Direttorio Vescovi 2004 186

d) Il Capitolo dei canonici


186 Compiti del Capitolo e nomina dei canonici. “Il Capitolo di canonici, cattedrale o collegiale, è un collegio di sacerdoti, al quale spetta celebrare le funzioni liturgiche più solenni nella chiesa Cattedrale o nella collegiata; compete inoltre al Capitolo adempiere quegli uffici che il diritto o il Vescovo diocesano gli affidino” (565). Per formare parte del Capitolo, il Vescovo chiamisacerdoti esperti che si distinguano per la dottrina e l’esempio della loro vita sacerdotale, anche tra coloro che attualmente esercitano uffici di rilievo nella diocesi, tenendo tuttavia presente che il Vicario Generale, i Vicari Episcopali e i consanguinei del Vescovo fino al quarto grado non possono ricoprire l’incarico di canonico penitenziere (566).


187 Erezione, modifica e soppressione del Capitolo. L’erezione, che non è obbligatoria, del Capitolo della Cattedrale, la sua modificazione o soppressione sono riservate alla Sede Apostolica (567). Nel rispetto delle leggi di fondazione e tenendo presenti i costumi e gli usi locali, lo stesso Capitolo elabora i propri Statuti, che vengono poi presentati all’approvazione del Vescovo (568). Risulta conveniente compilare un regolamento, in cui si contemplino questioni più dettagliate sul modo di procedere.


188 Uffici nel Capitolo. Ogni Capitolo ha un presidente, come primus inter pares e moderatore delle riunioni. Gli Statuti possono determinare che il presidente sia eletto dai canonici, nel cui caso necessita anche della conferma del Vescovo (569). Tra gli altri uffici del Capitolo — tutti di libera determinazione episcopale (570) – deve annoverarsi quello del penitenziere, con l’importante funzione di assolvere dalle censure canoniche nel foro interno (571). Laddove non è stato costituito il Capitolo dei canonici, il Vescovo deve nominare un sacerdote che svolga le funzioni di penitenziere (572).

e) Il Vescovo amministratore dei beni ecclesiastici della diocesi. L’Economo ed il Consiglio per gli Affari Economici


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Compiti del Vescovo nell’amministrazione dei beni patrimoniali.

In ragione della presidenza che gli compete nella Chiesa particolare, spetta al Vescovo l’organizzazione di quanto relativo all’amministrazione dei beni ecclesiastici, mediante opportune norme e indicazioni, in armonia con le direttive della Sede Apostolica e valendosi degli eventuali orientamenti e sussidi della Conferenza Episcopale (573).

Inoltre, in quanto amministratore unico della diocesi, gli compete:

– vigilare, affinché non si insinuino abusi, sull’amministrazione di tutti i beni delle persone giuridiche che gli siano soggette (574); stabilire mediante decreto, dopo aver udito il Consiglio diocesano per gli affari economici, quali atti eccedono i limiti e le modalità dell’amministrazione ordinaria; alienare, con il consenso del Consiglio diocesano per gli affari economici e del Collegio dei Consultori, i beni il cui valore sta tra la somma minima e la somma massima stabilita dalla Conferenza Episcopale. Per le alienazioni di beni il cui valore ecceda la somma massima oppure di ex voto o di oggetti preziosi di valore artistico o storico, si richiede anche la licenza della Santa Sede (575);

– dare esecuzione alle donazioni e disposizioni “mortis causa” (chiamate “pie volontà) in favore delle cause pie. Dovrà in questo caso compiere o far compiere la volontà del benefattore (576).

Nell’amministrazione dei beni, supposta sempre l’osservanza della giustizia, il Vescovo deve occuparsi in primo luogo delle necessità del culto, della carità, dell’apostolato e del sostentamento del clero, subordinando ad esse qualunque altra finalità.

(573) Cf. Codex Iuris Canonici, can. CIC 1276 § 2.
(574) Cf. Codex Iuris Canonici, can. CIC 1276 § 1.
(575) Cf. Codex Iuris Canonici, cann. CIC 392 § 2; CIC 1281 §§ 1-2; CIC 1292 §§ 1-2.
(576) Cf. Codex Iuris Canonici, cann. CIC 1300 CIC 1301.

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Principali criteri che debbono guidare l’amministrazione dei beni.

Tali criteri basilari sono i seguenti:

a) Il criterio di competenza pastorale e tecnica: “l’amministrazione economica della diocesi sia affidata a persone competenti oltre che oneste, in modo che la si possa proporre come esempio di trasparenza per tutte le altre analoghe istituzioni ecclesiastiche” (577). Il Vescovo, infatti, deve sollecitare la collaborazione del Collegio dei consultori e del Consiglio per gli affari economici nelle materie determinate dalla legge universale della Chiesa (578) e anche quando l’importanza del caso o le sue peculiari circostanze impongano tale regola di prudenza.

b) Il criterio di partecipazione: il Vescovo deve far partecipe il clero diocesano, attraverso il Consiglio Presbiterale, delle decisioni importanti che vuole adottare in materia economica, e chiederne il parere al riguardo (579). Secondo la natura del caso, può essere utile interpellare anche il Consiglio pastorale diocesano.

È altresì opportuno che la comunità diocesana sia al corrente della situazione economica della diocesi. Perciò, a meno che in qualche caso la prudenza suggerisca diversamente, il Vescovo prescriverà di rendere pubblici i rapporti economici alla fine di ogni anno e alla conclusione delle opere diocesane. Parimenti potranno procedere le parrocchie e le altre istituzioni, sotto la vigilanza del Vescovo.

c) Il criterio ascetico, che, secondo lo spirito evangelico, esige che i discepoli di Cristo usino del mondo come se non usassero di esso (cf. 1Co 7,31), e che debbono perciò essere moderati e disinteressati, fiduciosi nella divina provvidenza e generosi con chi è nel bisogno, conservando sempre il vincolo dell’amore.

d) Il criterio apostolico, che induce ad utilizzare i beni come strumento al servizio dell’evangelizzazione e della catechesi. Questa regola deve guidare l’uso dei mezzi di comunicazione e dell’informatica, l’organizzazione delle esposizioni e mostre di arte sacra, le visite guidate a monumenti religiosi, ecc.

e) Il criterio del buon padre di famiglia nel modo diligente e responsabile di condurre l’amministrazione (580). Come manifestazioni particolari di questo criterio, il Vescovo:

– curerà che sia messa al sicuro la proprietà dei beni ecclesiastici in modi validi civilmente e farà osservare le disposizioni canoniche e civili o quelle imposte dal fondatore o dal donatore o dalla legittima autorità. Inoltre, sarà attento che dall’inosservanza della legge civile non derivi danno alla Chiesa (581);

– nell’affidare i lavori osserverà e farà osservare accuratamente le leggi civili relative al lavoro e alla vita sociale, tenendo conto dei principi della Chiesa (582);

– farà osservare le prescrizioni del diritto civile, in special modo quelle relative ai contratti (583) e alle disposizioni “mortis causa” in favore della Chiesa (584);

– dovrà conoscere e far osservare le decisioni della Conferenza Episcopale circa gli atti di amministrazione straordinaria (585) e le condizioni per la cessione e la locazione di beni ecclesiastici (586);

– provvederà ad inculcare nei pastori e nei custodi di beni un forte senso di responsabilità per la loro conservazione, in modo da impiegare ogni misura di sicurezza per evitare i furti (587);

– promuoverà la preparazione e l’aggiornamento di inventari, anche fotografici, nei quali vengano chiaramente enumerati e descritti i beni immobili e mobili preziosi o di valore culturale (588).

(577) Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Pastores Gregis, .
(578) Cf. Codex Iuris Canonici, can. CIC 1277 ed anche i seguenti canoni: CIC 494 §§ 1-2; CIC 1263; CIC 1281 § 2; CIC 1287 § 1; CIC 1292 CIC 1295 CIC 1304 CIC 1305 CIC 1310 § 2.
(579) Cf. Codex Iuris Canonici, can. CIC 500 § 2.
(580) Cf. Codex Iuris Canonici, can. CIC 1284 § 1; Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Pastores Gregis, .
(581) Cf. Codex Iuris Canonici, can. CIC 1284 § 2, 2° e 3°.
(582) Cf. Codex Iuris Canonici, can. CIC 1286, 1°.
(583) Cf. Codex Iuris Canonici, can. CIC 1290.
(584) Cf. Codex Iuris Canonici, can. CIC 1299 § 2.
(585) Cf. Codex Iuris Canonici, can. CIC 1277.
(586) Cf. Codex Iuris Canonici, cann. CIC 1292 § 1 e CIC 1297.
(587) Cf. Codex Iuris Canonici, can. CIC 1220 § 2.
(588) Cf. Codex Iuris Canonici, can. CIC 1283, 2°.

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Enti patrimoniali per la copertura delle spese della diocesi.

Per far fronte alle principali necessità economiche, la disciplina canonica prevede la creazione di due istituti:

a) La diocesi deve provvedere alla remunerazione dei chierici che vi prestano servizio, mediante la costituzione di un istituto o ente speciale per la raccolta dei beni e delle offerte dei fedeli, oppure in un altro modo (589).

b) Nella misura in cui sia necessario, si costituirà anche una “massa comune” diocesana, per sovvenire alle altre necessità della diocesi e per aiutare le diocesi più povere. Tuttavia, a questa finalità si può provvedere anche mediante convenzioni e istituzioni di ambito interdiocesano o nazionale (590).

È auspicabile che tutte queste istituzioni si costituiscano in modo che abbiano valore anche di fronte alle leggi civili (591).

(589) Cf. Codex Iuris Canonici, can. CIC 1274 § 1.
(590) Cf. Codex Iuris Canonici, can. CIC 1274 §§ 3-4.
(591) Cf. Codex Iuris Canonici, can. CIC 1274 § 5.

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Partecipazione dei fedeli al sostentamento della Chiesa.

Il Vescovo provveda con mezzi idonei acciocché i fedeli siano educati a partecipare al sostentamento della Chiesa, come membri attivi e responsabili; così tutti sentiranno come proprie le opere ecclesiali e le attività benefiche e saranno lieti di collaborare alla buona amministrazione dei beni (592).

Per sovvenire alle necessità della Chiesa, il Vescovo solleciti la generosità dei fedeli tramiteofferte ed elemosine, secondo le norme date dalla Conferenza Episcopale (593). Ha inoltre competenza per:

– imporre tributi moderati, osservando le condizioni canoniche (594);

– stabilire, quando convenga, collette speciali in favore delle necessità della Chiesa (595);

– dettare norme sulla destinazione delle offerte ricevute dai fedeli in occasione delle funzioni liturgiche e sulla rimunerazione dei sacerdoti addetti a tali funzioni (596).

A tale riguardo il Vescovo deve attentamente ponderare la reale ed onesta necessità di reperire fondi, ma anche l’opportunità di non aggravare i fedeli con eccessive richieste economiche.

Il Vescovo, infine, non trascuri di istruire ed eventualmente di informare i fedeli sul significato delleofferte di Messe e offerte compiute in occasione dell’amministrazione dei sacramenti e sacramentali, in rapporto al sostentamento del culto e dei sacri ministri e l’aiuto ai poveri; e istruisca i chierici perché si eviti in questa materia ogni apparenza di interesse profano (597).

(592) Cf. Codex Iuris Canonici, cann. CIC 222 § 1 e CIC 1261 § 2; Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Pastores Gregis, .
(593) Cf. Codex Iuris Canonici, cann. CIC 1262 e CIC 1265 § 2.
(594) Cf. Codex Iuris Canonici, cann. CIC 1262 e CIC 1263.
(595) Cf. Codex Iuris Canonici, can. CIC 1266.
(596) Cf. Codex Iuris Canonici, can. CIC 531.
(597) Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decreto Presbyterorum Ordinis, PO 20-21; Codex Iuris Canonici,cann. CIC 1264, 2° e CIC 952; Congregazione per il Clero, Decreto, Mos iugiter.

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Il Consiglio Diocesano per gli Affari Economici e l’Economo.

In ogni diocesi si deve costituire un Consiglio per gli affari economici, presieduto dal Vescovo o da un suo delegato (598). Simili Consigli dovranno costituirsi anche in ciascuna parrocchia e nelle altre persone giuridiche (599). Per integrare tali organi ci si affiderà a fedeli scelti per la conoscenza della materia economica e del diritto civile, dotati di riconosciuta onestà e di amore per la Chiesa e per l’apostolato. Là dove sia instaurato il ministero, occorre fare in modo che i diaconi permanenti partecipino a questi organi, secondo il proprio carisma.

Insieme al Consiglio diocesano per gli affari economici, il Vescovo esamini i progetti delle opere, i bilanci, i piani di finanziamento, ecc., e prenda decisioni conformi al diritto. Inoltre, il Consiglio diocesano per gli affari economici, unitamente al Collegio dei Consultori deve essere ascoltatoper gli atti di amministrazione che, attesa la situazione economica della diocesi, sono di maggiore importanza; per gli atti di amministrazione straordinaria (stabiliti dalla Conferenza Episcopale) il Vescovo necessita del consenso del Collegio dei Consultori e del Consiglio diocesano per gli affari economici. Nell’esecuzione materiale dei diversi atti di amministrazione, salva la sua competenza, il Vescovo si avvarrà della collaborazione dell’economo diocesano (600).

La diocesi deve avere infatti anche un economo, che deve essere nominato dal Vescovo per un quinquennio, rinnovabile, dopo aver sentito il Collegio dei consultori e quello per gli affari economici.

L’economo, che può essere anche un diacono permanente o un laico, deve possedere una grande esperienza in campo economico-amministrativo ed essere a conoscenza della legislazione canonica e civile riguardante i beni temporali e le eventuali intese o leggi civili circa i beni ecclesiastici.

L’economo diocesano deve amministrare i beni della diocesi, sotto l’autorità del Vescovo, secondo le modalità approvate dal Consiglio per gli affari economici e secondo il preventivo approvato. Alla fine di ogni anno, l’economo deve rendere conto delle entrate e delle uscite al Consiglio per gli affari economici (601).

(598) Cf. Codex Iuris Canonici, can. CIC 492.
(599) Cf. Codex Iuris Canonici, cann. CIC 537 CIC 1280.
(600) Cf. Codex Iuris Canonici, cann. CIC 1277 CIC 1292.
(601) Cf. Codex Iuris Canonici, can. CIC 494.

IV. L’esercizio della Carità

194 Seguendo le orme di Cristo. Cristo ha lasciato ai suoi discepoli il mandato della carità: “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Jn 13,34). La carità è amare come Cristo. Per testimoniare ciò, i membri della Chiesa hanno dato vita a innumerevoli opere di carità. La Chiesa infatti sa che la sua missione, quantunque sia di natura spirituale, abbraccia anche gli aspetti temporali della vita umana, giacché la realizzazione dei piani di Dio per l’uomo vincola saldamente l’annuncio evangelico e la promozione umana (602). Questa convinzione si traduce nelle molteplici forme di aiuto e beneficio integrale dei poveri, degli oppressi, degli emarginati, di quanti si trovano in situazioni di indigenza e di debolezza, e che la Chiesa guarda con amore preferenziale (603).

Con uguale attenzione e sollecitudine, la Chiesa mediante le sue opere assistenziali cerca di alleviare la “sofferenza dell’anima” e la “sofferenza del corpo”. Tale impegno è espresso nel dovere cristiano di compiere le opere di misericordia corporale e spirituale (604). Tali opere sono state praticate nella Chiesa fin dai suoi inizi, mediante le elemosine (cf. At Ac 9,36 Eb He 13,16), la distribuzione dei beni (cf. At Ac 2,44-45 Ac 4,32-34), le mense comuni (cf. At Ac 6,2) e le collette per i poveri (cf. At Ac 9,36 At Ac 9,39 Ac 10,2 Ac 10,31 Gal Ga 2,9-10). All’inizio vennero scelti sette uomini che gli Apostoli, con la preghiera e l’imposizione delle mani, destinarono a tale ministero caritativo (cf. At Ac 6,2-6). Anche nella comunità cristiana di oggi la carità deve mantenere il suo posto preminente e suggerire nuove forme di assistenza e promozione, che si aggiungano a quelle tradizionali.


195 La Chiesa, comunità di carità. La responsabilità del Vescovo nell’ambito della carità appare fin dalla liturgia dell’ordinazione episcopale, quando al candidato viene posta la domanda specifica: “Vuoi essere sempre accogliente e misericordioso, nel nome del Signore, verso i poveri e tutti i bisognosi di conforto e di aiuto?”. In tale modo il Vescovo, cosciente della sua funzione di presidente e ministro della carità nella Chiesa, mentre compie personalmente tale compito in tutte le forme che le condizioni della popolazione richiedano e i mezzi a sua disposizione gli consentano, cerca di infondere in tutti i fedeli — chierici, religiosi e laici — reali sentimenti di carità e di misericordia verso quanti siano per qualche ragione “affaticati e oppressi” (Mt 11,28), cosicché in tutta la diocesi regni la carità come accoglienza e testimonianza del comandamento di Gesù Cristo (605). In questo modo, i fedeli sperimenteranno che la Chiesa è una vera famiglia di Dio riunita nell’amore fraterno (cf. 1P 1,22) e saranno molti gli uomini e le donne desiderosi di seguire Cristo.

Pertanto, il Vescovo, secondo il modello del buon samaritano (cf. Lc Lc 10,25-37), provveda affinché i fedeli siano istruiti, esortati ed opportunamente aiutati a praticare tutte le opere di misericordia, sia personalmente nelle circostanze concrete della loro vita, sia partecipando alle diverse forme organizzate di carità. Trova così espressione nella vita cristiana quella reciproca relazione che esiste tra predicazione, liturgia e testimonianza. Animati dall’ascolto della Parola e nutriti dai Sacramenti, i fedeli si adopereranno in quell’esercizio della carità che dà prova autentica della fede che professano. Nella carità si manifesta, infatti, quel comandamento nuovo che rivela al mondo la natura nuova dei figli di Dio.

Il Vescovo sostenga e favorisca perciò tutte quelle iniziative di carità che, nel corso della storia e nei nostri giorni, sono sorte e continuano a nascere per l’assistenza e la promozione integrale dei più poveri, tanto nei paesi sviluppati come quelli in via di sviluppo. Abbia cura, altresì, della formazione permanente dei fedeli impegnati in tali iniziative a livello direttivo ed operativo.

Il ministero della carità, anche se è obbligo di tutti i ministri, è parte specifica del carisma diaconale (606). Per questa ragione, tutti i candidati agli ordini sacri, ma in particolare gli aspiranti al diaconato permanente, dovranno prepararsi all’attività caritativa mediante un’adeguata formazione, che andrà perfezionata poi alla luce dell’esperienza. I diaconi permanenti, secondo la personale capacità, possono essere d’aiuto all’amministrazione economica della diocesi.

La cura pastorale della Chiesa si rivolgerà anche agli operatori sociali e ai professionisti del mondo della sanità, e a maggior ragione se lavorano in istituzioni sanitarie cattoliche, affinché questi fedeli scoprano il significato vocazionale del loro lavoro professionale, che richiede indubbiamente competenza tecnica, ma anche una delicata sensibilità per le necessità umane e spirituali delle persone e dei pazienti (607).


196 Le opere assistenziali della diocesi. Se nella diocesi già esistono opere di carità e di assistenza, il Vescovo faccia in modo che crescano e si perfezionino sempre più e, se è necessario, se ne creino altre, corrispondenti ai nuovi bisogni: soprattutto nel campo dell’assistenza ai bambini, ai giovani, agli anziani, ai malati e agli invalidi, agli emigrati e ai rifugiati, per i quali deve essere sempre aperta e disponibile la diaconia della carità della Chiesa (608). Le grandi città sollecitano in particolare la creatività dei Pastori, poiché nelle metropoli la povertà si presenta sotto nuovi aspetti: basti pensare al gran numero di operai di diverse razze e nazioni, alle famiglie prive di alloggio o vitto, o a chi vive nelle baracche, ai giovani dediti alla droga. Neppure vanno dimenticate quelle grandi povertà dello spirito, oggi sempre più diffuse, come la mancanza del senso della vita, la solitudine e l’assenza di speranza.

Per realizzare l’assistenza ai bisognosi in maniera efficace, il Vescovo promuova nella diocesi laCaritas diocesana o altre simili istituzioni che, da lui presiedute, animano il senso della carità fraterna in tutta la diocesi e promuovono la generosa collaborazione dei fedeli diocesani alle opere caritative della Chiesa particolare, in quanto manifestazioni della carità cattolica. La Caritas diocesana, a seconda delle circostanze, potrà collaborare con analoghe istituzioni civili. La trasparenza nel suo operare e la sua fedeltà al dovere di testimonianza dell’amore, le consentirà di animare cristianamente quelle istituzioni civili e, talora, anche di poterle coordinare. In ogni caso, la Caritas diocesana parteciperà a tutte le iniziative autenticamente umanitarie per testimoniare la presenza e la solidarietà della Chiesa con i bisogni umani. Il Vescovo abbia cura che anche i fedeli laici che operano in tali istituzioni civili possano avere un’adeguata formazione spirituale affinché possano offrire competente e coerente testimonianza. Il Vescovo, allo stesso tempo, stabilirà che, per quanto possibile, in ciascuna parrocchia sia presente la Caritas parrocchiale che, unita a quella diocesana, si farà strumento di animazione e di sensibilizzazione e di coordinamento nella comunità parrocchiale della carità di Cristo. Sarebbe molto opportuno che in ciascuna istituzione dipendente dall’autorità ecclesiastica, vi fosse la presenza di associazioni finalizzate al riconoscimento dei casi di bisogno, sia fisico che spirituale, alla raccolta di aiuti e al consolidamento di rapporti di carità tra benefattori e beneficiati.


197 Spirito genuino delle opere assistenziali della Chiesa. Ogni attività caritativa del Vescovo e della comunità cristiana deve spiccare per rettitudine, lealtà, magnanimità e così manifestare l’amore gratuito di Dio verso l’uomo, “che fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Mt 5,45).

Senza mai convertire le opere di carità in uno strumento di disonesto proselitismo, il Vescovo e la comunità diocesana si propongano di dare attraverso di esse testimonianza del Vangelo e indurre i cuori all’ascolto della Parola di Dio e alla conversione. Tutte le opere di pietà e di assistenza realizzate dalla comunità cristiana debbono manifestare lo spirito di carità soprannaturale che le anima, per essere argomento eloquente che spinga i cuori a glorificare il Padre celeste (cf. Mt Mt 5,16). Per il compimento delle opere di promozione umana e di assistenza alle popolazioni colpite da calamità, il Vescovo, quando sia opportuno e secondo le norme e gli orientamenti della Sede Apostolica, abbia cura di favorire le relazioni degli organismi caritativi diocesani con quelli paritetici dei fratelli separati affinché attraverso l’aiuto concorde si testimoni l’unità nella carità di Cristo e si faciliti la reciproca conoscenza, che un giorno potrebbe prender forma, con l’aiuto divino, nella desiderata unione di quanti confessano il nome di Cristo. Al Vescovo compete di dare il via a tale relazioni, di disciplinarle e di vigilare sull’azione ecumenica degli organismi caritativi diocesani.


198 Rapporti tra l’assistenza della Chiesa e l’assistenza pubblica e privata. Benché sappia che l’autorità civile ha il dovere e il merito di intervenire nei diversi settori dell’assistenza sanitaria e sociale per provvedere nel migliore dei modi ai bisogni di tutti, il Vescovo non dimentichi che nel mondo ci saranno sempre poveri (cf. Mt Mt 26,11), cioè persone bisognose nel campo spirituale, psicologico o materiale, e perciò affidate alla carità della Chiesa. Inoltre, la Chiesa ha in questo campo una missione insostituibile da compiere, che deriva dalla virtù soprannaturale della carità.

Il Vescovo eviti ogni apparenza di competizione delle opere di carità diocesane con altre istituzioni simili pubbliche o private e invece favorisca la reciproca stima e la collaborazione tra le une e le altre. Tuttavia rivendichi alla Chiesa il diritto di assistere i bisognosi e di essere presente laddove vi è qualsiasi tipo di necessità spirituale o materiale e in questo ambito non consenta alcun monopolio. Si preoccupi, infine, che le opere e le istituzioni assistenziali promosse dalla Chiesa si adattino tanto alle esigenze del progresso tecnico e scientifico che alla legislazione civile.


V. Importanza del “servizio sociale” e del volontariato

199 Gli assistenti sociali ed i volontari. Tra le moderne iniziative assistenziali, occupa una posizione di rilievo il cosiddetto servizio sociale, che si realizza specialmente nelle fabbriche e nei posti di lavoro, nelle famiglie, nei quartieri popolari, nei sobborghi delle città, nelle carceri, come forma di aiuto offerto agli individui e ai gruppi per sviluppare il senso della dignità della vita, educare alla coscienza delle proprie responsabilità e incoraggiare nell’impegno per il superamento delle difficoltà materiali e spirituali.

È dunque opportuno che nella diocesi ci sia un buon numero di assistenti sociali, scelti tra giovani di entrambi i sessi e anche tra i religiosi, che siano adeguatamente formati, specialmente nella dottrina sociale della Chiesa, nelle scuole e nei centri creati allo scopo. Questi assistenti sociali potranno svolgere la loro attività in appositi centri, istituiti nelle parrocchie più grandi o nelle arcipreture o nei decanati, in nome e a spesa di tutta la comunità cristiana (609) per affrontare sia le vecchie che le nuove povertà “che investono spesso anche gli ambienti e le categorie non prive di risorse economiche, ma esposte alla disperazione del non senso, all’insidia della droga, all’abbandono nell’età avanzata o nella malattia, all’emarginazione o alla discriminazione sociale” (610).

È consolante la fioritura, in tempi recenti, di varie forme di volontariato con le quali i cristiani, insieme ad altre persone di buona volontà, specialmente i giovani, dedicano il proprio tempo e le proprie energie ad assistere in modo organizzato i bisognosi, sia nella propria diocesi che nelle varie parti del mondo. Tali iniziative fanno un gran bene, poiché, oltre ad alleviare le necessità degli indigenti, contribuiscono in maniera non indifferente alla formazione delle giovani generazioni cristiane e sono un mezzo efficace per avvicinare altre persone alla fede della Chiesa (611). Pertanto, dove il volontariato non sia sufficientemente esteso, il Vescovo susciti lo spirito di esso, che spinge alla dedizione verso gli altri e favorisca la creazione di strutture adeguate e, se necessario, provveda personalmente ad istituirle. Dato il grande interesse che hanno tali opere per il bene comune, in molti casi sarà naturale sollecitare la collaborazione economica delle istanze pubbliche o, soprattutto nei Paesi più poveri, di altri enti o organizzazioni, per la loro istituzione e sostentamento.


200 Rapporti tra carità e liturgia. Per infondere nei fedeli il senso della carità cristiana, il Vescovo insegni che la partecipazione attiva e cosciente alla liturgia, soprattutto alla Eucaristia, porta necessariamente alla pratica della carità con i poveri e i bisognosi. Per esprimere tale vincolo tra Eucaristia e carità fraterna, susciterà la generosa offerta di denaro e altri beni, secondo le rubriche e norme liturgiche, durante la stessa celebrazione eucaristica.

Con la medesima finalità il Vescovo può ricorrere anche ad altre opportune iniziative: come la visita ai malati, ai carcerati, alle famiglie povere e ad istituzioni.


201 Aiuto alle diocesi povere e alle opere cattoliche di carità e di apostolato. Seguendo l’esempio degli Apostoli i quali, oltre a vigilare sulla giusta distribuzione dei beni in ciascuna delle Chiese, organizzavano anche collette in favore delle comunità più povere (cf. Ac 11,29-30 1Co 16,1-14 2Co 9,2 Rm 15,26 Ga 2,10 ecc), il Vescovo destini tutto l’aiuto che la sua diocesi può permettersi ad altre diocesi più bisognose (612), come anche alle opere cattoliche nazionali o internazionali di pietà e di assistenza. Con tale intento, il Vescovo proponga al clero e al popolo la celebrazione delle “giornate” speciali stabilite a livello universale o nazionale, allo scopo di destare l’interesse, promuovere la preghiera e chiedere alla comunità cristiana il suo contributo economico.

È conveniente che il clero, già dagli anni di seminario, venga opportunamente preparato per vivere la povertà e la mutua carità come una vocazione, seguendo l’esempio della Chiesa primitiva (cf. Ac 2,44-45 Ac 4,32 ss). Sarebbe una chiara testimonianza di spirito evangelico che i sacerdoti, con a capo il Vescovo, e le istituzioni ecclesiastiche, si impegnassero a destinare ogni anno unapercentuale fissa dei loro profitti alla carità, sia della diocesi che della Chiesa universale. Esempio che anche i laici potrebbero seguire, secondo le proprie possibilità.


VI. Alcuni settori in particolare


202 Alcuni settori pastorali, secondo i luoghi e le diverse situazioni ecclesiali o sociali, richiedono una particolare attenzione dei Pastori. Questo Direttorio si limita ad alcuni.


203 La famiglia. Per il Vescovo la famiglia nella società contemporanea rappresenta una priorità pastorale (613). Le sfide che la famiglia oggi deve affrontare sono enormi: un’erronea antropologia che separa l’uomo dalla famiglia e dal supremo valore della vita; la svalutazione dell’amore coniugale e la diffusa mentalità contraccettiva; la tendenza a relegare la famiglia nella sfera privatistica e la sua dissociazione dal matrimonio; la pressione sui Parlamenti affinché vengano riconosciuti come famiglie, fondate sul matrimonio, le unioni omosessuali; la nuova situazione della donna che, sebbene veda oggi riconosciuti i suoi diritti e la sua dignità e diminuite le forme di discriminazioni alle quali essa è stata ed è sottoposta, viene svalutata nella sua missione di sposa e di madre, considerata come una sottomissione servile e un servizio discriminante.

Il Vescovo, quale primo responsabile della pastorale familiare, incorporerà tale pastorale in quella organica della diocesi e si adopererà affinché nella famiglia, base e cellula primordiale della società e della Chiesa, convergano tutti i valori e la ricchezza umana e cristiana in modo che essa sia sempre più capace di formare integralmente la persona e di trasmettere la fede. A questo scopo, è dovere del Vescovo di fare ogni sforzo per organizzare convenientemente una efficace pastorale familiare e attuarla in tutte le parrocchie e negli altri istituti e comunità diocesane con l’attiva partecipazione di sacerdoti, diaconi, religiosi e membri delle Società di vita apostolica, laici e delle stesse famiglie. Questo impegno, che riguarda trasversalmente tutti i campi della pastorale, ha come contenuti: la preparazione al matrimonio sia remota che immediata, opportunamente svolta “come in un cammino catecumenale” (614) entro il quale, nell’ultima fase, si collocano i corsi di preparazione al matrimonio che devono essere realizzati con serietà, ottimi contenuti, sufficiente durata e obbligatorietà (615); la formazione ad un amore responsabile (616), che richiede una necessaria educazione sessuale con la proposta di principi e valori etici (617); l’informazione sui metodi naturali per la regolazione della fertilità, il ricorso ai quali deve avere giuste motivazioni che non siano solo il rifiuto della paternità e della maternità; la bioetica e, soprattutto con l’impegno dei laici, la riflessione attraverso corsi, conferenze, incontri. Per promuovere la partecipazione della famiglia alla vita sociale e politica e per prevenire leggi ingiuste, il Vescovo si impegni anche a promuovere una pastorale della famiglia nella società civile, mantenendo uno stretto contatto con i politici, soprattutto con quelli cattolici, offrendo strumenti per la loro formazione. Il Vescovo provveda ad istituire la Commissione di pastorale familiare sia nella diocesi che nei Vicariati Foranei e, per quanto possibile, nelle parrocchie. è auspicabile che a tali organismi siano attribuite anche le competenze per la vita, l’infanzia, la donna e, secondo i casi, la gioventù. Per la formazione degli operatori pastorali, la diocesi potrà erigere un centro formativo o “istituto della famiglia”. A questo riguardo sono di provata efficacia anche le associazioni familiari istituite per il mutuo appoggio e la difesa dei valori della famiglia di fronte alla società e allo Stato (618).

Con amarezza si constata come oggi sia in aumento il numero dei battezzati che si trovano in unasituazione irregolare (619) per quanto riguarda il matrimonio: il cosiddetto “matrimonio in prova”, le unioni di fatto, i cattolici uniti soltanto con il rito civile, i divorzi; tutte situazioni che nuocciono gravemente ai diretti interessati, ai loro figli e alla società in generale. In tutti questi casi, i Pastori mettano il massimo impegno per ottenere, se possibile, la regolarizzazione di questi rapporti. Al contempo, siano caritatevoli con queste persone, giacché molte volte si tratta di situazioni che, specialmente per la presenza di figli comuni, sono difficilmente modificabili. In ogni caso, il Vescovo motivi la norma della Chiesa secondo la quale non possono ricevere la comunione eucaristica coloro i quali si trovano in situazioni che obiettivamente contraddicono l’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, che l’Eucaristia significa e rende presente (620). Nei riguardi dei divorziati risposati, il Vescovo non mancherà di far sentire la sollecitudine materna della Chiesa e farà in modo che non siano emarginati dalla vita ecclesiale, restando ovviamente chiaro che essi possono partecipare abitualmente alla vita delle loro rispettive parrocchie. è molto opportuno che in ogni diocesi o a livello interparrocchiale vi siano momenti formativi per queste persone.


204 Gli adolescenti e i giovani. Un settore che deve interessare vivamente il Vescovo e accrescerne la paterna sollecitudine è quello dei giovani (621) e, in particolare, dei giovani studenti, i quali, privi di un chiaro orientamento, sono soggetti all’influsso di opinioni diverse e di novità ideologiche, per cui con molta facilità si allontanano dalla Chiesa, per seguire vie diverse da quelle ecclesiali o rimanere, addirittura, nel vuoto esistenziale. È pertanto necessario portare i giovani a professare una fede matura rendendoli protagonisti della vita e delle scelte pastorali della diocesi. Sarà opportuno che nelle varie istanze diocesane e parrocchiali, si preveda una rappresentanza del mondo giovanile in modo che possa esprimere le proprie necessità spirituali ed essere inserito gradualmente nella vita diocesana e parrocchiale. Il Vescovo si preoccupi che nella sua diocesi non manchi un buon numero di presbiteri, religiosi e laici idonei, dediti all’apostolato della gioventù. Il Vescovo abbia premura affinché la pastorale giovanile si attui in ogni parrocchia, o, almeno, a livello interparrocchiale.

Tra le forme più efficaci vi è senza dubbio l’insegnamento della religione nelle scuole, ma a livello pastorale devono essere sostenute anche quelle opere e associazioni finalizzate alla formazione degli adolescenti, come i vari gruppi o associazioni che hanno tale finalità.

Quanti collaborano nella pastorale della gioventù, debbono mostrarsi ai giovani come fratelli e amici, ma allo stesso tempo portatori di una verità e di un ideale di vita più alto. Sapranno comprendere le loro aspirazioni, i punti di vista e il modo di esprimersi, ma senza accondiscendere a leggerezze e anomalie nel vano tentativo di essere da loro meglio accettati: infatti non si rende un servizio ai giovani accettando i loro difetti, ma indicando loro ideali; dovranno, infine, stimolare con iniziative concrete il loro senso di responsabilità, perché si sentano e siano realmente attivi e responsabili artefici della comunità cristiana.

Tra i giovani, gli studenti universitari occupano un posto privilegiato, e di grande interesse apostolico, per la peculiarità della loro sensibilità e del loro ambiente. Personalmente, o in collaborazione con le altre diocesi interessate, il Vescovo potrà provvedere alla cura pastorale della gioventù universitaria, erigendo eventualmente una parrocchia personale entro il “campus” universitario o nelle adiacenze, e promuovendo residenze e altri centri che offrano agli studenti un aiuto permanente, spirituale ed intellettuale (622). Parimenti, incoraggerà e sosterrà, per quanto di sua competenza, le opere di altre istituzioni e associazioni ecclesiali che si adoperano in questo settore apostolico, non esente da difficoltà, e vigilerà perché in ogni centro — dipendente o meno dalla diocesi — si forniscano mezzi idonei di formazione cristiana e vengano osservati la conveniente disciplina e l’atteggiamento umano e spirituale.


205 Gli operai e i contadini. Il Vescovo si preoccuperà vivamente della cura pastorale degli operai e dei contadini, perché l’evangelizzazione del mondo operaio e rurale fa parte della missione della Chiesa ed anche perché sono gli operai a pagare le conseguenze di un’industrializzazione poco attenta alla dignità umana e soffrono lo sradicamento che è conseguenza dell’emigrazione. Non presterà minor attenzione al mondo contadino, in non pochi luoghi sottomesso a dure condizioni di vita e a volte carente della presenza sacerdotale.

Perciò, il Vescovo cercherà il contatto diretto con operai e contadini, anche nel loro ambiente, e farà in modo che siano sacerdoti idonei e ben preparati, particolarmente nella dottrina sociale della Chiesa, a svolgere il ministero apostolico nelle periferie operaie e nell’ambiente rurale, con mezzi e iniziative che si adattino alle condizioni sociali, psicologiche e spirituali di queste persone. Il Vescovo vigilerà affinché nelle parrocchie e negli altri centri destinati all’assistenza a operai e contadini venga promossa l’attività pastorale tra le famiglie, si organizzi l’istituzione e la direzione di circoli, associazioni, scuole serali, centri di addestramento professionale, luoghi ricreativi, ecc.

Sono lodevoli le opere e istituzioni di carattere economico-sociale che abbiano come obiettivo l’aiuto ai poveri, facilitando l’accesso alla proprietà o all’utilizzo dei beni o la loro equa distribuzione, per mezzo di studi e attività sociali di cooperazione, di associazioni tra operai e artigiani, di iniziative economiche e finanziarie, ecc. Si tratta di un settore molto vasto, nel quale i
cristiani laici sono chiamati ad esercitare la carità sotto forma di giustizia e di solidarietà umana, in perfetta sintonia con la loro vocazione secolare (623). Il Vescovo pertanto non tralascerà di incoraggiare tali laici e, se necessario, promuoverà personalmente tali opere, impregnandole di spirito cristiano.

Il Vescovo darà anche il proprio contributo sulla questione ecologica per la salvaguardia del creato, insegnando il corretto rapporto dell’uomo con la natura, che alla luce della dottrina su Dio, Creatore del cielo e della terra, è un rapporto ministeriale, in quanto l’uomo è collocato al centro della creazione come ministro del Creatore. In questo senso c’è bisogno di una conversione ecologica (624) nella consapevolezza che, insieme alla salvaguardia del creato, si deve operare, con maggiore intensità, per un’ecologia umana che protegga il bene radicale della vita in tutte le sue manifestazioni e prepari alle generazioni future uno sviluppo sostenibile, che si avvicini di più al progetto del Creatore.


206 I sofferenti. La tutela della salute occupa nella società attuale una delle sfide più impegnative (625). Sono ancora molte le malattie endemiche presenti in varie parti del mondo. Nonostante gli sforzi della medicina e della scienza nella ricerca di nuove soluzioni o di aiuti per affrontarle, emergono nuove situazioni in cui la salute fisica e psichica viene sempre più minata. La sollecitudine per l’uomo spinge il Vescovo a imitare il Buon Samaritano che con bontà e misericordia si prende cura di ogni persona sofferente. Ogni Vescovo nell’ambito della propria diocesi, con l’aiuto di persone qualificate, è chiamato ad operare perché sia annunciato il Vangelo della Vita. L’umanizzazione della medicina e dell’assistenza agli ammalati, la vicinanza a tutti nel momento della sofferenza risveglia nell’animo di ciascuno la figura di Gesù, medico dei corpi e delle anime, che tra le istruzioni affidate ai suoi Apostoli non ometteva d’inserire l’esortazione a guarire gli ammalati (cf. Mt Mt 10,8). Pertanto l’organizzazione e la promozione di un’adeguata pastorale per gli operatori sanitari, in vista del maggior bene dei malati, merita davvero una priorità nel cuore di un Vescovo. Tale pastorale non potrà non tener conto dei seguenti punti: la proclamazione della difesa della vita nelle applicazioni della ingegneria biogenetica e nelle cure palliative e nelle proposte di eutanasia; l’aggiornamento della pastorale sacramentale, specialmente quella che riguarda l’Unzione dei malati ed il Viatico, senza trascurare l’amministrazione del Sacramento della Penitenza; la presenza delle persone consacrate, che donano la loro vita alla cura dei malati e dei volontari della pastorale della salute; la sollecitudine dei parroci per i malati delle parrocchie. Il Vescovo incoraggi la presenza degli ospedali cattolici e, secondo i casi, ne crei di nuovi e ne sostenga l’ideale cattolico quando, per diverse ragioni, passano alla direzione del personale laico. Nelle Facoltà di medicina cattoliche, il Vescovo vigili affinché venga insegnata un’etica secondo il Magistero della Chiesa, specialmente nelle questioni di Bioetica.


207 Persone che richiedono una specifica attenzione pastorale. Il Vescovo deve porre particolare cura nell’attenzione alle necessità spirituali di quei gruppi umani che, per le loro condizioni di vita, non possono usufruire sufficientemente dell’ordinaria cura pastorale territoriale (626). In questo paragrafo vengono esaminate le diverse situazioni che esigono risposte pastorali:

a) L’emigrazione internazionale. Essa è un fenomeno di proporzioni crescenti, che richiede la sollecitudine dei Pastori: basti pensare al gran numero di quanti si spostano in altri Paesi in cerca di lavoro, o per studi, ai profughi, ai nomadi (627). Questo dovere è particolarmente urgente quando, come accade ancora con frequenza oggi, gli emigranti sono fedeli cattolici. Per fornire a questi fedeli un’attenzione pastorale conforme alla loro indole e ai bisogni spirituali, è necessario avere una conveniente collaborazione tra i Pastori del paese di origine e quelli delle diocesi di destinazione, tanto individualmente che in seno alle rispettive Conferenze Episcopali. Tale programma potrà essere ottimamente realizzato mediante l’invio di sacerdoti, diaconi e altri fedeli che accompagnino gli emigranti, creando allo scopo centri speciali di formazione, o tramite la creazione di strutture pastorali personali di coordinamento della pastorale diretta a questi fedeli (628). Non bisogna poi dimenticare anche gli itineranti, vale a dire i pellegrini, viaggiatori, circensi, lunaparkisti, i senza dimora, ecc.

b) I gruppi dispersi di fedeli. Per provvedere alla cura pastorale e all’apostolato in favore di gruppi omogenei dispersi entro i limiti diocesani, il Vescovo può erigere una parrocchia personale, o anche nominare cappellani alcuni presbiteri idonei, fornendoli delle necessarie facoltà. Per l’assistenza ai pescatori e ai marinai, egli promuova l’Opera dell’Apostolato del Mare, secondo le sue peculiari norme.

Oggi più che in passato, si avverte l’importanza che il Vescovo organizzi un’opportuna assistenza pastorale nelle località turistiche, creandovi chiese e oratori succursali delle parrocchie, come anche — secondo le possibilità della diocesi — nelle vicinanze delle principali vie di comunicazione, stazioni e aeroporti.

c) I militari. I militari costituiscono una categoria particolare di fedeli che, per il loro stile di vita, richiedono un’attenzione specifica. Per la loro assistenza pastorale, la Santa Sede erige il corrispondente Ordinariato Militare, il cui Prelato è equiparato al Vescovo diocesano. Il Pastore del luogo, pertanto, mantenga relazioni fraterne con l’Ordinario Militare e cerchi di aiutarlo in quanto di sua competenza, anche ad avere sacerdoti idonei, cosicché i militari di professione, le loro famiglie e i numerosi giovani che prestano servizio temporale nell’esercito possano contare su un’adeguata assistenza per la loro vita cristiana.


208 La pastorale ecumenica. Il Vescovo estenda il suo zelo e la sua carità pastorale ai membri delle Chiese e Comunità cristiane non cattoliche (629).

A tale scopo, si rende necessaria una formazione ecumenica della comunità diocesana, in modo che tutti i fedeli, e in particolare i ministri sacri, apprezzino l’inestimabile dono dell’unità, crescano in carità e comprensione, pur senza irenismi, per gli altri fratelli cristiani e si uniscano alla preghiera di tutta la Chiesa, secondo il desiderio e le norme del Concilio Vaticano II e le istruzioni della Sede Apostolica. Importanza speciale va attribuita alla formazione ecumenica nei seminari e in altri centri e ambienti di formazione del clero e dei laici (630).

È opportuno favorire anche l’esercizio pratico dell’ecumenismo: prima di tutto l’ecumenismo spirituale, che consiste nella conversione interiore dei cristiani; poi, la preghiera, della quale una realizzazione abbastanza diffusa e degna di lode è la cosiddetta “Settimana per l’Unità dei Cristiani”; infine, la collaborazione ecumenica con gli altri cristiani, di cui le principali modalità sono l’orazione comunitaria, il dialogo, la comune testimonianza cristiana e l’impegno congiunto per la difesa dei valori umani e cristiani (631).

È inoltre opportuno tener presente la situazione dei matrimoni misti tra cattolici e altri battezzati. Questi matrimoni, anche se possono dare buoni frutti in campo ecumenico, richiedono tuttavia una speciale attenzione pastorale, sia per assicurarsi che entrambi i coniugi conoscano e aderiscano alla dottrina cattolica sul matrimonio, sia per allontanare ogni rischio di distacco dalla fede da parte del coniuge cattolico e per favorire che possa trasmettere la fede cattolica ai figli (632).

Per quanto riguarda la “communicatio in sacris”, debbono essere strettamente osservate le norme date al rispetto dal Concilio Vaticano II, dal Codice di Diritto Canonico e dalla Sede Apostolica (633).

Occorre formare i fedeli perché sappiano rispondere con chiarezza alle sollecitazioni delle cosiddette “sette” di ispirazione cristiana o sincretista, che possono confondere le persone meno preparate, non solo con le proprie teorie, ma anche con esperienze religiose fortemente sentimentali.


209 La pastorale in ambito plurireligioso. La presenza in Paesi di tradizione cristiana di persone appartenenti ad altre religioni è oggi un fenomeno crescente, specialmente nelle grandi città e nei centri universitari e industriali, dove si trovano per motivi di lavoro, di studio, o di turismo. La carità cristiana e lo zelo missionario spingono la comunità diocesana, in relazione a queste persone, all’aiuto umanitario, al dialogo e all’annuncio di Cristo, in vari modi (634):

a) Il Vescovo sproni ad esercitare disinteressatamente la carità cristiana verso queste persone, aiutandole nelle loro difficoltà di integrazione sociale, scolastica, linguistica, di alloggio, assistenza medica, ecc. A tal fine potrà opportunamente servirsi delle associazioni cattoliche.

b) Il rispetto per la tradizione religiosa di ciascuno e per la dignità umana, invitano a stabilire un dialogo interreligioso per promuovere la mutua comprensione e collaborazione. Tale dialogo deve rispettare i principi fondamentali della coscienza religiosa, oggi esposti agli assalti di una civiltà secolarizzata. Per realizzare questo apostolato, il Vescovo avrà cura di formare persone idonee a portare avanti questo compito. In tal senso è opportuno che, laddove non esista, se vi è la possibilità, si crei una Commissione per il dialogo interreligioso e che ci si avvalga anche dell’aiuto di esperti sia chierici, religiosi che laici (635).

c) Infine, occorre fare in modo che queste persone possano conoscere e abbracciare la veritàche Dio ha portato nel mondo per mezzo dell’Incarnazione di suo Figlio, giacché in nessun altro c’è salvezza; “non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possono essere salvati” (
Ac 4,12). Il cammino che porta a tali conversioni sarà spesso il frutto dell’amicizia personale e della testimonianza da parte di cattolici che debbono agire sempre nel pieno rispetto delle coscienze, in modo che l’adesione alla vera fede sia sempre il risultato di un interiore convincimento e mai un mezzo per ottenere vantaggi materiali o per comprare il favore delle persone. Sarebbe opportuno anche prevedere un catecumenato serio e appropriato che tenga conto del cammino spirituale già percorso.

d) In un ambiente plurireligioso, il Vescovo si troverà spesso ad essere coinvolto in iniziative interreligiose e ad incontrare altri capi religiosi. Queste iniziative, opportunamente vagliate con la prudenza ed il discernimento, potranno rivelarsi occasioni di fruttuoso incontro e di vicendevole scambio. Per quanto riguarda il campo della preghiera in contemporanea dei credenti di diverse religioni è opportuno valutare volta per volta le modalità dello svolgimento e della partecipazione, evitando accuratamente tutto ciò che possa ingenerare l’impressione di indifferentismo o di sincretismo religioso.


210 Il Vescovo operatore di giustizia e di pace. Il mondo contemporaneo presenta gravi forme di ingiustizia dovute al divario sempre più profondo tra ricchi e poveri, ad un sistema economico ingiusto a causa del quale in tante parti del mondo si soffre la fame ed aumenta il numero degli emarginati, mentre in altre c’è opulenza; alla guerra che minaccia continuamente la pace e la stabilità della comunità internazionale; alla discriminazione tra uomo e uomo e all’avvilimento della dignità della donna, da una parte per la cultura edonista e materialista, dall’altra per la mancanza del riconoscimento dei suoi fondamentali diritti di persona. Davanti a queste sfide il Vescovo è chiamato ad essere profeta di giustizia e di pace, difensore dei diritti inalienabili della persona, predicando la dottrina della Chiesa, in difesa del diritto alla vita, dal concepimento fino alla sua naturale conclusione, e della dignità umana; prenda a cuore la difesa dei deboli, si renda voce di chi non ha voce per far valere il suo diritto. Allo stesso modo il Vescovo deve condannare con vigore tutte le forme di violenza e levare la sua voce a favore di chi è oppresso, perseguitato, umiliato, per chi è disoccupato e per i bambini che sono vessati in gravi modi.

Il Vescovo, con la stessa forza d’animo, annuncerà la pace di Cristo, chiamando a costruirla, giorno dopo giorno, i suoi fedeli e tutti gli uomini di buona volontà. Il Vescovo non si stancherà di insegnare che la pace nasce dalla vita di persone che coltivano costanti atteggiamenti di pace, che apprezzano pienamente la dimensione comunitaria della vita, che si aprono a Dio promuovendo la fraternità universale ed una cultura ed una spiritualità di solidarietà e di pace, che invocano costantemente Dio nella preghiera. Il Vescovo sarà profeta e artefice instancabile di pace, mostrando che la speranza cristiana è intimamente connessa con la promozione integrale dell’uomo e della società (636).

Direttorio Vescovi 2004 186