esperienza psicologica la tentazione, la propensione al peccato, la debolezza delle passioni e della carne. Anzi, egli incontrerà ancora nel mondo l’opposizione, la persecuzione, l’ingiustizia. Incontrerà fra gli stessi fratelli di fede la discordia, l’avversione, e perfino il tradimento: «i nemici dell’uomo, ha pur detto Gesù, saranno quelli della sua casa» (Ibid. 10, 36).

Come è comune, vicina a noi, oggi, questa sofferenza! Talvolta gli amici più cari, i colleghi più fidati, i confratelli della medesima mensa sono proprio quelli che si sono ritorti contro di noi! (Cfr. Ps 54,13-15) La contestazione è divenuta abitudine, l’infedeltà quasi affermazione di libertà!

E le disgrazie naturali? le malattie inevitabili? le sofferenze che sembrano quasi un dono di Dio per i cristiani? Oh! quale campo di meditazione e quale esperienza del Vangelo sempre drammatico! Il messaggio soave e tremendo delle beatitudini soffia ancora come un vento profetico sul campo cristiano!

Il mistero pasquale, il nostro battesimo è sempre presente con la sua croce: morte e vita sono tuttora in continuo duello. Beati noi se avremo imparato a cercare l’utilità profonda del dolore (Cfr. S. AUGUSTINI De Civitate Dei, 1, 33: PL 41, 45), a confidare finalmente nell’amore di Cristo per noi (Rm 8,35) in questo perenne conflitto! a incontrare l’amico, il salvatore Cristo Gesù, il trionfo della sua carità e la conquista della nostra salvezza! (Ep 5,2)

Con la nostra Apostolica Benedizione.



Ai partecipanti al Quinto Congresso Internazionale dei Promotori Domenicani dell’Apostolato del Rosario

Un affettuoso saluto desideriamo anche rivolgere al Maestro Generale dei Frati Predicatori e a tutti i partecipanti al Quinto Congresso Internazionale dei Promotori Domenicani dell’Apostolato del Rosario, che si sta svolgendo in questi giorni a Roma.

Vi diciamo anzitutto, figli carissimi, il nostro sincero compiacimento per tale convegno, nel quale intendete studiare ed approfondire i modi più adatti per promuovere e diffondere sempre più tale devozione, di cui il vostro Ordine è stato, per tradizione, fedele custode ed instancabile propagatore.

Nella linea dei Nostri venerati Predecessori, noi, a più riprese, abbiamo inculcato la recita frequente della Corona della beata Vergine Maria, e lo abbiamo fatto in modo particolare nella Esortazione Apostolica «Marialis Cultus» del 2 febbraio 1974. Ancora una volta raccomandiamo che il Rosario, preghiera autenticamente evangelica e di orientamento nettamente cristologico, continui ad essere una delle devozioni più care ai singoli fedeli, e specialmente alle famiglie cristiane: «Noi amiamo, infatti, pensare e vivamente auspichiamo che, quando l’incontro familiare diventa tempo di preghiera, il Rosario ne sia espressione frequente e gradita» (PAULI PP. VI Marialis Cultus, 54).

Sui vostri lavori e sui vostri propositi invochiamo per l’intercessione della Vergine Santissima, l’abbondanza delle grazie del Signore, in pegno delle quali vi impartiamo di cuore l’Apostolica Benedizione.

A un gruppo giapponese

We are especially happy to greet the group of artists from Japan. We know that you are on an “Ikebana” mission to demonstrate Japan’s traditional floral art; you have come as floral ambassador of international good will and cultura1 exchange. We willingly recognize the fascination that lies in flowers and in the art of their arrangement. And this arrangement so often imitates nature and thus reflects the work of nature’s Artisan. Our own Scriptures speak of flowers and their setting: “Open up your petals like roses planted near running waters . . . break forth in blossoms like the lily . . . bless the Lord for al1 he has done” (Si 39,14). And when you have shared your skill abroad, take back to Japan the expression of our friendship and esteem.

A sacerdoti americani the hanno frequentato in Roma un torso per il rinnovamento teologico e spirituale

We extend our special greetings to the priests from the United States who are in Rome for a course of theological and spiritual renewal. During our pontificate, we have spoken many times to groups of priests-to groups of American priests. But each time is a new moment of ecclesial communion, a new joy in Christ. Dear sons: we are happy to have the opportunity to encourage you, to exhort you, to confirm you in your faith and in your ministry. Your Bishops in America have just pledged fresh efforts on behalf of God’s word, on behalf of Christ’s doctrine. We urge you to be closely united with them, in renewed fidelity and renewed love, in order to communicate to your brethren the uplifting and transforming power of the Gospel. And our affection, our blessing and our prayers go with you: in the name of the Lord.

Mercoledì, 19 maggio 1976

19576

La Pasqua è tale festa, è tale avvenimento che ci obbliga, ci invita a prolungarne la meditazione, e a inserire questa meditazione pasquale nella mentalità, che deve caratterizzare la vita cristiana. Non dobbiamo mai più dimenticare il mistero pasquale! Meditiamo ancora: celebrata la Pasqua, che cosa ci rimane? Il ricordo, il grande ricordo? Sì, ma non solo il ricordo. Ci rimane, noi già dicevamo, il battesimo, che è l’estensione del mistero pasquale alle nostre singole vite, un’estensione effettiva, rigenerante; non siamo più soltanto esseri umani e mortali; siamo cristiani. Scrive San Pietro, nella sua seconda lettera: Gesù Cristo, nella «sua potenza divina . . . ci ha donato i beni grandissimi e preziosi che erano stati promessi, affinché voi diventaste . . . partecipi della divina natura» (
2P 1,3-4).

Noi dobbiamo ancora, sempre meditare l’eredità pasquale, cioè l’eredità cristiana, quel patrimonio di beni, che ci è venuto, inatteso e immeritato, e inestimabile, dal fatto d’essere diventati cristiani mediante il battesimo, che ci ha comunicato, in maniera soprannaturale, ma reale, la simbiosi, vogliamo dire la partecipazione vitale al dramma della Redenzione, cioè della morte e della risurrezione di Cristo. Ripetiamo: siamo diventati cristiani, nuove creature, esseri divinizzati (Cfr. Rm 8,19 Jc 1,18), i quali, senza nulla perdere della perfezione naturale propria dell’uomo, anzi possedendola in migliore pienezza, santa ed immacolata (Cfr. Ep 1,4 Col 1,22 Jc 1,27), fanno tuttavia nuovo cardine della vita, anche della vita naturale e presente, la religione, cioè il rapporto con Dio, quel rapporto instaurato da Cristo, per cui noi siamo diventati figli adottivi di Dio, con tutto quanto consegue di beni, di speranze, di dignità, di concezione della vita e del mondo, che scaturisce da una simile novità (Cfr. Rm 9,4 Rm 8,15-23 Ga 4,5 Ep 1,5 etc.).

Se vogliamo avere un concetto esatto, sia pure sintetico, del fatto che noi siamo cristiani, noi non possiamo prescindere da un riferimento, essenziale oramai per la nostra mentalità, a questa teologia, a questa «economia», cioè a questo piano divino-umano, che riguarda in pieno la nostra salvezza (Cfr. Ep 1,3-15 ss.). Qui davvero il disegno divino, riflesso nella nostra esperienza storico-umana, si fa mistero; mistero in sé per le verità immense e profonde, ch’esso ci offre da conoscere e da contemplare, come uno sguardo sul cielo infinito; mistero per noi, per l’ordinamento nuovo, soprannaturale, diciamo pure surreale, ch’esso introduce nella nostra vita ordinaria e così detta reale.

Noi non vogliamo tacere questo aspetto trascendente, e perciò quasi segreto, della vita cristiana; ma guideremo la nostra ricerca sulle vie piane del Vangelo: piane, così sembrano, perché rese a noi accessibili dalla parola semplice e sublime di Gesù Maestro. Parlando di «eredità pasquale, o cristiana» ci è facile riferirci ai discorsi testamentari del Signore, quelli dell’ultima cena; i discorsi che hanno appunto l’intenzione e l’accento di chi è sul punto di passare via da questa vita, e di lasciare ai discepoli fedeli i ricordi finali e supremi. Che cosa ha detto il Signore nella chiaroveggenza dell’imminente suo transito nell’al di là del tempo presente? Oh! noi non finiremo mai questa escursione nel parco incantato delle rivelazioni, sgorgate dal cuore e dalle labbra di Gesù in quella notte pasquale. Scegliamone due, che ci sembrano ora di più facile enunciazione, e in un certo senso riassuntive della superlativa forma di vita, che Gesù ci raccomanda nell’ora del suo commiato dalla nostra conversazione temporale.

Voi le conoscete bene queste dolcissime e gravissime parole, voi che avete consuetudine con la lettura del Vangelo, e che dirigete la vostra vita spirituale alla scoperta ineffabile del cuore del Signore. Una riguarda il rapporto comunitario, ecclesiale, sociale, che Gesù vuole lasciare, prima del suo transito da questo mondo, ai suoi seguaci, a ricordo, a continuazione, ad innovazione perenne della sua scuola evangelica; l’altra riguarda il rapporto personale, interiore di ogni anima fedelissima con quel Gesù, che sta per congedarsi dalla nostra sperimentale intimità.

Suona la prima parola come un comandamento; è il «comandamento nuovo»: semplicissimo, ma sublime come una vetta, sempre superiore alle nostre umili e coraggiose ascensioni: «Figlioli, . . . vi do un mandato nuovo: che vi amiate gli uni gli altri, come Io vi ho amati» (Jn 13,34). Oh, quel come! nel quale consiste la novità del comandamento pasquale, la sua inarrivabile perfezione, la sua inesauribile energia! Chi potrà mai pareggiarlo?

Poi la seconda parola, parola di vocazione, parola di predilezione, parola che discende nel cenacolo del cuore, parola che sembra domanda, ed è dono di incomparabile interiorità: «Rimanete nel mio amore!» (Ibid. 15, 9). E questo «rimanere nell’amore», chi lo farà suo? quale iniziazione, quale costanza, quale sufficienza, quale felicità esso porta con sé! Rimanere nell’amore forte e sincero estremamente vivo e estremamente virile, pago in se stesso e capace d’ogni più virtuosa effusione, è questo il tesoro, questo l’impegno pasquale?

Sì, questa è l’eredità pasquale. Saremo noi pronti, saremo fedeli a farla propria? Dio voglia!

Con la nostra Benedizione Apostolica.



Ai sacerdoti della Diocesi di Bergamo che celebrano il XXV di sacerdozio

Un particolare saluto rivolgiamo anche ai sacerdoti della Diocesi di Bergamo, i quali, celebrando il 25° di ordinazione, ci hanno voluto offrire una testimonianza di fedeltà e di amore.

Vi esprimiamo, figli e fratelli carissimi, la nostra serena letizia perché vediamo in voi il segno concreto e consolante della viva ed efficace continuità del Sacerdozio di Cristo. La vostra vita reca il suggello del dono ricevuto mediante il sacramento dell’Ordine e ricorda alla Chiesa che il dono di Dio è definitivo.

In questi venticinque anni, quante grazie avete ricevuto dal Signore; quante tappe di apostolato avete percorso; quante anime, da confortare, da guidare sulla via del Vangelo, avete incontrato! Mentre meditate sul cammino fatto, guardate verso il futuro, offrite al Signore, con lo stesso entusiasmo della Prima Messa, il vostro cuore, le vostre energie, voi stessi, per il bene delle anime.

Con questi voti vi impartiamo una particolare Benedizione, che volentieri estendiamo al vostro venerato Pastore, Monsignor Clemente Gaddi, ai parenti, agli amici e alle persone che vi sono care.

A un gruppo di Missionari Scalabriniani partecipanti a un corso di aggiornamento e ai sacerdoti, suore e laici partecipanti a un corso di preparazione igienico-sanitaria per le missioni presso il Policlinico «Gemelli»

Rivolgiamo ora un saluto a due gruppi di missionari qui presenti. Sono i Missionari Scalabriniani, che hanno concluso in questi giorni un corso di aggiornamento; gli altri sono i partecipanti al primo Corso di preparazione igienico-sanitaria per il personale missionario: corso organizzato dalla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, alla quale non possiamo fare a meno di porgere le Nostre vive congratulazioni per così opportuna iniziativa che costituisce un servizio ecclesiale di somma importanza.

In questo breve incontro desideriamo dirvi, figli carissimi, l’affetto e la stima con cui seguiamo il vostro impegno missionario. È un grande conforto per Noi, nello svolgimento della nostra fatica apostolica, poter contare sulla dedizione di operai evangelici che vivono con generosità, con entusiasmo, con fedeltà piena alle direttive della Chiesa la donazione della loro vita alla causa del Vangelo. Il Signore vi assista sempre nelle vostre fatiche, umili e nascoste, e dia a voi di conservare sempre viva nei vostri cuori la fiamma di questo purissimo ideale.

Nel suo Nome, tutti vi benediciamo.

Ai giovani del Servizio Missionario SERMIG di Torino

Una parola di vivo elogio e incoraggiamento meritano i rappresentanti del Servizio Missionario Giovani - il SERMIG, si dice così, vero? - che operano in tutto il Piemonte. Siete solo una decina, qui presenti: ma mediante voi, come attraverso un prisma rifrangente, vogliamo rivolgerci alle migliaia e migliaia di giovani, che operano in silenzio e con buona volontà e tanto impegno su due fronti: a favore delle Missioni, e per la elevazione dei fratelli meno abbienti. Bravi! Voi corrispondete, così facendo, a un preciso voto del Concilio Vaticano II, che ha esortato i giovani a tutte le forme di apostolato, rilevando che «col progredire dell’età l’animo si apre meglio, in modo che ciascuno può scoprire più accuratamente i talenti, con cui Dio ha arricchito la sua anima ed esercitare con maggiore efficacia quei carismi che gli sono concessi dallo Spirito Santo a bene dei suoi fratelli» (Apostolicam Actuositatem AA 30 cfr. et AA 14). Ma soprattutto, così facendo, voi mettete in pratica il Vangelo! E questa è una grande cosa. I giovani possono dar molto, devono dar molto, specie in questi momenti: e voi avete capito la bellezza di impegnarsi di persona per la buona causa di Cristo e dei fratelli! Il Signore vi benedica e vi assista, tenendo sempre desto il vostro zelo.

È la nostra preghiera e il nostro augurio affettuoso.

A due gruppi di lingua inglese

We extend a special welcome to the group of diocesan officials and canonists from the United States who have come to make contacts with the Roman Curia. We are confident that you have experienced in faith and joy the communion of Christ’s Church. And we pray that your visit to the memorials of the Apostles will remain an inspiration to your ministry, a source of true wisdom, an incentive to greater love. We ask you to take our greetings back to all those whom you serve in Christ.

It is a great joy to speak to our beloved daughters in Christ-the Sisters of the ARC Program. We pray that you will always realize the value and power of generous, total consecrated love of Jesus Christ. May your interests be always those of Christ. May you delight be in his word, in his Church and in the service of his people. To you especially Jesus repeats the invitation: “Live on in my love”. His love is the measure of your fulfilment and the fullness of your joy.


Mercoledì, 26 maggio 1976

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In questo periodo successivo alla Pasqua noi abbiamo meditato qualche cosa circa la trasfusione del mistero della morte e della risurrezione di Cristo nei suoi seguaci mediante la fede (
Rm 10,9) e mediante il battesimo (Ibid. Rm 6,3-11). Una nuova vita, non solo morale, ma reale, soprannaturale ci è conferita per questa effettiva nostra inserzione nel corpo mistico di Cristo: Egli è il capo, noi siamo le membra; Egli è la vite, noi siamo i tralci. Noi siamo nuove creature (2Co 5,17). Noi non avremo mai abbastanza valutato questa elevazione ad uno stato nuovo di vitalità, di dignità, di fortuna, oltre che di impegno morale, a cui siamo stati assunti mediante il battesimo, che appunto trasfonde in noi, non solo il nome, ma lo stato di «cristiani».

Qui la riflessione teologica ed ascetica ha un campo assai vasto ed interessante da esplorare deducendo da quel principio, che è il battesimo, gli effetti stupendi della nuova vita da noi conseguita, come la purificazione dal peccato originale (e fino a quale grado, se ancora rimangono in noi certe conseguenze, come il dolore, il disordine delle passioni e l’incostanza nel bene? (Cfr. S. THOMAE Summa Theologiae, III 69,3) e poi e specialmente la grazia e i doni dello Spirito (Ibid. 4-5); e quindi il carattere incancellabile (Cfr. 2Co 1,22 S. THOMAE Summa Theologiae, III 63,0); e tutta la spiritualità e la santità proprie di chi è vero cristiano. Esplorazione magnifica, ma che fa sorgere, quasi di sorpresa, una grande obiezione: anche per il cristiano, associato alla risurrezione di Cristo, la morte rimane! la morte, la grande nemica (1Co 15,26) rimane implacabilmente vittoriosa! non è valso a debellarla la nostra vitale comunicazione con la risurrezione di Cristo? Solo la Madonna ha avuto questo privilegio di non subire gli effetti della sua dormitio e d’essere subito ammessa, anche corporalmente, a quella novità, a quella pienezza di vita che è promessa alla risurrezione dei morti? Sì. Ma la risurrezione dei morti, se non è realtà presente per i defunti nel tempo, è realtà promessa per tutti; differita ma promessa, ma assicurata, ma garantita dalla Parola di Cristo, predicata fin dai primi giorni del cristianesimo dalla Chiesa pellegrina sulla terra, ma incamminata verso un’immortalità alla quale non solo le nostre anime già fruenti di essa, ma altresì queste povere membra corporee, destinate a corrompersi e ad incenerirsi, saranno restituite.

Come? come? la nostra meditazione sul mistero pasquale arriva a questo difficile traguardo. Difficile, perché a noi manca perfino il potere d’immaginare come una palingenesi di questo genere possa avvenire; ma non insuperabile a chi concluda il suo atto di fede con le vittoriose parole del nostro «credo»: «io credo la risurrezione della carne e la vita eterna». Non è un’immagine fantastica e trionfalistica che si presenta alla mente perché ribelle al pensiero del nulla in cui dovrebbe essere dissolto il nostro essere e perché disposta a sognare una rivincita finale sulla nostra intollerabile caducità. È la Parola di Cristo, che così si esprime, con un onnipotente accento di sfida e di vittoria. Essa risuona nel Vangelo (Cfr. Mt 22,23-33 Jn 6,39-40 Jn 11,23-25 etc.), forma il tema della prima predicazione evangelica (Ac 4,2 Ac 17,31-32 Ac 23,6), e assume ampiezza di lezione nella prima lettera di S. Paolo ai Corinti (1Co 15,12 ss.); O riascoltiamo alcune delle sue affermazioni: «Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché se a causa di un uomo venne la morte, a causa d’un uomo verrà anche la risurrezione dai morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo . . . Si semina (un corpo) corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza, si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale . . .» (1Co 15,42-44).

La questione è così importante e così complessa che subito, nella letteratura cristiana, ha avuto le sue esposizioni ed apologie (Cfr. Atenagora, Tertulliano). S. Agostino ci offre ben tre sermoni su questo tema (S. AUGUSTINI Sermones 240-241-242: PL 38, 1130 ss.) e molti altri riferimenti (Ex. gr. Enchir., 34: PL 40, 272; etc. Cfr. MICHEL , Dict. Th. Cath., XIII, II, 2501-2571).

Sì, il mistero pasquale sfocia in questa escatologia, cioè in questa dottrina del nostro destino finale. Noi qui ne celebriamo il momento della sua pienezza in Cristo nella storia evangelica; ne realizziamo per noi la sua prima fase di applicazione nel tempo della nostra vita ecclesiale e liturgica; ma non è per noi che un primo periodo iniziale; il suo compimento sarà all’ultimo giorno.

Si rimane sbalorditi e felici, ma così è, così sarà! Diamo gloria al Signore.



Ai Partecipanti all’Assemblea generale del Pontificio Consiglio «Cor Unum», che si svolge a Roma in questi giorni

Al Cardinale Laszló Lékai e ai pellegrini che lo accompagnano in occasione della sua elevazione alla dignità cardinalizia

Ora inviamo un saluto tutto particolare al nuovo Cardinale Laszló Lékai, Arcivescovo di Esztergom, da noi testé chiamato a far parte del Sacro Collegio, e, con lui, al gruppo di fedeli della diletta Ungheria, venuti per fargli corona in questa circostanza, che come allieta tutta la Chiesa così non manca di suscitare profonda gioia in quella terra di nobilissima e vetusta tradizione cristiana. Carissimi figli! Avremmo voluto soffermarci più a lungo in mezzo a Voi in questa vostra sosta a Roma; ma voi partirete dopo la solenne cerimonia di domani. Ammiriamo la generosità con cui avete affrontato un lungo viaggio; ci compiacciamo per la fedeltà del popolo ungherese che, mediante l’onore conferito al vostro Primate, brilla oggi di più splendida luce davanti al mondo. Sì, siate sempre fedeli: a Cristo, al suo Vangelo, alla sua Legge d’amore, alla sua Chiesa; e la vostra testimonianza sia altresì di beneficio per l’intera vostra Nazione, per l’elevazione costante, nella prosperità e nella pace, di tutti i suoi cittadini. Noi preghiamo per voi, per i vostri cari, per tutta l’Ungheria: ditelo a quanti incontrerete, al vostro ritorno! Il Papa tutti vi benedice.

A un gruppo di Ufficiali e Cadetti della nave scuola brasiliana «Custódio de Mello»

Saudamos, cordialmente, os presentes de língua portuguesa: com estima em Cristo, sede bem-vindos!

Entre estes, em deferente e sempre grata visita, ternos o grupo de oficiais, cadetes e tripulantes do Navio-Escola «Custódio de Mello», do Brasil: os Nossos votos de todo o bem! E que, a dar sentido ao destemor, renúncia, espírito de servir e solidariedade -apanágio da vossa vida no mar- haja a bússola do amor de Deus, a indicar no amor do próximo as rotas da fraternidade e da paz, que, com propósitos generosos e nobreza de coracão, certamente, vós quereis seguir.

A isso vos estimulamos, ao abencoar-vos, com todos os demais; e, em vós, abencoamos também os vossos entes queridos.

A un gruppo di Ufficiali superiori della Polizia dell’Ecuador

Queremos dirigir ahora un saludo particular a vosotros, Comandante Supremo y componentes del grupo de Oficiales de la Policía Nacional del Ecuador, venidos a Roma con el manifiesto deseo de expresarnos vuestra devoción.

Os agradecemos sinceramente esta visita y os aseguramos que encomendamos al Señor vuestras intenciones personales, así como las de vuestros familiares y amigos, a la vez que sobre todos impartimos nuestra paternal Bendición.


Mercoledì, 2 giugno 1976


Paolo VI Catechesi 50576