Discorsi 2005-13 8151


A UNA DELEGAZIONE DI "B’NAI B’RITH INTERNATIONAL" Sala dei Papi Giovedì, 12 maggio 2011

12051

Cari amici,

sono lieto di salutare questa delegazione di B’nai B’rith International. Ricordo con piacere il mio primo incontro con una delegazione della vostra organizzazione circa cinque anni fa.

In questa occasione, desidero esprimere apprezzamento per il vostro impegno nel dialogo tra cattolici ed ebrei e in particolare per la vostra partecipazione attiva all’incontro del Comitato Internazionale di Collegamento Cattolico-Ebraico, svoltosi a Parigi alla fine di febbraio. L’incontro si è tenuto nel quarantesimo anniversario del dialogo, che è stato organizzato congiuntamente dalla Commissione della Santa Sede per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo e il Comitato Internazionale Ebraico per le Consultazioni Interreligiose. Ciò che è accaduto in questi quarant’anni va considerato come un grande dono del Signore e un motivo di sincera gratitudine verso Colui che guida i nostri passi con la sua saggezza infinita ed eterna.

L’incontro di Parigi ha confermato il desiderio dei cattolici e degli ebrei di affrontare insieme le sfide immense delle nostre comunità in un mondo in rapido mutamento e, in maniera significativa, la nostra comune responsabilità religiosa di combattere la povertà, l’ingiustizia, la discriminazione e la negazione dei diritti universali dell’uomo. Ci sono molti modi in cui ebrei e cristiani possono cooperare per migliorare il mondo secondo la volontà dell’Onnipotente per il bene dell’umanità. Nell’immediato i nostri pensieri sono rivolti a opere concrete di carità e servizio ai poveri e ai bisognosi. Tuttavia, una delle cose più importanti che possiamo fare insieme è rendere una testimonianza comune del nostro credo, profondamente sentito, che tutti gli uomini e tutte le donne sono creati a immagine divina (cfr. Gn
Gn 1,26-27) e quindi possiedono pari inviolabile dignità. Questa convinzione rimane il fondamento più sicuro di ogni sforzo volto a difendere e a promuovere i diritti inalienabili di ogni essere umano.

In un colloquio recente fra delegazioni del Gran Rabbinato d’Israele e la Commissione della Santa Sede per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo, svoltosi a Gerusalemme alla fine di marzo, è stata sottolineata la necessità di promuovere una giusta comprensione del ruolo della religione nella vita delle società contemporanee come correttivo a una visione meramente orizzontale e quindi tronca della persona umana e della coesistenza sociale. La vita e l’opera di tutti i credenti dovrebbero rendere una testimonianza costante del trascendente, mirare alle realtà invisibili che sono al di là di noi e incarnare la convinzione che una Provvidenza amorevole e compassionevole guida l’esito finale della storia, indipendentemente da quanto difficile e minaccioso possa apparire a volte il cammino. Grazie al profeta abbiamo questa assicurazione: «Io, infatti, conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo — dice il Signore — progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza» (Jr 29,11).

Con questi sentimenti invoco su di voi e sulle vostre famiglie le benedizioni divine di saggezza, misericordia e pace.



AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO PROMOSSO DAL PONTIFICIO ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II PER STUDI SU MATRIMONIO E FAMIGLIA Sala Clementina Venerdì, 13 maggio 2011

13051

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari Fratelli e Sorelle,

con gioia vi accolgo oggi, a pochi giorni dalla beatificazione del Papa Giovanni Paolo II, che trent’anni fa, come abbiamo sentito, volle fondare contemporaneamente il Pontificio Consiglio per la Famiglia e il vostro Pontificio Istituto; due Organismi che mostrano come egli fosse fermamente persuaso dell’importanza decisiva della famiglia per la Chiesa e per la Società. Saluto i rappresentanti della vostra grande comunità sparsa ormai in tutti i Continenti, come pure la benemerita Fondazione per matrimonio e famiglia che ho creato per sostenere la vostra missione. Ringrazio il Preside, Mons. Melina, per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti. Il nuovo Beato Giovanni Paolo II, che, come è stato ricordato, proprio trent’anni fa subì il terribile attentato in Piazza San Pietro, vi ha affidato, in particolare, per lo studio, la ricerca e la diffusione, le sue “Catechesi sull’amore umano”, che contengono una profonda riflessione sul corpo umano. Coniugare la teologia del corpo con quella dell’amore per trovare l’unità del cammino dell’uomo: ecco il tema che vorrei indicarvi come orizzonte per il vostro lavoro.

Poco dopo la morte di Michelangelo, Paolo Veronese fu chiamato davanti all’Inquisizione, con l’accusa di aver dipinto figure inappropriate intorno all’Ultima Cena. Il pittore rispose che anche nella Cappella Sistina i corpi erano rappresentati nudi, con poca riverenza. Fu proprio l’inquisitore che prese la difesa di Michelangelo con una risposta diventata famosa: “Non sai che in queste figure non vi è cosa se non di spirito?”. Da moderni facciamo fatica a capire queste parole, perché il corpo ci appare come materia inerte, pesante, opposta alla conoscenza e alla libertà proprie dello spirito. Ma i corpi dipinti da Michelangelo sono abitati da luce, vita, splendore. Voleva mostrare così che i nostri corpi nascondono un mistero. In essi lo spirito si manifesta e opera. Sono chiamati ad essere corpi spirituali, come dice san Paolo (cfr
1Co 15,44). Ci possiamo allora chiedere: può questo destino del corpo illuminare le tappe del suo cammino? Se il nostro corpo è chiamato ad essere spirituale, non dovrà essere la sua storia quella dell’alleanza tra corpo e spirito? Infatti, lungi dall’opporsi allo spirito, il corpo è il luogo dove lo spirito può abitare. Alla luce di questo è possibile capire che i nostri corpi non sono materia inerte, pesante, ma parlano, se sappiamo ascoltare, il linguaggio dell’amore vero.

La prima parola di questo linguaggio si trova nella creazione dell’uomo. Il corpo ci parla di un’origine che noi non abbiamo conferito a noi stessi. “Mi hai tessuto nel seno di mia madre”, dice il Salmista al Signore (Ps 139,13). Possiamo affermare che il corpo, nel rivelarci l’Origine, porta in sé un significato filiale, perché ci ricorda la nostra generazione, che attinge, tramite i nostri genitori che ci hanno trasmesso la vita, a Dio Creatore. Solo quando riconosce l’amore originario che gli ha dato la vita, l’uomo può accettare se stesso, può riconciliarsi con la natura e con il mondo. Alla creazione di Adamo segue quella di Eva. La carne, ricevuta da Dio, è chiamata a rendere possibile l’unione di amore tra l’uomo e la donna e trasmettere la vita. I corpi di Adamo ed Eva appaiono, prima della Caduta, in perfetta armonia. C’è in essi un linguaggio che non hanno creato, un eros radicato nella loro natura, che li invita a riceversi mutuamente dal Creatore, per potersi così donare. Comprendiamo allora che, nell’amore, l’uomo è “ricreato”. Incipit vita nova, diceva Dante (Vita Nuova I,1), la vita della nuova unità dei due in una carne. Il vero fascino della sessualità nasce dalla grandezza di questo orizzonte che schiude: la bellezza integrale, l’universo dell’altra persona e del “noi” che nasce nell’unione, la promessa di comunione che vi si nasconde, la fecondità nuova, il cammino che l’amore apre verso Dio, fonte dell’amore. L’unione in una sola carne si fa allora unione di tutta la vita, finché uomo e donna diventano anche un solo spirito. Si apre così un cammino in cui il corpo ci insegna il valore del tempo, della lenta maturazione nell’amore. In questa luce, la virtù della castità riceve nuovo senso. Non è un “no” ai piaceri e alla gioia della vita, ma il grande “sí” all’amore come comunicazione profonda tra le persone, che richiede il tempo e il rispetto, come cammino insieme verso la pienezza e come amore che diventa capace di generare vita e di accogliere generosamente la vita nuova che nasce.

È certo che il corpo contiene anche un linguaggio negativo: ci parla di oppressione dell’altro, del desiderio di possedere e sfruttare. Tuttavia, sappiamo che questo linguaggio non appartiene al disegno originario di Dio, ma è frutto del peccato. Quando lo si stacca dal suo senso filiale, dalla sua connessione con il Creatore, il corpo si ribella contro l’uomo, perde la sua capacità di far trasparire la comunione e diventa terreno di appropriazione dell’altro. Non è forse questo il dramma della sessualità, che oggi rimane rinchiusa nel cerchio ristretto del proprio corpo e nell’emotività, ma che in realtà può compiersi solo nella chiamata a qualcosa di più grande? A questo riguardo Giovanni Paolo II parlava dell’umiltà del corpo. Un personaggio di Claudel dice al suo amato: “la promessa che il mio corpo ti fece, io sono incapace di compiere”; a cui segue la risposta: “il corpo si rompe, ma non la promessa…” (Le soulier de satin, Giorno III, Scena XIII). La forza di questa promessa spiega come la Caduta non sia l’ultima parola sul corpo nella storia della salvezza. Dio offre all’uomo anche un cammino di redenzione del corpo, il cui linguaggio viene preservato nella famiglia. Se dopo la Caduta Eva riceve questo nome, Madre dei viventi, ciò testimonia che la forza del peccato non riesce a cancellare il linguaggio originario del corpo, la benedizione di vita che Dio continua a offrire quando uomo e donna si uniscono in una sola carne. La famiglia, ecco il luogo dove la teologia del corpo e la teologia dell’amore si intrecciano. Qui si impara la bontà del corpo, la sua testimonianza di un’origine buona, nell’esperienza di amore che riceviamo dai genitori. Qui si vive il dono di sé in una sola carne, nella carità coniugale che congiunge gli sposi. Qui si sperimenta la fecondità dell’amore, e la vita s’intreccia a quella di altre generazioni. E’ nella famiglia che l’uomo scopre la sua relazionalità, non come individuo autonomo che si autorealizza, ma come figlio, sposo, genitore, la cui identità si fonda nell’essere chiamato all’amore, a riceversi da altri e a donarsi ad altri.

Questo cammino dalla creazione trova la sua pienezza con l’Incarnazione, con la venuta di Cristo. Dio ha assunto il corpo, si è rivelato in esso. Il movimento del corpo verso l’alto viene qui integrato in un altro movimento più originario, il movimento umile di Dio che si abbassa verso il corpo, per poi elevarlo verso di sé. Come Figlio, ha ricevuto il corpo filiale nella gratitudine e nell’ascolto del Padre e ha donato questo corpo per noi, per generare così il corpo nuovo della Chiesa. La liturgia dell’Ascensione canta questa storia della carne, peccatrice in Adamo, assunta e redenta da Cristo. È una carne che diventa sempre più piena di luce e di Spirito, piena di Dio. Appare così la profondità della teologia del corpo. Questa, quando viene letta nell’insieme della tradizione, evita il rischio di superficialità e consente di cogliere la grandezza della vocazione all’amore, che è una chiamata alla comunione delle persone nella duplice forma di vita della verginità e del matrimonio.

Cari amici, il vostro Istituto è posto sotto la protezione della Madonna. Di Maria disse Dante parole illuminanti per una teologia del corpo: “nel ventre tuo si raccese l’amore” (Paradiso XXXIII, 7). Nel suo corpo di donna ha preso corpo quell’Amore che genera la Chiesa. La Madre del Signore continui a proteggere il vostro cammino e a rendere fecondo il vostro studio e insegnamento, a servizio della missione della Chiesa per la famiglia e la società. Vi accompagni la Benedizione Apostolica, che imparto di cuore a tutti voi. Grazie.



AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA GENERALE DELLE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE Sala Clementina Sabato, 14 maggio 2011

14051

Signor Cardinale,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle,

desidero anzitutto rivolgere il mio cordiale saluto al nuovo Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, Mons. Fernando Filoni, che ringrazio di cuore per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti. A questo aggiungo un fervido augurio di fruttuoso ministero. Allo stesso tempo, esprimo viva gratitudine al Cardinale Ivan Dias per il generoso ed esemplare servizio che ha reso al Dicastero missionario e alla Chiesa universale in questi anni. Il Signore continui a guidare con la sua luce questi due fedeli operai della sua vigna. Saluto il Segretario Mons. Savio Hon Tai-Fai, il Segretario Aggiunto Mons. Piergiuseppe Vacchelli, Presidente delle Pontificie Opere Missionarie, i collaboratori della Congregazione e i Direttori Nazionali delle Pontificie Opere Missionarie, convenuti a Roma dalle varie Chiese particolari per l’annuale Assemblea Ordinaria del Consiglio Superiore. Un affettuoso benvenuto a tutti.

Cari amici, con la vostra preziosa opera di animazione e cooperazione missionaria richiamate al Popolo di Dio “la necessità per il nostro tempo di un impegno deciso nella missio ad gentes” (Esort. ap. Verbum Domini, 95), per annunciare la “grande Speranza”, “quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme” (Enc. Spe salvi ). Nuovi problemi e nuove schiavitù, infatti, emergono nel nostro tempo, sia nel cosiddetto primo mondo, benestante e ricco ma incerto circa il suo futuro, sia nei Paesi emergenti, dove, anche a causa di una globalizzazione caratterizzata spesso dal profitto, finiscono per aumentare le masse dei poveri, degli emigranti, degli oppressi, in cui si affievolisce la luce della speranza. La Chiesa deve rinnovare costantemente il suo impegno di portare Cristo, di prolungare la sua missione messianica per l’avvento del Regno di Dio, Regno di giustizia, di pace, di libertà, di amore. Trasformare il mondo secondo il progetto di Dio con la forza rinnovatrice del Vangelo, “perché Dio sia tutto in tutti” (
1Co 15,28) è compito dell’intero Popolo di Dio. E’ necessario pertanto continuare con rinnovato entusiasmo l’opera di evangelizzazione, l’annuncio gioioso del Regno di Dio, venuto in Cristo nella potenza dello Spirito Santo, per condurre gli uomini alla vera libertà dei figli di Dio contro ogni forma di schiavitù. E’ necessario gettare le reti del Vangelo nel mare della storia per portare gli uomini verso la terra di Dio.

“La missione di annunciare la Parola di Dio è compito di tutti i discepoli di Cristo, come conseguenza del loro battesimo” (Esort. ap. Verbum Domini, 94). Ma perché vi sia un deciso impegno nell’evangelizzazione, è necessario che i singoli cristiani come le comunità credano veramente che “la Parola di Dio è la verità salvifica di cui ogni uomo in ogni tempo ha bisogno” (ibid., 95). Se questa convinzione di fede non è profondamente radicata nella nostra vita, non potremo sentire la passione e la bellezza di annunciarla. In realtà, ogni cristiano dovrebbe fare propria l’urgenza di lavorare per l’edificazione del Regno di Dio. Tutto nella Chiesa è al servizio dell’evangelizzazione: ogni settore della sua attività e anche ogni persona, nei vari compiti che è chiamata a svolgere. Tutti devono essere coinvolti nella missio ad gentes: Vescovi, presbiteri, religiosi e religiose, laici. “Nessun credente in Cristo può sentirsi estraneo a questa responsabilità che proviene dall’appartenere sacramentalmente al Corpo di Cristo” (ibid., 94). Occorre, pertanto, prestare particolare cura affinché tutti i settori della pastorale, della catechesi, della carità siano caratterizzati dalla dimensione missionaria: la Chiesa è missione.

Condizione fondamentale per l’annuncio è lasciarsi afferrare completamente da Cristo, Parola di Dio incarnata, perché solo chi è in attento ascolto del Verbo incarnato, chi è intimamente unito a Lui, può diventarne annunciatore (cfr ibid., 51; 91). Il messaggero del Vangelo deve rimanere sotto il dominio della Parola e deve alimentarsi dei Sacramenti: è da questa linfa vitale che dipendono la sua esistenza e il suo ministero missionario. Solo radicati profondamente in Cristo e nella sua Parola si è capaci di non cedere alla tentazione di ridurre l’evangelizzazione ad un progetto solo umano, sociale, nascondendo o tacendo la dimensione trascendente della salvezza offerta da Dio in Cristo. E’ una Parola che deve essere testimoniata e proclamata esplicitamente, perché senza una testimonianza coerente essa risulta meno comprensibile e credibile. Anche se spesso ci sentiamo inadeguati, poveri, incapaci, conserviamo sempre la certezza nella potenza di Dio, che mette il suo tesoro “in vasi di creta” proprio perché appaia che è Lui ad agire per mezzo nostro.

Il ministero dell’evangelizzazione è affascinante ed esigente: richiede amore per l’annuncio e la testimonianza, un amore così totale che può essere segnato anche dal martirio. La Chiesa non può venire meno alla sua missione di portare la luce di Cristo, di proclamare il lieto annuncio del Vangelo, anche se ciò comporta la persecuzione (cfr Esort. ap. Verbum Domini, 95). E’ parte della sua stessa vita, come lo è stato per Gesù. I cristiani non devono avere timore, anche se “sono attualmente il gruppo religioso che soffre il maggior numero di persecuzioni a motivo della propria fede” (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2011, 1). San Paolo afferma che “né morte, né vita, né angeli, né principati, né presente, né avvenire, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,38-39).

Cari amici, vi ringrazio per il lavoro di animazione e formazione missionaria che, come direttori nazionali delle Pontificie Opere Missionarie, svolgete nelle vostre Chiese locali. Le Pontificie Opere Missionarie, che i miei Predecessori e il Concilio Vaticano II hanno promosso e incoraggiato (cfr Ad Gentes AGD 38) restano uno strumento privilegiato per la cooperazione missionaria e per una proficua condivisione del personale e delle risorse finanziarie tra le Chiese. Non va inoltre dimenticato il supporto che le Pontificie Opere Missionarie offrono ai Collegi Pontifici, qui a Roma, dove, scelti e inviati dai loro Vescovi, si formano preti, religiosi e laici per le Chiese locali dei territori di missione. La vostra opera è preziosa per la edificazione della Chiesa, destinata a diventare la “casa comune” di tutta l’umanità. Lo Spirito Santo, il protagonista della Missione, ci guidi e ci sostenga sempre, per l’intercessione di Maria, Stella dell’evangelizzazione e Regina degli Apostoli. A tutti voi e ai vostri collaboratori imparto di cuore la mia Apostolica Benedizione.



AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DELL'INDIA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Sala del Concistoro Lunedì, 16 maggio 2011

16051

Cari Fratelli Vescovi,

è per me una grande gioia darvi il benvenuto mentre svolgete la vostra visita ad limina Apostolorum in questo tempo di Pasqua. Attraverso voi estendo i miei saluti a tutti i fedeli affidati alle vostre cure, e ringrazio il Cardinale Telesphore Placidus Toppo per i gentili sentimenti di comunione con il Successore di Pietro che ha espresso a nome vostro.

La presenza di Cristo Risorto tra i suoi discepoli è stata per loro fonte di profonda consolazione, confermandoli nella fede e approfondendo il loro amore per lui; e al momento della sua Ascensione, ha affidato loro un mandato dicendo: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (
Mt 28,19-20). Questo comando ha spinto il vostro grande patrono san Tommaso, gli altri apostoli e tutti coloro che li seguirono a predicare il Vangelo tra i popoli; e attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei sacramenti, la vita divina della Santissima Trinità è stata trasmessa a molte anime cristiane.

Oggi, come in ogni tempo, il mandato apostolico trova la sua fonte e il suo centro nella proclamazione del Figlio di Dio Incarnato, che è la pienezza della rivelazione divina e «la via, la verità e la vita» (Jn 14,6). Salvatore di tutto il creato, egli è il portatore della Buona Novella per tutti e il compimento delle aspirazioni più profonde dell’uomo. La rivelazione ultima di Dio che ci giunge in Gesù Cristo e che i credenti in tutto il mondo proclamano con gioia viene espressa in modo particolare nelle Sacre Scritture e nella vita sacramentale della Chiesa. Il potere salvifico di Cristo viene proclamato anche nella vita dei santi che hanno accolto con tutto il cuore il messaggio evangelico e lo hanno vissuto fedelmente tra i loro fratelli e le loro sorelle. La rivelazione cristiana, se accolta in libertà e per opera della grazia di Dio, trasforma gli uomini e le donne dal di dentro e stabilisce una straordinaria relazione redentrice con Dio, nostro Padre celeste, per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo. Questo è il cuore del messaggio che insegniamo, è il grande dono che offriamo al prossimo nella carità: la partecipazione alla vita stessa di Dio.

Nella Chiesa, i primi passi dei credenti sulla via di Cristo devono essere sempre accompagnati da una solida catechesi che consenta loro di prosperare nella fede, nell’amore e nel servizio. Alcuni di voi mi hanno raccontato le sfide che affrontate a questo riguardo e vi sostengo nel vostro impegno a offrire una formazione di qualità in tale ambito. Riconoscendo che la catechesi è una cosa distinta dalla speculazione teologica, i sacerdoti, i religiosi e i catechisti laici devono sapere come comunicare con chiarezza e amorevole devozione la bellezza trasformatrice di vita dell’esistenza e dell’insegnamento cristiani, che consentirà e arricchirà l’incontro con Cristo stesso. Ciò vale in modo particolare per la preparazione dei fedeli per incontrare nostro Signore nei sacramenti.

Per quanto riguarda il mondo in generale, l’impegno cristiano di vivere e di dare testimonianza del Vangelo pone sfide distinte in ogni tempo e luogo. Questo vale certamente per il vostro Paese, che è la patria di diverse religioni antiche, compreso il cristianesimo. La vita cristiana in queste società esige sempre onestà e sincerità circa le proprie credenze e il rispetto di quelle del prossimo. La presentazione del Vangelo in tali circostanze, quindi, comporta il delicato processo dell’inculturazione. Si tratta di un’impresa che rispetta e conserva l’unicità e l’integrità della rivelazione divina donata alla Chiesa come sua eredità, mostrando allo stesso tempo che è intelligibile e attraente per coloro ai quali viene proposta. Il processo d’inculturazione esige che i sacerdoti, i religiosi e i catechisti laici, nel presentare la Buona Novella, utilizzino con attenzione le lingue e le usanze proprie delle persone che servono. Mentre cercate di affrontare le impegnative circostanze di proclamare il messaggio nei vari ambienti culturali nei quali vi trovate, voi, cari fratelli Vescovi, siete chiamati a vegliare su questo processo in fedeltà al deposito di fede che ci è stato consegnato perché lo custodissimo e lo trasmettessimo. Combinate questa fedeltà con la sensibilità e la creatività, affinché possiate dare conto in modo convincente della speranza che è in voi (cfr. 1P 3,15).

Per quanto riguarda il dialogo interreligioso, sono consapevole delle difficili circostanze che molti di voi devono affrontare mentre portate avanti un dialogo con gli appartenenti a altre fedi religiose, incoraggiando sempre un clima di tollerante interazione. Il vostro dialogo dovrebbe essere caratterizzato da una considerazione costante di ciò che è vero, al fine di favorire il rispetto reciproco, evitando però apparenze di sincretismo.

Inoltre, mentre i cristiani dell’India cercano di vivere in pace e in armonia con i loro vicini di altre credenze, la vostra guida prudente sarà importante nel compito civile e morale di operare per tutelare i diritti umani fondamentali della libertà di religione e della libertà di culto. Come sapete, questi diritti si fondano sulla dignità comune di tutti gli esseri umani e sono riconosciuti nel concerto delle nazioni. La Chiesa cattolica cerca di promuovere questi diritti per tutte le religioni nel mondo intero. Vi incoraggio, quindi, a operare con pazienza per creare quella base comune necessaria perché tutti possano armoniosamente godere di tali diritti fondamentali nelle vostre comunità. Anche quando il cristiano incontra opposizione, la sua carità e la sua sopportazione dovrebbero servire a convincere gli altri della giustezza della tolleranza religiosa, dalla quale possono trarre beneficio i seguaci di tutte le religioni. Le mie preghiere vi accompagnino mentre continuate ad affrontare tale delicata e importante questione.

Fratelli nell’Episcopato, sono grato di questa opportunità di rinnovare i nostri vincoli di comunione. Possa la beata Teresa di Calcutta, il cui servizio personale e paziente al prossimo era mosso dall’amore di Cristo, impetrare per voi l’abbondanza delle grazie celesti per garantire la fecondità spirituale del vostro lavoro pastorale. Assicuro voi e tutti coloro che servite del costante ricordo nelle mie preghiere e vi imparto volentieri la mia Benedizione Apostolica.



AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO PROMOSSO DAL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, NEL 50° ANNIVERSARIO DELL'ENCICLICA "MATER ET MAGISTRA" Sala Clementina Lunedì, 16 maggio 2011

16151

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
illustri Signore e Signori,

sono lieto di accogliervi e di salutarvi in occasione del 50° anniversario dell’Enciclica Mater et magistra del beato Giovanni XXIII; un documento che conserva grande attualità anche nel mondo globalizzato. Saluto il Cardinale Presidente, che ringrazio per le sue cortesi parole, come pure Mons. Segretario, i Collaboratori del Dicastero e tutti voi, convenuti dai vari Continenti per questo importante Congresso.

Nella Mater et magistra Papa Roncalli, con una visione di Chiesa posta al servizio della famiglia umana soprattutto mediante la sua specifica missione evangelizzatrice, ha pensato alla Dottrina sociale – anticipando il beato Giovanni Paolo II – come ad un elemento essenziale di questa missione, perché «parte integrante della concezione cristiana della vita» (n. 206). Giovanni XXIII è all’origine delle affermazioni dei suoi Successori anche quando ha indicato nella Chiesa il soggetto comunitario e plurale della Dottrina sociale. I christifideles laici, in particolare, non possono esserne soltanto fruitori ed esecutori passivi, ma ne sono protagonisti nel momento vitale della sua attuazione, come anche collaboratori preziosi dei Pastori nella sua formulazione, grazie all’esperienza acquisita sul campo e alle proprie specifiche competenze. Per il beato Giovanni XXIII, la Dottrina sociale della Chiesa ha come luce la Verità, come forza propulsiva l’Amore, come obiettivo la Giustizia (cfr n. 209), una visione della Dottrina sociale, che ho ripreso nell’Enciclica Caritas in veritate, a testimonianza di quella continuità che tiene unito l’intero corpus delle Encicliche sociali. La verità, l’amore, la giustizia, additati dalla Mater et magistra, assieme al principio della destinazione universale dei beni, quali criteri fondamentali per superare gli squilibri sociali e culturali, rimangono i pilastri per interpretare ed avviare a soluzione anche gli squilibri interni all’odierna globalizzazione. A fronte di questi squilibri c’è bisogno del ripristino di una ragione integrale che faccia rinascere il pensiero e l’etica. Senza un pensiero morale che superi l’impostazione delle etiche secolari, come quelle neoutilitaristiche e neocontrattualiste, che si fondano su un sostanziale scetticismo e su una visione prevalentemente immanentista della storia, diviene arduo per l’uomo d’oggi accedere alla conoscenza del vero bene umano. Occorre sviluppare sintesi culturali umanistiche aperte alla Trascendenza mediante una nuova evangelizzazione - radicata nella legge nuova del Vangelo, la legge dello Spirito - a cui più volte ci ha sollecitati il beato Giovanni Paolo II. Solo nella comunione personale con il Nuovo Adamo, Gesù Cristo, la ragione umana viene guarita e potenziata ed è possibile accedere ad una visione più adeguata dello sviluppo, dell’economia e della politica secondo la loro dimensione antropologica e le nuove condizioni storiche. Ed è grazie ad una ragione ripristinata nella sua capacità speculativa e pratica che si può disporre di criteri fondamentali per superare gli squilibri globali, alla luce del bene comune. Infatti, senza la conoscenza del vero bene umano, la carità scivola nel sentimentalismo (cfr n. 3); la giustizia perde la sua «misura» fondamentale; il principio della destinazione universale dei beni viene delegittimato. Dai vari squilibri globali, che caratterizzano la nostra epoca, vengono alimentate disparità, differenze di ricchezza, ineguaglianze, che creano problemi di giustizia e di equa distribuzione delle risorse e delle opportunità, specie nei confronti dei più poveri.

Ma non sono meno preoccupanti i fenomeni legati ad una finanza che, dopo la fase più acuta della crisi, è tornata a praticare con frenesia dei contratti di credito che spesso consentono una speculazione senza limiti. Fenomeni di speculazione dannosa si verificano anche con riferimento alle derrate alimentari, all’acqua, alla terra, finendo per impoverire ancor di più coloro che già vivono in situazioni di grave precarietà. Analogamente, l’aumento dei prezzi delle risorse energetiche primarie, con la conseguente ricerca di energie alternative guidata, talvolta, da interessi esclusivamente economici di corto termine, finiscono per avere conseguenze negative sull’ambiente, nonché sull’uomo stesso.

La questione sociale odierna è senza dubbio questione di giustizia sociale mondiale, come peraltro già ricordava la Mater et magistra cinquant’anni fa, sia pure con riferimento ad un altro contesto. È, inoltre, questione di distribuzione equa delle risorse materiali ed immateriali, di globalizzazione della democrazia sostanziale, sociale e partecipativa. Per questo, in un contesto ove si vive una progressiva unificazione dell’umanità, è indispensabile che la nuova evangelizzazione del sociale evidenzi le implicanze di una giustizia che va realizzata a livello universale. Con riferimento alla fondazione di tale giustizia va sottolineato che non è possibile realizzarla poggiandosi sul mero consenso sociale, senza riconoscere che questo, per essere duraturo, deve essere radicato nel bene umano universale. Per quanto concerne il piano della realizzazione, la giustizia sociale va attuata nella società civile, nell’economia di mercato (cfr Caritas in veritate ), ma anche da un’autorità politica onesta e trasparente ad essa proporzionata, pure a livello internazionale (cfr ibid., n. 67).

Rispetto alle grandi sfide odierne, la Chiesa, mentre confida in primo luogo nel Signore Gesù e nel suo Spirito, che la conducono attraverso le vicende del mondo, per la diffusione della Dottrina sociale conta anche sull’attività delle sue istituzioni culturali, sui programmi di istruzione religiosa e di catechesi sociale delle parrocchie, sui mass media e sull’opera di annuncio e di testimonianza dei christifideles laici (cfr Mater et magistra
MM 206-207). Questi debbono essere preparati spiritualmente, professionalmente ed eticamente. La Mater et magistra insisteva non solo sulla formazione, ma soprattutto sull’educazione che forma cristianamente la coscienza ed avvia ad un’azione concreta, secondo un discernimento sapientemente guidato. Il beato Giovanni XXIII affermava: «L’educazione ad operare cristianamente anche in campo economico e sociale difficilmente riesce efficace se i soggetti medesimi non prendono parte attiva nell’educare se stessi, e se l’educazione non viene svolta anche attraverso l’azione» (nn. 212-213).

Ancora valide, inoltre, sono le indicazioni offerte da Papa Roncalli a proposito di un legittimo pluralismo tra i cattolici nella concretizzazione della Dottrina sociale. Scriveva, infatti, che in questo ambito «[…] possono sorgere anche tra cattolici, retti e sinceri, delle divergenze. Quando ciò si verifichi non vengano mai meno la vicendevole considerazione, il reciproco rispetto e la buona disposizione a individuare i punti di incontro per un’azione tempestiva ed efficace: non ci si logori in discussioni interminabili e, sotto il pretesto del meglio e dell’ottimo, non si trascuri di compiere il bene che è possibile e perciò doveroso» (n. 219). Importanti istituzioni a servizio della nuova evangelizzazione del sociale sono, oltre alle associazioni di volontariato e alle organizzazioni non governative cristiane o di ispirazione cristiana, le Commissioni Giustizia e Pace, gli Uffici per i problemi sociali e il lavoro, i Centri e gli Istituti di Dottrina sociale, molti dei quali non si limitano allo studio e alla diffusione, ma anche all’accompagnamento di varie iniziative di sperimentazione dei contenuti del magistero sociale, come nel caso di cooperative sociali di sviluppo, di esperienze di microcredito e di un’economia animata dalla logica della comunione e della fraternità.

Il beato Giovanni XXIII, nella Mater et magistra, rammentava che si possono cogliere meglio le esigenze fondamentali della giustizia quando si vive come figli della luce (cfr n. 235). Auguro, pertanto, a tutti voi che il Signore Risorto riscaldi i vostri cuori e vi aiuti a diffondere il frutto della redenzione, mediante una nuova evangelizzazione del sociale e la testimonianza della vita buona secondo il Vangelo. Tale evangelizzazione sia sorretta da un’adeguata pastorale sociale, attivata sistematicamente nelle varie Chiese particolari. In un mondo, non di rado ripiegato su se stesso, privo di speranza, la Chiesa si attende che voi siate lievito, seminatori instancabili di veritiero e responsabile pensiero e di generosa progettualità sociale, sostenuti dall’amore pieno di verità che abita in Gesù Cristo, Verbo di Dio fattosi uomo. Nel ringraziarvi per la vostra opera, vi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.




Discorsi 2005-13 8151