Amoris laetitia IT 247

Alcune situazioni complesse

247 «Le problematiche relative ai matrimoni misti richiedono una specifica attenzione. I matrimoni tra cattolici e altri battezzati “presentano, pur nella loro particolare fisionomia, numerosi elementi che è bene valorizzare e sviluppare, sia per il loro intrinseco valore, sia per l’apporto che possono dare al movimento ecumenico”. A tal fine “va ricercata […] una cordiale collaborazione tra il ministro cattolico e quello non cattolico, fin dal tempo della preparazione al matrimonio e delle nozze” (Familiaris consortio FC 78). Circa la condivisione eucaristica si ricorda che “la decisione di ammettere o no la parte non cattolica del matrimonio alla comunione eucaristica va presa in conformità alle norme generali esistenti in materia, tanto per i cristiani orientali quanto per gli altri cristiani, e tenendo conto di questa situazione particolare, che cioè ricevono il sacramento del matrimonio cristiano due cristiani battezzati. Sebbene gli sposi di un matrimonio misto abbiano in comune i sacramenti del battesimo e del matrimonio, la condivisione dell’Eucaristia non può essere che eccezionale e, in ogni caso, vanno osservate le disposizioni indicate” (Pont. Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, Direttorio per l’Applicazione dei Principi e delle Norme sull’Ecumenismo, 25 marzo 1993, 159-160)».[271]

[271] Relatio finalis 2015, 72.

248 «I matrimoni con disparità di culto rappresentano un luogo privilegiato di dialogo interreligioso […] comportano alcune speciali difficoltà sia riguardo alla identità cristiana della famiglia, sia all’educazione religiosa dei figli. […] Il numero delle famiglie composte da unioni coniugali con disparità di culto, in crescita nei territori di missione e anche nei Paesi di lunga tradizione cristiana, sollecita l’urgenza di provvedere ad una cura pastorale differenziata secondo i diversi contesti sociali e culturali. In alcuni Paesi, dove la libertà di religione non esiste, il coniuge cristiano è obbligato a passare ad un’altra religione per potersi sposare, e non può celebrare il matrimonio canonico in disparità di culto né battezzare i figli. Dobbiamo ribadire pertanto la necessità che la libertà religiosa sia rispettata nei confronti di tutti».[272] «È necessario rivolgere un’attenzione particolare alle persone che si uniscono in tali matrimoni, non solo nel periodo precedente alle nozze. Sfide peculiari affrontano le coppie e le famiglie nelle quali un partner è cattolico e l’altro non credente. In tali casi è necessario testimoniare la capacità del Vangelo di calarsi in queste situazioni così da rendere possibile l’educazione alla fede cristiana dei figli».[273]

[272] Ibid., 73.
[273] Ibid., 74.

249 «Particolare difficoltà presentano le situazioni che riguardano l’accesso al battesimo di persone che si trovano in una condizione matrimoniale complessa. Si tratta di persone che hanno contratto un’unione matrimoniale stabile in un tempo in cui ancora almeno una di esse non conosceva la fede cristiana. I Vescovi sono chiamati a esercitare, in questi casi, un discernimento pastorale commisurato al loro bene spirituale».[274]

[274] Ibid., 75.

250 La Chiesa conforma il suo atteggiamento al Signore Gesù che in un amore senza confini si è offerto per ogni persona senza eccezioni.[275] Con i Padri sinodali ho preso in considerazione la situazione delle famiglie che vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con tendenza omosessuale, esperienza non facile né per i genitori né per i figli. Perciò desideriamo anzitutto ribadire che ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare «ogni marchio di ingiusta discriminazione»[276] e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza. Nei riguardi delle famiglie si tratta invece di assicurare un rispettoso accompagnamento, affinché coloro che manifestano la tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita.[277]

[275] Cfr Bolla Misericordiae Vultus, 12: AAS 107 (2015), 409.
[276] Catechismo della Chiesa Cattolica,
CEC 2358; cfr Relatio finalis 2015, 76.
[277]Cfr ibid. CEC 2358

251 Nel corso del dibattito sulla dignità e la missione della famiglia, i Padri sinodali hanno osservato che «circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia»; ed è inaccettabile «che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso».[278]

[278] Relatio finalis 2015, 76; cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali (3 giugno 2003), 4.

252 Le famiglie monoparentali hanno origine spesso a partire da «madri o padri biologici che non hanno voluto mai integrarsi nella vita familiare, situazioni di violenza da cui un genitore è dovuto fuggire con i figli, morte di uno dei genitori, abbandono della famiglia da parte di uno dei genitori, e altre situazioni. Qualunque sia la causa, il genitore che abita con il bambino deve trovare sostegno e conforto presso le altre famiglie che formano la comunità cristiana, così come presso gli organismi pastorali parrocchiali. Queste famiglie sono spesso ulteriormente afflitte dalla gravità dei problemi economici, dall’incertezza di un lavoro precario, dalla difficoltà per il mantenimento dei figli, dalla mancanza di una casa».[279]

[279] Relatio finalis 2015, 80.


Quando la morte pianta il suo pungiglione

253 A volte la vita familiare si vede interpellata dalla morte di una persona cara. Non possiamo tralasciare di offrire la luce della fede per accompagnare le famiglie che soffrono in questi momenti.[280] Abbandonare una famiglia quando una morte la ferisce sarebbe una mancanza di misericordia, perdere un’opportunità pastorale, e questo atteggiamento può chiuderci le porte per qualsiasi altra azione evangelizzatrice.

[280] Cfr ibid., 20.

254 Comprendo l’angoscia di chi ha perso una persona molto amata, un coniuge con cui ha condiviso tante cose. Gesù stesso si è commosso e ha pianto alla veglia funebre di un amico (cfr Jn 11,33 Jn 11,35). E come non comprendere il lamento di chi ha perso un figlio? Infatti, «è come se si fermasse il tempo: si apre un abisso che ingoia il passato e anche il futuro. […] E a volte si arriva anche ad accusare Dio. Quanta gente – li capisco – si arrabbia con Dio».[281] «La vedovanza è un’esperienza particolarmente difficile […] alcuni mostrano di saper riversare le proprie energie con ancor più dedizione sui figli e i nipoti, trovando in questa espressione di amore una nuova missione educativa. […] Coloro che non possono contare sulla presenza di familiari a cui dedicarsi e dai quali ricevere affetto e vicinanza devono essere sostenuti dalla comunità cristiana con particolare attenzione e disponibilità, soprattutto se si trovano in condizioni di indigenza».[282]

[281] Catechesi (17 giugno 2015): L’Osservatore Romano, 18 giugno 2015, p. 8.
[282] Relatio finalis 2015, 19.

255 In generale il lutto per i defunti può durare piuttosto a lungo, e quando un pastore vuole accompagnare questo percorso, deve adattarsi alle necessità di ognuna delle sue fasi. Tutto il percorso è solcato da domande: sulle cause della morte, su ciò che si sarebbe potuto fare, su cosa vive una persona nel momento precedente alla morte... Con un cammino sincero e paziente di preghiera e di liberazione interiore, ritorna la pace. A un certo punto del lutto occorre aiutare a scoprire che quanti abbiamo perso una persona cara abbiamo ancora una missione da compiere, e che non ci fa bene voler prolungare la sofferenza, come se questa fosse un atto di ossequio. La persona amata non ha bisogno della nostra sofferenza, né le risulta lusinghiero che roviniamo la nostra vita. Nemmeno è la migliore espressione di amore ricordarla e nominarla in ogni momento, perché significa rimanere attaccati ad un passato che non esiste più, invece di amare la persona reale che ora si trova nell’al di là. La sua presenza fisica non è più possibile, ma, se la morte è qualcosa di potente, «forte come la morte è l’amore» (Ct 8,6). L’amore possiede un’intuizione che gli permette di ascoltare senza suoni e di vedere nell’invisibile. Questo non è immaginare la persona cara così com’era, bensì poterla accettare trasformata, come è ora. Gesù risorto, quando la sua amica Maria volle abbracciarlo con forza, le chiese di non toccarlo (cfr Jn 20,17), per condurla a un incontro differente.


256 Ci consola sapere che non esiste la distruzione completa di coloro che muoiono, e la fede ci assicura che il Risorto non ci abbandonerà mai. Così possiamo impedire alla morte «di avvelenarci la vita, di rendere vani i nostri affetti, di farci cadere nel vuoto più buio».[283] La Bibbia parla di un Dio che ci ha creato per amore, e che ci ha fatto in modo tale che la nostra vita non finisce con la morte (cfr Sg 3,2-3). San Paolo ci parla di un incontro con Cristo immediatamente dopo la morte: «Ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo» (Ph 1,23). Con Lui, dopo la morte ci aspetta ciò che Dio ha preparato per quelli che lo amano (cfr 1Co 2,9). Il prefazio della Liturgia dei defunti lo esprime magnificamente: «Se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la promessa dell’immortalità futura. Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata». Infatti «i nostri cari non sono scomparsi nel buio del nulla: la speranza ci assicura che essi sono nelle mani buone e forti di Dio».[284]

[283]Catechesi (17 giugno 2015): L’Osservatore Romano, 18 giugno 2015, p. 8.
[284] Ibid.

257 Un modo di comunicare con i nostri cari che sono morti è pregare per loro.[285] Dice la Bibbia che «pregare per i defunti» è cosa «santa e devota» (2M 12,44-45). Pregare per loro «può non solo aiutarli, ma anche rendere efficace la loro intercessione in nostro favore».[286] L’Apocalisse presenta i martiri mentre intercedono per coloro che soffrono ingiustizia sulla terra (cfr Ap 6,9-11), solidali con questo mondo in cammino. Alcuni santi, prima di morire, consolavano i propri cari promettendo che sarebbero stati loro vicini per aiutarli. Santa Teresa di Lisieux sentiva di voler continuare a fare del bene dal Cielo.[287] San Domenico affermava che «sarebbe stato più utile dopo la morte, […] più potente nell’ottenere grazie».[288] Sono legami di amore,[289] perché «l’unione di coloro che sono in cammino coi fratelli morti nella pace di Cristo non è minimamente spezzata […], è consolidata dalla comunicazione dei beni spirituali».[290]

[285] Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, CEC 958.
[286] Ibid. CEC 958
[287] Cfr Ultimi colloqui, “Quaderno giallo” di Madre Agnese, 17 luglio 1897 CJ 717: Opere complete, Città del Vaticano - Roma 1997, 1028. A tale proposito è significativa la testimonianza delle consorelle circa la promessa di santa Teresa che la sua partenza da questo mondo sarebbe stata «come una pioggia di rose» (ibid., 9 giugno, 991).
[288] Giordano di Sassonia, Libellus de principiis Ordinis praedicatorum, 93: Monumenta Historica Sancti Patris Nostri Dominici, XVI, Roma 1935, 69.
[289] Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, CEC 957.
[290] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, LG 49.

258 Se accettiamo la morte possiamo prepararci ad essa. La via è crescere nell’amore verso coloro che camminano con noi, fino al giorno in cui «non ci sarà più la morte, né lutto né lamento né affanno» (Ap 21,4). In questo modo ci prepareremo anche a ritrovare i nostri cari che sono morti. Come Gesù restituì a sua madre il figlio che era morto (cfr Lc 7,15), similmente farà con noi. Non sprechiamo energie fermandoci anni e anni nel passato. Quanto meglio viviamo su questa terra, tanto maggiore felicità potremo condividere con i nostri cari nel cielo. Quanto più riusciremo a maturare e a crescere, tanto più potremo portare cose belle al banchetto celeste.



CAPITOLO SETTIMO

RAFFORZARE L’EDUCAZIONE DEI FIGLI



259 I genitori incidono sempre sullo sviluppo morale dei loro figli, in bene e in male. Di conseguenza, la cosa migliore è che accettino questa responsabilità inevitabile e la realizzino in maniera cosciente, entusiasta, ragionevole e appropriata. Poiché questa funzione educativa delle famiglie è così importante ed è diventata molto complessa, desidero trattenermi in modo speciale su questo punto.


Dove sono i figli?

260 La famiglia non può rinunciare ad essere luogo di sostegno, di accompagnamento, di guida, anche se deve reinventare i suoi metodi e trovare nuove risorse. Ha bisogno di prospettare a che cosa voglia esporre i propri figli. A tale scopo non deve evitare di domandarsi chi sono quelli che si occupano di dare loro divertimento e intrattenimento, quelli che entrano nelle loro abitazioni attraverso gli schermi, quelli a cui li affidano per guidarli nel loro tempo libero. Soltanto i momenti che passiamo con loro, parlando con semplicità e affetto delle cose importanti, e le sane possibilità che creiamo perché possano occupare il loro tempo permetteranno di evitare una nociva invasione. C’è sempre bisogno di vigilanza. L’abbandono non fa mai bene. I genitori devono orientare e preparare i bambini e gli adolescenti affinché sappiano affrontare situazioni in cui ci possano essere, per esempio, rischi di aggressioni, di abuso o di tossicodipendenza.


261 Tuttavia l’ossessione non è educativa, e non si può avere un controllo di tutte le situazioni in cui un figlio potrebbe trovarsi a passare. Qui vale il principio per cui «il tempo è superiore allo spazio».[291] Vale a dire, si tratta di generare processi più che dominare spazi. Se un genitore è ossessionato di sapere dove si trova suo figlio e controllare tutti i suoi movimenti, cercherà solo di dominare il suo spazio. In questo modo non lo educherà, non lo rafforzerà, non lo preparerà ad affrontare le sfide. Quello che interessa principalmente è generare nel figlio, con molto amore, processi di maturazione della sua libertà, di preparazione, di crescita integrale, di coltivazione dell’autentica autonomia. Solo così quel figlio avrà in sé stesso gli elementi di cui ha bisogno per sapersi difendere e per agire con intelligenza e accortezza in circostanze difficili. Pertanto il grande interrogativo non è dove si trova fisicamente il figlio, con chi sta in questo momento, ma dove si trova in un senso esistenziale, dove sta posizionato dal punto di vista delle sue convinzioni, dei suoi obiettivi, dei suoi desideri, del suo progetto di vita. Per questo le domande che faccio ai genitori sono: «Cerchiamo di capire “dove” i figli veramente sono nel loro cammino? Dov’è realmente la loro anima, lo sappiamo? E soprattutto: lo vogliamo sapere?».[292]

[291] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 222: AAS 105 (2013), 1111.
[292] Catechesi (20 maggio 2015): L’Osservatore Romano, 21 maggio 2015, p. 8.

262 Se la maturità fosse solo lo sviluppo di qualcosa che è già contenuto nel codice genetico, non ci sarebbe molto da fare. La prudenza, il buon giudizio e il buon senso non dipendono da fattori puramente quantitativi di crescita, ma da tutta una catena di elementi che si sintetizzano nell’interiorità della persona; per essere più precisi, al centro della sua libertà. È inevitabile che ogni figlio ci sorprenda con i progetti che scaturiscono da tale libertà, che rompa i nostri schemi, ed è bene che ciò accada. L’educazione comporta il compito di promuovere libertà responsabili, che nei punti di incrocio sappiano scegliere con buon senso e intelligenza; persone che comprendano senza riserve che la loro vita e quella della loro comunità è nelle loro mani e che questa libertà è un dono immenso.


La formazione etica dei figli

263 Anche se i genitori hanno bisogno della scuola per assicurare un’istruzione di base ai propri figli, non possono mai delegare completamente la loro formazione morale. Lo sviluppo affettivo ed etico di una persona richiede un’esperienza fondamentale: credere che i propri genitori sono degni di fiducia. Questo costituisce una responsabilità educativa: con l’affetto e la testimonianza generare fiducia nei figli, ispirare in essi un amorevole rispetto. Quando un figlio non sente più di essere prezioso per i suoi genitori nonostante sia imperfetto, o non percepisce che loro nutrono una preoccupazione sincera per lui, questo crea ferite profonde che causano molte difficoltà nella sua maturazione. Questa assenza, questo abbandono affettivo, provoca un dolore più profondo di una eventuale correzione che potrebbe ricevere per una cattiva azione.


264 Il compito dei genitori comprende una educazione della volontà e uno sviluppo di buone abitudini e di inclinazioni affettive a favore del bene. Questo implica che si presentino come desiderabili comportamenti da imparare e inclinazioni da far maturare. Ma si tratta sempre di un processo che va dall’imperfezione alla maggiore pienezza. Il desiderio di adattarsi alla società o l’abitudine di rinunciare a una soddisfazione immediata per adattarsi a una norma e assicurarsi una buona convivenza, è già in sé stesso un valore iniziale che crea disposizioni per elevarsi poi verso valori più alti. La formazione morale dovrebbe realizzarsi sempre con metodi attivi e con un dialogo educativo che coinvolga la sensibilità e il linguaggio proprio dei figli. Inoltre, questa formazione si deve attuare in modo induttivo, in modo che il figlio possa arrivare a scoprire da sé l’importanza di determinati valori, principi e norme, invece di imporgliele come verità indiscutibili.


265 Per agire bene non basta “giudicare in modo adeguato” o sapere con chiarezza che cosa si deve fare, benché ciò sia prioritario. Molte volte siamo incoerenti con le nostre convinzioni personali, persino quando esse sono solide. Per quanto la coscienza ci detti un determinato giudizio morale, a volte hanno più potere altre cose che ci attraggono, se non abbiamo acquisito che il bene colto dalla mente si radichi in noi come profonda inclinazione affettiva, come gusto per il bene che pesi più di altre attrattive e che ci faccia percepire che quanto abbiamo colto come bene lo è anche “per noi” qui ed ora. Una formazione etica efficace implica il mostrare alla persona fino a che punto convenga a lei stessa agire bene. Oggi è spesso inefficace chiedere qualcosa che esiga sforzo e rinunce, senza mostrare chiaramente il bene che con ciò si potrebbe raggiungere.


266 È necessario maturare delle abitudini. Anche le consuetudini acquisite da bambini hanno una funzione positiva, permettendo che i grandi valori interiorizzati si traducano in comportamenti esterni sani e stabili. Qualcuno può avere sentimenti socievoli e una buona disposizione verso gli altri, ma se per molto tempo non si è abituato per l’insistenza degli adulti a dire “per favore”, “permesso”, “grazie”, la sua buona disposizione interiore non si tradurrà facilmente in queste espressioni. Il rafforzamento della volontà e la ripetizione di determinate azioni costruiscono la condotta morale, e senza la ripetizione cosciente, libera e apprezzata di certi comportamenti buoni non si porta a termine l’educazione a tale condotta. Le motivazioni, o l’attrazione che proviamo verso un determinato valore, non diventano virtù senza questi atti adeguatamente motivati.


267 La libertà è qualcosa di grandioso, ma possiamo perderla. L’educazione morale è un coltivare la libertà mediante proposte, motivazioni, applicazioni pratiche, stimoli, premi, esempi, modelli, simboli, riflessioni, esortazioni, revisioni del modo di agire e dialoghi che aiutino le persone a sviluppare quei principi interiori stabili che possono muovere a compiere spontaneamente il bene. La virtù è una convinzione che si è trasformata in un principio interno e stabile dell’agire. La vita virtuosa, pertanto, costruisce la libertà, la fortifica e la educa, evitando che la persona diventi schiava di inclinazioni compulsive disumanizzanti e antisociali. Infatti la dignità umana stessa esige che ognuno «agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e determinato da convinzioni personali».[293]

[293] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes,
GS 17.

Il valore della sanzione come stimolo

268 Ugualmente, è indispensabile sensibilizzare il bambino e l’adolescente affinché si renda conto che le cattive azioni hanno delle conseguenze. Occorre risvegliare la capacità di porsi nei panni dell’altro e di pentirsi per la sua sofferenza quando gli si è fatto del male. Alcune sanzioni – ai comportamenti antisociali aggressivi – possono conseguire in parte questa finalità. È importante orientare il bambino con fermezza a chiedere perdono e a riparare il danno causato agli altri. Quando il percorso educativo mostra i suoi frutti in una maturazione della libertà personale, il figlio stesso a un certo punto inizierà a riconoscere con gratitudine che è stato un bene per lui crescere in una famiglia e anche sopportare le esigenze imposte da tutto il processo formativo.


269 La correzione è uno stimolo quando al tempo stesso si apprezzano e si riconoscono gli sforzi e quando il figlio scopre che i suoi genitori mantengono viva una paziente fiducia. Un bambino corretto con amore si sente considerato, percepisce che è qualcuno, avverte che i suoi genitori riconoscono le sue potenzialità. Questo non richiede che i genitori siano immacolati, ma che sappiano riconoscere con umiltà i propri limiti e mostrino il loro personale sforzo di essere migliori. Ma una testimonianza di cui i figli hanno bisogno da parte dei genitori è che non si lascino trasportare dall’ira. Il figlio che commette una cattiva azione, deve essere corretto, ma mai come un nemico o come uno su cui si scarica la propria aggressività. Inoltre un adulto deve riconoscere che alcune azioni cattive sono legate alle fragilità e ai limiti propri dell’età. Per questo sarebbe nocivo un atteggiamento costantemente sanzionatorio, che non aiuterebbe a percepire la differente gravità delle azioni e provocherebbe scoraggiamento e irritazione: «Padri, non esasperate i vostri figli» (Ep 6,4 cfr Col 3,21).


270 La cosa fondamentale è che la disciplina non si tramuti in una mutilazione del desiderio, ma in uno stimolo per andare sempre oltre. Come integrare disciplina e dinamismo interiore? Come far sì che la disciplina sia un limite costruttivo del cammino che deve intraprendere un bambino e non un muro che lo annulli o una dimensione dell’educazione che lo inibisca? Bisogna saper trovare un equilibrio tra due estremi ugualmente nocivi: uno sarebbe pretendere di costruire un mondo a misura dei desideri del figlio, che cresce sentendosi soggetto di diritti ma non di responsabilità. L’altro estremo sarebbe portarlo a vivere senza consapevolezza della sua dignità, della sua identità singolare e dei suoi diritti, torturato dai doveri e sottomesso a realizzare i desideri altrui.

Paziente realismo


271 L’educazione morale implica chiedere a un bambino o a un giovane solo quelle cose che non rappresentino per lui un sacrificio sproporzionato, esigere solo quella dose di sforzo che non provochi risentimento o azioni puramente forzate. Il percorso ordinario è proporre piccoli passi che possano essere compresi, accettati e apprezzati, e comportino una rinuncia proporzionata. Diversamente, per chiedere troppo, non si ottiene nulla. La persona, appena potrà liberarsi dell’autorità, probabilmente smetterà di agire bene.


272 La formazione etica a volte provoca disprezzo dovuto a esperienze di abbandono, di delusione, di carenza affettiva, o ad una cattiva immagine dei genitori. Si proiettano sui valori etici le immagini distorte delle figure del padre e della madre, o le debolezze degli adulti. Per questo bisogna aiutare gli adolescenti a mettere in pratica l’analogia: i valori sono compiuti particolarmente da alcune persone molto esemplari, ma si realizzano anche in modo imperfetto e in diversi gradi. Nello stesso tempo, poiché le resistenze dei giovani sono molto legate a esperienze negative, bisogna aiutarli a percorrere una via di guarigione di questo mondo interiore ferito, così che possano accedere alla comprensione e alla riconciliazione con le persone e con la società.


273 Quando si propongono i valori, bisogna procedere a poco a poco, progredire in modi diversi a seconda dell’età e delle possibilità concrete delle persone, senza pretendere di applicare metodologie rigide e immutabili. I contributi preziosi della psicologia e delle scienze dell’educazione mostrano che occorre un processo graduale nell’acquisizione di cambiamenti di comportamento, ma anche che la libertà ha bisogno di essere incanalata e stimolata, perché abbandonata a sé stessa non può garantire la propria maturazione. La libertà situata, reale, è limitata e condizionata. Non è una pura capacità di scegliere il bene con totale spontaneità. Non sempre si distingue adeguatamente tra atto “volontario” e atto “libero”. Qualcuno può volere qualcosa di malvagio con una grande forza di volontà, ma a causa di una passione irresistibile o di una cattiva educazione. In tal caso, la sua decisione è fortemente volontaria, non contraddice l’inclinazione del suo volere, ma non è libera, perché le risulta quasi impossibile non scegliere quel male. È ciò che accade con un dipendente compulsivo dalla droga. Quando la desidera lo fa con tutte le sue forze, ma è talmente condizionato che per il momento non è capace di prendere una decisione diversa. Pertanto la sua decisione è volontaria, ma non libera. Non ha senso “lasciare che scelga con libertà”, poiché di fatto non può scegliere, ed esporlo alla droga non fa altro che aumentare la dipendenza. Ha bisogno dell’aiuto degli altri e di un percorso educativo.

La vita familiare come contesto educativo


274 La famiglia è la prima scuola dei valori umani, dove si impara il buon uso della libertà. Ci sono inclinazioni maturate nell’infanzia che impregnano il profondo di una persona e permangono per tutta la vita come un’emozione favorevole nei confronti di un valore o come un rifiuto spontaneo di determinati comportamenti. Molte persone agiscono per tutta la vita in una certa maniera perché considerano valido quel modo di agire che hanno assimilato dall’infanzia, come per osmosi: “A me hanno insegnato così”; “questo è ciò che mi hanno inculcato”. Nell’ambito familiare si può anche imparare a discernere in modo critico i messaggi dei vari mezzi di comunicazione. Purtroppo, molte volte alcuni programmi televisivi o alcune forme di pubblicità incidono negativamente e indeboliscono valori ricevuti nella vita familiare.


275 Nell’epoca attuale, in cui regnano l’ansietà e la fretta tecnologica, compito importantissimo delle famiglie è educare alla capacità di attendere. Non si tratta di proibire ai ragazzi di giocare con i dispositivi elettronici, ma di trovare il modo di generare in loro la capacità di differenziare le diverse logiche e di non applicare la velocità digitale a ogni ambito della vita. Rimandare non è negare il desiderio, ma differire la sua soddisfazione. Quando i bambini o gli adolescenti non sono educati ad accettare che alcune cose devono aspettare, diventano prepotenti, sottomettono tutto alla soddisfazione delle proprie necessità immediate e crescono con il vizio del “tutto e subito”. Questo è un grande inganno che non favorisce la libertà, ma la intossica. Invece, quando si educa ad imparare a posporre alcune cose e ad aspettare il momento adatto, si insegna che cosa significa essere padrone di sé stesso, autonomo davanti ai propri impulsi. Così, quando il bambino sperimenta che può farsi carico di sé stesso, arricchisce la propria autostima. Al tempo stesso, questo gli insegna a rispettare la libertà degli altri. Naturalmente ciò non significa pretendere dai bambini che agiscano come adulti, ma nemmeno bisogna disprezzare la loro capacità di crescere nella maturazione di una libertà responsabile. In una famiglia sana, questo apprendistato si attua in maniera ordinaria attraverso le esigenze della convivenza.


276 La famiglia è l’ambito della socializzazione primaria, perché è il primo luogo in cui si impara a collocarsi di fronte all’altro, ad ascoltare, a condividere, a sopportare, a rispettare, ad aiutare, a convivere. Il compito educativo deve suscitare il sentimento del mondo e della società come “ambiente familiare”, è un’educazione al saper “abitare”, oltre i limiti della propria casa. Nel contesto familiare si insegna a recuperare la prossimità, il prendersi cura, il saluto. Lì si rompe il primo cerchio del mortale egoismo per riconoscere che viviamo insieme ad altri, con altri, che sono degni della nostra attenzione, della nostra gentilezza, del nostro affetto. Non c’è legame sociale senza questa prima dimensione quotidiana, quasi microscopica: lo stare insieme nella prossimità, incrociandoci in diversi momenti della giornata, preoccupandoci di quello che interessa tutti, soccorrendoci a vicenda nelle piccole cose quotidiane. La famiglia deve inventare ogni giorno nuovi modi di promuovere il riconoscimento reciproco.


277 Nell’ambiente familiare si possono anche reimpostare le abitudini di consumo per provvedere insieme alla casa comune: «La famiglia è il soggetto protagonista di un’ecologia integrale, perché è il soggetto sociale primario, che contiene al proprio interno i due principi-base della civiltà umana sulla terra: il principio di comunione e il principio di fecondità».[294] Ugualmente, i momenti difficili e duri della vita familiare possono essere molto educativi. È ciò che accade, per esempio, quando sopraggiunge una malattia, perché «di fronte alla malattia, anche in famiglia sorgono difficoltà, a causa della debolezza umana. Ma, in genere, il tempo della malattia fa crescere la forza dei legami familiari. […] Un’educazione che tiene al riparo dalla sensibilità per la malattia umana, inaridisce il cuore. E fa sì che i ragazzi siano “anestetizzati” verso la sofferenza altrui, incapaci di confrontarsi con la sofferenza e di vivere l’esperienza del limite».[295]

[294] Catechesi (30 settembre 2015): L’Osservatore Romano, 1 ottobre 2015, p. 8.
[295] Catechesi (10 giugno 2015): L’Osservatore Romano, 11 giugno 2015, p. 8.

278 L’incontro educativo tra genitori e figli può essere facilitato o compromesso dalle tecnologie della comunicazione e del divertimento, sempre più sofisticate. Quando sono ben utilizzate possono essere utili per collegare i membri della famiglia malgrado la distanza. I contatti possono essere frequenti e aiutare a risolvere difficoltà.[296] Deve però essere chiaro che non sostituiscono né rimpiazzano la necessità del dialogo più personale e profondo che richiede il contatto fisico, o almeno, la voce dell’altra persona. Sappiamo che a volte questi mezzi allontanano invece di avvicinare, come quando nell’ora del pasto ognuno è concentrato sul suo telefono mobile, o come quando uno dei coniugi si addormenta aspettando l’altro, che passa ore alle prese con qualche dispositivo elettronico. In famiglia, anche questo dev’essere motivo di dialogo e di accordi, che permettano di dare priorità all’incontro dei suoi membri senza cadere in divieti insensati. Comunque, non si possono ignorare i rischi delle nuove forme di comunicazione per i bambini e gli adolescenti, che a volte ne sono resi abulici, scollegati dal mondo reale. Questo “autismo tecnologico” li espone più facilmente alla manipolazione di quanti cercano di entrare nella loro intimità con interessi egoistici.

[296] Cfr Relatio finalis 2015, 67.

279 Non è bene neppure che i genitori diventino esseri onnipotenti per i propri figli, che potrebbero aver fiducia solo in loro, perché così impediscono un adeguato processo di socializzazione e di maturazione affettiva. Per rendere efficace il prolungamento della paternità e della maternità verso una realtà più ampia, «le comunità cristiane sono chiamate ad offrire sostegno alla missione educativa delle famiglie»,[297] in modo particolare attraverso la catechesi di iniziazione. Per favorire un’educazione integrale abbiamo bisogno di «ravvivare l’alleanza tra la famiglie e la comunità cristiana».[298] Il Sinodo ha voluto evidenziare l’importanza delle scuole cattoliche, che «svolgono una funzione vitale nell’assistere i genitori nel loro dovere di educare i figli. […] Le scuole cattoliche dovrebbero essere incoraggiate nella loro missione di aiutare gli alunni a crescere come adulti maturi che possono vedere il mondo attraverso lo sguardo di amore di Gesù e che comprendono la vita come una chiamata a servire Dio».[299] In tal senso, «vanno affermati con decisione la libertà della Chiesa di insegnare la propria dottrina e il diritto all’obiezione di coscienza da parte degli educatori».[300]

[297] Catechesi (20 maggio 2015): L’Osservatore Romano, 21 maggio 2015, p. 8.
[298] Catechesi (9 settembre 2015): L’Osservatore Romano, 10 settembre 2015, p. 8.
[299] Relatio finalis 2015, 68.
[300] Ibid., 58.



Amoris laetitia IT 247