Direttorio Vescovi 2004 37

II. Le virtù del Vescovo


37 L’esercizio delle virtù teologali. È evidente che la santità alla quale è chiamato il Vescovo esige l’esercizio delle virtù, in primo luogo quelle teologali, perché per loro natura dirigono l’uomo direttamente a Dio. Il Vescovo, uomo di fede, speranza e carità, regoli la sua vita sui consigli evangelici e sulle beatitudini (cf. Mt Mt 5,1-12), cosicché anch’egli, come fu comandato agli Apostoli (cf. At Ac 1,8), possa essere testimone di Cristo davanti agli uomini, documento vero ed efficace, fedele e credibile della grazia divina, della carità e delle altre realtà soprannaturali.


38 La carità pastorale. La vita del Vescovo, gravata da tanti pesi ed esposta al rischio della dispersione a causa della molteplice diversità delle occupazioni, trova la sua unità interiore e la fonte delle sue energie nella carità pastorale, la quale, a buon diritto, deve chiamarsi il vincolo della perfezione episcopale ed è come il frutto della grazia e del carattere del sacramento dell’Episcopato (116). “Sant’Agostino definisce la totalità di questo ministero episcopale comeamoris officium. Questo dona la certezza che mai, nella Chiesa, verrà meno la carità pastorale di Cristo” (117). La carità pastorale del Vescovo è l’anima del suo apostolato. “Si tratta non soltanto di una existentia, ma pure di una pro-existentia, di un vivere, cioè, che si ispira al modello supremo costituito da Cristo Signore, e che si spende perciò totalmente nell’adorazione del Padre e nel servizio dei fratelli” (118).

Infiammato da questa carità, il Vescovo sia portato alla pia contemplazione ed imitazione di Gesù Cristo e del suo disegno di salvezza. La carità pastorale unisce il Vescovo a Gesù Cristo, alla Chiesa, al mondo che occorre evangelizzare, e lo rende idoneo a fungere da ambasciatore per Cristo (cf.
2Co 5,20) con decoro e competenza, a spendersi ogni giorno per il clero e il popolo affidatigli e ad offrirsi a guisa di vittima sacrificale a pro dei fratelli (119). Avendo accettato l’ufficio di pastore con la prospettiva non della tranquillità ma della fatica (120), il Vescovo eserciti la sua autorità nello spirito di servizio e la consideri come una vocazione a servire tutta la Chiesa con le disposizioni stesse del Signore (121).

Il Vescovo dovrà dare il massimo esempio di carità fraterna e di senso collegiale amando ed aiutando spiritualmente e materialmente il Vescovo Coadiutore, Ausiliare ed emerito, il presbiterio diocesano, i diaconi ed i fedeli, soprattutto i più poveri e bisognosi. La sua casa sarà aperta come lo sarà il suo cuore per accogliere, consigliare, esortare e consolare. La carità del Vescovo si estenderà ai Pastori delle diocesi vicine, particolarmente a quelli appartenenti alla stessa metropolia e ai Vescovi che ne abbiano necessità (122).


39 La fede e lo spirito di fede. Il Vescovo è uomo di fede, conforme a quanto la Sacra Scrittura afferma di Mosè che, nel condurre il popolo d’Egitto verso la terra promessa, “rimase saldo come se vedesse l’invisibile” (He 11,27).

Il Vescovo tutto giudichi, tutto compia, tutto sopporti alla luce della fede, e interpreti i segni dei tempi (cf. Mt Mt 16,4) per scoprire ciò che lo Spirito Santo trasmette alle Chiese in ordine all’eterna salvezza (cf. Ap Ap 2,7). Ne sarà capace se nutre la sua ragione e il suo cuore “con le parole della fede e della buona dottrina” (1Tm 4,6), e coltiva con diligenza il suo sapere teologico e lo accresce sempre più con dottrine provate, antiche e nuove, in piena sintonia, in materia di fede e di costumi, con il Romano Pontefice e con il Magistero della Chiesa.


40 La speranza in Dio, fedele alle sue promesse. Sostenuto dalla fede in Dio, che è “fondamento delle realtà che si sperano e prova di quelle che non si vedono” (He 11,1), il Vescovo aspetterà da Lui ogni bene, e riporrà nella divina Provvidenza la massima fiducia. Egli ripeterà con san Paolo: “tutto posso in colui che mi dà la forza” (Ph 4,13), memore dei santi Apostoli e di tanti Vescovi i quali, pur sperimentando grandi difficoltà ed ostacoli di ogni genere, tuttavia predicarono il Vangelo di Dio con tutta franchezza (cf. At Ac 4,29-31 Ac 19,8 Ac 28,31).

La speranza, la quale “non delude” (Rm 5,5), stimola nel Vescovo lo spirito missionario, che lo indurrà ad affrontare le imprese apostoliche con inventiva, a portarle avanti con fermezza e a realizzarle fino alla conclusione. Il Vescovo sa, infatti, di essere stato mandato da Dio, signore della storia (cf. 1Tm 1,17), per edificare la Chiesa nel luogo e nei “tempi e momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta” (Ac 1,7). Di qui anche quel sano ottimismo che il Vescovo vivrà personalmente e, per così dire, irradierà negli altri, specialmente nei suoi collaboratori.


41 La prudenza pastorale. Nel pascere il gregge affidatogli, al Vescovo reca un grandissimo aiuto la virtù della prudenza, che è saggezza pratica e arte di buon governo, che domanda atti opportuni e idonei alla realizzazione del piano divino della salvezza e al conseguimento del bene delle anime e della Chiesa, posponendo ogni considerazione puramente umana.

È perciò necessario che il Vescovo modelli il suo modo di governare tanto sulla saggezza divina, la quale gli insegna a considerare gli aspetti eterni delle cose, come sulla prudenza evangelica, che gli fa tenere sempre presenti, con abilità di architetto (cf.
1Co 3,10), le mutevoli esigenze del Corpo di Cristo.

Come pastore prudente, il Vescovo si mostri pronto ad assumere le proprie responsabilità e a favorire il dialogo con i fedeli, a far valere le proprie attribuzioni, ma anche a rispettare i diritti degli altri nella Chiesa. La prudenza gli farà conservare le legittime tradizioni della sua Chiesa particolare, ma al tempo stesso ne farà un promotore del lodevole progresso e uno zelante ricercatore di iniziative nuove, pur nella salvaguardia della necessaria unità. In tal modo, la comunità diocesana camminerà per la via di una sana continuità e di un doveroso adattamento alle nuove legittime esigenze.

La prudenza pastorale condurrà il Vescovo a tenere presente l’immagine pubblica che egli offre, quella che emerge nei mezzi di comunicazione sociale e a valutare l’opportunità della sua presenza in determinati luoghi o riunioni sociali. Consapevole del suo ruolo, tenendo presenti le attese che egli suscita e l’esempio che deve dare, il Vescovo userà con tutti cortesia, buone maniere, cordialità, affabilità e dolcezza, come segno della sua paternità e fraternità.


42 La fortezza e l’umiltà. Poiché, come scrive san Bernardo, “la prudenza è madre della fortezza (123) — Fortitudinis matrem esse prudentiam —”, anche di questa si richiede l’esercizio da parte del Vescovo. Egli infatti necessita di essere paziente nel sopportare le avversità per il Regno di Dio, nonché coraggioso e fermo nelle decisioni prese secondo la retta norma. È per la fortezza che il Vescovo non esiterà a dire con gli Apostoli “noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (Ac 4,20) e, senza alcun timore di perdere il favore degli uomini (124), non dubiterà nell’agire coraggiosamente nel Signore contro ogni forma di prevaricazione e di prepotenza.

La fortezza si deve temperare con la dolcezza, secondo il modello di chi è “mite e umile di cuore” (Mt 11,29). Nel guidare i fedeli, il Vescovo procuri di armonizzare il ministero della misericordia con l’autorità del governo, la dolcezza con la forza, il perdono con la giustizia, consapevole che “certe situazioni, infatti, non si superano con l’asprezza o la durezza, né con modi imperiosi, bensì più con l’ammaestramento che col comando, con l’ammonimento che con la minaccia” (125).

Al tempo stesso, il Vescovo deve operare con l’umiltà che nasce dalla consapevolezza della propria debolezza, la quale – come afferma San Gregorio Magno – è la prima virtù (126). Infatti egli sa di aver bisogno della compassione dei fratelli, come tutti gli altri cristiani, e come loro è obbligato a preoccuparsi della propria salvezza “con timore e tremore” (Ph 2,12). Inoltre, la quotidiana cura pastorale, che offre al Vescovo maggiori possibilità di prendere decisioni a propria discrezione, gli presenta anche più occasioni di errore, quantunque in buona fede: ciò lo induce ad essere aperto al dialogo con gli altri e incline a chiedere e accettare i consigli altrui, sempre disposto ad imparare.


43 L’obbedienza alla volontà di Dio. Cristo, fattosi “obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Ph 2,8), (Cristo) il cui cibo fu la volontà del Padre (cf. Gv Jn 4,34), sta continuamente innanzi agli occhi del Vescovo come il più alto esempio di quell’obbedienza che fu causa della nostra giustificazione (cf. Rm Rm 5,19).

Conformandosi a Cristo, il Vescovo rende uno splendido servizio all’unità e alla comunione ecclesiale e, con la sua condotta, dimostra che nella Chiesa nessuno può legittimamente comandare agli altri se prima non offre se stesso come esempio di obbedienza alla Parola di Dio e all’autorità della Chiesa (127).


44 Il celibato e la perfetta continenza. Il celibato, promesso solennemente prima di ricevere gli Ordini sacri, richiede al Vescovo di vivere la continenza “per amore del regno dei cieli” (Mt 19,12), sulle orme di Gesù vergine, in modo da dimostrare a Dio e alla Chiesa il suo amore indiviso e la sua totale disponibilità al servizio, e offrire al mondo una fulgida testimonianza del Regno futuro (128).

Anche per questo motivo il Vescovo, confidando nell’aiuto divino, pratichi volentieri la mortificazione del cuore e del corpo, non solo come esercizio di disciplina ascetica, ma anche e più per portare in se stesso “la morte di Gesù” (2Co 4,10). Infine col suo esempio e la sua parola, con la sua azione paterna e vigile il Vescovo non può ignorare o tralasciare l’impegno di offrire al mondo la verità di una Chiesa santa e casta, nei suoi ministri e nei suoi fedeli. Nei casi in cui si verifichino situazioni di scandalo, specie da parte dei ministri della Chiesa, il Vescovo deve essere forte e deciso, giusto e sereno nei suoi interventi. In tali deplorevoli casi, il Vescovo è tenuto ad intervenire prontamente, secondo le norme canoniche stabilite, sia per il bene spirituale delle persone coinvolte, sia per la riparazione dello scandalo, sia per la protezione e l’aiuto alle vittime. Operando in questo modo e vivendo in perfetta castità, il pastore precede il suo gregge come Cristo, lo Sposo che ha donato la sua vita per noi e che ha lasciato a tutti l’esempio di un amore limpido e verginale e, perciò, anche fecondo e universale.


45 La povertà affettiva ed effettiva. Per rendere testimonianza al Vangelo di fronte al mondo e di fronte alla comunità cristiana, il Vescovo con i fatti e con le parole deve seguire l’eterno Pastore, il quale “da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà” (2Co 8,9) (129). Pertanto egli dovrà essere ed apparire povero, sarà instancabilmente generoso nell’elemosina e condurrà una vita modesta che, senza togliere dignità al suo ufficio, tenga però conto delle condizioni socio-economiche dei suoi figli. Come esorta il Concilio, cerchi di evitare tutto ciò che possa in qualsiasi modo indurre i poveri ad allontanarsi, e più ancora degli altri discepoli del Signore veda di eliminare nelle proprie cose ogni ombra di vanità. Sistemi la propria abitazione in modo tale che nessuno possa ritenerla inaccessibile, né debba, anche se di condizione molto umile, trovarsi a disagio in essa (130). Semplice nel contegno, cerchi di essere affabile con tutti e non indulga mai a favoritismi col pretesto del censo o della condizione sociale.

Si comporti da padre con tutti, ma in speciale modo con le persone di umile condizione: egli sa di essere stato, come Gesù (cf. Lc Lc 4,18), unto di Spirito Santo e inviato principalmente per annunciare il Vangelo ai poveri. “In questa prospettiva di condivisione e di semplicità, il Vescovo amministra i beni della Chiesa come il buon padre di famiglia e vigila affinché essi siano impiegati secondo i fini propri della Chiesa: il culto di Dio, il sostentamento dei ministri, le opere di apostolato, le iniziative di carità verso i poveri” (131).

In tempo opportuno egli farà il suo testamento disponendo che, se gli rimarrà qualcosa come proveniente dall’altare, torni interamente all’altare.


46 Esempio di santità. La tensione verso la santità richiede al Vescovo di coltivare seriamente la vita interiore, con i mezzi di santificazione che sono utili e necessari a ogni cristiano e specialmente ad un uomo consacrato dallo Spirito Santo per reggere la Chiesa e per diffondere il Regno di Dio. Anzitutto cercherà di adempiere fedelmente e indefessamente i doveri del suo ministero episcopale (132), quale via della sua propria vocazione alla santità. Il Vescovo, come capo e modello dei presbiteri e dei fedeli, riceva esemplarmente i sacramenti, che gli sono necessari per alimentare la sua vita spirituale come a ogni membro della Chiesa. In particolare, il Vescovo farà del Sacramento dell’Eucaristia, che celebrerà quotidianamente preferendo la forma comunitaria, il centro e la fonte del suo ministero e della sua santificazione. Si accosterà frequentemente al Sacramento della Penitenza per riconciliarsi con Dio ed essere ministro di riconciliazione nel Popolo di Dio (133). Se si ammala ed è in pericolo di vita, sia sollecito nel ricevere l’Unzione degli infermi e il santo Viatico, con solennità e partecipazione di clero e popolo, per comune edificazione.

Mensilmente cercherà di riservare un congruo tempo per il ritiro spirituale ed annualmente per gli esercizi spirituali.

Così la sua vita, malgrado molteplici impegni e attività, sarà saldamente basata sul Signore e troverà nell’esercizio stesso del ministero episcopale la via della santificazione.


47 Le doti umane. Nell’esercizio della sua sacra potestà, il Vescovo deve mostrarsi ricco di umanità, come Gesù, il quale è perfetto uomo. Per questo, nel suo comportamento debbono rifulgere quelle virtù e doti umane che scaturiscono dalla carità e che sono giustamente apprezzate nella società. Tali doti e virtù umane sono di aiuto alla prudenza pastorale e le consentono di tradursi continuamente in atti di saggia cura d’anime e di buon governo (134).

Tra queste doti vanno ricordate: una ricca umanità, un animo buono e leale, un carattere costante e sincero, una mente aperta e lungimirante, sensibile alle gioie e alle sofferenze altrui, una larga capacità di autocontrollo, gentilezza, sopportazione e riserbo, una sana propensione al dialogo e all’ascolto, un’abituale disposizione al servizio (135). Queste qualità devono essere sempre coltivate dal Vescovo e fatte progredire costantemente.


48 L’esempio dei santi Vescovi. Durante il suo ministero, il Vescovo guarderà all’esempio dei santi Vescovi la cui vita, dottrina e santità sono in grado d’illuminare ed orientare il suo cammino spirituale. Tra i numerosi santi pastori, egli avrà come guida, a partire dagli Apostoli, i grandi Vescovi dei primi secoli della Chiesa, i fondatori delle Chiese particolari, i testimoni della fede in tempi di persecuzione, i grandi ricostruttori delle diocesi dopo le persecuzioni e le calamità, coloro che si sono prodigati per i poveri e i sofferenti costruendo ospizi ed ospedali, i fondatori di Ordini di Congregazioni religiose, senza dimenticare i suoi predecessori nella sede che hanno brillato per santità di vita. Affinché sia conservata sempre viva la memoria dei Vescovi eminenti nell’esercizio del loro ministero, il Vescovo con il presbiterio o la Conferenza Episcopale si adopererà di farne conoscere ai fedeli la figura attraverso biografie aggiornate e, se è il caso, di introdurre le loro cause di canonizzazione (136).

III. La Formazione permanente del Vescovo


49 Il dovere della formazione permanente. Il Vescovo sentirà come proprio impegno il dovere della formazione permanente che accompagna tutti i fedeli, in ogni periodo e condizione della loro vita come ad ogni livello di responsabilità ecclesiale (137). Il dinamismo del sacramento dell’Ordine, la stessa vocazione e missione episcopale nonché il dovere di seguire attentamente i problemi e le questioni concrete della società da evangelizzare, chiedono al Vescovo di crescere quotidianamente verso la pienezza della maturità di Cristo (cf. Ef Ep 4,13), affinché anche attraverso la testimonianza della propria maturità umana, spirituale ed intellettuale nella carità pastorale, attorno alla quale deve incentrarsi l’itinerario formativo del Vescovo, risplenda sempre più chiaramente la carità di Cristo e la stessa sollecitudine della Chiesa verso tutti gli uomini.


50 Formazione umana. In quanto pastore del Popolo di Dio, il Vescovo alimenterà continuamente la sua formazione umana, strutturando la sua personalità episcopale con il dono della grazia, secondo le virtù umane già ricordate. La maturazione di tali virtù è necessaria affinché il Vescovo approfondisca la propria sensibilità umana, le sue capacità di accoglienza e di ascolto, di dialogo e di incontro, di conoscenza e di condivisione, in modo che renda la sua umanità più ricca, più autentica, semplice e trasparente della stessa sensibilità del Buon Pastore. Come Cristo, il Vescovo deve saper offrire la più genuina e perfetta umanità per condividere la vita quotidiana dei suoi fedeli ed essere partecipe ai loro momenti di gioia e di sofferenza.

La stessa maturità di cuore e di umanità è richiesta al Vescovo per esercitare la sua autorità episcopale che, come quella del buon padre, è un autentico servizio all’unità e al retto ordine della famiglia dei figli di Dio.

L’esercizio dell’autorità pastorale richiede al Vescovo la costante ricerca di un sano equilibrio di tutte le componenti della sua personalità e del senso del realismo per saper discernere e decidere serenamente e liberamente, avendo di mira soltanto il bene comune e quello delle persone.


51 Formazione spirituale. Il cammino della formazione umana del Vescovo è intrinsecamente unito alla sua maturazione spirituale personale. La missione santificatrice del Vescovo gli richiede di assimilare e vivere la vita nuova della grazia battesimale e quella del ministero pastorale a cui è stato chiamato dallo Spirito Santo, nella continua conversione e nella condivisione sempre più profonda dei sentimenti e degli atteggiamenti di Gesù Cristo.

La continua formazione spirituale permetterà al Vescovo di animare la pastorale dell’autentico spirito di santità, promuovendo l’universale chiamata alla santità, di cui egli deve essere l’instancabile sostenitore.


52 Formazione intellettuale e dottrinale. Il Vescovo, consapevole di essere nella Chiesa particolare il moderatore di tutto il ministero della Parola (138) e di aver ricevuto il ministero di araldo della fede, di dottore autentico e di testimone della divina e cattolica verità, dovrà approfondire la sua preparazione intellettuale, attraverso lo studio personale e l’aggiornamento culturale serio e impegnato. Il Vescovo, infatti deve saper cogliere e valutare le correnti di pensiero, gli orientamenti antropologici e scientifici del nostro tempo per discernerli e rispondere, alla luce della Parola di Dio e nella fedeltà alla dottrina e disciplina della Chiesa, alle nuove domande che sorgono dalla società.

L’aggiornamento teologico sarà necessario al Vescovo per approfondire l’insondabile ricchezza del mistero rivelato, custodire ed esporre fedelmente il deposito della fede, condurre un rapporto di collaborazione rispettoso e fecondo con i teologi. Tale dialogo permetterà nuovi approfondimenti del mistero cristiano nella sua verità più profonda, una intelligenza sempre più viva della Parola di Dio, l’acquisizione di metodi e i linguaggi appropriati per presentarlo al mondo contemporaneo. Attraverso l’aggiornamento teologico, il Vescovo potrà fondare sempre più adeguatamente la sua funzione magisteriale per illuminare il Popolo di Dio. L’aggiornata conoscenza teologica permetterà al Vescovo anche di vigilare affinché le varie proposte teologiche che vengono avanzate siano conformi ai contenuti della Tradizione, respingendo le obiezioni alla sana dottrina e le sue deformazioni.


53 Formazione pastorale. La formazione permanente del Vescovo riguarda anche la dimensione pastorale che finalizza e conferisce determinati contenuti e precise caratteristiche agli altri aspetti della formazione del Vescovo. Il cammino della Chiesa che vive nel mondo richiede al Vescovo di essere attento ai segni dei tempi e di aggiornare gli stili ed i comportamenti, in modo che la sua azione pastorale sia più efficace e risponda alle esigenze della società.

La formazione pastorale richiede nel Vescovo il discernimento evangelico della situazione socio-culturale, momenti di ascolto, di comunione e di dialogo con il proprio presbiterio, soprattutto con i parroci che, per la loro missione, possono avvertire con maggiore sensibilità i cambiamenti e le esigenze dell’evangelizzazione. Sarà prezioso per il Vescovo scambiare con loro esperienze, verificare metodi e valutare nuove risorse pastorali. L’apporto ed il dialogo con pastoralisti e con esperti nelle scienze socio-pedagogiche aiuterà il Vescovo nella sua formazione pastorale, come lo aiuteranno la conoscenza e l’approfondimento della legge, dei testi e dello spirito della liturgia.

I quattro aspetti della formazione permanente, umana, spirituale, intellettuale-dottrinale e pastorale pur nella loro complementarietà, devono essere perseguiti unitariamente dal Vescovo. Tutta la sua formazione è finalizzata ad una più profonda conoscenza del volto di Cristo e ad una comunione di vita con il Buon Pastore. Nel volto del Vescovo i fedeli contemplino le qualità che sono dono della grazia e che nella proclamazione delle Beatitudini corrispondono all’autoritratto di Cristo: il volto della povertà, della mitezza e della passione per la giustizia; il volto misericordioso del Padre e dell’uomo pacifico e pacificatore, costruttore della pace; il volto della purezza di chi guarda costantemente ed unicamente a Dio e che rivive la compassione di Gesù con gli afflitti; il volto della fortezza e della gioia interiore di chi è perseguitato a causa della verità del Vangelo.


54 I mezzi della formazione permanente. Come gli altri membri del Popolo di Dio sono i primi responsabili della propria formazione, così il Vescovo dovrà sentire come proprio dovere quello di attivarsi personalmente per la sua costante formazione integrale. In forza della sua missione nella Chiesa, egli dovrà dare soprattutto in questo campo l’esempio ai fedeli che guardano a lui come modello del discepolo che si pone alla scuola di Cristo per seguirlo con quotidiana fedeltà nella via della verità e dell’amore, plasmando la propria umanità con la grazia della comunione divina. Per la sua formazione permanente, il Vescovo attuerà quei mezzi che la Chiesa ha sempre suggerito e che sono indispensabili per caratterizzare la spiritualità del Vescovo e, più in generale, per confidare nella grazia. La comunione con Dio nella preghiera quotidiana darà quella serenità di spirito e quella prudente intelligenza che permetteranno al Vescovo di accogliere le persone con paterna disponibilità e valutare con la necessaria ponderatezza le varie questioni del governo pastorale.

L’esercizio di una ricca umanità, sapiente, equilibrata, gioiosa, paziente sarà facilitato dal necessario riposo. Sull’esempio stesso di Gesù, che invitava gli Apostoli a riposarsi dopo le fatiche del ministero (cf. Mc
Mc 6,31), non dovranno mancare nella giornata del Vescovo sufficienti ore di riposo, periodicamente un giorno libero, un tempo di vacanza all’anno, secondo le norme stabilite dalla disciplina della Chiesa (139). Il Vescovo dovrà tener presente che la Sacra Scrittura per indicare la necessità del riposo si esprime dicendo che Dio stesso, al termine dell’opera della creazione, si riposò il settimo giorno (cf. Gen Gn 2,2).

Tra i mezzi per la propria formazione permanente, il Vescovo dovrà privilegiare l’approfondimento dei documenti dottrinali e pastorali del Romano Pontefice, della Curia Romana, della Conferenza Episcopale e dei confratelli Vescovi, non solo per essere in comunione con il Successore di Pietro e con la Chiesa universale, ma anche per trarne orientamento per la sua opera pastorale e per saper illuminare i fedeli davanti alle grandi questioni che la società contemporanea continuamente pone ai cristiani. Il Vescovo dovrà seguire, attraverso lo studio, il cammino della teologia, per approfondire la conoscenza del mistero cristiano, per valutare, discernere e vigilare sulla purezza e l’integrità della fede. Con lo stesso impegno, il Vescovo seguirà le correnti culturali e sociali di pensiero per comprendere “i segni dei tempi” e valutarli alla luce della fede, del patrimonio del pensiero cristiano e della filosofia perennemente valida.

Con particolare sollecitudine il Vescovo parteciperà, per quanto possibile, agli incontri di formazione organizzati dalle varie istanze ecclesiali: da quello che la Congregazione per i Vescovi organizza annualmente per i Presuli ordinati nell’anno, a quelli organizzati dalle Conferenze Episcopali Nazionali o Regionali o dai Consigli internazionali di esse.

Occasioni per la formazione permanente del Vescovo sono anche gli incontri del presbiterio diocesano che egli stesso organizza insieme ai suoi collaboratori nella Chiesa particolare o le altre iniziative culturali attraverso le quali viene gettato il seme della verità nel campo del mondo. Su alcuni temi di grande importanza, il Vescovo non mancherà di prevedere momenti prolungati di ascolto, di dialogo con persone esperte, in una comunione di esperienze, di metodi, di nuove risorse di pastorale e di vita spirituale.

Il Vescovo non dovrà mai dimenticare che la vita di comunione con gli altri membri del Popolo di Dio, la vita quotidiana della Chiesa ed il contatto con i presbiteri ed i fedeli rappresentano sempre momenti in cui lo Spirito parla al Vescovo, richiamandogli la sua vocazione e missione e formando il suo cuore attraverso la vita viva della Chiesa. è per questo che il Vescovo dovrà porsi in atteggiamento di ascolto di quanto lo Spirito dice alla Chiesa e nella Chiesa.


Capitolo IV

IL MINISTERO DEL VESCOVO


NELLA CHIESA PARTICOLARE


“Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo

non per forza ma volentieri, secondo Dio; non per vile interesse,

ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi

affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà

il pastore supremo, riceverete la corona della gloria che

non appassisce” (1P 5,2-4).

I. Principi Generali sul Governo Pastorale del Vescovo


55 Alcuni principi fondamentali. Nello svolgimento del ministero episcopale, il Vescovo diocesano si lascerà guidare da alcuni principi fondamentali che caratterizzano il suo modo di agire ed informano la sua stessa vita. Tali principi restano validi al di là delle circostanze di luogo e di tempo e sono il segno della sollecitudine pastorale del Vescovo verso la Chiesa particolare che gli è stata affidata e verso la Chiesa universale di cui è corresponsabile, in quanto membro del Collegio dei Vescovi con a capo il Romano Pontefice.


56 Il principio Trinitario. Il Vescovo non dimentica che è stato posto a reggere la Chiesa di Dio nel nome del Padre, del quale rende presente l’immagine; nel nome di Gesù Cristo suo Figlio, dal quale è stato costituito maestro, sacerdote e pastore; nel nome dello Spirito Santo che dà vita alla Chiesa (140). Lo Spirito Santo sostiene costantemente la sua missione pastorale (141) e salvaguarda l’unica sovranità di Cristo. Rendendo presente il Signore, attuando la sua parola, la sua grazia, la sua legge, il ministero del Vescovo è un servizio agli uomini che aiuta a conoscere e a seguire la volontà dell’unico Signore di tutti.


57 Il principio della verità. In quanto maestro e dottore autentico della fede, il Vescovo fa della verità rivelata il centro della sua azione pastorale ed il primo criterio con il quale valuta opinioni e proposte che emergono sia nella comunità cristiana che nella società civile e, nello stesso tempo, con la luce della verità illumina il cammino della comunità umana, donando speranza e certezze. La Parola di Dio ed il Magistero della tradizione viva della Chiesa sono punti irrinunciabili di riferimento non solo per l’insegnamento del Vescovo, ma anche per il suo governo pastorale. Il buon governo chiede al Vescovo di ricercare personalmente con tutte le sue forze la verità e di impegnarsi a perfezionare il suo insegnamento e a curare, più che la quantità, la qualità dei suoi pronunciamenti. In tal modo eviterà il rischio di adottare soluzioni pastorali che sono solamente formali ma non rispondenti all’essenza e alla realtà dei problemi. La pastorale è autentica quando è ancorata alla verità.


58 Il principio della comunione. Nell’esercitare il ministero pastorale, il Vescovo si sente e si comporta come “visibile principio e fondamento”(142) dell’unità della sua diocesi, ma sempre con l’animo e con l’azione rivolti all’unità dell’intera Chiesa cattolica. Egli promuoverà l’unità di fede, di amore e di disciplina, in modo che la diocesi si senta parte viva dell’intero Popolo di Dio. La promozione e la ricerca dell’unità, sarà proposta non come sterile uniformità, ma insieme alla legittima varietà, che il Vescovo è pure chiamato a tutelare e a promuovere. La comunione ecclesiale condurrà il Vescovo a ricercare sempre il bene comune della diocesi, ricordando che questo è subordinato a quello della Chiesa universale e che, a sua volta, il bene della diocesi prevale su quello delle comunità particolari. Per non ostacolare il legittimo bene particolare, il Vescovo si preoccupi di avere un’esatta conoscenza del bene comune della Chiesa particolare: conoscenza continuamente da aggiornare e verificare attraverso la frequentazione del Popolo di Dio affidatogli, la conoscenza delle persone, lo studio, le indagini socio-religiose, i consigli di persone prudenti, il dialogo costante con i fedeli, giacché le situazioni oggi sono soggette a rapidi mutamenti.


59 Il principio della collaborazione. L’ecclesiologia di comunione impegna il Vescovo a promuovere la partecipazione di tutti i membri del popolo cristiano all’unica missione della Chiesa; infatti tutti i cristiani, sia singolarmente sia associati tra loro, hanno il diritto e il dovere di collaborare, ciascuno secondo la propria vocazione particolare e secondo i doni ricevuti dallo Spirito Santo, alla missione che Cristo ha affidato alla Chiesa (143). I battezzati godono di una giusta libertà di opinione e di azione nelle cose non necessarie al bene comune. Nel governare la diocesi il Vescovo volentieri riconosca e rispetti questo sano pluralismo di responsabilità e questa giusta libertà sia delle persone sia delle associazioni particolari. Volentieri egli partecipi agli altri il senso della responsabilità individuale e comunitaria, e lo stimoli in coloro che occupano uffici e incarichi ecclesiali, manifestando loro tutta la sua fiducia: così essi assumeranno consapevolezza e adempiranno con zelo i compiti loro spettanti per vocazione o per disposizione dei sacri canoni.


60 Il principio del rispetto delle competenze. Il Vescovo, nel guidare la Chiesa particolare, attuerà il principio secondo il quale ciò che altri possono svolgere bene il Vescovo ordinariamente non lo accentra nelle sue mani; anzi, si mostra rispettoso delle legittime competenze altrui, concede ai collaboratori le opportune facoltà e favorisce le giuste iniziative, sia individuali sia associate, dei fedeli. Il Vescovo ritenga suo dovere non solo stimolare, incoraggiare e accrescere le forze che operano nella diocesi, ma anche coordinarle tra loro, salvi sempre la libertà e i diritti legittimi dei fedeli; così si evitano dannose dispersioni, inutili doppioni, deleterie discordie.

Quando nel proprio territorio diocesano concorrano altre giurisdizioni ecclesiastiche di tipo personale, sia di rito latino (es. ordinariati militari, ecc.), sia di rito orientale, il Vescovo diocesano mostrerà il rispetto per le competenze delle altre autorità ecclesiastiche e la piena disponibilità per un fruttuoso coordinamento con esse, nello spirito pastorale e di collegialità affettiva.


61 Il principio della persona giusta al posto giusto. Nel conferire gli uffici all’interno della diocesi, il Vescovo sia guidato unicamente da criteri soprannaturali e dal solo bene pastorale della Chiesa particolare. Perciò egli guardi anzitutto al bene delle anime, rispetti la dignità delle persone e ne utilizzi le capacità, nel modo più idoneo e utile possibile, a servizio della comunità, assegnando sempre la persona giusta al posto giusto.


62 Il principio di giustizia e di legalità. Il Vescovo nel guidare la diocesi si atterrà al principio di giustizia e di legalità, sapendo che il rispetto dei diritti di tutti nella Chiesa esige la sottomissione di tutti, incluso egli stesso, alle leggi canoniche. I fedeli infatti hanno il diritto di essere guidati tenendo presenti i diritti fondamentali della persona, quelli dei fedeli e la disciplina comune della Chiesa, a tutela del bene comune e di quello dei singoli battezzati. Tale esempio del Vescovo condurrà i fedeli ad assolvere meglio i doveri di ciascuno nei confronti degli altri e della stessa Chiesa. Egli eviterà di governare secondo visioni e schemi personalistici riguardanti la realtà ecclesiale.

II. La potestà episcopale


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