Alberto M. Unione con Dio - CAPITOLO VI


L'UOMO CHE VUOLE ACQUISTARE LA VERA PIETA' DEVE PURIFICARE LA PROPRIA INTELLIGENZA E I PROPRI AFFETTI



Il distacco interiore fa gustare le cose del cielo



E' fuor di dubbio che più voi sarete liberi dalle occupazioni e dai ricordi esteriori e mondani, più la vostra anima riacquisterà forza e capacità per gustare le cose del cielo. Imparate perciò a staccarvi dalle cose terrene.

Dio ama molto tale rinuncia. Le sue delizie sono di stare coi figlioli degli uomini (28) cioè con coloro che dopo avere allontanato le distrazioni e le passioni, sanno, con cuore puro e retto, tendere, donarsi e attaccarsi a lui.

Se la memoria, l'immaginazione, i pensieri strisciano spesso a terra, accadrà necessariamente che gli avvenimenti nuovi, i ricordi del passato e molte altre cose, inevitabilmente vi preoccuperanno e distrarranno. Lo Spirito Santo è assente da questi pensieri che mancano di saggezza.

Il vero amico di Gesù Cristo deve dunque essere talmente unito con la propria intelligenza e buona volontà alla volontà e alla bontà divina, da togliere alle passioni ogni appiglio su lui e da evitare di indagare se è schernito, amato o considerato come persona da poco. La buona volontà può arrivare a tutto, può dominare ogni cosa.

(28) Pr 8,31.



Suscita nell'anima il disinteresse per le miserie personali



Se la volontà è buona e pienamente conforme e unita alla volontà di Dio, come consiglia l'intelligenza, poco importa che la carne, i sensi, l'uomo esteriore, siano inclini al male e fiacchi per il bene, oppure che l'uomo interiore si trovi senza amore per le cose spirituali (29). Importa soltanto che per la fede e la buona volontà l'uomo resti unito a Dio con tutta l'anima.

Egli vi riuscirà, se riconoscerà la propria imperfezione e il proprio nulla; se comprenderà che il proprio bene non si trova che nel suo Creatore; se abbandona a Lui se stesso con tutte le sue potenze, le sue forze e le creature tutte, per nascondersi interamente in seno a lui con pieno slancio, per dirigere ogni sua azione verso Dio, senza cercare nulla all'infuori di Dio; se riconosce d'aver trovato in lui tutto il bene e tutta la felicità della perfezione.

(29) I sensi dell'uomo esteriore sono l'immaginazione e le passioni; per l'uomo interiore sono l'intelligenza e la volontà, che si trovano a volte senza alcun soccorso da parte della devozione sensibile.


Divinizza l'uomo



L'uomo allora, giunto a questo stato di perfezione, sarà, in certo qual modo, trasformato in Dio; non potrà più pensare, amare, comprendere, ricordare che Dio o le cose di Dio; non vedrà più se stesso e le altre creature se non in Dio; non avrà altro amore che per Iddio; le creature e se stesso si presenteranno alla sua memoria solo più nella luce di Dio.

Rende l'anima veramente umile


Simile conoscenza della verità, rende sempre l'anima umile, severa verso se stessa e non verso gli altri; mentre la saggezza mondana rende l'anima superba, frivola, piena d'orgoglio e d'alterigia.



La libertà interiore è necessaria per elevarsi a Dio



E' dunque necessario considerare come dottrina fondamentale e veramente spirituale quella che ci mostra quanto sia chimerico aspirare di giungere alla conoscenza, al servizio, alla familiarità con Dio e al suo pieno possesso, se non si è prima distaccato il proprio cuore dalle affezioni terrene, non solamente dalle persone, ma da ogni altra creatura o cosa; se non si riesce a tendere verso il Creatore con tutto il cuore, liberamente, senza secondi fini, senza timori né esitazioni, con fiducia illimitata nella sua universale provvidenza (30).

(30) Infatti tutti i disegni di Dio su noi sono misericordiosi, specialmente dal punto di vista della nostra santificazione, e gli ostacoli all'attuazione dei piani divini provengono unicamente dalle nostre sregolate passioni.




CAPITOLO VII



COME PRATICARE IL RACCOGLIMENTO DEL CUORE



E' necessario entrare in se stessi per elevarsi a Dio

Nel libro “De spiritu et anima”, al cap. XXI (31) è detto che salire verso Dio significa rientrare in se stessi. Infatti colui che rientra nel suo intimo e studia se stesso per superarsi, si eleva veramente verso Dio.

Dobbiamo dunque liberare e proteggere il nostro cuore dalle distrazioni del mondo, ricondurlo alle gioie intime, per fissarlo infine nella luce della contemplazione divina.

Vita e riposo del nostro cuore è dimorare in Dio, sostenuti dall'amore e dolcemente vivificati dalla divina consolazione.

(31) Il libro “De spiritu et anima” è di autore incerto; si trova stampato al seguito delle opere di S. Agostino in Migne, Patrol. lat., vol. XL, 779.



Bisogna vincere gli ostacoli che impediscono di entrare in sé stessi



Ma molti ostacoli ci impediscono di sperimentarlo, e con le sole nostre forze non potremo mai arrivarvi. L'anima distratta da tante preoccupazioni, non è aiutata dalla memoria a rientrare in se stessa, perché le ombre di tante cose la rendono cieca; non è aiutata dall'intelligenza, a causa delle passioni che la seducono; né si ripiega su se stessa neppure per il desiderio di gioie interiori e di delizie spirituali.

Essa è talmente immersa nelle cose sensibili e passeggere, che non può ritornare a sé come verso la immagine di Dio.



L'anima purificata si eleva spontaneamente



E' dunque indispensabile che, guidata dal rispetto e dalla confidenza dell'umiltà, l'anima si elevi al disopra di se stessa e di ogni creatura, con l'abbandono di tutte le cose, e possa dire intimamente: Colui che io cerco, amo e desidero fra tutti, più di tutti, al disopra di tutto, non appare ai sensi né all'intelligenza: egli oltrepassa gli uni e l'altra.



Dio non è percepito dai sensi, ma piuttosto nell'esperienza intima



Dio non è visibile ai sensi, ma deve essere l'oggetto di tutti i nostri desideri. Egli non ha corpo, ma è infinitamente amabile così da attirarsi gli affetti dell'anima; è incomparabile, ma seduce soltanto i cuori puri. E' soprattutto amabile e dolce. La sua bontà è la sua perfezione sono infinite.

Allora l'anima entra nelle tenebre dello spirito; si eleva maggiormente e penetra più profondamente in se stessa (32).

Questo modo di salire fino alla misteriosa visione della SS. Trinità nell'Unità, dell'Unità nella Trinità, per mezzo di Nostro Signor Gesù Cristo, è più ardente nell'anima a misura che la forza d'ascensione le è più intima; e più vantaggiosa a misura che la carità la rende più concreta. Nel mondo dell'esperienza spirituale non c'è nulla di più elevato di ciò che è più intimo.

(32) Queste tenebre dello spirito sono il silenzio della immaginazione che non è più ascoltata, e quello dell'intelligenza che è abbastanza illuminata per comprendere che in sostanza non si capisce nulla della Divinità in se stessa. Il meglio per noi è di negare in Dio i difetti che constatiamo nelle creature, per la ragione che noi naturalmente non conosciamo Dio che attraverso le creature le quali sono infinitamente impotenti a darci una idea adeguata del Creatore.



Questa esperienza delle cose divine è una pregustazione di cielo



Non stancatevi dunque, non riposate mai fino a quando non abbiate ricevuto in qualche modo la caparra o un anticipo di questa futura pienezza, finché non abbiate ottenuto qualche primizia delle soavità e delle dolcezze divine.

Non cessate di perseguirle fino all'ora in cui “appare il Signore in Sion” (33).

Quando si tratta del progresso spirituale, dell'unione e dell'intimità con Dio, non ci si deve concedere alcun riposo, né cedere a nessuna fatica, prima d'aver conquistato l'oggetto dei propri voti.

(33) Ps 84,8.



L'ascensione dell'anima verso Dio



Osservate colui che s'arrampica sulla montagna e seguite il suo esempio. Se la nostra anima si lascia incantare e sedurre dalle cose che incontra sul suo passaggio, spesso si smarrisce in sentieri ignoti, si sfibra e si divide in tante frazioni quanti sono i suoi desideri. Ma segue allora un movimento senza scopo, una corsa senza profitto, una stanchezza senza riposo.

Se, al contrario, il nostro corpo e il nostro spirito, sedotti dall'amore e dal desiderio, si liberano dalle distrazioni di quaggiù, abbandonano a poco a poco le cose umane per raccogliersi nel solo bene immutabile e vero, vi dimorano e vi si fissano coi vincoli dell'amore, essi si fortificano, e il loro raccoglimento sarà maggiore quanto più in alto si eleveranno sulle ali della conoscenza e dei desideri.

  Il nostro cuore e la nostra anima possono farsi un'abitudine del bene supremo

Essi si fanno, per così dire, un'abitudine del bene supremo e finiscono col divenirne inseparabili.

Essi arrivano al possesso imperituro della vera vita che è Dio (34); la possiedono in un modo eterno, senza alcun timore delle vicissitudini e dei mutamenti dei tempi e riposano nel godimento pacifico di questa felicità interiore, nella segreta intimità con la Divinità.

E non usciranno più fuori di se stessi né fuori di Gesù che è per i suoi discepoli la via, la verità, la vita (35).

(34) Non si perde Dio, il bene increato, che attaccandosi illegittimamente al bene creato; se non ci si attacca al bene creato, non si perde Iddio e si tende a lui senza sforzo.
(35) Jn 14,6.




CAPITOLO VIII



IN TUTTE LE COSE L'UOMO DEVE AFFIDARSI A DIO





Il distacco dalle cose terrene riconduce l'uomo alla vera perfezione



Da tutto ciò che si è detto, si può concludere che quanto più saranno completi l'abbandono delle cose terrestri e l'unione con Dio per mezzo della volontà e dell'intelligenza, tanto più ci si avvicinerà allo stato d'innocenza e di perfezione. Che vi è di migliore, di più felice, di più dolce?

E' dunque cosa della massima importanza tenere l'anima talmente distaccata da tutte le cose, che né il mondo, né gli amici, né la prosperità, né l'avversità, né il presente, né il passato, né l'avvenire, e neppure gli stessi peccati, almeno fino a un certo grado, siano motivo di grave turbamento.



Il paradiso in terra



Sforzatevi di vivere soltanto con Dio, fuori dal mondo, in una specie di vita spiritualizzata, come se la vostra anima fosse già separata dal corpo e nell'eternità.

Nel soggiorno dei Beati, la grande preoccupazione dell'anima non sarà il secolo, né lo stato del mondo, né la pace, né la guerra, né il buono o il cattivo tempo, né altra cosa di quaggiù, ma Dio solo sarà l'oggetto dei suoi slanci, dei suoi desideri, dei suoi amori.

Sforzatevi perciò fin da ora di staccarvi dal vostro corpo e da ogni cosa creata presente o futura.

Fissate, per quanto è possibile, immutabilmente, chiaramente, vivamente l'occhio della vostra anima sulla luce increata.

Allora l'anima vostra purificata dalle cose terrestri, sarà come un angelo unito a un corpo cui la carne non dà molestia e che non si occupa di cose vane e futili.



L'anima si unisce a Dio nonostante le tentazioni e le prove

Fortificate la vostra anima contro le tentazioni, le persecuzioni, le ingiurie, affinché nell'uno o nell'altro caso, essa rimanga saldamente e tranquillamente unita a Dio. E quando turbamenti, scoraggiamenti, confusione di spirito vi assalgono, non irritatevi, non lasciatevi abbattere. Non ricorrete allora a preghiere vocali per esserne liberati, né ad altri conforti; cercate solamente di riprendervi con un coraggioso sforzo della volontà e della riflessione, per ricondurre la vostra anima verso Dio, lo vogliano o no i sensi del corpo.

L'anima pia deve essere talmente unita a Dio, deve conservare e rendere il suo volere così conforme al volere divino, da non sentirsi più occupata né sedotta da alcuna creatura, come prima della sua creazione, assolutamente come se non esistessero che Dio e quest'anima (36).

L'anima distaccata dal mondo riceve senza turbarsi ciò che la Provvidenza le manda

Essa riceverà allora senza turbamento, senza esitazione, senza timore tutto ciò che la Provvidenza le manderà. Non cesserà di essere in ogni circostanza piena di fiducia nel Signore, senza perdere la pazienza, né la pace, né uscire dal silenzio. Ecco perché il distacco completo dell'anima dalle cose create è supremamente utile alla vita spirituale e per restare intimamente unirti e sottomessi a Dio.

(36) L'anima amante di Dio non, si occupa delle cose del mondo se non perché sono in relazione a Dio ed ai propri obblighi.



Non occorrono intermediari tra Dio e l'anima



Allora non vi saranno più intermediari tra Dio e voi.

Da dove verrebbe infatti l'intermediario? Non dall'esterno, perché la virtù della povertà volontaria vi ha spogliati di ogni bene terreno, e la virtù della castità vi ha spogliati del vostro corpo; non dall'interno, perché l'obbedienza vi ha spogliati della vostra volontà e della vostra anima. Nulla più sussiste tra Dio e voi.



Questa dottrina s'impone soprattutto ai religiosi



Che siete religiosi lo dimostrano la vostra professione, il vostro stato, il vostro abito, i vostri capelli tagliati e gli altri segni della vostra vita religiosa; resta però a vedere se siete un religioso finto o sincero, spetta a voi darne la risposta.

Ma notate bene quanto gravemente voi pecchereste e prevarichereste contro il Signore vostro Dio, se offendendo la sua giustizia, agiste in tutt'altro modo che da religioso; se con la volontà o con l'amore vi attaccaste alla creatura invece che al Creatore, se preferiste insomma la creatura al Creatore.





CAPITOLO IX



LA CONTEMPLAZIONE IN DIO DEVE ESSERE PREFERITA A TUTTI GLI ALTRI ESERCIZI



Il nulla originale della creatura deve farei tendere a Dio



Tutto ciò che esiste al di fuori di Dio è opera del Creatore.

Ogni creatura è dunque un complesso di possibilità e di essere e, come tale, è per sua natura limitata: essendo venuta dal nulla, è circondata dal nulla e tende al nulla (37).

Ad ogni istante la creatura riceve necessariamente dall’Artista supremo l'esistenza, la conservazione, l'azione e tutto quanto possiede.

Essa è realmente insufficiente ad operare per sé e per gli altri, come è importante il nulla di fronte all'essere, il finito di fronte all'infinito.

Bisogna dunque che la nostra vita, i nostri pensieri, le nostre opere, siano in Colui, di Colui, per Colui e da Colui che col minimo atto della sua volontà potrebbe e saprebbe produrre delle creature immensamente più perfette di quante oggi ne esistono.

(37) Ciò è vero perché, secondo la vera filosofia, la essenza d'una cosa è distinta dalla sua esistenza.


Le perfezioni del Creatore devono attirarci



E' di conseguenza impossibile che, sia per l'intelligenza come per la volontà, esista un pensiero, un amore più utile, più perfetto, più fortunato di quelli che riposano in Dio, l'eccelso Creatore, l'unico e vero Bene, dal quale, nel quale, per il quale, verso il quale tutto acquista la propria missione.

Dio è perfettamente sufficiente a se stesso ed agli altri, perché racchiude eminentemente in sé, da tutta l'eternità, le perfezioni di ogni essere.

Non vi è nulla in Dio che non sia Dio stesso. In lui e da lui esistono le cause di tutto ciò che avviene: in lui esistono le origini immutabili di tutte le cose mutevoli, dotate o prive di ragione.

Tutto ciò che avviene nel tempo, ha in lui il suo principio eterno.

Egli riempie tutto; il suo essere è in tutte le cose e perciò egli è più presente e più intimo alle cose di quanto lo siano le cose a se stesse (38).

(38) Ogni causa attuale è a Dio più intimamente presente nella sua opera che l'opera stessa, poiché necessariamente, la precede.


Esiste una contemplazione



In lui tutto è uno e tutto vive eternamente (39).

Senza dubbio, la debolezza e l'inesperienza (40) della intelligenza possono obbligarci a servirci delle creature nelle nostre contemplazioni. Tuttavia vi è una contemplazione ottima, vera, fruttuosa che si rende possibile ad ogni mortale. In tutte le sue contemplazioni e meditazioni, abbiano esse per oggetto il Creatore o la creatura, l'uomo può riuscire a trovare la sua gioia soltanto nel Creatore, il Dio uno e trino; ad infiammare il cuore di amore di Dio e della vera vita, in sé e negli altri, per meritare la felicità della vita eterna.

(39) Jn 1,3-4.
(40) Noi non abbiamo abitualmente l'esperienza delle cose divine e da principio possiamo solo paragonarle alle cose che sperimentiamo quaggiù.


Differenza fra la contemplazione dei santi e quella dei filosofi


E' necessario notare qui una differenza fra la contemplazione dei fedeli cristiani e quella dei filosofi pagani.

I pagani non cercavano che la propria perfezione ed ecco perché si limitavano alla loro intelligenza; essi non si proponevano che d'arricchire il loro ingegno di una nuova conoscenza. Ma la contemplazione dei santi, che è poi quella dei cristiani, ha per fine l'amore di Dio contemplato. Ecco perché essa non si limita alla intelligenza ma arriva alla volontà per accendervi l'amore.

I santi nelle loro contemplazioni si propongono soprattutto di aumentare la loro carità. Vale di più infatti, conoscere Gesù Cristo e possederlo spiritualmente per mezzo della grazia, che possederlo col suo corpo o anche nella sua essenza, ma senza la grazia.



Più l'anima è pura e più ha la capacità di contemplazione



Ora, man mano che l'anima si purifica ed entra in se stessa, l'occhio della contemplazione le si dilata, ed essa si prepara una scala per ascendere fino alla contemplazione di Dio.

Questa contemplazione infuocherà l'anima d'amore per le cose celesti, divine, eterne e le farà sommamente disdegnare come nullità tutto ciò che è terreno e temporaneo.



Si conosce Dio soprattutto per via di negazione



Quando cerchiamo di conoscere Dio per via di negazione, noi neghiamo in lui ciò che appartiene al corpo, ai sensi, alla immaginazione; neghiamo perfino ciò che è proprio della nostra ragione, insomma l'essere come lo si incontra presso le creature (41). E' il miglior modo, secondo san Dionigi, l'arrivare alla conoscenza di Dio (42), quale ci è permesso acquistarla sulla terra.

E' in questa oscurità che abita Dio e nella quale entrò Mosè per elevarsi fino alla luce inaccessibile (43).

Ma non è dallo spirito, bensì dal corpo che si deve incominciare. Bisogna seguire la via ordinaria e andare dalla fatica dell'azione al riposo della contemplazione: dalle virtù morali, alle virtù della visione sublime (44).

(41) Noi neghiamo in Dio tutto ciò che è una semplice possibilità o una imperfezione. Noi neghiamo in lui “ciò che è proprio della nostra ragione” ossia il ragionamento, perché esso presuppone l'assenza della visione del vero; noi neghiamo in lui “l'essere quale lo s'incontra nelle creature” perché, nelle creature è fatalmente limitato e contingente.
(42) Nb 1.
(43) Ex 33 Nb 12,8 He 3,2.
(44) A proposito di questa importante dottrina ci sembra utile citare S. Tommaso, il discepolo di Alberto Magno. “Una cosa può appartenere alla vita contemplativa in due maniere: o come parte essenziale o come disposizione.
Le virtù morali non appartengono all'essenza della contemplazione, il cui fine è unicamente la considerazione della verità...
Ma esse le appartengono come disposizioni preliminari... perché calmano le passioni e il tumulto delle preoccupazioni esterne, e cosi facilitano la contemplazione” (Somma, II-II 180,2). Questa distinzione non deve mai essere dimenticata quando si leggono i libri mistici che procedono dalla Scolastica.


Il vero bene è Dio solo



Ma infine, o anima mia, perché consumarti vanamente in tante cose? Tu soffri di indigenza. Non cercare e non amare che il bene perfetto, il quale assomma in sé tutti i beni, e ciò ti basterà.

Guai a chi sa e possiede tutto all'infuori di questo bene! Se conoscesse contemporaneamente questo bene ed ogni scienza, non sarebbe felice a causa della scienza, ma solamente a causa di questo bene. San Giovanni ha scritto: “La vita eterna è di conoscervi” (45) e il Profeta: “lo sarò sazio quando mi sarà apparsa la vostra gloria” (46).

(45) Jn 17,3.
(46) Ps 16,15.




CAPITOLO X




NON BISOGNA PREOCCUPARSI DI POSSEDERE LA DEVOZIONE SENSIBILE, MA DI RESTARE UNITI A DIO CON LA VOLONTA'



La devozione vera consiste essenzialmente nell'unione della volontà con Dio

Non cercate troppo avidamente la devozione attuale, le dolcezze sensibili o le lacrime; abbiate piuttosto somma cura di restare interiormente uniti a Dio con l'intelligenza e la buona volontà (47).

Nulla piace tanto a Dio quanto un'anima purificata dalle tracce, dalle illusioni ed immagini della creatura.

Il religioso deve essere libero dalle creature, per restare interamente unito a Dio, attaccarvisi, ed essergli intimamente incatenato.

Praticate dunque l'abnegazione di voi stessi, per seguire unicamente Gesù Cristo, vostro Signore e vostro Dio, che fu veramente povero; obbediente, casto, umile e paziente e la cui vita e morte furono di scandalo per molti, come ci dice il Vangelo (48).

(47) Questa mirabile dottrina condanna tutta una letteratura e una fantasticheria insipida, sciocca, viziata, sensuale, che ai nostri giorni ha invaso il mondo della pietà, vuotate le anime di sani pensieri e le ha riempite di un sentimentalismo equivoco e nocivo.
(48) Mt 11,6 Mt 13,57; ecc.


Bisogna comportarsi verso il nostro corpo come se ne fossimo già usciti

L'anima separata dal corpo non si interessa affatto di ciò che accade al corpo abbandonato. Sia esso bruciato, impiccato o maledetto: tali oltraggi non la contristano punto (49); essa pensa soltanto alla sua immutabile eternità, “all'unica cosa necessaria” di cui parla il Signore nel Vangelo.

Comportatevi dunque col vostro corpo come se ne foste già usciti; pensate costantemente all'eternità che la vostra anima deve possedere in Dio; e dirigete con cura la vostra mente verso questo unico bene di cui il Signore ha detto: “Una sola cosa è necessaria” (50). La vostra anima si arricchirà allora di una grande abbondanza di grazia che l'aiuterà ad acquistare la purezza dello spirito e la semplicità del cuore

(49) E' il celebre “perinde ac cadaver” eccellentemente compreso.
(50) Lc 10,42.


La spoliazione di se stesso infonde una invitta costanza



Questo unico bene è molto vicino a voi. Respingete ciò che è terreno e le preoccupazioni di quaggiù e tosto sentirete come vi sia facile attaccarvi esclusivamente a Dio.

Voi troverete anche, nello spogliamento di voi stessi, una invitta costanza di fronte a tutto ciò che può accadervi.

Così avvenne per i martiri, i Padri della fede, gli eletti e i beati tutti. Essi disprezzarono ogni cosa e pensarono soltanto a possedere in Dio la sicurezza eterna per la loro anima.

Armati, così, interiormente, uniti a Dio con la buona volontà, essi disdegnarono tutte le cose del mondo come se la loro anima avesse già abbandonato il corpo.

Vedete da ciò quanto può fare la buona volontà unita a Dio.



L'anima purificata considera la sua persona esteriore come se non le appartenesse

Possa la vostra anima, così attratta verso Dio e come separata dalla carne da una separazione spirituale, considerare la propria persona esteriore con tanta indifferenza come se non le appartenesse.

Essa allora trascurerà tutto ciò che può accadere a sé o al corpo, come se tali fatti accadessero ad altri o a creature irragionevoli.

Chi è unito a Dio forma un solo spirito con lui.

Per l'onore supremo di Dio, non spingete dunque mai la vostra audacia fino a pensare o immaginare, in sua presenza, ciò che arrossireste di udire o di vedere dinanzi agli uomini.



L'unione con Dio dà la gioia



Voi dovete elevare i vostri pensieri verso Dio solo e fare di lui l'oggetto delle vostre meditazioni, come se egli solo esistesse.

Tale unione vi apporterà grande gioia e sarà un felice inizio della vita futura.


  CAPITOLO XI


DOBBIAMO RESISTERE ALLE TENTAZIONI E SOPPORTARE LE PROVE



Il servizio di Dio non esclude la tentazione



Chi vorrà avvicinarsi a Dio con cuore sincero e puro, dovrà necessariamente subire la tentazione e la prova.



Come resistervi



Regola da seguire in tutte le tentazioni è questa: non acconsentirvi, appena sono sentite, ma sopportarle con pazienza, dolcezza, umiltà e longanimità.

Se si tratta di bestemmie o di cose vergognose, non si può fare di meglio che disprezzare tali immaginazioni o fantasie come futili.

Senza dubbio, la bestemmia è colpa, obbrobriosa, orribile; bisogna tuttavia sprezzare simili tentazioni senza cedere a turbamenti di coscienza. Se disprezzate così il nemico e le sue suggestioni, egli si ritirerà ben presto. E' troppo orgoglioso per subire lo sprezzo e la noncuranza.

Il miglior rimedio è dunque di non preoccuparsene affatto, come se si trattasse di mosche che, nostro malgrado, ci volteggiano davanti agli occhi.



Durante le tentazioni non bisogna allontanarsi dalla presenza di N. Signore

Voi dunque che servite Gesù Cristo, guardatevi bene dall'allontanarvi facilmente dalla presenza del Signore, di indignarvi, lagnarvi di queste mosche, cioè delle tentazioni leggere, delle supposizioni, delle tristezze e pusillanimità, degli abbattimenti e delle mille nullità che il buon volere e un atto di elevazione a Dio possono allontanare.



L'unione a Dio si compie con la buona volontà



Per mezzo della buona volontà, l'uomo fa di Dio il proprio Signore; dei santi angeli fa i propri custodi e protettori.

La buona volontà mette in fuga le tentazioni, come la mano scaccia le mosche che si posano sulla fronte. “Pace agli uomini di buona volontà” (51).

La buona volontà è, per l'anima, la sorgente di tutti i beni, la madre di tutte le virtù.

Chi la possiede, tiene in sua mano, senza paura di perderlo, tutto ciò che gli è necessario per vivere bene (52).

Se voi volete il bene, ma non potete compierlo, Dio ve ne compenserà come se l'aveste compiuto (53).

Per legge eterna e immutabile Dio ha stabilito che il merito sia nella volontà, che in cielo o in inferno la volontà faccia la ricompensa o il supplizio (54).

La carità non è altro che una grande volontà di servire Dio, un soave desiderio di piacergli, un bisogno fervidissimo di goderlo.

La tentazione non è un peccato, ma è la prova della virtù.

(51) Lc 2,14.
(52) Niente di più conforme al Vangelo di tale dottrina, Gesù Cristo fa cantare sulla sua culla che la pace appartiene agli uomini di buona volontà (Lc 2,14); più tardi dichiara che il suo nutrimento è di fare la volontà del Padre (Jn 4,34); altrove afferma ch'egli non cerca la sua volontà, ma la volontà di colui che lo ha mandato (Jn 5,30); che è disceso dal cielo per compierla (Jn 6,38). Vicino a morire chiederà ancora che sia fatta la volontà del Padre e non la sua (Mt 24,26 Lc 22,42). Molte volte nel Vangelo ricorre lo stesso linguaggio. Egli vuole che i suoi discepoli lo imitino. Non chi ripete: Signore, Signore, entrerà - egli dice ­ nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà di Dio (Mt 7,21 Rm 2,3 Jc 1,22); e nella preghiera che c'insegna ci fa chiedere l'adempimento di questa volontà come mezzo per glorificare Dio e per santificare le nostre anime (Mt 6,10). Infine ci dice pure che se ci conformiamo a questa volontà suprema, saremo suoi fratelli (Mt 12,50 Mc 3,35). Quando dunque certe persone pie si domandano se amano Dio e se potranno amarlo sempre, basterebbe rivolgere loro la stessa interrogazione in altri termini: compiono esse, possono esse compiere la volontà di Dio, e i loro doveri per Iddio? Così posta, la questione si risolve da sé. La ragione di tale dottrina è semplicissima: amare qualcuno significa volergli bene. Ora, un bene di Dio è la sua benefica volontà su noi. Il Nostro Signore e Maestro richiamò questo principio quando disse: “Sarete miei amici se farete quello che io vi comando” (Jn 15,4).
(53) In virtù dello stesso principio, bisogna anche ricordare costantemente questa norma, incontestabile quanto obliata, che cioè si ha il merito del bene che si vorrebbe effettivamente fare, ma che non si può compiere in realtà; come si ha il demerito del male che si vorrebbe fare pur non potendolo compiere.
(54) La “volontà fa la ricompensa o il supplizio” nel cielo o nell'inferno, perché essendo presupposta la conoscenza di Dio, la volontà si attacca a lui per amore, o lo odia con ostinazione.


La tentazione fortifica la virtù


Per mezzo della tentazione l'uomo può acquistare molti beni (55), tanto, più che “la vita dell'uomo sulla terra è una continua tentazione (56).

(55) Si può considerare in particolare un triplice bene: anzitutto la tentazione provoca la lotta e così fortifica la virtù; poi obbliga l'uomo a fare atti di esplicita adesione alla virtù contro la quale essa si produce, il che è un'altra perfezione; infine in questa adesione e in questa lotta sono naturalmente compresi molti atti virtuosi e per conseguenza meritori. Vi sono dunque possibili vantaggi sia per le disposizioni sia per gli atti.
(56) Jb 7,1.




CAPITOLO XII



EFFICACIA DELL'AMORE DI DIO





Importanza dell'amore di Dio



Tutto ciò che abbiamo detto nei capitoli precedenti, tutto ciò che è necessario alla salvezza, non può ricevere che dall'amore il suo più intimo e salutare perfezionamento.

L'amore supplisce a tutto ciò che potrebbe mancarci per la nostra salvezza; racchiude in sé l'abbondanza di ogni bene e non gli manca neppure la presenza dell'oggetto supremo dei nostri desideri.

Soltanto per l'amore noi ci orientiamo verso Dio, aderiamo a Dio, siamo uniti a Dio, per diventare uno stesso spirito con lui e ricevere da lui e per lui la felicità, quaggiù nella grazia e lassù nella gloria.

L'amore non trova riposo che nel bene amato, ossia nel suo possesso pacifico e completo.



L'amore conduce a Dio



L'amore, o la carità, è la via che conduce Dio all'uomo e l'uomo a Dio.

Dio non può stare ove non c'è la carità.

Chi ha la carità, possiede Dio, perché “Dio è carità ”.

Non vi è nulla di più acuto, sottile, penetrante della carità.

Essa non ha riposo fino a che non ha esplorato tutta la potenza e la profondità dell'oggetto amato. Essa vorrebbe immedesimarsi in lui, e, se lo potesse, essere con lui una cosa sola.

Ecco perché non può sopportare intermediari fra lei e il suo oggetto che è Dio: essa si slancia violentemente verso di lui e non ha pace fino a quando ha superato tutto per giungere a lui.

L'amore ha la virtù di unire e di trasformare; trasforma l'amante nell'amato e l'amato nell'amante. Nei limiti del passibile, l'uno diventa l'altro.



L'amore crea l'unione fra l'amante e l'amato



E anzitutto con quale perfezione d'intelligenza trasporta la persona amata in colui che ama!

Con quale dolcezza e soavità l'una vive nel ricordo del secondo! Colui che ama, si sforza di sapere, non in maniera superficiale, ma fino all'intimo, ciò che riguarda la persona amata e di penetrare, per quanto gli è possibile, addentro nella sua vita!

Dopo viene la volontà.

Essa trasporta la persona amata nel soggetto che ama.

Quindi, le due persone, amante e amata, sono unite in una amorosa compiacenza, in una dolce e intima gioia procurata loro dal reciproco possesso.

Inoltre, colui che ama si trova nella persona amata anche per la sua conformità di desideri, di attrazioni e di ripugnanze, di gioie e di tristezze. Si direbbe che è propria una cosa sola con lui.

Poiché “l'amore è forte come la morte” (57), porta l'amante fuori di se stesso e fino nell'intimo dell'amato fortemente ve lo incatena.

L'anima è molto più presente là dove ama che non dove è principio di vita, perché essa è nella persona amata con la sua propria natura, con la ragione e la volontà, mentre nell'essere da essa vivificata è presente soltanto per dargli l'esistenza, ciò che accade anche negli animali (58).

(57) Ct 8,6.
(58) Si tratta qui dell'anima “in quanto è umana ” ed è come tale che è più presente là dove ama che non dove dà la vita.


Soltanto l'amore di Gesù Cristo può distoglierci da ciò che non è Lui


Bisogna dunque concludere che una cosa sola può distoglierci dagli oggetti esteriori, per ricondurci prima in noi stessi e in seguito nella divina intimità con Gesù Cristo. Essa è l'amore a Gesù e il desiderio delle sue soavità che ci permettono di sentire, comprendere e gustare la presenza della sua divinità.

La forza dell'amore è la sola capace di trasportare l'anima dalla terra alle altezze del cielo.

Nessuno può pervenire alla suprema beatitudine, se l'amore e il desiderio non gli danno le ali.

L'amore è la vita dell'anima, la sua veste nuziale, la sua perfezione (59).

“La legge, le profezie, i precetti del Signore dipendono da esso” (60). Per questo l'Apostolo diceva ai Romani: “Il compimento della legge è l'amore” (61) e nella prima Epistola a Timoteo: “Fine della legge è la carità” (62).

(59) Senza la carità non vi è virtù perfetta, perché senza essa nessuna virtù conduce l'uomo al suo ultimo fine che è Dio, sebbene possa condurlo a un fine subalterno. Ed è in questo senso che, secondo gli antichi teologi, la carità è la “forma” delle altre virtù, poiché per essa gli atti di tutte le altre virtù sono soprannaturalizzati e diretti al loro legittimo fine che è Dio. Cfr. T. Th. Sum. II-II 23,7-8.
(60) Mt 22,40.
(61) Rm 13,10.
(62) 1Tm 1,5.




Alberto M. Unione con Dio - CAPITOLO VI