Paolo VI Catechesi 60777

Mercoledì, 6 luglio 1977

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Quando noi vediamo davanti a noi l’assemblea che voi siete, visitatori fedeli desiderosi di vedere il Papa e di ascoltare una parola da lui, ovvero pellegrini curiosi di fare l’esperienza di questo incontro con noi e di giudicare da questa momentanea vostra assistenza ad una udienza del Papa questioni gravissime e assai difficili a risolversi con la semplice e immediata impressione derivante da questa ora singolare, noi siamo molto lieti e commossi, e sempre sorpresi da una fantastica visione, quella di vedere i vostri animi aperti, come libri personali, davanti a noi; libri sui quali ci sembra leggere una semplice, ma decisiva domanda, di cui conserviamo memoria per averla letta nei primi capitoli del Vangelo, là dove gli uditori del selvatico, ma sapiente Profeta del deserto Giordanico, Giovanni, il Battezzatore, gli domandano: «Che cosa dunque dobbiamo noi fare?» (
Lc 3,10-12).

Sì, cari visitatori; pare a noi di leggere nelle vostre anime una simile domanda. Voi ci chiedete una parola orientatrice, la quale consoli, rinfranchi, diriga i vostri singoli spiriti, e illumini così il cammino della vostra vita. Noi crediamo di non sbagliare. Voi siete qui, avidi d’avere da noi un indirizzo spirituale per la guida della vostra esistenza, per la sicurezza della vostra navigazione nel mare tempestoso della quotidiana esperienza, e nella direzione generale del vostro cammino vitale.

Questa nobile curiosità può essere considerata come un fenomeno normale e generale. Andare in udienza dal Papa provoca in ogni persona cosciente un atto riflesso di domanda interiore: qual è, si chiede appunto una persona cosciente, la mia posizione effettiva davanti a colui che si definisce «Vicario di Cristo»? Posizione tranquilla, posizione coerente, posizione seguace, ovvero posizione indifferente, o fors’anche posizione polemica? La presenza del Papa è di per sé provocatoria d’una definizione cosciente e interiore del punto spiritualmente astronomico, in cui un’esistenza si trova; e noi, a voi parlando, voi salutando, voi benedicendo, abbiamo presenti tutti codesti stati d’animo; e vogliamo, con l’assistenza operante di Cristo nel nostro umile ministero, dare a voi quell’istante di luce, di energia, di beatitudine ch’è nelle nostre intenzioni, e nelle vostre particolari necessità spirituali. Dio voglia che così sia, e con l’abbondanza, la pienezza propria della bontà divina che vuole servirsi a tal fine del nostro apostolico ministero!

Ma non possiamo trascurare la situazione morale dell’ora presente in campo religioso e in campo del costume pubblico. Osservate: noi siamo in un periodo tremendamente agitato in ordine ai principii basilari dello stile morale e religioso, che dobbiamo supporre presenti alle sorgenti della nostra coscienza operante. Esistono ancora principii-cardini del nostro operare? Ovvero non prevale nel nostro stile di vita una serie di assiomi negativi, che tolgono alla nostra pratica navigazione nel mare del costume moderno ogni timone, ogni esigenza, ogni linea distintiva tra il bene ed il male, ogni imperativo volontario di rettitudine, ogni supremazia del dovere, ogni vincolante supremazia dei valori religiosi? Non siamo anche noi spesso «relativisti», cioè predisposti ad ogni adattamento all’opportunità, all’interesse personale, all’indifferenza circa il valore etico delle nostre azioni?

Ebbene, davanti a simile situazione, la quale si sta generalizzando e aggravando, con progressiva noncuranza sia del senso del dovere, sia della sensibilità religiosa, sia della fierezza personale in ordine al bene proprio ed altrui, noi oggi che cosa vi diremo, che possa corrispondere al vostro tacito desiderio di avere da noi una effusione di luce? Non una sola parola vi dovremmo dire; ma quante! Ma quante! Bastino ora due sole; e sono queste: prima, la necessità d’un ordine morale, derivato da una coscienza istruita sulla grande dottrina del bene e del male. Necessità, diciamo, pensando alla Croce! seconda, la facilità relativa della moralità voluta e osservata; la felicità anzi che risulta dall’essere «buoni» con l’aiuto della grazia divina. Gesù lo ha detto: «il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero» (Mt 11,30). Fratelli e Figli! Facciamone tutti la prova! Con la nostra Benedizione Apostolica.



Ad una delegazione di giapponesi appartenenti alla religione Konko-kyo

We welcome with sincere respect the Japanese delegation of the Konko-kyo religion. You recognize that God is the Father of al1 human beings, that we are al1 his children, members of one family, and that therefore no one is a stranger to us under the sun. God is indeed our loving Father, who made us, cares for us and is our fina1 goal. It is his will that unity and love be fostered among human beings. We pray to him to bestow his favour on you and on all.



Mercoledì, 13 luglio 1977

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Quello che stiamo per dirvi, per dare anche a questo momentaneo incontro spirituale, ch’è la nostra udienza, un nucleo di buoni pensieri, esortatori, rigeneratori, meritevoli d’essere ricordati e personalmente rielaborati, è estremamente semplice, e già altre volte da noi richiamato all’attenzione dei nostri ascoltatori, riguarda il tema, il vecchio, ma sempre nuovo tema della coscienza, e precisiamo subito, della coscienza morale.

Il motivo di questa scelta può essere cercato alla sommità del nostro ministero pastorale: non è forse ufficio nostro quello di parlare della scienza della vita, che consiste nel vivere bene? e che cosa desideriamo noi, pastori di anime, se non che i nostri fedeli ci ascoltino e ci seguano sui sentieri delle cristiane virtù? (Cfr.
Jn 10,14)

E il motivo stesso può essere ravvisato anche in più modesta e immediata intenzione, quella di richiamare la vostra attenzione e la vostra fedeltà a quella comune, ma tanto preziosa e oggi tanto spesso contraddetta norma di vita, che si chiama l’onestà, la buona condotta, la dignità del proprio comportamento. Che oggi le cronache della nostra vita pubblica siano piene di fatti criminali, che la delinquenza sia largamente diffusa, che la vita scorretta sia una via aperta a tanta gente, che chiamiamo per bene e che la falsità dei costumi civili sia ammessa come un’arte di curare i propri interessi, o di mascherare azioni viziose, e che pur troppo tanta gioventù si lasci trascinare a forme deplorevoli e degradanti di insensata condotta, nessuno può negare, documentata com’è questa decadenza della pubblica moralità da tutti i mezzi moderni di comunicazione sociale.

Si direbbe che le norme del costume sono indebolite, che l’educazione civile ammette ormai un abbassamento volgare di convivenza, e che le antiche leggi della civiltà e dell’onestà sono ormai formalismi pedanti e antiquati.

Che cosa è successo? È difficile dirlo con adeguata precisione di termini, ma è facile a tutti osservare che le forme non solo esteriori, ma anche interiori, personali, della vita moderna sono generalmente discreditate, in omaggio a quelle loro contrarie della cosiddetta permissività, la quale - ahimé! - non intacca soltanto la vernice apparente del costume civile, ma si gloria, come può, di demolire l’armatura etica e pubblica dell’odierna convivenza perfino nei suoi principii superiori dell’umana civiltà.

Non giudichiamo ora il nostro mondo; ma accontentiamoci di conservare un’esigenza di dignità personale, veritiera, e tale da confortare la nostra coscienza circa il proprio dovere d’essere e umana e cristiana. Non è inutile ricordare la duplice espressione della coscienza, la quale può essere, come insegnano i maestri, psicologica, ovvero morale. È una distinzione importante. La coscienza psicologica è una conoscenza riflessa su di sé, che può essere oggi progredita, e tenuta in esercizio dalla cultura, dalla scena comunitaria circostante, la quale stimola questa riflessione psicologica, della quale ora noi non parliamo. La coscienza morale è oggetto di questo nostro colloquio, ed è, per la concezione della vita, che a noi preme servire e educare, importantissima. Il «conosci te stesso» dell’antica filosofia ha nella coscienza morale la sua più completa e più alta espressione, per un aspetto essenziale e decisivo dello sviluppo della personalità umana. E perché? perché in questa forma di coscienza lo spirito è guidato da una naturale tendenza, che i filosofi classici chiamavano «sinderesi», al ricorso interiore a innati principii relativi all’agire umano, i quali oltrepassano i confini della sfera soggettiva, e si rivolgono all’origine dell’attività cosciente: tendono al rapporto proprio dell’essere umano, con l’Assoluto, al rapporto con Dio. Cioè la coscienza morale si misura con la relazione del Bene e del Male; guida l’uomo alla sua fonte e al suo termine, e dà allo spirito il senso, che sarà poi giudizio, della sua trascendente responsabilità (Cfr. S. THOMAE Summa Theologiae, I 79,0 et I-II 5,0-55 I-II 31,1 ad 3).

Importantissima percezione, dicevamo, sulla quale si fonda l’evoluzione morale del nostro spirito, e cioè della nostra coscienza morale.

La quale, Figli dilettissimi, non è sorgente di problemi vani e fastidiosi, come gli scrupoli, l’incertezza all’azione, l’involuzione psico-etica dell’animo; ma è semplicemente la coscienza dell’uomo come uomo, e per noi cristiani, come cristiani. Chi è abituato a inserire nella sua preghiera, cioè nel suo colloquio con Dio, l’esame di coscienza, sa quale conforto, quale luce, quale sorgente di autonomia personale, può venire da tale esame, che abbia per specchio l’occhio di Dio.

Provate. Con la nostra Benedizione Apostolica.



Al movimento «GEN»

Rivolgiamo ora uno speciale saluto alle oltre 500 rappresentanti e Dirigenti del Movimento «Generazione Nuova», dei Focolarini. Esse provengono da tutti i Paesi d’Europa, dalle due Americhe e dall’Asia, e si sono radunate in questi giorni al Centro Mariapoli di Rocca di Papa per il loro Congresso «Gen» 1977.

Figlie carissime, vi accogliamo e salutiamo con profonda stima e benevolenza, perché conosciamo la purezza dei vostri ideali cristiani, lo zelo evangelico della vostra vita, l’impegno generoso della vostra testimonianza, e l’attaccamento saldo e gioioso a questa Cattedra di Pietro. Vi invitiamo pertanto a riconfermare le vostre scelte di incondizionata e allietante adesione al Signore, così da vivere come luce, sale e lievito del mondo, «affinché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,16). A voi il compito di far vedere a tutti che il Cristianesimo è giovane, è promessa, è futuro, perché eternamente giovane è il Cristo Risorto, che vive con noi tutti i giorni col rinnovato dono della novità.

Voi state celebrando un Congresso, che ha per tema l’Eucaristia come sacramento di amore e di unità. Quale attuale fecondità può avere questo argomento! Per definizione l’amore è unificante, né può esistere una duratura unità se non è fondata su un’amorosa convivenza; ebbene, Gesù eucaristico è garante dell’una e dell’altra cosa, poiché è pura donazione e come tale è il nostro unico Signore. Dunque, «poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo» (1Co 10,17). Noi auspichiamo e preghiamo che rimaniate sempre non solo fedeli ma pure trainanti testimoni di questo amore e di questa unità in Cristo e nella sua Chiesa.

Pertanto, di vero cuore impartiamo la Benedizione Apostolica a tutte voi, al vostro Movimento e all’attuale Congresso, perché per grazia di Dio «portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Jn 15,16).

Ai rappresentanti dell’Associazione «World Federalist»

We are always happy to welcome those whose aim is to advance understanding and trust among peoples and thus favour the establishment of peace. We have therefore a special word of welcome for the distinguished group of Japanese visitors. You have journeyed to Europe in pursuit of such an aim. The contacts you have had here will, we trust, prove to be a mutually enriching experience . It is by direct contact that we can best get to know our brothers and sisters, members of the one human family. This knowledge is an indispensable step on the road to peace, for peace is not a balance of forces: it is rather an attitude of the spirit. We pray that your journey will serve this purpose and we invoke upon each one of you and on your families the richest favours of God.


Mercoledì, 20 luglio 1977

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Uno dei pensieri che sorgono nello spirito, a cui la pausa delle occupazioni esteriori consente una cosciente riflessione su se stesso, riguarda i principii della propria attività, come quando uno si chiede: che cosa faccio? e specialmente: perché faccio ? quali sono i motivi del mio operare? I motivi possono essere molti, e sono di solito dipendenti l’uno dall’altro, sono gerarchizzati. Così uno lavora per esempio per guadagnarsi la sua mercede; e la mercede per vivere.

Donde la domanda: qual è il motivo, quale lo scopo superiore agli altri, il quale dà ad una vita la sua definizione professionale, anzi morale? Per sé lo scopo, il fine operativo generale è quello di fare il bene. Ma quale bene? il bene morale? il bene per sé? il bene utile? il bene piacevole? il bene facile? il bene possibile? L’onestà naturale della nostra vita dipende da questa risposta fondamentale: il valore morale della nostra esistenza deriva dalla scopo primo e superiore che la guida.

Questione che sembra facile, ma che pone tanti problemi, ai quali gli uomini, quelli bravi e buoni, sanno dare spesso magnifiche risposte, ma sempre incomplete rispetto al fine totale. Vi è chi si contenta di costruire la moralità umana nella misura puramente naturale, anche se dilatata ai suoi più ampi confini (Cfr. TERENTII: «homo sum, nihil humani a me alienum puto».). Ma è poi veramente e sempre possibile? e vi è chi ricusa d’accettare qualsiasi principio morale assoluto: il «permissivismo» moderno rifugge dal ricorso a norme superiori e vincolanti.

E noi cristiani? Noi siamo, sì, per il primato della libertà; ma di una libertà corrispettiva e coerente con la legge morale, col dovere! Anzi noi abbiamo un concetto religioso della perfezione umana, della giustizia nel senso pieno della parola, e riteniamo ch’essa non ci può essere data che da Cristo, dalla fede che a noi prescrive una giustizia soprannaturale, e che a noi elargisce l’aiuto, la grazia per essere buoni davvero. Ricordiamo sempre la parola di S. Paolo: «l’uomo giusto vive di fede».

Bisogna trarre dalla fede il principio normativo e il principio operativo della vita giusta e buona (Cfr.
Ga 3,11).


Mercoledì, 27 luglio 1977

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Di che cosa vi parleremo noi in questo breve momento di conversazione? Della Chiesa naturalmente. Una visita a Roma, come la vostra visita di pellegrini, visita di forestieri, pone certamente nel vostro spirito una spontanea curiosità, quella di farvi un’idea nuova, più chiara di quella che già possedete, di questa grande, misteriosa istituzione, che è la Chiesa, pensando che qui, dove la Chiesa ha il suo centro, dove incontrate il Papa, il Capo della Chiesa, voi potete avere una conoscenza diretta, più completa, più esatta, più memorabile della Chiesa stessa. Proprio così. Noi vi suggeriamo, durante il vostro soggiorno romano, di ripetere nel vostro cuore, le parole, tante volte ripetute, del «Credo» della Messa festiva: «Io credo , . .» . . . questa espressione acquista, in questo luogo, in questa circostanza, una gravità particolare: «Io credo la Chiesa, una, santa, cattolica ed apostolica».

Abbiate care queste parole. Esse sono parole di vita. Esse sembrano rispondere ad una domanda semplicissima, ma assai difficile. Che cosa è la Chiesa? Non basta certamente rispondere che la Chiesa è l’edificio sacro, dove si va a pregare. Voi sentirete poi dire della Chiesa le definizioni più strane e arbitrarie, quasi sempre incomplete e parziali, talvolta anche offensive. Voi siete, noi crediamo, tutti battezzati; voi appartenete dunque alla Chiesa. Ebbene che cosa è la Chiesa? Il Concilio Vaticano secondo, celebrato pochi anni fa, ha dato diverse definizioni piuttosto descrittive, che mostrano la ricchezza, la profondità, la bellezza di questa parola «Chiesa»; e i Maestri della religione, i Vescovi, i Teologi, e altri studiosi hanno detto parole stupende e profonde a suo riguardo, che non è facile ripetere e riassumere: è stato detto, ad esempio, che la Chiesa è il disegno di Dio sull’umanità, è il regno di Dio nel mondo, l’opera di Dio, l’edificio che Dio costruisce nella storia; è il Popolo di Dio; è l’Alleanza di Dio con gli uomini; è il Corpo mistico di Cristo . . . Idee grandi, idee immense, che hanno questo di particolare, che per il fatto ch’esse sono idee divine e universali ci riguardano anche personalmente, investono il nostro destino. Non possiamo prescindere dal concetto di Chiesa per definire, in qualche misura il nostro stesso essere, la nostra vita, la nostra sorte. Noi siamo la Chiesa. Cioè noi siamo «chiamati»; Chiesa significa convocazione, significa chiamata, significa riunione di popolo (Cfr.
Dt 9,10 Ac 19,32); significa l’umanità riunita dalla voce e dalla grazia di Dio per Cristo, nello Spirito Santo (Cfr. Ac 2,39 Rm 8,30); (ecco la definizione del Bellarmino: «Chiesa è la comunità di tutti i fedeli» - Cfr. BELLARMINO, De Ecclesia militante, 1).

La prima intenzione divina che genera la Chiesa, è quindi quella di comunità, anzi poi quella di unità. Una comunità infatti compatta e organica, come un edificio ben costruito; ricordate l’ideale di Gesù: «edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18). Si ricordi come Cristo stesso l’abbia proclamata nella sua estrema parola, quella della ineffabile preghiera, dopo la Cena, nella notte precedente alla sua passione (Jn 17,11 Jn 17,21 Jn 17,22): «che tutti siano una cosa sola». Qui è mistero: Gesù stesso lo fa comprendere dichiarando che questa unità, propria dei seguaci di Cristo, scaturisce dall’unità stessa del Figlio col Padre, e che quindi è insondabile dal nostro pensiero; dobbiamo proclamarla e viverla: ma comprenderla non potremo; dobbiamo «crederla». Difatti quelle prerogative proprie della Chiesa: «una, santa, cattolica e apostolica» a cui abbiamo accennato, possono essere, possono rivestirsi di due significati; uno, quello di proprietà proprie della Chiesa, cioè maniere di essere, qualità inerenti alla natura della Chiesa; e in questo senso sono verità misteriose, che solo la fede raccoglie, medita e celebra; l’altro significato invece è quello derivante dalla loro manifestazione esteriore, e sotto questo aspetto quelle benedette parole diventano, come si dice, «note» cioè segni, umanamente conoscibili, che documentano a chi le sa bene osservare lo splendore miracoloso della Chiesa (Cfr. JOURNET, L’Eglise . . . . II, 1193 ss.; BOSSUET, Lettre sur le mystère de l’unité de l’Eglise), ch’è, ripetiamolo, una, santa, apostolica e cattolica.

Ecco, Figli e Fratelli; noi vi esortiamo a raccogliere questa testimonianza della Chiesa, su se stessa; ed oggi circa la prima qualifica, quella dell’unità; qui a Roma, presso la tomba dell’Apostolo Pietro, e proprio in questo periodo della vita della Chiesa, così agitata, così oppressa e pur tanto sicura di sé, fermando ora l’attenzione su quella prima « nota » che attesta chiaramente l’origine divina della Chiesa; dicevamo : la sua unità. L’unità della Chiesa e nella Chiesa ci induce a pensare all’origine da cui proviene, Dio stesso; e poi da Cristo, Capo della Chiesa e nella sua pienezza identificato con l’unica sua Chiesa; e lo Spirito Santo, anima increata della Chiesa medesima, che ne alimenta la vita, ch’è la grazia, ch’è la carità.

Voi sentirete nascere in voi stessi la nostalgia dell’unità della Chiesa; dell’ecumenismo ad esempio, impaziente di ricomporsi nella pace d’una sola fede, sotto la guida d’un solo Pastore (Jn 10,16); sentirete la sofferenza per ogni divisione, ogni disobbediente particolarismo, ogni scisma, ogni eresia, ogni apostasia, ogni dissoluzione anarchica, che rinnega quell’unità per cui Cristo ha sofferto la Croce (Ibid. 11, 52). E benedirete il vostro soggiorno romano, come motivo d’una nuova beatitudine rivelatrice (Mt 13,16).



Ai partecipanti ai congressi organizzati dai Focolari

Tra i gruppi presenti quest’oggi all’udienza desideriamo salutare due gruppi che fan capo al Movimento dei Focolari: quello dei Sacerdoti provenienti da diversi Paesi, e quello assai numeroso delle Religiose.

Carissimi figli e figlie! Il vostro fervore spirituale, il desiderio di farci visita in occasione del Congresso celebrato al Centro Mariapoli, la lodevole volontà di servire la Chiesa meriterebbero ben più che un fugace accenno: ci teniamo, tuttavia, a confortare i vostri propositi, augurando che ciascuno di voi si senta rinvigorito, nel proprio lavoro, dal clima di intensa carità fraterna, che ha vissuto in questi giorni. Non si tratta, infatti, di un semplice ricordo, ma di una speciale grazia del Signore, che deve infondervi fiducia e coraggio. Con la nostra Apostolica Benedizione.

Ai numerosi rappresentanti di diverse famiglie religiose

A tutte le famiglie religiose diremo: sembra a noi che, nella presente stagione ecclesiale, esse debbano rispondere a due esigenze: quella della fedeltà alla volontà dei Fondatori e delle Fondatrici, quale fu originariamente riconosciuta ed approvata dall’Autorità della Chiesa; quella del rinnovamento secondo lo spirito ed il dettato del Concilio, il quale - come ben sapete - a voi ha parlato soprattutto nel Decreto «Perfectae Caritatis». Vi diremo che è sapienza evangelica - ricordate l’esempio del padrone di casa, che trae dal suo tesoro «nova et vetera»? (Cfr. Mt 13,52) - rispettare questa duplice linea. Consideratela, perciò, come il retto binario, che non solo impedisce pericolosi sbandamenti, ma garantisce, altresì, il cammino nella via della santità.

Per rafforzare volontà e propositi, vi impartiamo di cuore la Benedizione Apostolica.

All’Assemblea Generale dell’Istituto Secolare delle Volontarie di Don Bosco

Non possiamo tacere un particolare saluto al gruppo delle Volontarie di Don Bosco, le quali concludono in questi giorni la prima Assemblea Generale del loro Istituto Secolare, che ha già aderenti in ben 17 Nazioni.

Figlie carissime, la nostra parola è di semplice e cordiale incitamento a confermarvi generosamente nei validissimi intenti della Vostra Associazione, che propone provvidenzialmente al mondo di oggi la possibilità di un’autentica testimonianza cristiana nel posto che ciascuno occupa nella società.

A tal fine, voi avete certamente la protezione del grande San Giovanni Bosco, ai cui esempi e alla cui forza vi ispirate. E noi, raccomandandovi alla sua intercessione, ben volentieri vi impartiamo la paterna e incoraggiante Benedizione Apostolica.

Al pellegrinaggio organizzato dall’Unione Maltese Trasporti Malati a Lourdes

Our special greetings to the pilgrims from Malta. We know that you have been to Lourdes to honour Mary, and now you have come to Rome to see Peter. In the name of the Lord we welcome you all, especially the sick among you. We ask you to be mindful of the value-the great value-of suffering, when United with the Passion of Christ. Yes, the whole Church benefits from your love; and the World needs your example of faith and patience. Be assured of our prayers.

Ai membri del Consiglio della Conferenza Internazionale Cattolica del Guidismo

Ad un gruppo taitiano proveniente dalla diocesi di Papeete


Mercoledì, 3 agosto 1977

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Venerati Fratelli e diletti Figli e Visitatori!

Una parola, una parola soltanto, ma quanto basti a stabilire, in questa Udienza estiva, un rapporto spirituale fra voi tutti e la nostra umile, ma paterna persona.

La parola è quella che tutti, noi speriamo, ci definisce: «cattolici». Essa si collega con quella da noi ricordata nella precedente Udienza, la parola su l’unità della Chiesa; e l’una e l’altra si riferiscono alla professione di fede, che noi, sempre gravemente, pronunciamo recitando il «Credo»; affermando cioè: «Io credo ... nella santa Chiesa cattolica», o più precisamente come è detto nel Simbolo adottato nella celebrazione della Messa: Io credo la Chiesa «una, santa, cattolica ed apostolica».

Donde viene questa qualifica della Chiesa, insignita del titolo di «cattolica», che noi non troviamo testualmente nella Sacra Scrittura? Gli studiosi ci dicono che il primo ad attribuire la qualifica di «cattolica» alla Chiesa è stato S. Ignazio d’Antiochia, celebre martire al principio del II secolo, a Roma, scrivendo alla Chiesa di Smirne (S. IGNATII ANTIOCHENI Ad Smyrnaeos, 8, 2) una delle sue famose lettere. Ma non manca certo nel nuovo Testamento, il concetto di «cattolico» riferito alla Chiesa. Basta ricordare le ultime parole del Signore alla fine del Vangelo di San Matteo: Gesù risorto si congeda dagli Apostoli, prima di salire al cielo, dicendo loro: «... andate e istruite tutte le genti» (
Mt 28,19). Che cosa significa il termine «cattolico»? Significa universale, e si riferisce direttamente al «corpo» della Chiesa, come l’unità si riferisce allo Spirito che la fa divinamente vivere; le due proprietà, o note, cattolicismo e unità, si integrano a vicenda per significare la cattolicità: mistero meraviglioso che non possiamo conoscere nel suo trascendente disegno, se non per la fede, che ci fa scoprire e ammirare l’Amore di Dio per tutta l’umanità (Cfr. 1 Tim 1Tm 2,4), e ci aiuta ad ammirare poi la vocazione missionaria della Chiesa, e la sua attitudine ad estendersi a tutta la terra, a tutti comprendere cioè, a inserirsi in ogni popolo, e a fare fratelli tutti gli uomini. E ciò non certo come risultato d’una sopraffazione d’un popolo su l’altro, d’una classe sociale su altra classe sociale, d’un totalitarismo inesorabile e intollerabile, che può nascere dalla unificazione forzata e artificiale dell’umanità, non più libera della libertà dei figli di Dio, ma che può sorgere solo dalla diffusione del regno loro aperto da Cristo, oltre l’orizzonte di questo mondo, il quale pure può derivare dalla cattolicità della Chiesa feconde ed inesauribili sorgenti di temporale civiltà.

Basti per ora. Con l’esortazione a meditare e ad amare questo titolo di «cattolico», ch’è essenzialmente inserito nell’economia autentica del Vangelo, e che si riversa sulla nostra vocazione alla sequela di Cristo per allargare i nostri cuori all’ampiezza sconfinata della carità di Dio per noi e per l’intera umanità.


Mercoledì, 10 agosto 1977

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Interessa certamente anche a voi sapere distinguere in mezzo a tante manifestazioni religiose della storia e del mondo contemporaneo la vera religione; e se quella cristiana appare come quella meritevole della nostra preferenza, e quindi della nostra scelta, per tanti titoli (che noi supponiamo presenti ai vostri animi), resta nella mente una domanda: fra le tante professioni cristiane, esiste una professione non solo prevalente, ma unica ed esclusiva? Dove è la vera Chiesa? quali segni la distinguono? e se noi siamo soliti a recitare il «Credo» della Santa Messa, troviamo già sulle nostre labbra la risposta: «Io credo ... la santa Chiesa, una, santa, cattolica ed apostolica». Noi crediamo che questi titoli siano proprietà intrinseche di questa grande e singolare istituzione, che si chiama la Chiesa, perché così l’ha voluta Cristo, suo fondatore, e così sappiamo che tali proprietà traspariscono normalmente anche all’esterno nella vita storica e umana di questo «corpo mistico» di Cristo, ch’è appunto la Chiesa, e servono a noi per garanzia che restando fedeli ad essa, noi siamo, per grazia di Dio, sulla strada giusta. Cristo ha fondato una sola, unica Chiesa; Cristo non ha messo confini alla sua universalità, l’ha voluta cattolica; e poi ha voluto che fosse santa, come una fontana pura e inesauribile, anche se non tutti quelli che bevono a questa fontana sono altrettanto puri e limpidi, anzi se non tutti avvertono il bisogno d’essere purificati, cioè santificati dalla grazia che sgorga dalla Chiesa; e poi, finalmente, noi crediamo in una Chiesa apostolica, non inventata da qualche uomo di genio, o sorta da qualche movimento sociale; la vogliamo «apostolica», cioè derivata dagli Apostoli, in quanto essi, e solo essi, sono stati direttamente ed esclusivamente incaricati da Cristo d’essere i testi autentici della sua Parola e della sua opera. Cioè Cristo Gesù si è scelto i ministri custodi, trasmettitori, difensori dell’opera della Redenzione, da lui compiuta.

Gesù ha voluto una Chiesa organizzata. Tutto il Vangelo lo attesta. Gesù non ha scritto, ha parlato, e ha proclamato, rivolgendosi ai discepoli : «Chi ascolta voi, ascolta me; e chi disprezza voi, disprezza me . . . e disprezza Colui che mi ha mandato» (
Lc 10,16). Gesù non ha detto: «basta il testo della Scrittura», perché la Scrittura stessa viene da un magistero che le ha dato origine; e poi Gesù non ha autorizzato alcuno ad erigersi in legislatore tra gli uomini e Dio per fondare una nuova forma di religione che Lui solo può stabilire (Cfr. 1Tm 2,4-7 Mt 10,40 Jn 20,21 etc.).

Questa nota dell’apostolicità riguarda praticamente la trasmissione del messaggio della fede, che è verità ardua e vincolante; una trasmissione che esige fedeltà assoluta, vieta ogni arbitrio, proprio là dove conferisce potestà gerarchiche agli Apostoli che ne sono investiti. Staccarsi dall’apostolicità vuol dire staccarsi da Cristo, ed esporsi alla contestabilità della fede e all’aridità della religione.

Ma cos1 si manifesta, a ben riflettere, l’amore di Dio alla sua Chiesa, affinché essa sia maestra di verità e di carità. E così noi crediamo esaltando l’apostolicità della Chiesa.

Ad un gruppo della Marina Reale Australiana

Today we have the great pleasure of having with us the group from Her Majesty’s Australian Ship “Melbourne”. We welcome all of you: the Commanding Officer, Commodore Swan, both the Catholic and the Anglican Chaplains, all the officers and men of the ship. Your presence here today makes Australia seem very near, and it brings back many memories of our visit to your country. We send cordial greetings to your families, to al1 of your loved ones. God bless Australia!



Mercoledì, 17 agosto 1977

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Una espressione del nostro «Credo», alla quale abbiamo già applicato la nostra attenzione, ci obbliga a completare con qualche modesto riferimento questo nostro colloquio spirituale con voi, carissimi Fratelli e Figli presenti a questa Udienza generale, alla qualifica riconosciuta e da noi proclamata con atto di fede, recitando il «Credo», di «santa» riferita alla Chiesa. «Io credo, ciascuno afferma quando dice il Credo, la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica». Bellissima espressione, anche perché essa passa in rassegna le quattro cause essenziali, da cui la Chiesa deriva la sua vita trascendente: per la causa efficiente la Chiesa è apostolica; per la causa formale essa si definisce una; per la causa materiale essa è cattolica; e per la causa finale dobbiamo dirla santa, la Chiesa (Cfr. C. JOURNET, L’Eglise, 11, 1185).

Questo sta bene, concettualmente. Ma quando si parla, come noi oggi con voi, di santità della Chiesa sorge in molti spiriti riflessivi una sconcertante obiezione; e cioè: non è esagerato riconoscere di fatto la santità della Chiesa, quando molti anzi tutti i suoi membri viventi nel tempo, sulla terra, si dicono, anzi devono dirsi peccatori? e quando la santità dei rarissimi fedeli, dichiarati «santi» dalla Chiesa, sono già fuori da questo mondo, sono in paradiso, hanno fatto miracoli, e la loro canonizzazione, cioè il riconoscimento ufficiale della loro santità, esige un esame, una verifica assai difficile e lunga da parte di autorità competenti della Chiesa stessa?

L’obiezione comporta parecchie, ma facili risposte. E la prima è questa. Dire santa la Chiesa vuol dire innanzitutto ch’essa ha una relazione essenziale con Cristo, mediatore fra Dio e gli uomini, e causa meritoria della loro salvezza; e questa mediazione è, come ministero, nelle mani della Chiesa, ch’è santa perché santificante, non per virtù propria, ma per virtù della fede e della grazia, di cui essa è fatta dispensatrice e maestra.

In secondo luogo dovremo dire santa la Chiesa perché tutti i suoi membri sono stati santificati dal battesimo e poi dagli altri sacramenti, e poi ancora dallo Spirito Santo ch’è come il respiro divino che essa, la Chiesa, offre continuamente ai suoi figli, istruendoli nella fede, esortandoli ad una condotta conforme alla legge divina e naturale, cioè a quella giustizia, che, prescindendo dai segni prodigiosi e carismatici elargiti ad alcuni fedeli, deve improntare e qualificare la vita di ogni cristiano, che nel linguaggio originario della Chiesa, santo si chiamava.

Ed infine riconosceremo con entusiasmo questo titolo superlativo di santa alla Chiesa perché tale titolo, più che convenire ai suoi singoli membri, caratterizza la sua funzione nel tempo, ch’è quella di santificare, e prefigge la mèta a cui è rivolto il suo faticoso pellegrinaggio nel tempo, mèta ch’è appunto la santità dei fedeli, ammessi dalla misericordia divina al suo santissimo possesso finale (Cfr.
Mt 5,8 1Jn 3,2).

E ricorderemo che ciascuno di noi è chiamato a quell’onestà di vita, a quella religiosità di spirito, che si può chiamare santità, e che, tutto sommato, come c’insegna la teologia di S. Tommaso, reclama da noi purezza di costumi e fermezza di volontà (S. THOMAE Summa Theologiae, II-II 81,8).

Con la nostra Apostolica Benedizione.



Ad un gruppo di ragazze canadesi

We wish to welcome the Alberta Girls Sound Spectacular. We are happy to have your visit today; and we hope that, wherever you go, you will bring good will. And we ask you to take our greetings back to Canada.

Ad un gruppo di ammalati

Our greetings to the members of the pilgrimage to Loreto, and especially to the sick among you. May the intercession of Mary, Mother of the Incarnate Word of God, sustain you all.



Mercoledì, 25 agosto 1977


Paolo VI Catechesi 60777