Discorsi 2005-13 31101

A S.E. IL SIGNOR ALMIR FRANCO DE SÁ BARBUDA, NUOVO AMBASCIATORE DEL BRASILE PRESSO LA SANTA SEDE Lunedì, 31 ottobre 2011

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Signor Ambasciatore,

Nel ricevere le Lettere Credenziali che l’accreditano come Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Repubblica Federativa del Brasile presso la Santa Sede, le porgo i miei rispettosi voti di benvenuto e la ringrazio per le significative parole che mi ha rivolto, manifestando in esse i sentimenti che nutre nell’animo nell’iniziare questa nuova missione. Ho visto con grande soddisfazione i saluti che mi ha trasmesso da parte di Sua Eccellenza la signora presidente della Repubblica, Dilma Rousseff, e chiedo a lei, Signor Ambasciatore, di voler cortesemente trasmetterle la mia gratitudine al riguardo e di assicurarla dei miei deferenti voti di migliore successo nello svolgimento della sua alta missione, come pure le mie preghiere per la prosperità e il benessere di tutti i brasiliani, il cui affetto, sperimentato nella mia visita pastorale del 2007 è rimasto indelebilmente impresso nei miei ricordi. Constato con vivo apprezzamento e profonda riconoscenza la disponibilità manifestata dalle diverse sfere governative della Nazione, come pure dalla sua Rappresentanza diplomatica presso la Santa Sede, a sostegno della XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù che si terrà, Dio volendo, nel 2013 a Rio de Janeiro.

Come lei, Signor Ambasciatore, ha ricordato, il Brasile, poco dopo aver ottenuto la sua indipendenza come Nazione, ha stabilito relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Ciò non è stato altro che il culmine della feconda storia comune del Brasile e della Chiesa cattolica, che ha avuto inizio in quella prima messa celebrata il 26 aprile 1500 e che ha lasciato testimonianze in tante città battezzate con il nome di santi della tradizione cristiana e in numerosi monumenti religiosi, alcuni dei quali elevati a simbolo d’identificazione mondiale del Paese, come la statua del Cristo Redentore con le sue braccia aperte, in un gesto di benedizione all’intera nazione. Tuttavia, al di là degli edifici materiali, la Chiesa ha contribuito a forgiare lo spirito brasiliano caratterizzato da generosità, laboriosità, apprezzamento per i valori familiari e difesa della vita umana in tutte le sue fasi.

Un capitolo importante in questa feconda storia comune è stato scritto con l’Accordo firmato fra la Santa Sede e il Governo brasiliano nel 2008. Tale Accordo, lungi dall’essere una fonte di privilegi per la Chiesa o presupporre un affronto alla laicità dello Stato, mira solo a dare un carattere ufficiale e giuridicamente riconosciuto all’indipendenza e alla collaborazione fra queste due realtà. Ispirata dalle parole del suo Divino Fondatore, che ordinò di dare «a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (
Mt 22,21), la Chiesa ha espresso così la sua posizione nel Concilio Vaticano II: «La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Ma tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale degli stessi uomini» (Costituzione Pastorale Gaudium et spes GS 76). La Chiesa spera che lo Stato, a sua volta, riconosca che una sana laicità non deve considerare la religione come un semplice sentimento individuale che si può relegare nell’ambito privato, ma come una realtà che, essendo anche organizzata in strutture visibili, ha bisogno che la sua presenza comunitaria pubblica venga riconosciuta.

Per questo corrisponde allo Stato garantire la possibilità del libero esercizio di culto di ogni confessione religiosa, come pure le sue attività culturali, educative e caritative, sempre che ciò non sia in contrasto con l’ordine morale e pubblico. Ebbene, il contributo della Chiesa non si limita a concrete iniziative assistenziali, umanitarie, educative, e così via, ma tiene presente, in modo particolare, la crescita etica della società, promossa dalle molteplici manifestazioni di apertura al trascendente e per mezzo della formazione di coscienze sensibili al compimento dei doveri di solidarietà. Pertanto l’Accordo firmato fra il Brasile e la Santa Sede è la garanzia che permette alla comunità ecclesiale di sviluppare tutte le sue potenzialità a beneficio di ogni persona umana e di tutta la società brasiliana.

Fra questi campi di reciproca collaborazione, mi compiaccio di sottolineare qui, Signor Ambasciatore, quello dell’educazione, al quale la Chiesa ha contribuito con innumerevoli istituzioni educative, il cui prestigio è riconosciuto da tutta la società. In effetti, il ruolo dell’educazione non si può ridurre a una mera trasmissione di conoscenze e di abilità che mirano alla formazione di un professionista, ma deve includere tutti gli aspetti della persona, dal suo lato sociale al suo anelito di trascendenza. Per questo motivo è opportuno riaffermare che l’insegnamento religioso confessionale nelle scuole pubbliche, così come è stato confermato nel suddetto Accordo del 2008, lungi dal significare che lo Stato assume o impone un determinato credo religioso, indica il riconoscimento della religione come un valore necessario per la formazione integrale della persona. E l’insegnamento in questione non si può ridurre a una generica sociologia delle religioni, poiché non esiste una religione generica, aconfessionale. Così l’insegnamento religioso confessionale nelle scuole pubbliche, oltre a non ferire la laicità dello Stato, garantisce il diritto dei genitori a scegliere l’educazione dei propri figli, contribuendo in tal modo alla promozione del bene comune.

Infine, nel campo della giustizia sociale, il Governo brasiliano sa di poter contare sulla Chiesa come partner privilegiato in tutte le sue iniziative che mirano allo sradicamento della fame e della miseria. La Chiesa «non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia» (Lettera Enciclica Deus caritas est ), per cui si mostrerà sempre felice di contribuire all’assistenza ai più bisognosi, aiutandoli a liberarsi della loro situazione d’indigenza, di povertà e di esclusione.

Signor Ambasciatore, nel concludere questo incontro, le rinnovo i miei voti di buon esito della sua missione. Nel suo svolgimento, saranno sempre a sua disposizione i diversi Dicasteri che formano la Curia Romana. Da Dio Onnipotente, per intercessione di Nossa Senhora Aparecida, invoco abbondanti Benedizioni per la sua persona, per quanti le sono cari e per la Repubblica Federativa del Brasile, che lei, Eccellenza, a partire da ora, ha l’onore di rappresentare presso la Santa Sede.




A S.E. IL SIGNOR JOSEPH TEBAH-KLAH, NUOVO AMBASCIATORE DELLA COSTA D'AVORIO PRESSO LA SANTA SEDE Venerdì, 4 novembre 2011

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Signor Ambasciatore,

Sono lieto di accoglierla in occasione della presentazione delle Lettere che l’accreditano come Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica della Costa d’Avorio presso la Santa Sede. Le esprimo la mia riconoscenza per i cordiali saluti che mi ha appena rivolto a nome di Sua Eccellenza il dottor Alassane Dramane Ouattara, Presidente della Repubblica. Le sarei grato se volesse trasmettergli i voti che formulo per la sua persona e per lo svolgimento del suo alto incarico al servizio della nazione. Prego inoltre il Principe della Pace affinché lo guidi e lo sostenga nei suoi sforzi per progredire lungo le vie di una pace duratura, di modo che tutti coloro che abitano nella terra ivoriana possano condurre una vita tranquilla e degna, serena e felice. Attraverso di lei, vorrei assicurare tutto il popolo ivoriano della mia amicizia.

Lei, Signor Ambasciatore, ha appena ricordato la ferma volontà dei responsabili del suo Paese di non lesinare sforzi per giungere a una riconciliazione nazionale e a una coesione sociale solida e vera. A tale proposito, saluto la creazione della Commissione Dialogo-Verità-Riconciliazione. Possa mostrarsi sollecita nelle sue attività e lavorare in totale imparzialità! Ho seguito con grande preoccupazione il drammatico sviluppo della crisi post-elettorale che il suo Paese ha vissuto. Essa ha messo in pericolo la coesione sociale e ha portato a divisioni ancora attuali. Per il bene di tutti i suoi abitanti, possa la Costa d’Avorio impegnarsi con determinazione lungo il cammino della concordia e della promozione della dignità umana e ritrovare l’unità nazionale! Il salmo 133 dice: «Quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme» (v. 1). È questo cammino di riconciliazione che bisogna intraprendere poiché l’Africa e il mondo vi guardano con attenzione e fiducia.

La grave crisi che la Costa d’Avorio ha appena attraversato ha provocato anche gravi violazioni dei diritti dell’uomo e numerose perdite di vite umane. Perciò incoraggio il suo Paese a promuovere tutte le iniziative che conducono alla pace e alla giustizia. Non bisogna avere paura di fare luce sui crimini e su tutti gli attentati commessi contro i diritti delle persone. Il vivere insieme sarà possibile e armonioso solo attraverso la ricerca della verità e della giustizia. E questo vivere insieme passa per il rispetto dei diritti inalienabili dell’altro che è, di fatto, un altro me, come pure per il riconoscimento e il rispetto del carattere sacro di ogni vita umana. Infatti la vita viene da Dio ed è sacra per la sua origine divina. Così, la perdita di una vita umana, qualunque essa sia — piccola o grande, ricca o povera — è sempre un dramma, soprattutto quando l’uomo ne è responsabile.

Signor Ambasciatore, desidero incoraggiare i responsabili del suo Paese a impegnarsi risolutamente lungo la via di un governo trasparente ed equo, e saluto il codice di buona condotta dei membri del governo adottato nella prima metà dello scorso agosto. Per realizzare il bene comune, occorrono rigore, giustizia e trasparenza nella gestione delle questioni pubbliche. Spetta ai responsabili politici fare tutto il possibile affinché le ricchezze del Paese vadano equamente a beneficio di ogni cittadino.

Come molti Paesi africani, la Costa d’Avorio presenta una diversità di religioni e di etnie. È una grande ricchezza. Il vivere insieme deve essere sempre ardentemente auspicato e incoraggiato. Come ho detto nella mia prima Enciclica: «Lo Stato non può imporre la religione, ma deve garantire la sua libertà e la pace tra gli aderenti alle diverse religioni; la Chiesa come espressione sociale della fede cristiana, da parte sua, ha la sua indipendenza e vive sulla base della fede la sua forma comunitaria, che lo Stato deve rispettare. Le due sfere sono distinte, ma sempre in relazione reciproca» (Deus caritas est ). A tal fine il buon funzionamento delle scuole e di altre istituzioni a carattere educativo è indispensabile. Di fatto, cosa sarebbero il futuro e lo sviluppo di una nazione senza istituzioni educative forti in cui si insegnino e si promuovano i valori morali, intellettuali, umani e spirituali? Sono certo che questo cantiere educativo è già una delle priorità per costruire la Costa d’Avorio di domani che auspico sia dinamica e prospera, pacifica e responsabile.

La Chiesa, da parte sua, partecipa con la sua specificità allo sforzo di ricostruzione. Essa non desidera sostituirsi allo Stato, ma può, attraverso le sue numerose istituzioni in tutti gli ambiti educativi e sanitari, recare conforto e cure all’anima, e questo aiuto è spesso più necessario del sostegno materiale, soprattutto quando occorre lenire tante ferite del corpo e dell’anima. Per mezzo di lei, Eccellenza, saluto i Vescovi e i fedeli del suo caro Paese.

Lei, Eccellenza, ha appena inaugurato ufficialmente il suo mandato presso la Santa Sede. Fra l’altro, esso coincide con il quarantesimo anniversario dell’instaurazione delle relazioni diplomatiche fra il suo Paese e la Santa Sede. Formulo i miei voti migliori per il felice svolgimento della sua missione. Sia certo di trovare sempre presso i miei collaboratori attenzione e comprensione cordiali. Invocando l’intercessione della Vergine Maria, prego il Signore di effondere generose benedizioni su di lei, sulla sua famiglia e sui suoi collaboratori, come pure sui dirigenti e sul popolo ivoriano.




A S.E. IL SIGNOR REINHARD SCHWEPPE, NUOVO AMBASCIATORE DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA PRESSO LA SANTA SEDE Lunedì, 7 novembre 2011

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Eccellenza!
Illustre Signor Ambasciatore!

È per me una gioia porgerle il benvenuto in occasione della consegna delle Lettere che lo accreditano quale Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica Federale di Germania presso la Santa Sede. La ringrazio per le cordiali parole e le chiedo, Eccellenza, di trasmettere al Presidente Federale, alla Cancelliere Federale e ai membri del Governo Federale il mio sincero ringraziamento. Allo stesso tempo, mi preme di assicurare tutti i connazionali tedeschi del mio profondo affetto e della mia benevolenza. Abbiamo ancora davanti agli occhi, in maniera viva, le immagini gioiose del mio viaggio in Germania, nel settembre scorso. Le molteplici dimostrazioni di simpatia e di stima che mi sono state riservate nelle varie tappe della mia visita, a Berlino, a Erfurt, a Etzelbach, nonché a Friburgo, hanno superato di gran lunga le aspettative. Ovunque ho potuto vedere come le persone anelino alla verità. Noi cristiani dobbiamo dare testimonianza alla verità, per darle forma nella vita personale, familiare e sociale.

La visita ufficiale di un Papa in Germania può essere l’occasione per riflettere su quale servizio la Chiesa cattolica e la Santa Sede possono offrire in una società pluralistica, come è presente nella nostra patria. Molti contemporanei ritengono che l’influsso del Cristianesimo come pure di altre religioni consista nel plasmare una determinata cultura e un determinato stile di vita nella società. Un gruppo di credenti marca, attraverso il proprio comportamento, certe forme di vita sociale, che vengono adottate da altre persone, imprimendo così alla società una carattere specifico. Quest’idea non è sbagliata, ma non esaurisce la visione che la Chiesa cattolica ha di se stessa. Senza dubbio, la Chiesa è anche una comunità culturale e influenza in questo modo le società nelle quali è presente. Tuttavia, essa è convinta di non avere solo creato aspetti culturali comuni in diverse forme nei vari Paesi, e di essere stata a sua volta plasmata dalle loro tradizioni. La Chiesa cattolica è inoltre consapevole di conoscere, attraverso la sua fede, la verità sull’uomo e quindi di avere il dovere di intervenire in favore dei valori che sono validi per l’uomo in quanto tale, indipendentemente dalle varie culture. Essa distingue fra la specificità della sua fede e le verità della ragione, a cui la fede apre gli occhi e alle quali l’uomo in quanto uomo può accedere anche a prescindere da questa fede. Fortunatamente, un patrocinio fondamentale di tutti i valori umani universali è divenuto diritto positivo nella nostra Costituzione del 1949 e nelle dichiarazioni sui diritti dell’uomo dopo la Seconda Guerra Mondiale, perché delle persone, dopo gli orrori della dittatura, hanno riconosciuto la loro validità universale, che si basa sulla loro verità antropologica e l’hanno tradotta in diritto vigente. Oggi, si discute di nuovo di valori fondamentali dell’essere umano, nei quali si tratta della dignità dell’uomo in quanto tale. Qui la Chiesa, al di là dell’ambito della sua fede, considera suo dovere difendere, nella totalità della nostra società, le verità e i valori, nei quali è in gioco la dignità dell’uomo in quanto tale. Quindi, per citare un punto particolarmente importante, non abbiamo diritto di giudicare se un individuo sia «già persona», oppure «ancora persona», e ancor meno ci spetta manipolare l’uomo e voler, per così dire, farlo. Una società è veramente umana soltanto quando protegge senza riserve e rispetta la dignità di ogni persona dal concepimento fino al momento della sua morte naturale. Tuttavia, se decidesse di «scartare» i suoi membri più bisognosi di tutela, di escludere uomini dall’essere uomini, si comporterebbe in maniera profondamente inumana e anche in modo non veritiero rispetto all’uguaglianza — evidente per ogni persona di buona volontà — della dignità di tutte le persone, in tutti gli stadi della vita. Se la Santa Sede interviene in campo legislativo in merito alle questioni fondamentali della dignità umana, che si pongono oggi in numerosi ambiti dell’esistenza prenatale dell’uomo, non lo fa per imporre la fede ad altri in modo indiretto, ma per difendere valori che per tutti sono fondamentalmente intellegibili come verità dell’esistenza, anche se interessi di altra natura cercano di offuscare in vari modi questa considerazione.

A questo punto, vorrei affrontare un altro aspetto preoccupante che, a quanto pare, dilaga attraverso tendenze materialistiche ed edonistiche soprattutto nei Paesi del cosiddetto mondo occidentale, ovvero la discriminazione sessuale delle donne. Ogni persona, sia uomo, sia donna, è destinata ad esserci per gli altri. Un rapporto che non rispetti il fatto che l’uomo e la donna hanno la stessa dignità, costituisce un grave crimine contro l’umanità. È ora di arginare in maniera energica la prostituzione, nonché l’ampia diffusione di materiale dal contenuto erotico o pornografico, anche in Internet. La Santa Sede vedrà che l’impegno contro questi mali da parte della Chiesa cattolica in Germania si porti avanti in modo più deciso e chiaro.

Per quanto riguarda i tanti anni di rapporti cordiali fra la Repubblica Federale di Germania e la Santa Sede possiamo osservare complessivamente molti buoni risultati. È un bene che la Chiesa cattolica in Germania abbia eccezionali possibilità di azione, che possa annunciare il Vangelo liberamente e possa aiutare le persone nell’ambito di numerose strutture caritative e sociali. Sono veramente grato per il sostegno concreto dato a questa opera da parte delle Istituzioni federali, regionali e comunali. Fra i molti aspetti di una collaborazione positiva e apprezzabile fra lo Stato e la Chiesa cattolica desidero citare per esempio la tutela del diritto ecclesiastico del lavoro da parte del diritto statale, nonché il sostegno offerto alle scuole cattoliche e alle istituzioni cattoliche in ambito caritativo, la cui opera serve, in definitiva, al benessere di tutti i cittadini.

A lei, stimato Ambasciatore, auguro un buon inizio della sua missione e molto successo in tale compito. Nello stesso tempo, la assicuro dell’aiuto e della disponibilità dei rappresentanti della Curia Romana nello svolgimento del suo servizio. Di cuore invoco per lei, per sua moglie, e per i collaboratori e per le collaboratrici dell’Ambasciata della Repubblica Federale di Germania presso la Santa Sede, la protezione costante di Dio e le sue abbondanti benedizioni.





IN OCCASIONE DEL CONFERIMENTO DELLA CITTADINANZA ONORARIA DI NATZ-SCHABS/NAZ-SCIAVES (BOLZANO, ITALIA) Auletta dell'Aula Paolo VI Mercoledì, 9 novembre 2011

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Stimato e caro Signor Sindaco,
cari confratelli nel sacerdozio,
cari amici di Naz-Sciaves!

Posso soltanto dire di cuore “Vergelt’s Gott” [Dio ve ne renda merito] per il grande onore che mi avete fatto di essere ora cittadino onorario del vostro Comune, e di essere quindi, per così dire, di casa da voi, anche da un punto di vista legale ed anagrafico. Grazie al bel quadro che mi avete donato, posso fare sempre “passeggiate” nel vostro Comune e anche in questo modo sentirmi a casa, incluso se temo che non mi sarà più donata la possibilità di venire ancora una volta là di persona, ma di poter guardare Naz-Sciaves soltanto dall’alto. Tuttavia, con il cuore sono da voi e sono veramente contento per questo dono che mi avete fatto.

Il Sudtirolo è una terra particolare ed è impresso nel mio cuore tramite i racconti di mia madre. Io stesso non ho potuto conoscere più la bisnonna e la nonna: la nonna è morta quando avevo tre anni; tuttavia, molti racconti di lei sono rimasti, soprattutto è rimasto il fatto che, per tutta la vita, dentro di sé ha avuto nostalgia del Sudtirolo e interiormente non si è mai veramente inserita in Baviera. Durante la sua ultima malattia disse: «Se potessi avere un secchio d’acqua di casa mia, guarirei sicuramente!» Non poteva più guarire, ma è vissuta delle “acque” della sua patria, e con ciò ha avuto una vita difficile, ma al contempo piena e ricca.

Mi viene in mente, a questo proposito, ancora un’altra piccola storia. Da ragazza, mia madre ha lavorato presso una famiglia di Kufstein; là aveva trovato un’amica, che poi sposò un fornaio e che io stesso, da piccolo, ho conosciuto. Le voleva molto bene, e l’amica le ripeteva spesso: «Mariedl, devi sapere una cosa: il Tirolo l’hanno “messo insieme” gli angeli!» Nostra madre l’ha conservato come una sorta di testamento e così l’ha tramandato anche a noi. Lei era convinta, dentro di sé, che era così. E poi, nell’anno 1940, quando avevo 13 anni, per la prima volta noi tre fratelli abbiamo fatto una gita in bicicletta e siamo andati nel Tirolo del Nord e abbiamo potuto constatare che era veramente così: che erano stati gli angeli ad averlo messo insieme. Poi, negli anni ‘50, sono venuto anche in Sudtirolo dove ho potuto percepire quella particolare vicinanza di Dio che si esprime nella bellezza di queste terre. Ma non è diventato così bello soltanto grazie alla Creazione, ma perché gli uomini hanno risposto al Creatore: se pensiamo ai campanili gotici, alle belle case, alla gentilezza e alla cordialità delle persone, alla bella musica, sappiamo che gli uomini hanno risposto, e nella collaborazione – tra il Creatore, i suoi angeli e gli uomini – è diventata una terra bellissima, una terra straordinariamente bella. E sono orgoglioso e felice di farne parte, in un modo o nell’altro.

Il mio augurio in questo momento è che rimanga tale. Lei, Signor Sindaco, ha parlato della chiesa che si trova sempre al centro del paese ed è espressione della comunione che mantiene unite le persone e, al contempo, anche segno di apertura: apre la comunità oltre la vallata verso l’intera cristianità, verso il mondo, e fa assumere responsabilità insieme. Il mio auspicio, quindi, è che rimanga così; che la natura, la creazione e l’essere degli uomini si raccordino in un’unica armonia; che la fede sia portatrice di gioia e aiuti a superare anche situazioni difficili: la bisnonna è andata via, credo, perché la casa era minacciata dalle acque; che nasca la forza per mantenere questa terra sempre e di nuovo – ogni generazione deve ricominciare – così bella com’è, bella dal di dentro; e che possa, quindi, rimanere una patria che aiuti le persone a vivere un modo giusto di essere uomini.

“Vergelt’s Gott” [Dio ve ne renda merito] per tutto e la benedizione di Dio su voi tutti!


ALLA DELEGAZIONE DELL'«ISRAELI RELIGIOUS COUNCIL» Sala dei Papi Giovedì, 10 novembre 2011

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Beatitudine,

Eccellenze,
Cari amici,

È un grande piacere per me accogliervi, membri dell’Israeli Religious Council, che rappresentate le comunità religiose esistenti in Terra Santa, e vi ringrazio per le parole cortesi che mi sono state rivolte a nome di tutti i presenti.

In questi tempi inquieti, il dialogo fra differenti religioni sta diventando sempre più importante per instaurare un clima di mutuo rispetto e di comprensione che può condurre all’amicizia e alla salda fiducia reciproche. Questo è urgente per i leader religiosi della Terra Santa che, pur vivendo in un luogo pieno di memorie sacre alle nostre tradizioni, sono quotidianamente messi alla prova dalle difficoltà del vivere insieme in armonia.

Come ho osservato nel mio recente incontro con i capi religiosi ad Assisi, oggi ci troviamo di fronte a due tipi di violenza: da una parte, l’uso della violenza in nome della religione e, dall’altra, la violenza che è conseguenza della negazione di Dio, che spesso caratterizza la vita nella società moderna. In questa situazione, come responsabili religiosi siamo chiamati a riaffermare che la relazione dell’uomo con Dio vissuta rettamente è una forza di pace. Questa è una verità che deve divenire sempre più visibile nel modo in cui viviamo insieme ogni giorno. Quindi, desidero incoraggiarvi a promuovere un clima di fiducia e di dialogo fra i leader e i membri di tutte le tradizioni religiose presenti in Terra Santa.

Condividiamo la grave responsabilità di educare i membri delle nostre rispettive comunità religiose, al fine di coltivare una comprensione reciproca più profonda e di sviluppare un’apertura verso la cooperazione con persone di tradizioni religiose diverse dalla nostra. Purtroppo, la realtà del nostro mondo è spesso frammentaria e imperfetta, anche in Terra Santa. Tutti noi siamo chiamati a impegnarci di nuovo per la promozione di una giustizia e di una dignità maggiori, per arricchire il nostro mondo e conferirgli una dimensione pienamente umana. La giustizia, insieme con la verità, l’amore e la libertà, è un requisito fondamentale per una pace sicura e duratura nel mondo. Il movimento verso la riconciliazione richiede coraggio e lungimiranza nonché la fiducia nel fatto che sarà Dio stesso a indicarci la via. Non possiamo raggiungere i nostri scopi se Dio non ci dona la forza per farlo.

Quando, nel maggio del 2009, ho visitato Gerusalemme, ho sostato davanti al Muro Occidentale e, nella preghiera scritta che ho inserito fra le pietre del Muro, ho chiesto a Dio la pace in Terra Santa. Ho scritto: «Dio di tutti i tempi, in occasione della mia visita a Gerusalemme, la “Città della Pace”, patria spirituale di Ebrei, Cristiani e Musulmani, porto al tuo cospetto le gioie, le speranze e le aspirazioni, le prove, la sofferenza e il dolore di tutto il tuo popolo in ogni parte del mondo. Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, ascolta il grido degli afflitti, di chi ha paura, di chi è privo di speranza; manda la tua pace in questa Terra Santa, nel Medio Oriente, in tutta la famiglia umana; muovi i cuori di quanti invocano il tuo nome, perché percorrano umilmente il cammino della giustizia e della compassione. “Buono è il Signore con chi spera in Lui, con colui che lo cerca!” (
Lm 3,25)».

Che il Signore ascolti la mia preghiera per Gerusalemme oggi e riempia i vostri cuori di gioia durante la vostra visita a Roma. Che ascolti la preghiera di tutti gli uomini e di tutte le donne che gli chiedono la pace di Gerusalemme. Infatti, non smettiamo mai di pregare per la pace della Terra Santa, con fiducia in Dio che è nostra pace e nostro conforto! Affidando voi e coloro che rappresentate alla cura misericordiosa dell’Onnipotente, invoco volentieri su tuti voi le benedizioni divine di gioia e di pace.


AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO PROMOSSO DAL PONTIFICIO CONSIGLIO «COR UNUM» Sala Clementina Venerdì, 11 novembre 2011

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Eminenze, Cari Fratelli Vescovi,
Cari amici,

sono grato per l’opportunità di salutarvi mentre vi incontrate sotto gli auspici del Pontificio Consiglio «Cor Unum» in questo Anno Europeo del Volontariato.

Desidero cominciare ringraziando il Cardinale Robert Sarah per le cordiali parole che mi ha rivolto a vostro nome. Desidero anche esprimere profonda gratitudine a voi e, quindi, ai milioni di volontari cattolici che contribuiscono, con regolarità e generosità, alla missione caritativa della Chiesa nel mondo. Nel momento attuale, caratterizzato da crisi e incertezza, il vostro impegno è motivo di fiducia perché mostra che la bontà esiste e che sta crescendo in mezzo a noi. La fede di tutti i cattolici viene di certo rafforzata dal vedere il bene che viene fatto in nome di Cristo (cfr. Fm
Phm 6).

Per i cristiani, il volontariato non è soltanto espressione di buona volontà. È basato sull’esperienza personale di Cristo. Fu il primo a servire l’umanità, diede liberamente la sua vita per il bene di tutti. Quel dono non si basava sui nostri meriti. Da ciò impariamo che Dio dona se stesso a noi. Inoltre: Deus caritas est — Dio è amore, per citare una frase della Prima Lettera di Giovanni (4, 8) che ho scelto come titolo della mia prima Lettera Enciclica. L’esperienza dell’amore generoso di Dio ci sfida e ci libera per adottare lo stesso atteggiamento verso i nostri fratelli e le nostre sorelle: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Lo sperimentiamo in particolare nell’Eucaristia, quando il Figlio di Dio, nella frazione del pane, unisce la dimensione verticale del suo dono divino con quella orizzontale del nostro servizio ai fratelli e alle sorelle.

La grazia di Cristo ci aiuta a scoprire in noi stessi un anelito umano alla solidarietà e una fondamentale vocazione all’amore. La sua grazia perfeziona, rafforza ed eleva quella vocazione e ci consente di servire gli altri senza ricompensa, soddisfazione o alcun compenso. Qui vediamo qualcosa della grandezza della vocazione umana a servire gli altri con le stesse libertà e generosità che caratterizzano Dio stesso. Diveniamo anche strumenti visibili del suo amore in un mondo che ancora anela profondamente a quell’amore in mezzo alla povertà, alla solitudine, all’emarginazione e all’ignoranza che vediamo intorno a noi.

Di certo, il lavoro dei volontari cattolici non può rispondere a tutte queste necessità, ma ciò non ci scoraggia. Né dovremmo lasciarci sedurre da ideologie che vogliono cambiare il mondo secondo una visione puramente umana. Il poco che possiamo riuscire a fare per alleviare i bisogni umani può essere considerato come il buon seme che germoglierà e recherà molti frutti. È un segno della presenza e dell’amore di Cristo che, come l’albero del Vangelo, cresce per dare riparo, protezione e forza a tutti coloro che ne hanno bisogno.

È questa la natura della testimonianza che voi, in tutta umiltà e convinzione, offrite alla società civile. Sebbene sia dovere dell’autorità pubblica riconoscere e apprezzare questo contributo senza distorcerlo, il vostro ruolo di cristiani consiste nel prendere attivamente parte alla vita della società, cercando di renderla sempre più umana, sempre più caratterizzata da libertà, giustizia e solidarietà autentiche.

Il nostro incontro di oggi si svolge nella memoria liturgica di san Martino di Tours. Spesso ritratto mentre condivide il proprio mantello con un povero, Martino è divenuto modello di carità in tutta Europa e, di fatto, in tutto il mondo. Oggi, il lavoro di volontariato come servizio di carità è divenuto un elemento universalmente riconosciuto della nostra cultura moderna. Ciononostante, le sue origini sono ancora visibili nella particolare sollecitudine cristiana per la tutela, senza discriminazioni, della dignità della persona umana creata a immagine e somiglianza di Dio. Se queste radici spirituali vengono negate o oscurate e i criteri della nostra collaborazione divengono meramente utilitaristici, quel che c’è di più caratteristico nel servizio che offrite rischia di andare perduto, a detrimento della società nella sua interezza.

Cari amici, desidero concludere incoraggiando i giovani a scoprire nel lavoro di volontariato un modo per accrescere il proprio amore oblativo che dona alla vita il suo significato più profondo. I giovani reagiscono prontamente alla vocazione di amore. Aiutiamoli ad ascoltare Cristo che fa udire la sua chiamata nel loro cuore e li attrae a sé. Non dobbiamo avere paura di presentare loro una sfida radicale che cambia la vita, aiutandoli a comprendere che i nostri cuori sono fatti per amare e per essere amati. È nel dono di sé che viviamo la vita in tutta al sua pienezza.

Con questi sentimenti, rinnovo la mia gratitudine a tutti voi e tutti coloro che rappresentate. Chiedo a Dio di vegliare sulle vostre numerose opere di servizio e di renderle sempre più feconde spiritualmente per il bene della Chiesa e di tutto il mondo. A voi e ai vostri volontari imparto volentieri la mia Benedizione Apostolica.



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