Amoris laetitia IT 304

Le norme e il discernimento

304 È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano. Prego caldamente che ricordiamo sempre ciò che insegna san Tommaso d’Aquino e che impariamo ad assimilarlo nel discernimento pastorale: «Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione. […] In campo pratico non è uguale per tutti la verità o norma pratica rispetto al particolare, ma soltanto rispetto a ciò che è generale; e anche presso quelli che accettano nei casi particolari una stessa norma pratica, questa non è ugualmente conosciuta da tutti. […] E tanto più aumenta l’indeterminazione quanto più si scende nel particolare».[347] È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma. Questo non solo darebbe luogo a una casuistica insopportabile, ma metterebbe a rischio i valori che si devono custodire con speciale attenzione.[348]

[347] Summa Theologiae
I-II 94,0, art. 4.
[348] Riferendosi alla conoscenza generale della norma e alla conoscenza particolare del discernimento pratico, san Tommaso arriva a dire che «se non vi è che una sola delle due conoscenze, è preferibile che questa sia la conoscenza della realtà particolare, che si avvicina maggiormente all’agire» (Sententia libri Ethicorum, VI, 6 [ed. Leonina, t. XLVII, 354]).

305 Pertanto, un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa «per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite».[349]In questa medesima linea si è pronunciata la Commissione Teologica Internazionale: «La legge naturale non può dunque essere presentata come un insieme già costituito di regole che si impongono a priori al soggetto morale, ma è una fonte di ispirazione oggettiva per il suo processo, eminentemente personale, di presa di decisione».[350] A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa.[351] Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio. Ricordiamo che «un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà».[352] La pastorale concreta dei ministri e delle comunità non può mancare di fare propria questa realtà.

[349] Discorso a conclusione della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (24 ottobre 2015): L’Osservatore Romano,26-27 ottobre 2015, p. 13.
[350] In cerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale (2009), 59.
[351] In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Per questo, «ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore» (Esort. ap. Evangelii gaudium [24 novembre 2013], 44:AAS 105 [2013], 1038). Ugualmente segnalo che l’Eucaristia «non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli» (ibid., 47: 1039).
[352] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 44: AAS 105 (2013), 1038-1039.

306 In qualunque circostanza, davanti a quanti hanno difficoltà a vivere pienamente la legge divina, deve risuonare l’invito a percorrere la via caritatis. La carità fraterna è la prima legge dei cristiani (cfr Jn 15,12 Ga 5,14). Non dimentichiamo la promessa delle Scritture: «Soprattutto conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati» (1P 4,8); «sconta i tuoi peccati con l’elemosina e le tue iniquità con atti di misericordia verso gli afflitti» (Da 4,24); «l’acqua spegne il fuoco che divampa, l’elemosina espia i peccati» (Si 3,30). È anche ciò che insegna sant’Agostino: «Come dunque se fossimo in pericolo per un incendio correremmo per prima cosa in cerca dell’acqua, con cui poter spegnere l’incendio, […] ugualmente, se qualche fiamma di peccato si è sprigionata dal fieno delle nostre passioni e perciò siamo scossi, rallegriamoci dell’opportunità che ci viene data di fare un’opera di vera misericordia, come se ci fosse offerta la fontana da cui prender l’acqua per spegnere l’incendio che si era acceso».[353]

[353] De catechizandis rudibus, I, 14, 22: PL 40, 327; cfr Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 193: AAS 105 (2013), 1101.


La logica della misericordia pastorale

307 Per evitare qualsiasi interpretazione deviata, ricordo che in nessun modo la Chiesa deve rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza: «I giovani battezzati vanno incoraggiati a non esitare dinanzi alla ricchezza che ai loro progetti di amore procura il sacramento del matrimonio, forti del sostegno che ricevono dalla grazia di Cristo e dalla possibilità di partecipare pienamente alla vita della Chiesa».[354] La tiepidezza, qualsiasi forma di relativismo, o un eccessivo rispetto al momento di proporlo, sarebbero una mancanza di fedeltà al Vangelo e anche una mancanza di amore della Chiesa verso i giovani stessi. Comprendere le situazioni eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno né proporre meno di quanto Gesù offre all’essere umano. Oggi, più importante di una pastorale dei fallimenti è lo sforzo pastorale per consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture.

[354] Relatio Synodi 2014, 26.

308 Tuttavia, dalla nostra consapevolezza del peso delle circostanze attenuanti – psicologiche, storiche e anche biologiche – ne segue che «senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno», lasciando spazio alla «misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile».[355] Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione. Ma credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, «non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada».[356] I Pastori che propongono ai fedeli l’ideale pieno del Vangelo e la dottrina della Chiesa devono aiutarli anche ad assumere la logica della compassione verso le persone fragili e ad evitare persecuzioni o giudizi troppo duri e impazienti. Il Vangelo stesso ci richiede di non giudicare e di non condannare (cfr Mt 7,1 Lc 6,37). Gesù «aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza. Quando lo facciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosamente».[357]

[355] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 44: AAS 105 (2013), 1038.
[356] Ibid., 45: AAS 105 (2013), 1039.
[357] Ibid., 270: AAS 105 (2013), 1128.

309 È provvidenziale che queste riflessioni si sviluppino nel contesto di un Anno Giubilare dedicato alla misericordia, perché anche davanti alle più diverse situazioni che interessano la famiglia, «la Chiesa ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del Vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la mente di ogni persona. La Sposa di Cristo fa suo il comportamento del Figlio di Dio che a tutti va incontro senza escludere nessuno».[358] Sa bene che Gesù stesso si presenta come Pastore di cento pecore, non di novantanove. Le vuole tutte. A partire da questa consapevolezza, si renderà possibile che «a tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo della misericordia come segno del Regno di Dio già presente in mezzo a noi».[359]

[358] Bolla Misericordiae Vultus (11 aprile 2015), 12: AAS 107 (2015), 407.
[359]Ibid., 5: 402.

310 Non possiamo dimenticare che «la misericordia non è solo l’agire del Padre, ma diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri figli. Insomma, siamo chiamati a vivere di misericordia, perché a noi per primi è stata usata misericordia».[360] Non è una proposta romantica o una risposta debole davanti all’amore di Dio, che sempre vuole promuovere le persone, poiché «l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia».[361] È vero che a volte «ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa».[362]

[360]Ibid., 9: 405.
[361]Ibid., 10: 406.
[362] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 47: AAS 105 (2013), 1040.

311 L’insegnamento della teologia morale non dovrebbe tralasciare di fare proprie queste considerazioni, perché seppure è vero che bisogna curare l’integralità dell’insegnamento morale della Chiesa, si deve sempre porre speciale attenzione nel mettere in evidenza e incoraggiare i valori più alti e centrali del Vangelo,[363] particolarmente il primato della carità come risposta all’iniziativa gratuita dell’amore di Dio. A volte ci costa molto dare spazio nella pastorale all’amore incondizionato di Dio.[364] Poniamo tante condizioni alla misericordia che la svuotiamo di senso concreto e di significato reale, e questo è il modo peggiore di annacquare il Vangelo. È vero, per esempio, che la misericordia non esclude la giustizia e la verità, ma anzitutto dobbiamo dire che la misericordia è la pienezza della giustizia e la manifestazione più luminosa della verità di Dio. Pertanto, conviene sempre considerare «inadeguata qualsiasi concezione teologica che in ultima analisi metta in dubbio l’onnipotenza stessa di Dio, e in particolare la sua misericordia».[365]

[363] Cfr ibid., 36-37: AAS 105 (2013), 1035.
[364] Forse per scrupolo, nascosto dietro un grande desiderio di fedeltà alla verità, alcuni sacerdoti esigono dai penitenti un proposito di pentimento senza ombra alcuna, per cui la misericordia sfuma sotto la ricerca di una giustizia ipoteticamente pura. Per questo vale la pena di ricordare l’insegnamento di san Giovanni Paolo II, il quale affermò che la prevedibilità di una nuova caduta «non pregiudica l’autenticità del proposito» (Lettera al Card. William W. Baum in occasione del corso sul foro interno organizzato dalla Penitenzeria Apostolica [22 marzo 1996], 5: Insegnamenti XIX, 1 [1996], 589).
[365] Commissione Teologica Internazionale, La speranza della salvezza per i bambini che muoiono senza battesimo (19 aprile 2007), 2.

312 Questo ci fornisce un quadro e un clima che ci impedisce di sviluppare una morale fredda da scrivania nel trattare i temi più delicati e ci colloca piuttosto nel contesto di un discernimento pastorale carico di amore misericordioso, che si dispone sempre a comprendere, a perdonare, ad accompagnare, a sperare, e soprattutto a integrare. Questa è la logica che deve prevalere nella Chiesa, per «fare l’esperienza di aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali».[366] Invito i fedeli che stanno vivendo situazioni complesse ad accostarsi con fiducia a un colloquio con i loro pastori o con laici che vivono dediti al Signore. Non sempre troveranno in essi una conferma delle proprie idee e dei propri desideri, ma sicuramente riceveranno una luce che permetterà loro di comprendere meglio quello che sta succedendo e potranno scoprire un cammino di maturazione personale. E invito i pastori ad ascoltare con affetto e serenità, con il desiderio sincero di entrare nel cuore del dramma delle persone e di comprendere il loro punto di vista, per aiutarle a vivere meglio e a riconoscere il loro posto nella Chiesa.

[366] Bolla Misericordiae Vultus (11 aprile 2015), 15: AAS 107 (2015), 409.


CAPITOLO NONO

SPIRITUALITÀ CONIUGALE E FAMILIARE


313 La carità assume diverse sfumature, a seconda dello stato di vita a cui ciascuno è stato chiamato. Già alcuni decenni fa, il Concilio Vaticano II, a proposito dell’apostolato dei laici, metteva in risalto la spiritualità che scaturisce dalla vita familiare. Affermava che la spiritualità dei laici «deve assumere una sua fisionomia particolare» anche dallo «stato del matrimonio e della famiglia»[367]e che le preoccupazioni familiari non devono essere qualcosa di estraneo al loro stile di vita spirituale.[368] Pertanto vale la pena di fermarci brevemente a descrivere alcune caratteristiche fondamentali di questa spiritualità specifica che si sviluppa nel dinamismo delle relazioni della vita familiare.

[367] Decr. Apostolicam actuositatem,
AA 4.
[368] Cfr ibid. AA 4


Spiritualità della comunione soprannaturale


314 Abbiamo sempre parlato della inabitazione di Dio nel cuore della persona che vive nella sua grazia. Oggi possiamo dire anche che la Trinità è presente nel tempio della comunione matrimoniale. Così come abita nelle lodi del suo popolo (cfr Ps 22,4), vive intimamente nell’amore coniugale che le dà gloria.


315 La presenza del Signore abita nella famiglia reale e concreta, con tutte le sue sofferenze, lotte, gioie e i suoi propositi quotidiani. Quando si vive in famiglia, lì è difficile fingere e mentire, non possiamo mostrare una maschera. Se l’amore anima questa autenticità, il Signore vi regna con la sua gioia e la sua pace. La spiritualità dell’amore familiare è fatta di migliaia di gesti reali e concreti. In questa varietà di doni e di incontri che fanno maturare la comunione, Dio ha la propria dimora. Questa dedizione unisce «valori umani e divini»,[369] perché è piena dell’amore di Dio. In definitiva, la spiritualità matrimoniale è una spiritualità del vincolo abitato dall’amore divino.

[369] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes,
GS 49.

316 Una comunione familiare vissuta bene è un vero cammino di santificazione nella vita ordinaria e di crescita mistica, un mezzo per l’unione intima con Dio. Infatti i bisogni fraterni e comunitari della vita familiare sono un’occasione per aprire sempre più il cuore, e questo rende possibile un incontro con il Signore sempre più pieno. La Parola di Dio dice che «chi odia il suo fratello cammina nelle tenebre» (1Jn 2,11), «rimane nella morte» (1Jn 3,14) e «non ha conosciuto Dio» (1Jn 4,8). Il mio predecessore Benedetto XVI ha detto che «chiudere gli occhi di fronte al prossimo rende ciechi anche di fronte a Dio»,[370] e che l’amore è in fondo l’unica luce che «rischiara sempre di nuovo un mondo buio».[371] Solo «se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi» (1Jn 4,12). Dato che «la persona umana ha una nativa e strutturale dimensione sociale»[372] e «la prima e originaria espressione della dimensione sociale della persona è la coppia e la famiglia»,[373] la spiritualità si incarna nella comunione familiare. Pertanto, coloro che hanno desideri spirituali profondi non devono sentire che la famiglia li allontana dalla crescita nella vita dello Spirito, ma che è un percorso che il Signore utilizza per portarli ai vertici dell’unione mistica.

[370] Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), : AAS 98 (2006), 230.
[371] Ibid., : AAS 98 (2006), 250.
[372] Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsin. Christifideles laici (30 dicembre 1988), CL 40: AAS 81 (1989), 468.
[373] Ibid. CL 40


Uniti in preghiera alla luce della Pasqua

317 Se la famiglia riesce a concentrarsi in Cristo, Egli unifica e illumina tutta la vita familiare. I dolori e i problemi si sperimentano in comunione con la Croce del Signore, e l’abbraccio con Lui permette di sopportare i momenti peggiori. Nei giorni amari della famiglia c’è una unione con Gesù abbandonato che può evitare una rottura. Le famiglie raggiungono a poco a poco, «con la grazia dello Spirito Santo, la loro santità attraverso la vita matrimoniale, anche partecipando al mistero della croce di Cristo, che trasforma le difficoltà e le sofferenze in offerta d’amore».[374] D’altra parte, i momenti di gioia, il riposo o la festa, e anche la sessualità, si sperimentano come una partecipazione alla vita piena della sua Risurrezione. I coniugi danno forma con vari gesti quotidiani a questo «spazio teologale in cui si può sperimentare la presenza mistica del Signore risorto».[375]

[374] Relatio finalis 2015, 87.
[375] Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsin. Vita consecrata (25 marzo 1996),
VC 42: AAS 88 (1996), 416.

318 La preghiera in famiglia è un mezzo privilegiato per esprimere e rafforzare questa fede pasquale.[376] Si possono trovare alcuni minuti ogni giorno per stare uniti davanti al Signore vivo, dirgli le cose che preoccupano, pregare per i bisogni famigliari, pregare per qualcuno che sta passando un momento difficile, chiedergli aiuto per amare, rendergli grazie per la vita e le cose buone, chiedere alla Vergine di proteggerci con il suo manto di madre. Con parole semplici, questo momento di preghiera può fare tantissimo bene alla famiglia. Le diverse espressioni della pietà popolare sono un tesoro di spiritualità per molte famiglie. Il cammino comunitario di preghiera raggiunge il suo culmine nella partecipazione comune all’Eucaristia, soprattutto nel contesto del riposo domenicale. Gesù bussa alla porta della famiglia per condividere con essa la Cena eucaristica (cfr Ap 3,20). Là, gli sposi possono sempre sigillare l’alleanza pasquale che li ha uniti e che riflette l’Alleanza che Dio ha sigillato con l’umanità sulla Croce.[377]L’Eucaristia è il sacramento della Nuova Alleanza in cui si attualizza l’azione redentrice di Cristo (cfr Lc 22,20). Così si notano i legami profondi che esistono tra la vita coniugale e l’Eucaristia.[378] Il nutrimento dell’Eucaristia è forza e stimolo per vivere ogni giorno l’alleanza matrimoniale come «Chiesa domestica».[379]

[376] Cfr Relatio finalis 2015, 87.
[377] Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), FC 57: AAS 74 (1982), 150.
[378] Non dimentichiamo che l’Alleanza di Dio con il suo popolo si esprime come un fidanzamento (cfr Ez 16,8 Ez 16,60 Is 62,5 Os 2,21-22), e la nuova Alleanza si presenta anche come un matrimonio (cfr Ap 19,7 Ap 21,2 Ep 5,25).
[379] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, LG 11.


Spiritualità dell’amore esclusivo e libero

319 Nel matrimonio si vive anche il senso di appartenere completamente a una sola persona. Gli sposi assumono la sfida e l’anelito di invecchiare e consumarsi insieme e così riflettono la fedeltà di Dio. Questa ferma decisione, che segna uno stile di vita, è una «esigenza interiore del patto d’amore coniugale»,[380] perché «colui che non si decide ad amare per sempre, è difficile che possa amare sinceramente un solo giorno».[381] Ma questo non avrebbe significato spirituale se si trattasse solo di una legge vissuta con rassegnazione. E’ un’appartenenza del cuore, là dove solo Dio vede (cfr Mt 5,28). Ogni mattina quando ci si alza, si rinnova davanti a Dio questa decisione di fedeltà, accada quel che accada durante la giornata. E ciascuno, quando va a dormire, aspetta di alzarsi per continuare questa avventura, confidando nell’aiuto del Signore. Così, ogni coniuge è per l’altro segno e strumento della vicinanza del Signore, che non ci lascia soli: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

[380] Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), FC 11: AAS 74 (1982), 93.
[381] Id., Omelia nella Santa Messa celebrata per le famiglie a Córdoba - Argentina (8 aprile 1987), 4: Insegnamenti X, 1 (1987), 1161-1162.

320 C’è un punto in cui l’amore della coppia raggiunge la massima liberazione e diventa uno spazio di sana autonomia: quando ognuno scopre che l’altro non è suo, ma ha un proprietario molto più importante, il suo unico Signore. Nessuno può pretendere di possedere l’intimità più personale e segreta della persona amata e solo Lui può occupare il centro della sua vita. Nello stesso tempo, il principio del realismo spirituale fa sì che il coniuge non pretenda che l’altro soddisfi completamente le sue esigenze. E’ necessario che il cammino spirituale di ciascuno – come indicava bene Dietrich Bonhoeffer – lo aiuti a “disilludersi” dell’altro,[382] a smettere di attendere da quella persona ciò che è proprio soltanto dell’amore di Dio. Questo richiede una spogliazione interiore. Lo spazio esclusivo che ciascuno dei coniugi riserva al suo rapporto personale con Dio, non solo permette di sanare le ferite della convivenza, ma anche di trovare nell’amore di Dio il senso della propria esistenza. Abbiamo bisogno di invocare ogni giorno l’azione dello Spirito perché questa libertà interiore sia possibile.

[382] Cfr Gemeinsames Leben, München 1973, 18 (trad. it.: La vita comune, Brescia 1973, 46).

Spiritualità della cura, della consolazione e dello stimolo

321 «I coniugi cristiani sono cooperatori della grazia e testimoni della fede l’uno per l’altro, nei confronti dei figli e di tutti gli altri familiari».[383] Dio li invita a generare e a prendersi cura. Ecco perché la famiglia «è sempre stata il più vicino “ospedale”».[384]Prendiamoci cura, sosteniamoci e stimoliamoci vicendevolmente, e viviamo tutto ciò come parte della nostra spiritualità familiare. La vita di coppia è una partecipazione alla feconda opera di Dio, e ciascuno è per l’altro una permanente provocazione dello Spirito. L’amore di Dio si esprime «attraverso le parole vive e concrete con cui l’uomo e la donna si dicono il loro amore coniugale».[385]Così i due sono tra loro riflessi dell’amore divino che conforta con la parola, lo sguardo, l’aiuto, la carezza, l’abbraccio. Pertanto, «voler formare una famiglia è avere il coraggio di far parte del sogno di Dio, il coraggio di sognare con Lui, il coraggio di costruire con Lui, il coraggio di giocarci con Lui questa storia, di costruire un mondo dove nessuno si senta solo».[386]

[383] Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Apostolicam actuositatem,
AA 11.
[384] Catechesi (10 giugno 2015): L’Osservatore Romano,(11 giugno 2015), p. 8.
[385] Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), FC 12: AAS 74 (1982), 93.
[386] Discorso alla Festa delle Famiglie e veglia di preghiera, Filadelfia (26 settembre 2015): L’Osservatore Romano,28-29 settembre 2015, p. 6.

322 Tutta la vita della famiglia è un “pascolo” misericordioso. Ognuno, con cura, dipinge e scrive nella vita dell’altro: «La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori [...] non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente» (2Co 3,2-3). Ognuno è un «pescatore di uomini» (Lc 5,10) che nel nome di Gesù getta le reti (cfr Lc 5,5) verso gli altri, o un contadino che lavora in quella terra fresca che sono i suoi cari, stimolando il meglio di loro. La fecondità matrimoniale comporta la promozione, perché «amare una persona è attendere da essa qualcosa di indefinibile, di imprevedibile; è al tempo stesso offrirle in qualche modo il mezzo per rispondere a questa attesa».[387] Questo è un culto a Dio, perché è Lui che ha seminato molte cose buone negli altri nella speranza che le facciamo crescere.

[387] Gabriel Marcel, Homo viator. Prolégomènes à une métaphysique de l´espérance, Paris 1944, 63.

323 E’ una profonda esperienza spirituale contemplare ogni persona cara con gli occhi di Dio e riconoscere Cristo in lei. Questo richiede una disponibilità gratuita che permetta di apprezzare la sua dignità. Si può essere pienamente presenti davanti all’altro se ci si dona senza un perché, dimenticando tutto quello che c’è intorno. Così la persona amata merita tutta l’attenzione. Gesù era un modello, perché quando qualcuno si avvicinava a parlare con Lui, fissava lo sguardo, guardava con amore (cfr Mc 10,21). Nessuno si sentiva trascurato in sua presenza, poiché le sue parole e i suoi gesti erano espressione di questa domanda: «Che cosa vuoi che io faccia per te?» (Mc 10,51).Questo si vive nella vita quotidiana della famiglia. In essa ricordiamo che la persona che vive con noi merita tutto, perché ha una dignità infinita, essendo oggetto dell’immenso amore del Padre. Così fiorisce la tenerezza, in grado di «suscitare nell’altro la gioia di sentirsi amato. Essa si esprime in particolare nel volgersi con attenzione squisita ai limiti dell’altro, specialmente quando emergono in maniera evidente».[388]

[388] Relatio finalis 2015, 88.

324 Sotto l’impulso dello Spirito, il nucleo familiare non solo accoglie la vita generandola nel proprio seno, ma si apre, esce da sé per riversare il proprio bene sugli altri, per prendersene cura e cercare la loro felicità. Questa apertura si esprime particolarmente nell’ospitalità[389], incoraggiata dalla Parola di Dio in modo suggestivo: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli»(He 13,2). Quando la famiglia accoglie, e va incontro agli altri, specialmente ai poveri e agli abbandonati, è «simbolo, testimonianza, partecipazione della maternità della Chiesa».[390]L’amore sociale, riflesso della Trinità, è in realtà ciò che unifica il senso spirituale della famiglia e la sua missione all’esterno di sé stessa, perché rende presente il kerygma con tutte le sue esigenze comunitarie. La famiglia vive la sua spiritualità peculiare essendo, nello stesso tempo, una Chiesa domestica e una cellula vitale per trasformare il mondo.[391]

[389] Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), FC 44: AAS 74 (1982), 136.
[390] Ibid., FC 49: AAS 74 (1982), 141.
[391] Sugli aspetti sociali della famiglia, cfr Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 248-254.


***



325 Le parole del Maestro (cfr Mt 22,30) e quelle di san Paolo (cfr 1Co 7,29-31) sul matrimonio, sono inserite – non casualmente – nella dimensione ultima e definitiva della nostra esistenza, che abbiamo bisogno di recuperare. In tal modo gli sposi potranno riconoscere il senso del cammino che stanno percorrendo. Infatti, come abbiamo ricordato più volte in questa Esortazione, nessuna famiglia è una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della propria capacità di amare. C’è una chiamata costante che proviene dalla comunione piena della Trinità, dall’unione stupenda tra Cristo e la sua Chiesa, da quella bella comunità che è la famiglia di Nazareth e dalla fraternità senza macchia che esiste tra i santi del cielo. E tuttavia, contemplare la pienezza che non abbiamo ancora raggiunto ci permette anche di relativizzare il cammino storico che stiamo facendo come famiglie, per smettere di pretendere dalle relazioni interpersonali una perfezione, una purezza di intenzioni e una coerenza che potremo trovare solo nel Regno definitivo. Inoltre ci impedisce di giudicare con durezza coloro che vivono in condizioni di grande fragilità. Tutti siamo chiamati a tenere viva la tensione verso qualcosa che va oltre noi stessi e i nostri limiti, e ogni famiglia deve vivere in questo stimolo costante. Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare! Quello che ci viene promesso è sempre di più. Non perdiamo la speranza a causa dei nostri limiti, ma neppure rinunciamo a cercare la pienezza di amore e di comunione che ci è stata promessa.

Preghiera alla Santa Famiglia

Gesù, Maria e Giuseppe,
in voi contempliamo
lo splendore del vero amore,
a voi, fiduciosi, ci affidiamo.

Santa Famiglia di Nazaret,
rendi anche le nostre famiglie
luoghi di comunione e cenacoli di preghiera,
autentiche scuole di Vangelo
e piccole Chiese domestiche.

Santa Famiglia di Nazaret,
mai più ci siano nelle famiglie
episodi di violenza, di chiusura e di divisione;
che chiunque sia stato ferito o scandalizzato
venga prontamente confortato e guarito.

Santa Famiglia di Nazaret,
fa’ che tutti ci rendiamo consapevoli
del carattere sacro e inviolabile della famiglia,
della sua bellezza nel progetto di Dio.

Gesù, Maria e Giuseppe,
ascoltateci e accogliete la nostra supplica.
Amen.

Dato a Roma, presso San Pietro, nel Giubileo Straordinario della Misericordia, il 19 marzo, solennità di San Giuseppe, dell’anno 2016, quarto del mio Pontificato.
Francesco








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