Paolo VI Catechesi 26107

Mercoledì, 26 ottobre 1977

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Ora, quando sta per concludersi, diremo una parola sul Sinodo dei Vescovi, riunito a Roma durante questo mese di ottobre. Nessuno ignora di che cosa si tratta. Si tratta di una riunione di Vescovi, provenienti, si può dire, da tutto il mondo; o meglio da ogni Regione, dove la Chiesa cattolica è costituita; circa duecento, tenendo conto dei rappresentanti delle Famiglie Religiose, e dei Capi dei Dicasteri della Curia Romana. Che il mondo moderno si esprima in organismi internazionali, quasi universali e organici, è un fatto di civiltà che fa onore al nostro tempo e che lascia sperare delle sorti sempre migliori dell’umanità. Ma noi non possiamo ignorare come esista un organismo analogo, ma originale, anteriore nel tempo, superiore negli scopi, e spiritualmente incomparabile, il quale si occupa, esso pure, di riunire il genere umano, di infondergli un senso di fratellanza, fondata sopra una identità di principii, di interessi e di sentimenti, che trasformi la molteplicità dei suoi componenti in una comunione di persone, che conservando, anzi sviluppando ciascuna la propria personalità, sentano e godano d’essere un’unica società, un corpo solo.

Questo organismo, tutti sappiamo, si chiama Chiesa, che vuol dire assemblea, e si qualifica come universale, cioè aperto a tutti gli uomini, sia considerati individualmente, sia collettivamente, cioè Chiesa cattolica. In questa singolare associazione di esseri umani un aspetto, anzi un fatto essenziale e profondo, è manifesto, ed è l’unità. Ripetiamo con riverenza e con gaudio questa nota, o per meglio dire, questa proprietà, perché essa ci indica il segreto di questo fenomeno umano, ci avverte ch’esso nasconde ed insieme manifesta un mistero, una presenza trascendente, un’imponderabile ma pure certissima attività divina: l’unità nella Chiesa è effetto dello Spirito Santo, anima del corpo mistico di Cristo.

Rileggete, Fratelli carissimi, la narrazione della Pentecoste, nel secondo capo degli Atti degli Apostoli, dove la novità del fatto prodigioso è attestata dall’esplosione, si può dire, della parola ispirata, risonante nella molteplice diversità delle lingue proprie dei fortunati presenti a quella prima «epifania della Chiesa» (Cfr. J. HAMER, L’Eglise est une communion, p. 221). Rileggete ciò che scrive S. Paolo, che raccomanda agli Efesini «di conservare l’unità dello Spirito, per mezzo del vincolo della pace». Egli aggiunge: «Un solo corpo, un solo Spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione: un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti . . . A ciascuno di noi tuttavia è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo . . .» (
Ep 4,3-7).

Parole queste che risolvono nella perfetta unità della dottrina il grande e sofferto sforzo ecumenico, e autorizza un certo pluralismo estrinseco delle forme di espressione della medesima fede, fiorente da un identico ceppo, e convergente verso un’identica unità di amore e di vita.

Noi vorremmo che voi tutti aveste a cogliere, come una visione di bellezza spirituale, come un concento di armonia beatificante, come un impegno di fedeltà corroborante il vostro incontro romano col Sinodo dei Vescovi, che proprio in questi giorni si conclude presso la Tomba dell’Apostolo Pietro, e che vi fa sentire voi pure partecipi della fede, della speranza e della carità, che lo Spirito infonde alla sua Chiesa benedetta.

Con la nostra Benedizione Apostolica.

Ai pellegrini di due parrocchie romane

Partecipano all’udienza di stamani le rappresentanze di due parrocchie romane, a noi particolarmente care: la parrocchia di San Benedetto al Gazometro, che celebra il cinquantesimo della propria inaugurazione solenne, e quella di San Leone I in Via Prenestina, giunta al venticinquesimo anniversario della propria fondazione. A tutti voi, carissimi figli, il nostro saluto affettuoso e la nostra parola di augurio cordiale. Sappiamo della sollecitudine generosa e perseverante, con cui nelle vostre comunità si lavora, sotto la spinta animatrice dei sacerdoti, per portare Cristo a tutti i fratelli. Noi vi esortiamo a continuare, con slancio rinnovato, nell’impegno di costruire su Cristo «pietra angolare» (Ep 2,22) la Chiesa viva della parrocchia, di cui il tempio materiale, eretto anni fa, è il simbolo e la figura. Vivete e agite nella convinzione che è Cristo a proclamare, oggi, in mezzo a voi la parola di salvezza mediante il suo Vangelo: è Lui che, ancora oggi, opera attraverso i Sacramenti, che sono gesti suoi; Lui ammaestra e governa per mezzo di coloro che ha scelto per farne pastori del mistico gregge, strumenti del suo amore. In Cristo dunque, fratello primogenito (Rm 8,29), la parrocchia diventi la famiglia dei figli di Dio, in cui ci si sente accolti, ci si conosce, ci si ama, ci si aiuta e insieme si testimonia di fronte al mondo la gioia di sapersi redenti. Vi accompagni la nostra Apostolica Benedizione.



Mercoledì, 2 novembre 1977

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La religione oggi, giorno dedicato alla memoria dei Fedeli Defunti, investe in modo tale la nostra esistenza da obbligarci a dedicare al tema liturgico il nostro breve sermone dell’udienza settimanale. E subito noi tutti ci sentiamo quasi sopraffatti dal duplice pensiero che invade i nostri animi, che dinanzi ad esso si riempie di timore e di speranza, in sovrumana misura. Il pensiero è quello della morte e quello dei Morti, dei nostri Morti.

Quanto al primo aspetto di questo tema, quello della morte, ci ricordiamo di averlo già meditato, nella sua tragica realtà, quando, all’inizio della Quaresima, la Chiesa ci intimò, quasi per svegliarci da un’abituale incuranza: «ricordati, o uomo, che sei polvere, e in polvere dovrai ritornare». La gravità dell’annuncio si riferiva alla vita presente, sulla quale incombe l’inesorabile sorte della sua distruzione; oggi invece il messaggio sfida il futuro, e cerca di penetrare il mistero dell’al di là. E questo mistero assume un aspetto tremendo, ma assolutamente rassicurante; è il mistero della risurrezione dei morti, il quale è posto all’epilogo della vicenda umana quasi come una sfida vittoriosa alla dissoluzione dell’umana esistenza. La nostra fede, con incomparabile vigore, con autorità che non ammette dubbi, con visione profetica, che vede impegnata nella palingenesi finale l’onnipotente e ricreatrice virtù divina, ci assicura della risurrezione dei morti. Rileggete, o Fedeli, il celebre capitolo decimoquinto della prima lettera di San Paolo ai Corinti; e sentirete in voi stessi fremere la fortezza della divina parola: «. . . Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti . . . E come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo . . . Così anche la risurrezione dei morti: si semina (un corpo) corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso; si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale . . . E come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste » (
1Co 1 1Co 5, passim). « La speranza non fallisce»! (Rm 5,5) E da questa speranza sovrumana, di cui non sappiamo nemmeno immaginare la realtà, deve essere illuminata la nostra vita presente, prosaica, sofferente, caduca: «Dov’è, o morte, la tua vittoria?» (1Co 1 1Co 5,55).

Così inebriati da questo non fallace miraggio del trionfo finale della nostra vita in Cristo, ci curviamo sulle tombe dei nostri Morti. Ci inoltriamo nell’oscurità dell‘«altro mondo»; un mondo di cui ci mancano le immagini precise, e che perciò non sappiamo rappresentare al nostro presente modo di conoscere e di pensare. Ma sappiamo però alcune verità, che ci istruiscono e ci confortano; sappiamo innanzi tutto che i nostri Morti sono ancora vivi! L’anima umana è immortale! Anche se separata dal corpo, di cui essa è stata la forma vivente, essa sopravvive. E sappiamo anche che una presenza divina li avvolge : il giudizio di Dio! noi tremiamo! (Cfr. Rm 2,2 Rm 14,12 Mt 16,27 etc.) Ma sappiamo che il Signore è buono e clemente; conosce l’umana infermità; ed è «ricco in misericordia» (Ep 2,4). E sappiamo di più! che qualche nostra azione buona e benefica può riuscire utile, nel computo misterioso dei meriti davanti a Dio, ai nostri Defunti! È l’insegnamento della Chiesa in ordine ai suffragi, insegnamento consolantissimo! La «comunione dei Santi» può essere operante anche attraverso il cosmo ultraterreno: preghiere, elemosine, penitenza, opere buone possono essere da noi compiute e accreditate ai nostri Defunti.

Una consolazione ineffabile invade i nostri cuori attristati! Accogliamo come venisse dall’oltre tomba il messaggio dantesco: «che qui per quei di là molto s’avanza» (DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, «Purgatorio», III, 145) e ripetiamolo come rivolto a noi stessi, proponendoci la carità dei suffragi.

Con la nostra Benedizione Apostolica.



Ad un gruppo di pellegrini belgi

Ad un gruppo di pellegrini dell’Ecuador

Saludamos ahora con particular afecto a los peregrinos del Ecuador.

Sabemos que estáis celebrando en vuestra Patria un Año Mariano National. El Hermano Miguel, tan devoto de la Virgen, os enseña a vivir de manera auténtica la vida cristiana y con la protección de María cómo llegar hasta Cristo.

Sean también María Santísima y el Hermano Miguel, quienes os animen siempre a continuar, bajo la guía de vuestros Pastores, la edificación de la Iglesia en comunión de verdad y de caridad.

Con nuestra Bendición Apostólica para vosotros, vuestras familias y todo el pueblo fiel ecuatoriano.



Mercoledì, 9 novembre 1977

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Noi guardiamo al mondo. Voi stessi, Fratelli e Figli carissimi, ci siete oggi segni del mondo, in cui noi siamo e che noi vorremmo incontrare. Noi sappiamo ora due cose, che vengono a confronto: noi siamo in mezzo a voi come messaggeri d’un annuncio di vita e andiamo cercando a chi confidare questo messaggio. Voi ci apparite come gente che cerca, gente che aspetta, gente che desidera: non è questa la vostra attitudine, oggi? Gente inquieta, gente che si è messa in cammino e non sa precisamente dove dirigersi. Specialmente se fra voi sono dei giovani: questi sono ansiosi di camminare, ma bene non sanno dove dirigersi. Anzi molti, e proprio fra i giovani, o fra quelli che sono vigilanti e curiosi di verificare la direzione giusta della vita, sono dubbiosi sulla rettitudine del loro cammino, il cammino della vita moderna, e si chiedono: dove andiamo? dove si va? e il loro sguardo si rivolge lontano, in cerca del punto di arrivo, ch’è il punto d’orientamento. È diffusa la persuasione che è necessario andare avanti, ma dove, bene non si sa. Vi è tra la folla degli uomini del nostro tempo il sospetto d’aver sbagliato strada, o almeno una riflessione sulla direzione da preferire e da fissare per i nuovi passi da scegliere.

Voi comprendete che questa immagine d’una folla in movimento, agitata dal bisogno di sapere dove dirigersi, si riferisce al mondo in cui tutti ci troviamo. Dopo tanto lavoro, dopo tanto progresso si affaccia alla coscienza di molti, e ripetiamo, dei giovani specialmente, la domanda: siamo sulla via buona? e anche senza contestare se la via dell’evoluzione del nostro tempo sia legittima e degna d’essere percorsa, è chiaro per tutti che essa non basta, cioè non è arrivata là dove è necessario arrivare; occorre, per lo meno, andare oltre. Dove si va? Anzi, più lungo è il cammino percorso, e maggiore è la necessità di sapere se e quale ne sia la meta.

Questa tormentosa questione ci tocca direttamente, noi ministri di Colui che disse: «Io sono la via!»; ed è a noi pressante l’obbligo di indicare, come se ciò fosse un segreto di salvezza (e lo è), qual è la via, vera e vitale da percorrere. Qui si presenta il nostro messianismo, cioè il nostro ministero che svela ed offre la visione e con la visione una prima esperienza o una garanzia di conquista appagante circa la realtà d’una nuova pienezza di vita, d’un nuovo «regno» per usare un termine biblico. Ed ecco che ci troviamo senz’altro alle soglie di questo regno, ammaestrati da un’altra parola di Cristo, da Lui, facendo eco al grido del Precursore, anteposta alla sua predicazione evangelica. E la parola è questa: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (
Mt 4,17).

Questa parola «convertitevi» è programmatica, e riassume grande parte del processo spirituale e morale che rende possibile l’azione rinnovatrice del Vangelo. Si è molto parlato commentando il Vangelo sul significato di tale parola: metánoia in greco, paenitentiam agere, conversio, in latino; e a buon diritto, poiché essa è un termine chiave, che pone globalmente le condizioni di accesso a quel «regno dei cieli» o «regno di Dio», ch’è per noi la nuova vita, la fortuna evangelica. E qui ognuno è invitato a fare del Vangelo un problema personale. Siamo disposti a risolvere questo problema come Cristo ci propone? Avviene proprio all’inizio della via della salvezza una scelta che può essere decisiva. Che cosa ci si chiede per entrare nell’ambito del «regno dei cieli»? Ci si chiede una trasformazione interiore, una metamorfosi di mentalità. Vi è chi si rifiuta di ammettere per sé la necessità di cambiare qualche cosa al proprio modo di essere e di pensare : tutto il naturalismo che sostiene la bontà dell’uomo qual è, e il diritto-dovere di permettere all’uomo di applicarsi secondo gli impulsi istintivi del proprio essere, giudicato già perfetto in se stesso e non imperfetto, né tanto meno alterato dall’eredità del peccato originale, si oppone in radice alla grande novità della salvezza cristiana e accetta la triste esperienza della vita umana abbandonata a se stessa, con tutte le conseguenze drammatiche e tragiche del suo irregolare e spesso perverso sviluppo. Ed è questa la storia di grande parte dell’umanità, alla quale non è giunta la fortuna del Vangelo con le sue prodigiose ricchezze di verità e di vita.

Non rifiutiamoci di considerare questa condizione al nostro ingresso nella via di Cristo, e di osare d’introdurre nella nostra psicologia e nella nostra vita morale la «conversione» che tale via reclama da noi; essa ci obbligherà, sì, alla pedagogia dell’umiltà (Cfr. S. AUGUSTINI De Trinitate, VIII, 5-7: PL 42, 952), ch’è proprio la gioiosa verità del cristiano.

Così sia, con la nostra Benedizione Apostolica.

Ad un gruppo di Suore Salesiane

Un affettuoso saluto desideriamo rivolgere anche al numeroso gruppo di Suore Salesiane, presenti in questa Udienza insieme con la loro Superiora Generale e il Consiglio Generalizio.

Con la vostra partecipazione, figlie carissime, voi intendete anzitutto confermare al Papa - a nome di tutte le vostre Consorelle - la fedeltà inconcussa dell’Istituto, ed inoltre volete celebrare una data memorabile nella vita della vostra Congregazione: esattamente cento anni fa, il 9 novembre dell’anno 1877, il nostro Predecessore di venerata memoria, Pio IX, riceveva la vostra Confondatrice, Santa Maria Mazzarello, insieme con le prime sei Suore Missionarie in partenza per le Americhe.

In questi cento anni, voi. avete moltiplicato le vostre stazioni missionarie in tutto il mondo, con crescenti iniziative apostoliche, specialmente a favore delle fanciulle e delle giovani di ogni lingua e di ogni Paese. Codesto vostro ardore missionario non si affievolisca di fronte alle difficoltà immancabili, ma cresca, divampi e si dilati sempre più, secondo il desiderio di Gesù: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!».

Ben volentieri noi vi accompagneremo con la nostra preghiera e con la nostra Benedizione Apostolica.



Ad un gruppo di industriali ed operatori commerciali

Un paterno saluto rivolgiamo ora al gruppo di industriali ed operatori commerciali, convenuti a Roma per prendere parte al convegno promosso dall’Associazione «Artefici del Lavoro Italiano nel mondo».

Carissimi figli, vi guidi sempre, nell’adempimento dei doveri inerenti alla vostra professione, la consapevolezza della dignità del lavoro umano, voluto da Dio quale componente necessaria della sua iniziativa creatrice ed assunto da Cristo a momento significativo della sua opera redentrice. Nella quotidiana fatica, affrontata con dedizione esemplare e con generoso altruismo, ognuno di voi coopera alla costruzione di un mondo più umano e, se ha fede, anche all’affermarsi di quel mondo nuovo, che è la comunità dei figli di Dio, redenti nel sangue di Cristo.

Conforti i vostri buoni propositi la nostra Apostolica Benedizione, che volentieri estendiamo alle vostre famiglie e a tutti i membri dell’Associazione.

Ai Membri del Consiglio e alle Delegate dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali



Mercoledì, 16 novembre 1977

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E’ chiaro, noi pensiamo, che in un ambiente come questo, in un momento come questo, in un’atmosfera sociale come è oggi la nostra, deve sorgere nella coscienza di ciascuno una domanda imperiosa: Io, che cosa devo fare? sono sulla buona strada? qual è l’indirizzo dominante della mia vita? Una questione simile si pone con decisiva esigenza quando le circostanze della vita conferiscono un lampo di chiarezza alla mente e impongono una scelta che può poi governare il modo di pensare e di agire. Ricordate Saulo (che sarà poi Paolo) sulla via di Damasco, sorpreso dalla folgorante visione di Cristo che lo rimprovera: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» e Saulo, dopo aver chiesto: ma tu chi sei, o Signore? e la risposta fu, come sappiamo: «Io sono Gesù, che tu perseguiti!», e allora Saulo tremando dice: «Signore, che cosa vuoi che io faccia?» (
Ac 22,10). Ecco la grande questione della salvezza: che cosa fare?

Dunque, bisogna ricordare che vi sono due questioni fondamentali, per la guida della nostra vita: una riguarda l’essere, il che cosa è? e nasce dalla nostra capacità di conoscere, e pone a noi i problemi scientifici e teologici, i problemi della cultura e della coscienza; questione fondamentale, indispensabile, prioritaria, ma speculativa e non risolutiva per il destino supremo della nostra esistenza. L’altra questione riguarda l’attività umana, si rivolge piuttosto alla volontà, e si esprime appunto nella domanda: che cosa fare per dare alla vita il suo pieno senso, il suo più alto significato: e riguarda l’aspetto morale, quell’aspetto ch’è anch’esso indispensabile, e, sotto un certo riguardo, lo è in grado superiore a quello speculativo. Le sorti della vita umana dipenderanno alla fine dalla risposta che avremo dato a questa domanda relativa all’attività in cui sarà stata impegnata la vita stessa. Non saremo giudicati sul ciò che siamo, quanto piuttosto sul ciò che facciamo. Il Vangelo è molto chiaro a tale riguardo: leggete il Magnificat, leggete le Beatitudini; ricordate la parabola di Cristo sui talenti: non è la fortuna di averli che conta, ma il frutto che si sa ricavare dai talenti stessi, che costituisce la loro vera fortuna per noi. Il fare, il fare bene, il fare il bene prevale nel giudizio finale sul valore della nostra esistenza, sull’essere e sul conoscere.

E allora ciò che importa soprattutto è l’impiego della nostra volontà.

Ciò comporta un complemento nella nostra moderna educazione, nella quale la libertà ha giustamente un primo posto soggettivo, del quale tutti dobbiamo essere custodi e difensori gelosi (si veda la dichiarazione del recente Concilio circa la libertà religiosa). Ma la libertà è chiamata oggettivamente ad esercitarsi nella ricerca e nella scelta del bene, è chiamata a fare proprio il dovere. L’obbligazione morale invita a se la libertà, che allora appare col suo volto illuminato di luce divina quando sceglie la legge del dovere, e non si decompone nel capriccio arbitrario che avvilisce la libertà stessa nella sudditanza a passioni cieche o a interessi inferiori.

Per noi credenti sarà norma e sostegno la fede nella guida sia speculativa, che pratica della nostra vita, sempre ricordando l’affermazione capitale di San Paolo che ci ripete: l’uomo giusto vive di fede (Rm 1,17).

La vita cristiana esige un totale impiego della volontà. Questo dono del cuore è ciò che la caratterizza. Essa è amore, essa è felicità, essa è sacrificio, essa è comunione col Cristo della nostra fede, guida e sorgente del nostro operare. Vale la pena di farne l’esperimento!

Con la nostra Benedizione Apostolica.



Alle Famiglie Religiose Salesiane

Rivolgiamo un cordiale saluto ai numerosi rappresentanti delle Famiglie Religiose che prendono il nome da San Francesco di Sales, qui convenuti per celebrare il primo centenario da quando il nostro Predecessore Pio IX, di v.m., il 16 novembre 1877 proclamò lo stesso San Francesco «Dottore della Chiesa».

Diletti figli e figlie, il nostro benvenuto vuol essere particolarmente caloroso, poiché proprio oggi (16 novembre) cade il menzionato centenario, che siamo felici di festeggiare insieme con voi. Francesco di Sales è indubbiamente uno dei Santi più ragguardevoli dell’età moderna, sia per il multiforme impegno apostolico da lui vissuto in consonanza coi tempi, sia per la profonda e stimolante dottrina espressa nelle sue opere. Del resto, il valore permanente della sua feconda spiritualità riceve proprio da voi la testimonianza migliore. Perciò, vi raccomandiamo di continuare ad ispirarvi a lui in tutte le vostre attività missionarie e pastorali: a livello giovanile, catechetico, culturale e assistenziale. Da voi, infatti, la vita della Santa Chiesa si aspetta ancora e sempre molto.

Mentre su tutti voi e sui vostri Istituti invochiamo la speciale protezione di San Francesco di Sales, siamo lieti di confermare i nostri voti con l’Apostolica Benedizione.

Ai membri del «Saint Francis Hospital» delle Suore Francescane Missionarie di Maria

Un cordiale saluto desideriamo rivolgere anche ai membri qui presenti del «Saint Francis Hospital» delle Suore Francescane Missionarie di Maria, che ha la sua sede a Roslyn, nello Stato di New York.

Siamo stati informati, figli carissimi, circa la costituzione, presso il vostro Ospedale, di una Pia Fondazione a favore di bambini della nostra Diocesi di Roma, particolarmente indigenti e bisognosi di cure speciali o di interventi chirurgici per gravi cardiopatie.

Vogliamo dirvi sinceramente il nostro compiacimento, il nostro plauso, la nostra gratitudine e il nostro incoraggiamento per tale meritoria iniziativa, sulla quale invochiamo lo sguardo amorevole del Signore. A voi tutti e a quanti prestano generosamente e disinteressatamente la loro benefica collaborazione impartiamo di cuore la nostra Benedizione Apostolica.

Ad un gruppo di buddisti giapponesi

We cordially welcome the delegation of Japanese members of the International Buddhist Brotherhood Association. Me would entourage you to continue to devote your attention to helping the sick, for where there is need, there should go our efforts to give aid May God guide you and reward you.


Mercoledì, 23 novembre 1977

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O Voi tutti presenti a questa Udienza, che si colloca alle soglie del periodo liturgico, che siamo soliti a distinguere come particolarmente significativo nel decorso religioso del tempo, e che chiamiamo «Avvento», perché siete venuti? Quale motivo vi ha spinto a venire a questo incontro? Una semplice curiosità turistica («andiamo a vedere anche questa figura singolare che è il Papa»)? ovvero un motivo di ordinaria devozione cattolica? («è sempre bello assistere ad un’Udienza generale del Papa»); oppure un impulso spirituale, quasi conclusivo d’un processo interiore di personale inquietudine, che sembra fare proprie le parole del pescatore San Pietro, dopo il discorso preannunciatore del pane eucaristico, discorso che aveva sconcertato gli uditori di Cafarnao, ancora meravigliati del miracolo della moltiplicazione dei pani, compiuto il giorno prima, ma incapaci di supporlo un segno premonitore d’un più insolito e inconcepibile miracolo, quello dell’Eucaristia, quando S. Pietro, vedendo disperdersi la folla incredula, quasi spinto dalle parole di Cristo: «Anche voi volete andarvene?» (
Jn 6,67), l’Apostolo esclama, lui per tutti i colleghi, discepoli e apostoli presenti: «Signore, da chi andremo noi? Tu hai parole di vita eterna, noi abbiamo creduto e conosciuto che Tu sei il Santo di Dio!» (Ibid. 69).

Sì, da chi andremo noi? Voi, alcuni di voi almeno (e noi supponiamo che siano i giovani, di anni o di spirito), sono qui appunto con questo spirito, sono coloro i quali vengono dal Papa nella speranza che egli abbia qualche sua parola segreta e prodigiosa che risponda ad una loro intima «domanda di vita»; una domanda che si dibatte fra delusioni e incertezze, e ancora più fra tensioni ed ansie di nuove certezze, per una fame interiore di verità, che davvero interpreti il mondo sconvolto che li circonda, e insegni una via sicura, degna di essere percorsa dalla loro insoddisfatta, ma fremente vitalità.

Vi è, noi pensiamo, un’aspirazione, per molti inquieta fino alla sofferenza, di una soluzione vitale, il bisogno d’una scelta, la scelta d’una via che non si disperda nelle sabbie d’un deserto di problemi insoluti, o non si affondi nello stagno traditore di false e indegne promesse. Vi è in tanti animi generosi, ma dagli occhi bendati, l’urgenza di trovare una formula di esistenza, che dia impiego pieno e valoroso alle energie, di cui sono esuberanti, ma che sono delusi dalle lusinghe della vita ordinaria, o dal fascino di programmi illusori, o solo mediocremente capaci di dare un significato pieno e nobile a chi vi concede la propria esistenza.

Dopo lo sconvolgimento delle guerre recenti, dopo il tipo di vita senza ideali o sostenuta da scopi di mediocre valore, o abbagliata da concezioni politico-sociali incomplete e forse disumane e rinunciatarie agli ideali dello spirito e della verità superiore, una crisi si pronuncia nella generazione degli uomini nuovi e liberi, i quali cercano ansiosamente una vocazione, che valga davvero la pena di essere vissuta con tacito, ma non fallace eroismo.

Sono forse fra voi, giovani, fra voi, uomini e donne che ci ascoltate, persone, persone vive, che soffrono per la ricerca di questo non strano, ma nascosto modello di vita? Voi, diciamo, cercate forse da noi la formula della vita vera, quella che abbia per sé il tesoro di valori che giustifichino il rischio, il dono della scelta che non ammette confronti?

Ebbene, a voi, avidi di questa suprema risposta, la risposta circa l’impiego autentico, sapiente, veramente umano della vita, noi diremo due cose: la prima è quella della nostra insipienza circa le cose che formano la ricchezza, la forza, il fascino del mondo esteriore. Siamo degli estranei, siamo dei poveri di spirito. Non chiedete a noi, non chiedete alla Chiesa, ciò che non possiamo darvi, Non conosciamo più la felicità della terra (Cfr. Jn 16,20).

Ma se a noi chiedete il segreto della vita vera, quella fondata sulla verità, su l’amore, sulla concomitanza della grazia divina; quella degli uomini forti, austeri, e lieti, quella degli uomini che vivono la vita, anche modesta e povera della società moderna, ma sostenuta da idee vere, da una comunione trascendente, che fa lo spirito felice anche nelle avversità, quella in una parola della vocazione del battesimo, piena di canto interiore e che non si spegne con la morte, la vita buona e semplice e onesta e serena, quella cristiana sì, possiamo insegnarvi e aiutarvi a viverla. Volete?

Con la nostra Apostolica Benedizione.



Ai Rettori dei Santuari d’Italia

Vada ora il nostro saluto paterno ai Rettori dei Santuari d’Italia, riuniti a Roma per il loro XIII Convegno Nazionale. Ci rallegriamo con voi, figli carissimi, per l’opportuna scelta del tema delle vostre riflessioni. In un tempo, come il nostro, che manifesta rinnovato interesse per il canto popolare, nel quale si esprime con immediatezza l’anima semplice e autentica della nostra gente, appare veramente encomiabile l’impegno di ricupero e di valorizzazione di quelle melodie e di quei canti, in cui intere generazioni di fedeli hanno consegnato la testimonianza, ora gioiosa ora sofferta, sempre commovente, della loro fede in Dio e del loro amore alla Vergine. Non è, del resto, proprio questo l’invito del Concilio: «cantus popularis religiosus sollerter foveatur»? (Sacrosanctum Concilium SC 118) Sia dunque vostra cura, con la consulenza di persone veramente esperte, di favorire la diffusione dei canti allo scopo di alimentare la pietà, di orientare la preghiera comune, di dar maggiore solennità ai riti sacri. Vi accompagna il nostro incoraggiamento e la nostra Apostolica Benedizione.

Ad un gruppo di sacerdoti della Pia Società dell’Apostolato Cattolico

Ci procura vivo conforto la presenza di un folto gruppo di sacerdoti della Pia Società dell’Apostolato Cattolico i quali, unitamente al Superiore Generale e al suo Consiglio neo eletti, hanno desiderato questo incontro al termine del Capitolo Generale celebrato in Roma.

Vi siamo riconoscenti, carissimi figli, di questo omaggio di venerazione e, ancor più, per le consolanti notizie che ci recate circa la situazione della vostra famiglia religiosa, e circa i suoi membri, le sue attività specifiche e soprattutto l’incremento delle vocazioni e delle varie forme di apostolato, specialmente nelle missioni.

Nel congratularci con voi per codesta promettente fioritura, amiamo incoraggiare le iniziative prese affinché il vostro benemerito Istituto, anche mediante i suoi statuti, opportunamente ora modificati, sia strumento sempre più efficace di animazione cristiana in seno al Popolo di Dio, secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II.

Di cuore impartiamo la nostra paterna benedizione a voi, ai Confratelli e ai familiari di ciascuno in auspicio della divina protezione.

Ai partecipanti al corso per la formazione di Animatori e Responsabili della Pastorale per il mondo degli anziani

Salutiamo con particolare affetto i partecipanti al corso-base, indetto dalla Presidenza Nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, per la formazione di Animatori e Responsabili della pastorale per il mondo degli anziani.

Figli carissimi, la funzione degli anziani nel mondo e nella Chiesa è proprio quella di far vedere e capire che una società, se davvero vuol essere a misura d’uomo, non si può fondare sulla semplice attitudine alla produttività economica. Infatti, anche quando questa viene meno, rimane sempre e ancora l’uomo, gloria di Dio, e perciò degno non solo di stare teoricamente al di sopra di ogni interesse, ma di costituire il termine vivente della nostra genuina carità. Pertanto, vi esortiamo a rendere questa preziosa testimonianza mediante il vostro lavoro fra gli anziani; che esso non sia soltanto una mera prestazione assistenziale, ma una fraterna condivisione di affetti e di speranza, in nome di quel Dio immutabilmente giovane, che efficacemente il profeta paragona ad «un cipresso sempre verde» (Os 14,9).

Siamo lieti di confermare questi voti con la Nostra Benedizione Apostolica.

Al pellegrinaggio organizzato dalle «Figlie di Nostra Signora del Monte Calvario»

Un saluto particolarmente affettuoso e cordiale rivolgiamo ora alla numerosa rappresentanza delle «Figlie di Nostra Signora del Monte Calvario», che sono intervenute all’udienza, insieme con i loro assistiti, col personale curante, gli alunni e gli insegnanti, per celebrare il centocinquantesimo anniversario della loro venuta a Roma, dietro invito del Nostro predecessore di v.m., Leone XII. Il pensiero corre istintivamente all’immensa schiera di persone minorate, sofferenti, bisognose, che in tutti questi anni sono state soccorse dalla carità del vostro Istituto, i cui membri hanno saputo chinarsi sulle più diverse manifestazioni dell’umana miseria, per alleviarne il peso ed aprirne gli orizzonti alle prospettive della speranza. In tal modo, voi e le vostre Consorelle avete accolto con grande cuore l’invito e la voce stessa di Cristo, che ha voluto farsi personalmente debitore di ogni amorosa attenzione rivolta anche al più debole e indifeso dei suoi fratelli (Cfr. Mt 25,40).

Valga questa consapevolezza a stimolare in voi rinnovato slancio di generosità nella quotidiana consacrazione alle crocifiggenti esigenze dell’amore. Ve lo impetri, insieme con la nostra preghiera, l’Apostolica Benedizione, che volentieri estendiamo ai vostri assistiti, al personale, agli alunni ed alunne dei vostri Istituti e a tutti i loro familiari.

Ai fedeli della Parrocchia di Cristo Re

Ed ora un saluto affettuoso ai fedeli di una Parrocchia romana, ch’è vicina non solo topograficamente, ma anche e soprattutto spiritualmente alla Sede Apostolica: è la Parrocchia di Cristo Re nel quartiere delle Vittorie, la quale proprio in questi giorni ricorda il cinquantesimo anniversario di fondazione.

Noi siamo stati informati, Figli carissimi, delle speciali iniziative che, sotto la guida solerte dei Sacerdoti del S. Cuore, sono state promosse per tale ricorrenza, e ne siamo ad un tempo compiaciuti e grati. Anzitutto, perché esse han determinato un approfondito studio catechetico intorno al tema davvero inesauribile della Chiesa e della funzione, in essa, di Pietro e dei suoi successori; poi, perché in questo periodo avete pregato particolarmente per noi e, intrecciando alla festa del vostro bel Tempio gli auguri per il recente nostro genetliaco, siete venuti stamane a renderci omaggio.

Noi siamo assai lieti, pertanto, di questo incontro e, nel ricambiare i vostri nobili sentimenti, vi rivolgiamo una raccomandazione: fate che nella vostra Parrocchia, tanto vasta ed importante, fiorisca la vita religiosa in esemplare testimonianza cristiana ed in santa emulazione con le altre Chiese che gravitano in questa area, antica e nuova, dell’Urbe. Quale segno di paterno incoraggiamento vi impartiamo la Benedizione Apostolica.

Ai religiosi della Società del Verbo Divino

With paternal affection we greet the new Superior General and members of the Society of the Divine Word. Our prayer for all of you today-at this special moment of your General Chapter-is that you will indeed be faithful to the Divine Word, which constitutes the honoured title of your Congregation. We pray that, with a profound interior life and with solid discipline, you will live the Word of God and continue to preach it to the ends of the earth: the Word of God in all its purity, with all its exigencies, in all its power. And remember always, dear sons, that this Word of God-in the expression of Saint Paul-is truly “the power of God for salvation” (Rm 1,16). May the Holy Spirit strengthen you, today and for ever, in the missionary charism of Blessed Arnold Janssen.

Ad un gruppo di Domenicani irlandesi

We extend a special welcome to the Irish Dominicans and to those who are celebrating with them the third centenary of their arrival at San Clemente. You are the custodians, beloved sons, of a great Roman Church that keeps alive the apostolic witness of Saint Clement and the holy memory of Saints Cyril and Methodius. We are indeed grateful to you for your generous service, and to those who assist you in your worthy apostolate. And we pray that the Blessing of the Redeemer-from the triumphal arch of the Basilica-will continue to call brethren to the fullness of Christian unity, and to confirm future generations of your own countrymen in fidelity to the faith of the Apostles.


Mercoledì, 30 novembre 1977


Paolo VI Catechesi 26107