Discorsi 2005-13 26051

SANTO ROSARIO CON I VESCOVI DELLA CEI E AFFIDAMENTO DELL'ITALIA ALLA VERGINE MARIA Basilica di Santa Maria Maggiore Giovedì, 26 maggio 2011

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IN OCCASIONE DEL 150° ANNIVERSARIO DELL'UNITÀ POLITICA DEL PAESE



Venerati e cari Confratelli,

siete convenuti in questa splendida Basilica - luogo nel quale spiritualità e arte si fondono in un connubio secolare - per condividere un intenso momento di preghiera, con il quale affidare alla protezione materna di Maria, Mater unitatis, l’intero popolo italiano, a centocinquant’anni dall’unità politica del Paese. È significativo che questa iniziativa sia stata preparata da analoghi incontri nelle diocesi: anche in questo modo esprimete la premura della Chiesa nel farsi prossima alle sorti di questa amata Nazione. A nostra volta, ci sentiamo in comunione con ogni comunità, anche con la più piccola, in cui rimane viva la tradizione che dedica il mese di maggio alla devozione mariana. Essa trova espressione in tanti segni: santuari, chiesette, opere d’arte e, soprattutto, nella preghiera del Santo Rosario, con cui il Popolo di Dio ringrazia per il bene che incessantemente riceve dal Signore, attraverso l’intercessione di Maria Santissima, e lo supplica per le sue molteplici necessità. La preghiera – che ha il suo vertice nella liturgia, la cui forma è custodita dalla vivente tradizione della Chiesa – è sempre un fare spazio a Dio: la sua azione ci rende partecipi della storia della salvezza. Questa sera, in particolare, alla scuola di Maria siamo stati invitati a condividere i passi di Gesù: a scendere con Lui al fiume Giordano, perché lo Spirito confermi in noi la grazia del Battesimo; a sederci al banchetto di Cana, per ricevere da Lui il “vino buono” della festa; ad entrare nella sinagoga di Nazaret, come poveri ai quali è rivolto il lieto messaggio del Regno di Dio; ancora, a salire sul Monte Tabor, per vivere la croce nella luce pasquale; e, infine, a partecipare nel Cenacolo al nuovo ed eterno sacrificio, che, anticipando i cieli nuovi e la terra nuova, rigenera tutta la creazione.

Questa Basilica è la prima in Occidente dedicata alla Vergine Madre di Dio. Nell’entrarvi, il mio pensiero è tornato al primo giorno dell’anno 2000, quando il Beato Giovanni Paolo II ne aprì la Porta Santa, affidando l’Anno giubilare a Maria, perché vegliasse sul cammino di quanti si riconoscevano pellegrini di grazia e di misericordia. Noi stessi oggi non esitiamo a sentirci tali, desiderosi di varcare la soglia di quella “Porta” Santissima che è Cristo e vogliamo chiedere alla Vergine Maria di sostenere il nostro cammino ed intercedere per noi. In quanto Figlio di Dio, Cristo è forma dell’uomo: ne è la verità più profonda, la linfa che feconda una storia altrimenti irrimediabilmente compromessa. La preghiera ci aiuta a riconoscere in Lui il centro della nostra vita, a rimanere alla sua presenza, a conformare la nostra volontà alla sua, a fare “qualsiasi cosa ci dica” (
Jn 2,5), certi della sua fedeltà. Questo è il compito essenziale della Chiesa, da Lui incoronata quale mistica sposa, come la contempliamo nello splendore del catino absidale. Maria ne costituisce il modello: è colei che ci porge lo specchio, in cui siamo invitati a riconoscere la nostra identità. La sua vita è un appello a ricondurre ciò che siamo all’ascolto e all’accoglienza della Parola, giungendo nella fede a magnificare il Signore, davanti al quale l’unica nostra possibile grandezza è quella che si esprime nell’obbedienza filiale: “Avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38). Maria si è fidata: lei è la “benedetta” (cfr Lc 1,42), che è tale per aver creduto (cfr Lc 1,45), fino ad essersi così rivestita di Cristo da entrare nel “settimo giorno”, partecipe del riposo di Dio. Le disposizioni del suo cuore – l’ascolto, l’accoglienza, l’umiltà, la fedeltà, la lode e l’attesa – corrispondono agli atteggiamenti interiori e ai gesti che plasmano la vita cristiana. Di essi si nutre la Chiesa, consapevole che esprimono ciò che Dio attende da lei.

Sul bronzo della Porta Santa di questa Basilica è incisa la raffigurazione del Concilio di Efeso. L’edificio stesso, risalente nel nucleo originario al V secolo, è legato a quell’assise ecumenica, celebrata nell’anno 431. A Efeso la Chiesa unita difese e confermò per Maria il titolo di Theotókos, Madre di Dio: titolo dal contenuto cristologico, che rinvia al mistero dell’incarnazione ed esprime nel Figlio l’unità della natura umana con quella divina. Del resto, è la persona e la vicenda di Gesù di Nazaret a illuminare l’Antico Testamento e il volto stesso di Maria. In lei si coglie in filigrana il disegno unitario che intreccia i due Testamenti. Nella sua vicenda personale c’è la sintesi della storia di un intero popolo, che pone la Chiesa in continuità con l’antico Israele. All’interno di questa prospettiva ricevono senso le singole storie, a partire da quelle delle grandi donne dell’Antica Alleanza, nella cui vita è rappresentato un popolo umiliato, sconfitto e deportato. Sono anche le stesse, però, che ne impersonano la speranza; sono il “resto santo”, segno che il progetto di Dio non rimane un’idea astratta, ma trova corrispondenza in una risposta pura, in una libertà che si dona senza nulla trattenere, in un sì che è accoglienza piena e dono perfetto. Maria ne è l’espressione più alta. Su di lei, vergine, discende la potenza creatrice dello Spirito Santo, lo stesso che “in principio” aleggiava sull’abisso informe (cfr Gn 1,1) e grazie al quale Dio chiamò l’essere dal nulla; lo Spirito che feconda e plasma la creazione. Aprendosi alla sua azione, Maria genera il Figlio, presenza del Dio che viene ad abitare la storia e la apre a un nuovo e definitivo inizio, che è possibilità per ogni uomo di rinascere dall’alto, di vivere nella volontà di Dio e quindi di realizzarsi pienamente.

La fede, infatti, non è alienazione: sono altre le esperienze che inquinano la dignità dell’uomo e la qualità della convivenza sociale! In ogni stagione storica l’incontro con la parola sempre nuova del Vangelo è stato sorgente di civiltà, ha costruito ponti fra i popoli e ha arricchito il tessuto delle nostre città, esprimendosi nella cultura, nelle arti e, non da ultimo, nelle mille forme della carità. A ragione l’Italia, celebrando i centocinquant’anni della sua unità politica, può essere orgogliosa della presenza e dell’azione della Chiesa. Essa non persegue privilegi né intende sostituirsi alle responsabilità delle istituzioni politiche; rispettosa della legittima laicità dello Stato, è attenta a sostenere i diritti fondamentali dell’uomo. Fra questi vi sono anzitutto le istanze etiche e quindi l’apertura alla trascendenza, che costituiscono valori previi a qualsiasi giurisdizione statale, in quanto iscritti nella natura stessa della persona umana. In questa prospettiva, la Chiesa – forte di una riflessione collegiale e dell’esperienza diretta sul territorio – continua a offrire il proprio contributo alla costruzione del bene comune, richiamando ciascuno al dovere di promuovere e tutelare la vita umana in tutte le sue fasi e di sostenere fattivamente la famiglia; questa rimane, infatti, la prima realtà nella quale possono crescere persone libere e responsabili, formate a quei valori profondi che aprono alla fraternità e che consentono di affrontare anche le avversità della vita. Non ultima fra queste, c’è oggi la difficoltà ad accedere ad una piena e dignitosa occupazione: mi unisco, perciò, a quanti chiedono alla politica e al mondo imprenditoriale di compiere ogni sforzo per superare il diffuso precariato lavorativo, che nei giovani compromette la serenità di un progetto di vita familiare, con grave danno per uno sviluppo autentico e armonico della società.

Cari Confratelli, l’anniversario dell’evento fondativo dello Stato unitario vi ha trovati puntuali nel richiamare i tasselli di una memoria condivisa e sensibili nell’additare gli elementi di una prospettiva futura. Non esitate a stimolare i fedeli laici a vincere ogni spirito di chiusura, distrazione e indifferenza, e a partecipare in prima persona alla vita pubblica. Incoraggiate le iniziative di formazione ispirate alla dottrina sociale della Chiesa, affinché chi è chiamato a responsabilità politiche e amministrative non rimanga vittima della tentazione di sfruttare la propria posizione per interessi personali o per sete di potere. Sostenete la vasta rete di aggregazioni e di associazioni che promuovono opere di carattere culturale, sociale e caritativo. Rinnovate le occasioni di incontro, nel segno della reciprocità, tra Settentrione e Mezzogiorno. Aiutate il Nord a recuperare le motivazioni originarie di quel vasto movimento cooperativistico di ispirazione cristiana che è stato animatore di una cultura della solidarietà e dello sviluppo economico. Similmente, provocate il Sud a mettere in circolo, a beneficio di tutti, le risorse e le qualità di cui dispone e quei tratti di accoglienza e di ospitalità che lo caratterizzano. Continuate a coltivare uno spirito di sincera e leale collaborazione con lo Stato, sapendo che tale relazione è benefica tanto per la Chiesa quanto per il Paese intero. La vostra parola e la vostra azione siano di incoraggiamento e di sprone per quanti sono chiamati a gestire la complessità che caratterizza il tempo presente. In una stagione, nella quale emerge con sempre maggior forza la richiesta di solidi riferimenti spirituali, sappiate porgere a tutti ciò che è peculiare dell’esperienza cristiana: la vittoria di Dio sul male e sulla morte, quale orizzonte che getta una luce di speranza sul presente. Assumendo l’educazione come filo conduttore dell’impegno pastorale di questo decennio, avete voluto esprimere la certezza che l’esistenza cristiana – la vita buona del Vangelo – è proprio la dimostrazione di una vita realizzata. Su questa strada voi assicurate un servizio non solo religioso o ecclesiale, ma anche sociale, contribuendo a costruire la città dell’uomo. Coraggio, dunque! Nonostante tutte le difficoltà, “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37), a Colui che continua a fare “grandi cose” (Lc 1,49) attraverso quanti, come Maria, sanno consegnarsi a lui con disponibilità incondizionata.

Sotto la protezione della Mater unitatis poniamo tutto il popolo italiano, perché il Signore gli conceda i doni inestimabili della pace e della fraternità e, quindi, dello sviluppo solidale. Aiuti le forze politiche a vivere anche l’anniversario dell’Unità come occasione per rinsaldare il vincolo nazionale e superare ogni pregiudiziale contrapposizione: le diverse e legittime sensibilità, esperienze e prospettive possano ricomporsi in un quadro più ampio per cercare insieme ciò che veramente giova al bene del Paese. L’esempio di Maria apra la via a una società più giusta, matura e responsabile, capace di riscoprire i valori profondi del cuore umano. La Madre di Dio incoraggi i giovani, sostenga le famiglie, conforti gli ammalati, implori su ciascuno una rinnovata effusione dello Spirito, aiutandoci a riconoscere e a seguire anche in questo tempo il Signore, che è il vero bene della vita, perché è la vita stessa.

Di cuore benedico voi e le vostre comunità.



PREGHIERA DI AFFIDAMENTO A MARIA



Vergine Maria,
Mater Unitatis,
questa sera intendiamo specchiarci in te
e porre sotto il manto della tua protezione
l’amato popolo italiano.

Vergine del Fiat,
la tua vita celebra il primato di Dio:
alimenta in noi lo stupore della fede,
insegnaci a custodire nella preghiera
quest’opera che restituisce unità alla vita.

Vergine del servizio,
donaci di comprendere a quale libertà
tende un’esistenza donata,
quale segreto di bellezza
è racchiuso nella verità di un incontro.

Vergine della Croce,
concedici di contemplare
la vittoria di Cristo sul mistero del male,
capaci di esprimere ragioni di speranza
e presenza d’amore nelle contraddizioni del tempo.

Vergine del Cenacolo,
sollecita le nostre Chiese a cooperare tra loro,
nella comunione con il Vescovo di Roma.
Rendi tutti noi partecipi del destino di questo Paese,
bisognoso di concordia e di sviluppo.

Vergine del Magnificat,
liberaci dalla rassegnazione,
donaci un cuore riconciliato,
suscita in noi la lode e la riconoscenza.
E saremo perseveranti nella fedeltà sino alla fine.

Amen.



AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA GENERALE DELLA CARITAS INTERNATIONALIS Sala Clementina Venerdì, 27 maggio 2011

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari Fratelli e Sorelle,

sono lieto di avere questa opportunità di incontrarvi , in occasione della vostra Assemblea Generale. Ringrazio il Cardinale Oscar Rodríguez Maradiaga, Presidente di Caritas Internationalis, per le cortesi parole che mi ha indirizzato anche a nome vostro, e rivolgo un cordiale saluto a tutti voi e all’intera famiglia delle Caritas. Vi assicuro, inoltre, la mia gratitudine e formulo nella preghiera i migliori auspici per le opere di carità cristiana che realizzate in Paesi di tutto il mondo.

Il primo motivo del nostro incontro odierno è quello di ringraziare Dio per le numerose grazie che ha elargito alla Chiesa nei sessant’anni trascorsi dalla fondazione di Caritas Internationalis. Dopo gli orrori e le devastazioni della Seconda Guerra Mondiale, il Venerabile Pio XII volle mostrare la solidarietà e la preoccupazione della Chiesa intera di fronte alle tante situazioni di conflitto e di emergenza nel mondo. E lo fece dando vita ad un organismo che, a livello della Chiesa universale, promuovesse maggiore comunicazione, coordinamento e collaborazione fra le numerose organizzazioni caritative della Chiesa nei vari continenti (cfr Chirografo Durante l’Ultima Cena, 16 settembre 2004, 1). Il Beato Giovanni Paolo II, poi, rafforzò ulteriormente i legami esistenti tra le singole agenzie nazionali di Caritas e tra di esse e la Santa Sede, conferendo a Caritas Internationalis la personalità giuridica canonica pubblica (ibid., 3). In conseguenza di ciò, Caritas internationalis ha acquisito un ruolo particolare nel cuore della comunità ecclesiale, ed è stata chiamata a condividere, in collaborazione con la Gerarchia ecclesiastica, la missione della Chiesa di manifestare, attraverso la carità vissuta, quell’amore che è Dio stesso. In tal modo, entro i limiti delle finalità proprie ad essa assegnate, Caritas Internationalis adempie a nome della Chiesa ad un compito specifico in favore del bene comune (cfr CIC, can.
CIC 116 §1).

Essere nel cuore della Chiesa; essere in grado, in certo qual modo, di parlare e agire in suo nome, in favore del bene comune, comporta particolari responsabilità in termini di vita cristiana, sia personale che comunitaria. Solo sulle basi di un quotidiano impegno ad accogliere e vivere pienamente l’amore di Dio, si può promuovere la dignità di ogni singolo essere umano. Nella mia prima Enciclica, Deus Caritas est, ho voluto riaffermare quanto sia centrale la testimonianza della carità per la Chiesa del nostro tempo. Attraverso tale testimonianza, resa visibile nella vita quotidiana dei suoi membri, la Chiesa raggiunge milioni di uomini e donne e rende loro possibile riconoscere e percepire l’amore di Dio, che è sempre vicino ad ogni persona che si trovi nel bisogno. Per noi cristiani, Dio stesso è la fonte della carità, e la carità è intesa non solo come una generica filantropia, ma come dono di sé, anche fino al sacrificio della propria vita in favore degli altri, ad imitazione dell’esempio di Gesù Cristo. La Chiesa prolunga nel tempo e nello spazio la missione salvifica di Cristo: essa vuole raggiungere ogni essere umano, mossa dal desiderio che ciascun individuo giunga a conoscere che nulla può separarci dall’amore di Cristo (cfr Rm 8,35).

Caritas Internationalis è diversa da altre agenzie sociali perché è un organismo ecclesiale, che condivide la missione della Chiesa. Questo è ciò che i Pontefici hanno sempre voluto e questo è ciò che la vostra Assemblea Generale è chiamata a riaffermare con forza. A tale riguardo, si deve osservare che Caritas Internationalis è costituita fondamentalmente dalle varie Caritas nazionali. A differenza di tante istituzioni e associazioni ecclesiali dedite alla carità, le Caritas hanno un tratto distintivo: pur nella varietà delle forme canoniche assunte dalle Caritas nazionali, tutte costituiscono un aiuto privilegiato per i Vescovi nel loro esercizio pastorale della carità. Ciò comporta una speciale responsabilità ecclesiale: quella di lasciarsi guidare dai Pastori della Chiesa. Dal momento poi che Caritas Internationalis ha un profilo universale ed è dotata di personalità giuridica canonica pubblica, la Santa Sede ha il compito di seguire la sua attività e di vigilare affinché tanto la sua azione umanitaria e di carità, come il contenuto dei documenti diffusi, siano in piena sintonia con la Sede Apostolica e con il Magistero della Chiesa, e affinché essa sia amministrata con competenza ed in modo trasparente. Questa identità distintiva è la forza di Caritas Internationalis, ed è ciò che rfende la sua opera particolarmente efficace.

Vorrei inoltre sottolineare che la vostra missione vi porta a svolgere un importante ruolo sul piano internazionale. L’esperienza che avete raccolto in questi anni vi ha insegnato a farvi portavoce, nella comunità internazionale, di una sana visione antropologica, alimentata dalla dottrina cattolica e impegnata a difendere la dignità di ogni vita umana. Senza un fondamento trascendente, senza un riferimento a Dio Creatore, senza la considerazione del nostro destino eterno, rischiamo di cadere in preda ad ideologie dannose. Tutto ciò che dite e fate, la testimonianza della vostra vita e delle vostre attività, sono importanti e contribuiscono a promuovere il bene integrale della persona umana. Caritas Internationalis è un’organizzazione a cui spetta il ruolo di favorire la comunione tra la Chiesa universale e le Chiese particolari, come pure la comunione tra tutti i fedeli nell’esercizio della carità. Al tempo stesso, essa è chiamata ad offrire il proprio contributo per portare il messaggio della Chiesa nella vita politica e sociale sul piano internazionale. Nella sfera politica – e in tutte quelle aree che toccano direttamente la vita dei poveri – i fedeli, specialmente i laici, godono di un’ampia libertà di azione. Nessuno può, in materie aperte alla libera discussione, pretendere di parlare “ufficialmente” a nome dell’intero laicato o di tutti i cattolici (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et Spes GS 43 GS 88). D’altro canto, ciascun cattolico, anzi, in verità, ogni uomo, è chiamato ad agire con coscienza purificata e con cuore generoso per promuovere in maniera decisa quei valori che spesso ho definito come “non negoziabili”. Caritas Internationalis è chiamata, perciò, ad operare per convertire i cuori all’apertura verso tutti i nostri fratelli e sorelle, affinché ognuno, nel pieno rispetto della propria libertà e nella piena assunzione delle proprie responsabilità personali, possa agire sempre ed ovunque in favore del bene comune, offrendo generosamente il meglio di sé al servizio dei fratelli e delle sorelle, in particolare dei più bisognosi.

E’ in questa ampia prospettiva, quindi, e in stretta collaborazione con i Pastori della Chiesa, responsabili ultimi della testimonianza della carità (cfr Deus Caritas est ), che le Caritas nazionali sono chiamate a continuare la loro fondamentale testimonianza al mistero dell’amore vivificante e trasformante di Dio manifestatosi in Gesù Cristo. Lo stesso vale anche per Caritas Internationalis, che, nell’impegno per svolgere la propria missione, può contare sull’assistenza e sull’appoggio della Santa Sede, particolarmente attraverso il Dicastero competente, il Pontificio Consiglio Cor Unum.

Cari amici, affidando questi pensieri alla vostra riflessione, vi ringrazio di nuovo per il vostro generoso impegno al servizio dei nostri fratelli bisognosi. A voi, ai vostri collaboratori e a tutti coloro che sono coinvolti nel vasto mondo delle opere di carità cattoliche, imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica, quale pegno di forza e di pace nel Signore.




CONCERTO OFFERTO DAL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI UNGHERIA, PAL SCHMITT - Aula Paolo VI Venerdì, 27 maggio 2011

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IN OCCASIONE DELLA PRESIDENZA UNGHERESE DEL CONSIGLIO DELL'UNIONE EUROPEA, NEL 200° ANNIVERSARIO DELLA NASCITA DI FERENC LISZT





Signor Presidente della Repubblica,
Signori Cardinali,
Onorevoli Ministri e Autorità,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
Gentili Signori e Signore!



[Desidero rivolgere un deferente saluto al Presidente della Repubblica di Ungheria, Sig. Pál Schmitt, alla gentile consorte e alla Delegazione ungherese. Lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto e per averci offerto, con squisita cortesia, questo splendido concerto, in occasione della Presidenza ungherese del Consiglio dell’Unione Europea e del bicentenario della nascita di Ferenc Liszt, artista veramente europeo.]

Saluto le altre Autorità, i Signori Ambasciatori, le varie Personalità, e voi tutti. Un grazie speciale al Direttore, al Tenore, all’Orchestra Filarmonica Nazionale e al Gruppo Corale Nazionale Ungheresi per l’esecuzione di altissimo livello, e agli organizzatori.

Liszt, uno dei maggiori pianisti di tutti i tempi, è stato un compositore geniale non solo di musiche per pianoforte, ma anche di musica sinfonica e sacra, come abbiamo ascoltato. Vorrei proporvi un pensiero che mi ha suscitato l’ascolto dei primi tre brani: il Festmarsch zur Goethejubiläumsfeier, la Vallée d’Obermann e l’Ave Maria-Die Glocken von Rom, il primo nella rielaborazione e gli altri due nella trascrizione dal pianoforte del Maestro Kotschisch secondo il più genuino spirito lisztiano. In queste tre composizioni sono messi in evidenza tutti i colori dell’orchestra; perciò, abbiamo potuto sentire con chiarezza la voce particolare delle varie sezioni che formano una compagine orchestrale: gli archi, i fiati, i legni, gli ottoni, le percussioni. Timbri molto caratteristici e diversi tra loro. Eppure non abbiamo sentito un ammasso di suoni slegati tra loro: tutti questi colori orchestrali hanno espresso armoniosamente un unico progetto musicale. E per questo ci hanno donato la bellezza e la gioia dell’ascolto, hanno suscitato in noi una vasta gamma di sentimenti: dalla gioia e festosità della marcia, alla pensosità del secondo pezzo con una ricorrente e struggente melodia, fino all’atteggiamento orante a cui ci ha invitato l’accorata Ave Maria.

Una parola anche sul bellissimo Salmo XIII. Risale agli anni in cui Liszt soggiornò a Tivoli e a Roma; è il periodo in cui il compositore vive in modo intenso la sua fede tanto da produrre quasi esclusivamente musica sacra; ricordiamo che ricevette gli ordini minori. Il brano che abbiamo ascoltato ci ha dato l’idea della qualità e della profondità di questa fede. E’ un Salmo in cui l’orante si trova in difficoltà, il nemico lo circonda, lo assedia, e Dio sembra assente, sembra averlo dimenticato. E la preghiera si fa angosciosa davanti a questa situazione di abbandono: “Fino a quando, Signore?”, ripete per quattro volte il Salmista. “Herr, wie lange?”, ripetono in modo quasi martellante il tenore e il coro nel brano ascoltato: è il grido dell’uomo e dell’umanità, che sente il peso del male che c’è nel mondo; e la musica di Liszt ci ha trasmesso questo senso di peso, di angoscia. Ma Dio non abbandona. Il Salmista lo sa e anche Liszt, da uomo di fede, lo sa. Dall’angoscia nasce una supplica piena di fiducia che sfocia nella gioia: “Esulterà il mio cuore nella tua salvezza … canterò al Signore, che mi ha beneficato”. E qui la musica di Liszt si trasforma: tenore, coro e orchestra innalzano un inno di pieno affidamento a Dio, che mai tradisce, mai si dimentica, mai ci lascia soli. Liszt, a proposito della sua Missa Solemnis, scriveva: “Posso veramente dire che ho più pregato questa Messa di quanto l’abbia composta”. Penso che lo stesso possiamo dire di questo Salmo: il grande musicista ungherese l’ha più pregato che composto, o meglio l’ha pregato prima di comporlo.



[Rinnovo la mia gratitudine al Signor Presidente della Repubblica, al Direttore, al Tenore, all’Orchestra Filarmonica e al Coro, a tutti gli organizzatori, per averci donato questo momento in cui il nostro cuore è stato invitato ad innalzarsi all’altezza di Dio.]

Il Signore continui a benedire la vostra vita. Grazie a tutti.



ALLA DELEGAZIONE DELLA "MARIANISCHE MÄNNER-CONGREGATION ‘MARIÄ VERKÜNDIGUNG’" DI REGENSBURG Sala dei Papi Sabato, 28 maggio 2011

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Caro Signor Presidente,
cari sodali!

Un cordiale “Vergelt’s Gott” [“Dio ve ne renda merito”] per la vostra visita, per il dono, per il fatto di aver tirato fuori dal cassetto una data dimenticata della mia vita. E’ una data, infatti, che non è semplicemente “passato”: l’ammissione nella Congregazione mariana guarda al futuro, e non è mai semplicemente un fatto accaduto. Ecco che, ancora dopo 70 anni, questa data è una data dell’“oggi”, una data che indica la via verso il “domani”. Vi sono grato per avere “tirato fuori” questa data e ne sono contento. Ringrazio di cuore Lei, caro Presidente, per le Sue gentili parole che sono venute dal cuore e al cuore vanno. A quell’epoca, allora, erano tempi bui – c’era la guerra. Hitler aveva sottomesso uno dopo l’altro la Polonia, la Danimarca, gli Stati del Benelux, la Francia e nell’aprile del 1941 – proprio in questo periodo, 70 anni fa – aveva occupato la Jugoslavia e la Grecia. Sembrava che il Continente fosse nelle mani di questo potere che, allo stesso tempo, poneva in forse il futuro del cristianesimo. Noi eravamo stati ammessi alla Congregazione, ma poco dopo iniziò la guerra contro la Russia; il seminario fu sciolto, e la Congregazione – prima che si fosse riunita, che riuscisse a radunarsi – era già stata dispersa ai quattro venti. Così ciò non è entrato come “data esteriore” della vita, ma è rimasto come “data interiore” della vita, perché da sempre è stato chiaro che la cattolicità non può esistere senza un atteggiamento mariano, che essere cattolici vuol dire essere mariani, che ciò significa l’amore per la Madre, che nella Madre e per la Madre troviamo il Signore.

Qui, attraverso le visite “ad limina” dei vescovi, sperimento costantemente come le persone – soprattutto in America Latina, ma anche negli altri continenti – possono affidarsi alla Madre, possono amare la Madre e, attraverso la Madre, poi, imparano a conoscere, a comprendere e ad amare Cristo; sperimento come la Madre continui a mettere al mondo il Signore, come Maria continui a dire “sì” e a portare Cristo nel mondo. Quando studiavamo, dopo la guerra – e credo che oggi non sia cambiato molto, non credo che la situazione sia molto migliorata – la mariologia che si insegnava nelle università tedesche era un po’ austera e sobria. Credo però che vi abbiamo trovato l’essenziale. A quel tempo, ci orientavamo a Guardini e al libro del suo amico, il parroco Josef Weiger, “Maria, Mutter der Glaubenden” (Maria, Madre dei credenti), il quale si rifà alle parole di Elisabetta: “Beata te che hai creduto!” (cfr. Lc
Lc 1,45). Maria è la grande credente. Ella ha raccolto la missione di Abramo di essere credente ed ha concretizzato la fede di Abramo nella fede in Gesù Cristo, indicando così a noi tutti la via della fede, il coraggio di affidarci a quel Dio che si dà nelle nostre mani, la gioia di essere suoi testimoni; e poi la sua determinazione a rimanere salda quando tutti sono fuggiti, il coraggio di stare dalla parte del Signore quando egli sembrava perduto, e di rendere proprio così quella testimonianza che ha portato alla Pasqua.

Sono dunque grato di sentire che in Baviera ci sono circa 40 mila sodali; che ancora oggi ci sono uomini che, insieme a Maria, amano il Signore, che attraverso Maria imparano a conoscere e ad amare il Signore, e, come Ella, rendono testimonianza al Signore nelle ore difficili e in quelle felici; che stanno con Lui, sotto la Croce e che continuano a vivere gioiosamente la Pasqua insieme a lui. Ringrazio quindi voi tutti perché tenete alta questa testimonianza, perché sappiamo che ci sono uomini cattolici bavaresi che sono sodali, che percorrono questo cammino aperto dai Gesuiti nel XVI secolo, e che continuano a dimostrare che la fede non appartiene al passato, ma apre sempre ad un “oggi” e, soprattutto, ad un “domani”.

[Dio vi renda merito per tutto], e Dio benedica voi tutti! Grazie di cuore.



AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DELL'INDIA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Sala del Concistoro Lunedì, 30 maggio 2011

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Cari Fratelli Vescovi,

vi porgo un affettuoso benvenuto in occasione della vostra visita ad limina Apostolorum, un particolare momento di grazia e un segno della comunione che esiste fra la Chiesa in India e la Sede di Pietro. Desidero ringraziare l’Arcivescovo Maria Callist Soosa Pakiam per i sentimenti devoti e la promessa di preghiere che ha espresso a nome vostro e di quanti servite. Vi prego di trasmettere il mio saluto affettuoso ai sacerdoti, ai religiosi, uomini e donne, e ai laici affidati alla vostra sollecitudine pastorale.

Il Concilio Vaticano Secondo ci ricorda che, fra i doveri più importanti dei Vescovi, eccelle la predicazione del Vangelo (cfr. Lumen gentium
LG 25). Infatti, la Chiesa, il Corpo di Cristo, proclama la parola di Dio che è all’opera nei cuori di quanti credono (cfr. 1Th 2,13) e cresce sempre ascoltando, celebrando e studiando quella Parola (cfr. Verbum Domini, n. 3). È motivo di soddisfazione il fatto che l’annuncio della Parola di Dio stia recando frutti spirituali abbondanti nelle vostre Chiese locali, in particolare tramite la diffusione di piccole comunità cristiane, nelle quali i fedeli si riuniscono per pregare, riflettere sulle Scritture e sostenersi fraternamente. Vi incoraggio, attraverso i vostri sacerdoti e con l’aiuto di responsabili laici qualificati, a garantire che la pienezza della Parola di Dio, che giunge a noi nelle Sacre Scritture e nella tradizione apostolica della Chiesa, sia resa prontamente disponibile a quanti cercano di approfondire la conoscenza e l’amore del Signore e la propria obbedienza alla sua volontà. Si dovrebbe fare di tutto per sottolineare che la preghiera individuale e collettiva, per sua stessa natura, deriva dalla sorgente di grazia che si trova nei sacramenti della Chiesa e in tutta la sua vita liturgica e ad essa riconduce. Né si può dimenticare che la Parola di Dio non solo conforta, ma anche sfida i credenti, come singoli individui e membri di comunità, a promuovere la giustizia, la riconciliazione e la pace fra loro e nella società nella sua interezza. Attraverso il vostro incoraggiamento e la vostra supervisione personali, che i semi della Parola di Dio piantati ora nelle vostre Chiese locali rechino frutti abbondanti per la salvezza delle anime e per la crescita del Regno di Dio.

In fedeltà al nuovo comandamento di amarci gli uni gli altri come Dio ci ha amato (cfr. Jn 13,34), i cristiani di tutti i tempi e di tutti i luoghi hanno lottato per servire gli altri esseri umani, loro compagni, e per amarli con tutto il cuore. Dopo tutto, l’amore è il dono di Dio all’umanità, è la sua promessa e la nostra speranza (cfr. Caritas in veritate ). Questo amore generoso trova espressione concreta nel servizio agli altri e alla più ampia comunità. In questa luce, sono lieto di osservare i segni incisivi della carità della Chiesa in molti campi di attività sociale, un servizio scaturito, in particolare, dai suoi sacerdoti e religiosi. Attraverso la loro testimonianza della carità cristiana, le scuole della Chiesa preparano i giovani di tutte le fedi, o anche di nessuna, a edificare una società più giusta e pacifica. Gli organismi della Chiesa sono stati strumentali nella promozione del microcredito, aiutando i poveri ad aiutare se stessi. Inoltre, promuovono la missione ecclesiale relativa alla carità e alla salute attraverso cliniche, orfanotrofi, ospedali e altri innumerevoli progetti volti a promuovere la dignità e il benessere umani, assistendo i più poveri e deboli, le persone sole e anziane, abbandonate e sofferenti, aiutandole tutte in virtù della dignità che è loro dovuta in quanto esseri umani, e per nessun altro motivo che quello dell’amore di Cristo che ci spinge (cfr. 2Co 5,14). Vi incoraggio a perseverare in questa testimonianza positiva e concreta, in fedeltà al comandamento del Signore e per il bene degli ultimi fra i nostri fratelli e sorelle. Che i fedeli di Cristo in India continuino ad assistere tutti i bisognosi nelle comunità intorno a loro, indipendentemente dalla razza, dall’appartenenza etnica, dalla religione o dallo status sociale, convinti del fatto che tutti sono stati creati a immagine di Dio e tutti meritano uguale rispetto.

In quanto dono di «amore incondizionato» che dà significato definitivo alla nostra vita (cfr. Spe salvi ), la carità viene prima vissuta dalla maggior parte di noi nella famiglia. Il recente Sinodo sulla Parola di Dio ha ricordato che la Chiesa, con il suo annuncio del Vangelo, rivela alle famiglie cristiane la loro identità autentica secondo il disegno di Dio (cfr. Verbum Domini, n. 85). Nelle vostre diocesi, le famiglie, che sono «Chiese domestiche», devono essere esempi di quell’amore, rispetto e sostegno reciproci che dovrebbero animare i rapporti umani a ogni livello. In quanto sono attente alla preghiera, alla meditazione delle Scritture e alla partecipazione piena alla vita sacramentale della Chiesa, contribuiranno ad alimentare «quell’amore incondizionato» fra loro e nella vita delle proprie parrocchie e saranno una fonte di grande bene per la più ampia comunità. Molti di voi mi hanno parlato delle sfide gravi che minacciano di minare l’unità, l’armonia e la santità della famiglia e dell’opera che dobbiamo compiere per creare una cultura di rispetto per il matrimonio e per la vita familiare. Una catechesi sana che si rivolga soprattutto a quanti si preparano al matrimonio farà molto per alimentare la fede delle famiglie cristiane e le aiuterà a rendere una testimonianza vibrante e viva della sapienza secolare della Chiesa a proposito del matrimonio, della famiglia e dell’uso responsabile della sessualità, che è un dono di Dio.

Con queste riflessioni, cari fratelli Vescovi, affido tutti voi all’intercessione dei Santi Apostoli, Pietro e Paolo, e di Maria, Madre della Chiesa. Assicurandovi delle mie preghiere costanti per voi e per quanti sono affidati alla vostra sollecitudine pastorale, imparto la mia Benedizione Apostolica quale pegno di grazia e di pace nel Signore risorto.




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