Discorsi 2005-13 28061

ALLA DELEGAZIONE DEL PATRIARCATO ECUMENICO DI COSTANTINOPOLI IN OCCASIONE DELLA SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO Martedì, 28 giugno 2011

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Cari Fratelli in Cristo,

Siate benvenuti a Roma in occasione della Festa dei Patroni di questa Chiesa, i Santi Apostoli Pietro e Paolo. Mi è particolarmente gradito salutarvi con le parole che San Paolo rivolgeva ai cristiani di questa città: "Il Dio della pace sia con tutti voi" (
Rm 15,32). Ringrazio di tutto cuore il Venerato fratello, il Patriarca Ecumenico Sua Santità Bartolomeo I e il Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico che hanno voluto inviare voi, cari Fratelli, come loro rappresentanti per partecipare qui con noi a questa solenne celebrazione.

Il Signore Gesù Cristo, apparso ai suoi discepoli dopo la sua risurrezione, conferì loro il compito di essere testimoni del Vangelo di Salvezza. Gli Apostoli hanno portato a compimento fedelmente questa missione, testimoniando sino al sacrificio cruento della vita la fede in Cristo Salvatore e l'amore verso Dio Padre. In questa città di Roma gli Apostoli Pietro e Paolo hanno affrontato il martirio e da allora le loro tombe sono oggetto di venerazione. La vostra partecipazione a questa nostra Festa, come la presenza di nostri rappresentanti a Costantinopoli per la Festa dell'Apostolo Andrea, esprime l'amicizia e l'autentica fraternità che unisce la Chiesa di Roma ed il Patriarcato Ecumenico, vincoli che sono solidamente fondati su quella fede ricevuta dalla testimonianza degli Apostoli. L'intima vicinanza spirituale che sperimentiamo ogni volta che ci incontriamo è per me motivo di profonda gioia e di gratitudine a Dio. Al tempo stesso, però, la comunione non completa che già ci unisce deve crescere fino a raggiungere la piena unità visibile.

Seguiamo con grande attenzione il lavoro della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme. Ad uno sguardo puramente umano, si potrebbe essere presi dall'impressione che il dialogo teologico fatichi a procedere. In realtà, il ritmo del dialogo è legato alla complessità dei temi in discussione, che esigono uno straordinario impegno di studio, di riflessione e di apertura reciproca. Siamo chiamati a continuare insieme nella carità questo cammino, invocando dallo Spirito Santo luce e ispirazione, nella certezza che egli vuole condurci al pieno compimento della volontà di Cristo: che tutti siano uno (Jn 17,21). Sono particolarmente grato a tutti i membri della Commissione mista e in particolare ai Co-Presidenti Sua Eminenza il Metropolita di Pergamo Ioannis e Sua Eminenza il Cardinale Kurt Koch, per la loro infaticabile dedizione, la loro pazienza e competenza.

In un contesto storico di violenze, indifferenza ed egoismo, tanti uomini e donne del nostro tempo si sentono smarriti. È proprio con la testimonianza comune della verità del Vangelo che potremo aiutare l'uomo del nostro tempo a ritrovare la strada che lo conduce alla verità. La ricerca della verità, infatti, è sempre anche ricerca della giustizia e della pace, ed è con grande gioia che costato il grande impegno con cui Sua Santità Bartolomeo si prodiga su questi temi. In unione di intenti, e ricordando il bell’esempio del mio predecessore, il Beato Giovanni Paolo II, ho voluto invitare i fratelli cristiani, gli esponenti delle altre tradizioni religiose del mondo e personalità del mondo della cultura e della scienza, a partecipare il prossimo 27 ottobre nella città di Assisi ad una Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, che avrà come tema "Pellegrini nella verità, pellegrini nella pace". Il camminare insieme sulle strade della città di San Francesco sarà il segno della volontà di continuare a percorrere la via del dialogo e della fraternità.

Eminenza, cari membri della Delegazione, ringraziandovi ancora una volta della vostra presenza a Roma in questa solenne circostanza, vi chiedo di recare il mio fraterno saluto al venerato fratello il Patriarca Bartolomeo I, al Santo Sinodo, al clero e a tutti i fedeli del Patriarcato Ecumenico, assicurandoli dell'affetto e della solidarietà della Chiesa di Roma, che oggi è in festa per i suoi Santi fondatori.



CONFERIMENTO DEL "PREMIO RATZINGER" Sala Clementina Giovedì, 30 giugno 2011

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Signori Cardinali,
venerati Confratelli,
illustri Signori e Signore!

Innanzitutto vorrei esprimere la mia gioia e gratitudine per il fatto che, con la consegna del suo premio teologico, la Fondazione che porta il mio nome dia pubblico riconoscimento all’opera condotta nell’arco di un’intera vita da due grandi teologi, e ad un teologo della generazione più giovane dia un segno di incoraggiamento per progredire sul cammino intrapreso. Con il Professor González de Cardedal mi lega un cammino comune di molti decenni. Entrambi abbiamo iniziato con san Bonaventura e da lui ci siamo lasciati indicare la direzione. In una lunga vita di studioso, il Professor Gonzalez ha trattato tutti i grandi temi della teologia, e ciò non semplicemente riflettendone o parlandone a tavolino, bensì sempre confrontato al dramma del nostro tempo, vivendo e anche soffrendo in modo del tutto personale le grandi questioni della fede e con ciò le questioni dell’uomo d’oggi. In tal modo, la parola della fede non è una cosa del passato; nelle sue opere diventa veramente a noi contemporanea. Il Professor Simonetti ci ha aperto in modo nuovo il mondo dei Padri. Proprio mostrandoci, dal punto di vista storico, con precisione e cura ciò che dicono i Padri, essi diventano persone a noi contemporanee, che parlano con noi. Il Padre Maximilian Heim è stato recentemente eletto Abate del monastero di Heiligenkreuz presso Vienna – un monastero ricco di tradizione – assumendo con ciò il compito di rendere attuale una grande storia e di condurla verso il futuro. In questo, spero che il lavoro sulla mia teologia, che egli ci ha donato, possa essergli utile e che l’Abbazia di Heiligenkreuz possa, in questo nostro tempo, sviluppare ulteriormente la teologia monastica, che sempre ha accompagnato quella universitaria, formando con essa l’insieme della teologia occidentale.

Non è, però, mio compito tenere qui una laudatio dei premiati, che è già stata fatta in maniera competente dal Cardinale Ruini. Forse però la consegna del premio può offrire l’occasione di dedicarci per un momento alla questione fondamentale di che cosa sia veramente “teologia”. La teologia è scienza della fede, ci dice la tradizione. Ma qui sorge subito la domanda: è davvero possibile questo? O non è in sé una contraddizione? Scienza non è forse il contrario di fede? Non cessa la fede di essere fede, quando diventa scienza? E non cessa la scienza di essere scienza quando è ordinata o addirittura subordinata alla fede? Tali questioni, che già per la teologia medievale rappresentavano un serio problema, con il moderno concetto di scienza sono diventate ancora più impellenti, a prima vista addirittura senza soluzione. Si comprende così perché, nell’età moderna, la teologia in vasti ambiti si sia ritirata primariamente nel campo della storia, al fine di dimostrare qui la sua seria scientificità. Bisogna riconoscere, con gratitudine, che con ciò sono state realizzate opere grandiose, e il messaggio cristiano ha ricevuto nuova luce, capace di renderne visibile l’intima ricchezza. Tuttavia, se la teologia si ritira totalmente nel passato, lascia oggi la fede nel buio. In una seconda fase ci si è poi concentrati sulla prassi, per mostrare come la teologia, in collegamento con la psicologia e la sociologia, sia una scienza utile che dona indicazioni concrete per la vita. Anche questo è importante, ma se il fondamento della teologia, la fede, non diviene contemporaneamente oggetto del pensiero, se la prassi sarebbe riferita solo a se stessa, oppure vive unicamente dei prestiti delle scienze umane, allora la prassi diventa vuota e priva di fondamento.

Queste vie, quindi, non sono sufficienti. Per quanto siano utili ed importanti, esse diventerebbero sotterfugi, se restasse senza risposta la vera domanda. Essa suona: è vero ciò in cui crediamo oppure no? Nella teologia è in gioco la questione circa la verità; essa è il suo fondamento ultimo ed essenziale. Un’espressione di Tertulliano può qui farci fare un passo avanti; egli scrive che Cristo non ha detto: Io sono la consuetudine, ma: Io sono la verità – non consuetudo sed veritas (Virg. 1,1). Christian Gnilka ha mostrato che il concetto consuetudo può significare le religioni pagane che, secondo la loro natura, non erano fede, ma erano “consuetudine”: si fa ciò che si è fatto sempre; si osservano le tradizionali forme cultuali e si spera di rimanere così nel giusto rapporto con l’ambito misterioso del divino. L’aspetto rivoluzionario del cristianesimo nell’antichità fu proprio la rottura con la “consuetudine” per amore della verità. Tertulliano parla qui soprattutto in base al Vangelo di san Giovanni, in cui si trova anche l’altra interpretazione fondamentale della fede cristiana, che s’esprime nella designazione di Cristo come Logos.Se Cristo è il Logos, la verità, l’uomo deve corrispondere a Lui con il suo proprio logos, con la sua ragione. Per arrivare fino a Cristo, egli deve essere sulla via della verità. Deve aprirsi al Logos, alla Ragione creatrice, da cui deriva la sua stessa ragione e a cui essa lo rimanda. Da qui si capisce che la fede cristiana, per la sua stessa natura, deve suscitare la teologia, doveva interrogarsi sulla ragionevolezza della fede, anche se naturalmente il concetto di ragione e quello di scienza abbracciano molte dimensioni, e così la natura concreta del nesso tra fede e ragione doveva e deve sempre nuovamente essere scandagliata.

Per quanto si presenti dunque chiara nel cristianesimo il nesso fondamentale tra Logos, verità e fede – la forma concreta di tale nesso ha suscitato e suscita sempre nuove domande. È chiaro che in questo momento tale domanda, che ha occupato e occuperà tutte le generazioni, non può essere trattata in dettaglio, e neppure a grandi linee. Vorrei tentare soltanto di proporre una piccolissima nota. San Bonaventura, nel prologo al suo Commento alle Sentenze ha parlato di un duplice uso della ragione – di un uso che è inconciliabile con la natura della fede e di uno che invece appartiene proprio alla natura della fede. Esiste, così si dice, la violentia rationis, il dispotismo della ragione, che si fa giudice supremo e ultimo di tutto. Questo genere di uso della ragione è certamente impossibile nell’ambito della fede. Cosa intende Bonaventura con ciò? Un’espressione dal Salmo 95,9 può mostrarci di che cosa si tratta. Qui Dio dice al suo popolo: “Nel deserto … mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere”. Qui si accenna ad un duplice incontro con Dio: essi hanno “visto”. Questo però a loro non basta. Essi mettono Dio “alla prova”. Vogliono sottoporlo all’esperimento. Egli viene, per così dire, sottoposto ad un interrogatorio e deve sottomettersi ad un procedimento di prova sperimentale. Questa modalità di uso della ragione, nell’età moderna, ha raggiunto il culmine del suo sviluppo nell’ambito delle scienze naturali. La ragione sperimentale appare oggi ampiamente come l’unica forma di razionalità dichiarata scientifica. Ciò che non può essere scientificamente verificato o falsificato cade fuori dell’ambito scientifico. Con questa impostazione sono state realizzate opere grandiose, come sappiamo; che essa sia giusta e necessaria nell’ambito della conoscenza della natura e delle sue leggi nessuno vorrà seriamente porlo in dubbio. Esiste tuttavia un limite a tale uso della ragione: Dio non è un oggetto della sperimentazione umana. Egli è Soggetto e si manifesta soltanto nel rapporto da persona a persona: ciò fa parte dell’essenza della persona.

In questa prospettiva Bonaventura fa cenno ad un secondo uso della ragione, che vale per l’ambito del “personale”, per le grandi questioni dello stesso essere uomini. L’amore vuole conoscere meglio colui che ama. L’amore, l’amore vero, non rende ciechi, ma vedenti. Di esso fa parte proprio la sete di conoscenza, di una vera conoscenza dell’altro. Per questo, i Padri della Chiesa hanno trovato i precursori e gli antesignani del cristianesimo – al di fuori del mondo della rivelazione di Israele – non nell’ambito della religione consuetudinaria, bensì negli uomini in ricerca di Dio, in cerca della verità, nei “filosofi”: in persone che erano assetate di verità ed erano quindi sulla strada verso Dio. Quando non c’è questo uso della ragione, allora le grandi questioni dell’umanità cadono fuori dell’ambito della ragione e vengono lasciate all’irrazionalità. Per questo un’autentica teologia è così importante. La fede retta orienta la ragione ad aprirsi al divino, affinché essa, guidata dall’amore per la verità, possa conoscere Dio più da vicino. L’iniziativa per questo cammino sta presso Dio, che ha posto nel cuore dell’uomo la ricerca del suo Volto. Fa quindi parte della teologia, da un lato l’umiltà che si lascia “toccare” da Dio, dall’altro la disciplina che si lega all’ordine della ragione, che preserva l’amore dalla cecità e che aiuta a sviluppare la sua forza visiva.

Sono ben consapevole che con tutto ciò non è stata data una risposta alla questione circa la possibilità e il compito della retta teologia, ma è soltanto stata messa in luce la grandezza della sfida insita nella natura della teologia. Tuttavia è proprio di questa sfida che l’uomo ha bisogno, perché essa ci spinge ad aprire la nostra ragione interrogandoci circa la verità stessa, circa il volto di Dio. Perciò siamo grati ai premiati che hanno mostrato nella loro opera che la ragione, camminando sulla pista tracciata dalla fede, non è una ragione alienata, ma è la ragione che risponde alla sua altissima vocazione. Grazie.


AGLI ARCIVESCOVI METROPOLITI CHE HANNO RICEVUTO IL PALLIO Aula Paolo VI Giovedì, 30 giugno 2011

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Cari fratelli e sorelle,

Sono ancora vivi nella mente e nel cuore di tutti noi i sentimenti e le emozioni che abbiamo vissuto ieri nella Basilica Vaticana, in occasione della celebrazione della solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, nella quale ho avuto la gioia di imporre il Pallio a voi, Arcivescovi Metropoliti nominati nel corso dell’ultimo anno. L’odierno incontro, semplice e familiare, mi offre l’opportunità di prolungare il clima di comunione ecclesiale e di rinnovare il mio cordiale saluto a voi, cari Fratelli nell’Episcopato, come pure ai vostri familiari ed alle personalità che hanno voluto partecipare a questo lieto evento. Estendo il mio affettuoso pensiero alle vostre Chiese particolari, che ricordo nella preghiera affinché siano animate da costante slancio apostolico.

Mi rivolgo in primo luogo a voi, cari Pastori di due Diocesi italiane. Saluto Lei, Mons. Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino, e Lei, Mons. Vincenzo Bertolone, Arcivescovo di Catanzaro-Squillace. Il Signore vi benedica sempre e vi aiuti, nel vostro quotidiano ministero episcopale, a far crescere le Comunità a voi affidate unite e missionarie, concordi nella carità, ferme nella speranza e ricche del dinamismo della fede.



[In questa festa dei santi Apostoli Pietro e Paolo, sono lieto di accogliere i pellegrini di lingua francese venuti a Roma in occasione del conferimento del pallium ai nuovi Arcivescovi metropoliti. Rivolgo i miei calorosi saluti a Monsignor Antoine Ganyé, Arcivescovo di Cotonou in Benin, Monsignor Paul Ouédraogo, Arcivescovo di Bobo-Dioulasso in Burkina Faso, Monsignor Jean-Pierre Tafunga Mbayo, Arcivescovo di Lubumbashi, nella Repubblica Democratica del Congo, Monsignor Gérard Lacroix, Arcivescovo di Québec, in Canada, e Monsignor Pierre-Marie Carré, Arcivescovo di Montpellier, in Francia. Portate i miei più cordiali saluti ai vescovi, ai sacerdoti e a tutti i fedeli dei vostri e assicurateli della mia vicinanza spirituale. Voi che avete ricevuto il pallium, segno liturgico che esprime il vincolo di comunione che vi unisce in modo particolare al Successore di Pietro, siate testimoni gioiosi e fedeli dell’amore del Signore, che cerca di riunire i suoi figli nell’unità di una stessa famiglia! Che Dio vi benedica!]



[Estendo saluti affettuosi agli Arcivescovi Metropoliti ai quali ieri ho conferito il pallio: Arcivescovo James Peter Sartain di Seattle, Stati Uniti; Arcivescovo Gustavo Garcia-Siller di San Antonio, Stati Uniti; Arcivescovo Jose Serofia Palma di Cebu, Filippine; Arcivescovo Thaddeus Cho Hwan-kil di Daegu, Corea; Arcivescovo Jude Ruwa’ichi di Mwanza, Tanzania; Arcivescovo William Slattery di Pretoria, Sud Africa; Arcivescovo Paul S. Coackley di Oklahoma City, Stati Uniti; Arcivescovo Rémi Joseph Gustave Sainte-Marie di Lilongwe, Malawi; Arcivescovo José Horacio Gómez di Los Angeles, Stati Uniti; Arcivescovo Thumma Bala di Hyderabad, India; Arcivescovo Augustine Obiora Akubeze di Benin City, Nigeria; Arcivescovo Charles Henry Dufour di Kingston in Giamaica; Arcivescovo George Stack di Cardiff, Galles e Arcivescovo Sergio Lasam Utleg di Tuguegarao, Filippine. Accolgo anche i loro familiari, i parenti, gli amici e i fedeli delle loro rispettive Arcidiocesi che sono giunti a Roma per pregare con loro e condividere la loro gioia. Il pallio viene ricevuto dalle mani del Successore di Pietro e indossato dagli Arcivescovi come segno di comunione nella fede e nell’amore e nel governo del popolo. Inoltre ricorda ai Pastori le proprie responsabilità di Pastori secondo il Cuore di Gesù. A tutti voi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica quale pegno di pace e di gioia nel Signore.]



[Saluto con affetto i Signori Arcivescovi di lingua spagnola e tutti coloro che li hanno accompagnati nella significativa cerimonia dell’imposizione del Pallio, che li contraddistingue come Metropoliti. Saluto in particolare gli Arcivescovi di Bogotà, Rubén Salazar Gómez, di Quito, Fausto Gabriel Trávez Trávez, del Guatemala, Óscar Julio Vian Morales, di Manizales, Gonzalo Restrepo Restrepo, di Paraná, Juan Alberto Puiggari, di Barranquilla, Jairo Jaramillo Monsalve, di Santiago del Cile, Ricardo Ezzati Andrello, di Concepción, Fernando Natalio Chomali Garib e di Cali, Darío de Jesús Monsalve Mejía. Se il Pallio ricorda ad essi la loro particolare responsabilità nei confronti delle Chiese suffraganee e il loro particolare vincolo di unità con San Pietro, comporta per voi che li accompagnate una maggiore vicinanza nella preghiera e la collaborazione nel ministero ad essi affidato. Invocando la protezione della Santissima Vergine Maria, vi impartisco di cuore la Benedizione Apostolica, che con piacere estendo a tutti i Pastori e fedeli di queste particolari Chiese della Colombia, Ecuador, Guatemala, Argentina e Cile.]



[Cari amici, ringraziamo il Signore che nella sua infinita bontà non manca di donare Pastori alla sua Chiesa. A voi, cari Arcivescovi Metropoliti, assicuro la mia spirituale vicinanza e il mio orante sostegno al vostro servizio pastorale, il cui requisito necessario è l’amore per Cristo, a cui nulla deve essere anteposto. San Cipriano, Vescovo di Cartagine, nel suo Trattato sul Padre Nostro, afferma: «assolutamente nulla anteporre a Cristo, poiché neanche Lui ha preferito qualcosa a noi. Volontà di stare inseparabilmente uniti al suo amore, rimanere accanto alla sua croce con coraggio e dargli ferma testimonianza». Vegli sempre su di voi, cari Fratelli, e vi sostenga la Vergine Maria, Regina Apostolorum, e vi accompagni la mia Benedizione, che di cuore rinnovo a ciascuno di voi, ai vostri cari e a quanti sono affidati alle vostre cure episcopali. Saluto con grande affetto i Metropoliti dell’Angola e del Brasile che ieri hanno ricevuto il pallio, insegna liturgica che esprime una singolare unione delle vostre arcidiocesi con la Sede di Pietro: Dom Luis Maria Pérez de Onraita, di Malánje, Dom José Manuel Imbamba, di Saurimo, Dom Murilo Sebastião Ramos Kríeger, de São Salvador da Bahia, Dom Pedro Britto Guimarães, de Palmas, Dom Jacinto Bergmann, de Pelotas, Dom Hélio Adelar Rubert, di Santa Maria, Dom Pedro Ercílio Simão, di Passo Fúndo, Dom Dimas Lara Barbosa, di Campo Grande, e Dom Sérgio da Rocha, di Brasília. Il Signore Gesù, che vi ha scelti come Pastori del suo gregge, vi protegga nel vostro ministero quotidiano e vi renda fedeli annunciatori del Vangelo con la forza dello Spirito Santo. Porgo il benvenuto anche ai familiari, agli amici e ai fedeli delle vostre Chiese particolari che vi hanno accompagnato fino a Roma. Assicuro tutti voi e le vostre comunità arcidiocesane del mio ricordo quotidiano nella preghiera e, dal profondo del cuore, imparto la Benedizione Apostolica.]

Saluto in lingua Lettone:

[Rivolgo il mio cordiale saluto a Mons. Zbignev Stankevics, Arcivescovo di Riga, e a quanti lo accompagnano, formulando i migliori auguri per un proficuo ministero].

Saluto in lingua Slovena:

[Rivolgo un cordiale saluto all’Arcivescovo di Maribor, Mons. Marjan Turnšek, e agli sloveni che lo accompagnano, augurandoli un fruttuoso ministero e impartendo a tutti la Benedizione Apostolica.]

Cari amici, ringraziamo il Signore che nella sua infinita bontà non manca di donare Pastori alla sua Chiesa. A voi, cari Arcivescovi Metropoliti, assicuro la mia spirituale vicinanza e il mio orante sostegno al vostro servizio pastorale, il cui requisito necessario è l'amore per Cristo, a cui nulla deve essere anteposto. San Cipriano, Vescovo di Cartagine, nel suo Trattato sul Padre Nostro, afferma: “assolutamente nulla anteporre a Cristo, poiché neanche Lui ha preferito qualcosa a noi. Volontà di stare inseparabilmente uniti al suo amore, rimanere accanto alla sua croce con coraggio e dargli ferma testimonianza”. Vegli sempre su di voi, cari Fratelli, e vi sostenga la Vergine Maria, Regina Apostolorum, e vi accompagni la mia Benedizione, che di cuore rinnovo a ciascuno di voi, ai vostri cari e a quanti sono affidati alle vostre cure episcopali.



AI PARTECIPANTI ALLA XXXVII CONFERENZA DELLA FAO Sala Clementina Venerdì, 1° luglio 2011

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Signor Presidente,
Signori Ministri,
Signor Direttore Generale, Illustri Signori, Gentili Signore

1. Sono particolarmente lieto di accogliere voi tutti, che partecipate alla XXXVII Conferenza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, proseguendo una lunga e gradita tradizione iniziata sessanta anni or sono con l’insediamento della FAO in Roma.

Attraverso di Lei, Signor Presidente, desidero ringraziare le numerose Delegazioni governative che hanno voluto essere presenti a questo incontro testimoniando l’effettiva universalità della FAO. Vorrei altresì rinnovare il sostegno della Santa Sede per la meritoria ed insostituibile attività dell’Organizzazione, confermando l’impegno della Chiesa Cattolica a collaborare ai vostri sforzi per rispondere alle reali necessità di tanti nostri fratelli e sorelle in umanità.

Colgo questa occasione per salutare il Direttore Generale, Signor Jacques Diouf, che con competenza e dedizione ha reso la FAO capace di affrontare i problemi e le crisi determinate dalle mutevoli realtà globali che hanno interessato, anche in modo drammatico, il suo specifico campo di azione.

Al Direttore Generale eletto, Signor José Graziano da Silva, porgo i miei più sinceri auguri per il successo della sua opera futura, con l’auspicio che la FAO possa sempre più e meglio rispondere alle attese dei suoi Stati membri e dare soluzioni concrete a quanti soffrono a causa della fame e della malnutrizione.

2. I vostri lavori hanno indicato politiche e strategie in grado di contribuire all’importante rilancio del settore agricolo, dei livelli di produzione alimentare e del più generale sviluppo delle aree rurali. Il momento di crisi che investe ormai tutti gli aspetti della realtà economica e sociale domanda, infatti, ogni sforzo per concorrere ad eliminare la povertà, primo passo per liberare dalla fame milioni di uomini, donne e bambini che mancano del pane quotidiano. Una completa riflessione, però, impone di ricercare le cause di tale situazione non limitandosi ai livelli di produzione, alla crescente domanda di alimenti o alla volatilità dei prezzi: fattori che, sebbene importanti, rischiano di far leggere il dramma della fame in chiave esclusivamente tecnica.

La povertà, il sottosviluppo e quindi la fame sono spesso il risultato di atteggiamenti egoistici che partendo dal cuore dell’uomo si manifestano nel suo agire sociale, negli scambi economici, nelle condizioni di mercato, nel mancato accesso al cibo e si traducono nella negazione del diritto primario di ogni persona a nutrirsi e quindi ad essere libero dalla fame. Come possiamo tacere il fatto che anche il cibo è diventato oggetto di speculazioni o è legato agli andamenti di un mercato finanziario che, privo di regole certe e povero di principi morali, appare ancorato al solo obiettivo del profitto? L’alimentazione è una condizione che tocca il fondamentale diritto alla vita. Garantirla significa anche agire direttamente e senza indugio su quei fattori che nel settore agricolo gravano in modo negativo sulla capacità di lavorazione, sui meccanismi della distribuzione e sul mercato internazionale. E questo, pur in presenza di una produzione alimentare globale che, secondo la FAO e autorevoli esperti, è in grado di sfamare la popolazione mondiale.

3. Il quadro internazionale e le ricorrenti apprensioni determinate da instabilità e dall’aumento dei prezzi domandano risposte concrete e necessariamente unitarie per conseguire risultati che singolarmente gli Stati non possono garantire. Questo significa fare della solidarietà un criterio essenziale per ogni azione politica e strategia, così da rendere l’attività internazionale e le sue regole altrettanti strumenti di effettivo servizio all’intera famiglia umana ed in particolare agli ultimi. È cioè urgente un modello di sviluppo che consideri non solo l’ampiezza economica dei bisogni o l’affidabilità tecnica delle strategie da perseguire, ma anche la dimensione umana di ogni iniziativa e sia capace di realizzare un’autentica fraternità (cfr Caritas in Veritate, ), facendo leva sul richiamo etico a “dar da mangiare agli affamati” che appartiene al sentimento di compassione e di umanità iscritto nel cuore di ogni persona e che la Chiesa ha inserito tra le opere di misericordia. In tale prospettiva, le istituzioni della Comunità internazionale sono chiamate ad operare coerentemente al loro mandato per sostenere i valori propri della dignità umana eliminando atteggiamenti di chiusura e senza lasciare spazio a istanze particolari fatte passare come interessi generali.

4. Anche la FAO è chiamata a rilanciare la propria struttura liberandola da ostacoli che l’allontanano dall’obiettivo indicato dalla sua Costituzione di garantire la crescita nutrizionale, la disponibilità della produzione alimentare, lo sviluppo delle aree rurali, così da assicurare all’umanità la libertà dalla fame (cfr. FAO, Constitution, Preamble). In questo impegno diventa essenziale una piena sintonia dell’Organizzazione con i Governi nell’orientarne e nel sostenerne le iniziative, specialmente nell’attuale congiuntura, che vede ridursi la disponibilità di risorse economico-finanziarie mentre il numero di affamati nel mondo non diminuisce secondo gli obiettivi sperati.

5. Il mio pensiero si dirige ora alla situazione di milioni di bambini, che sono le prime vittime di questa tragedia, condannati ad una morte precoce, ad un ritardo nel loro sviluppo fisico e psichico o costretti a forme di sfruttamento pur di ricevere un minimo di nutrimento. L’attenzione verso le giovani generazioni può essere un modo per contrastare l’abbandono delle aree rurali e del lavoro agricolo, così da consentire ad intere comunità, la cui sopravvivenza è minacciata dalla fame, di guardare con maggiore fiducia al loro futuro. Si deve, infatti, constatare che nonostante gli impegni assunti ed i conseguenti obblighi, l’assistenza e gli aiuti concreti si limitano spesso alle emergenze, dimenticando che una coerente concezione dello sviluppo deve essere in grado di disegnare un futuro per ogni persona, famiglia e comunità favorendo obiettivi di lungo periodo.

Vanno perciò sostenute le iniziative che si vorrebbero prendere anche a livello dell’intera Comunità internazionale per riscoprire il valore dell’azienda familiare rurale e sostenerne il ruolo centrale per raggiungere una stabile sicurezza alimentare. Infatti, nel mondo rurale, il tradizionale nucleo familiare è impegnato a favorire la produzione agricola mediante la sapiente trasmissione dai genitori ai figli non solo dei sistemi di coltivazione o della conservazione e distribuzione degli alimenti, ma anche di modi di vivere, dei principi educativi, della cultura, della religiosità, della concezione della sacralità della persona in tutte le fasi della sua esistenza. La famiglia rurale è un modello non solo di lavoro, ma di vita e di espressione concreta della solidarietà, dove si conferma il ruolo essenziale della donna.

Signor Presidente, Signore e Signori,

6. L’obiettivo della sicurezza alimentare è un’esigenza autenticamente umana, ne siamo consapevoli. Garantirla alle presenti generazioni ed a quelle che verranno significa anche tutelare da un frenetico sfruttamento le risorse naturali poiché la corsa al consumo ed allo spreco sembra ignorare ogni attenzione verso il patrimonio genetico e le diversità biologiche, tanto importanti per le attività agricole. Ma all’idea di un’esclusiva appropriazione di tali risorse si oppone la chiamata di Dio ad uomini e donne perché nel “coltivare e custodire” la terra (cfr
Gn 2,8-17) promuovano un uso partecipato dei beni della Creazione, obiettivo che l’attività multilaterale e le regole internazionali possono certamente concorrere a realizzare.

In questo momento nel quale ai tanti problemi che investono l’attività agricola si affiancano nuove opportunità per contribuire ad alleviare il dramma della fame, voi potete operare perché attraverso la garanzia di un’alimentazione rispondente ai bisogni, ogni persona possa crescere secondo la sua vera dimensione di creatura fatta a somiglianza di Dio.

È questo l’auspicio che intendo manifestare, mentre su tutti voi e sul vostro lavoro invoco l’abbondanza delle benedizioni divine.


AI PARTECIPANTI ALLA XXXVII CONFERENZA DELLA FAO Sala Clementina Venerdì, 1° luglio 2011

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Signor Presidente,
Signori Ministri,
Signor Direttore Generale, Illustri Signori, Gentili Signore

1. Sono particolarmente lieto di accogliere voi tutti, che partecipate alla XXXVII Conferenza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, proseguendo una lunga e gradita tradizione iniziata sessanta anni or sono con l’insediamento della FAO in Roma.

Attraverso di Lei, Signor Presidente, desidero ringraziare le numerose Delegazioni governative che hanno voluto essere presenti a questo incontro testimoniando l’effettiva universalità della FAO. Vorrei altresì rinnovare il sostegno della Santa Sede per la meritoria ed insostituibile attività dell’Organizzazione, confermando l’impegno della Chiesa Cattolica a collaborare ai vostri sforzi per rispondere alle reali necessità di tanti nostri fratelli e sorelle in umanità.

Colgo questa occasione per salutare il Direttore Generale, Signor Jacques Diouf, che con competenza e dedizione ha reso la FAO capace di affrontare i problemi e le crisi determinate dalle mutevoli realtà globali che hanno interessato, anche in modo drammatico, il suo specifico campo di azione.

Al Direttore Generale eletto, Signor José Graziano da Silva, porgo i miei più sinceri auguri per il successo della sua opera futura, con l’auspicio che la FAO possa sempre più e meglio rispondere alle attese dei suoi Stati membri e dare soluzioni concrete a quanti soffrono a causa della fame e della malnutrizione.

2. I vostri lavori hanno indicato politiche e strategie in grado di contribuire all’importante rilancio del settore agricolo, dei livelli di produzione alimentare e del più generale sviluppo delle aree rurali. Il momento di crisi che investe ormai tutti gli aspetti della realtà economica e sociale domanda, infatti, ogni sforzo per concorrere ad eliminare la povertà, primo passo per liberare dalla fame milioni di uomini, donne e bambini che mancano del pane quotidiano. Una completa riflessione, però, impone di ricercare le cause di tale situazione non limitandosi ai livelli di produzione, alla crescente domanda di alimenti o alla volatilità dei prezzi: fattori che, sebbene importanti, rischiano di far leggere il dramma della fame in chiave esclusivamente tecnica.

La povertà, il sottosviluppo e quindi la fame sono spesso il risultato di atteggiamenti egoistici che partendo dal cuore dell’uomo si manifestano nel suo agire sociale, negli scambi economici, nelle condizioni di mercato, nel mancato accesso al cibo e si traducono nella negazione del diritto primario di ogni persona a nutrirsi e quindi ad essere libero dalla fame. Come possiamo tacere il fatto che anche il cibo è diventato oggetto di speculazioni o è legato agli andamenti di un mercato finanziario che, privo di regole certe e povero di principi morali, appare ancorato al solo obiettivo del profitto? L’alimentazione è una condizione che tocca il fondamentale diritto alla vita. Garantirla significa anche agire direttamente e senza indugio su quei fattori che nel settore agricolo gravano in modo negativo sulla capacità di lavorazione, sui meccanismi della distribuzione e sul mercato internazionale. E questo, pur in presenza di una produzione alimentare globale che, secondo la FAO e autorevoli esperti, è in grado di sfamare la popolazione mondiale.

3. Il quadro internazionale e le ricorrenti apprensioni determinate da instabilità e dall’aumento dei prezzi domandano risposte concrete e necessariamente unitarie per conseguire risultati che singolarmente gli Stati non possono garantire. Questo significa fare della solidarietà un criterio essenziale per ogni azione politica e strategia, così da rendere l’attività internazionale e le sue regole altrettanti strumenti di effettivo servizio all’intera famiglia umana ed in particolare agli ultimi. È cioè urgente un modello di sviluppo che consideri non solo l’ampiezza economica dei bisogni o l’affidabilità tecnica delle strategie da perseguire, ma anche la dimensione umana di ogni iniziativa e sia capace di realizzare un’autentica fraternità (cfr Caritas in Veritate, ), facendo leva sul richiamo etico a “dar da mangiare agli affamati” che appartiene al sentimento di compassione e di umanità iscritto nel cuore di ogni persona e che la Chiesa ha inserito tra le opere di misericordia. In tale prospettiva, le istituzioni della Comunità internazionale sono chiamate ad operare coerentemente al loro mandato per sostenere i valori propri della dignità umana eliminando atteggiamenti di chiusura e senza lasciare spazio a istanze particolari fatte passare come interessi generali.

4. Anche la FAO è chiamata a rilanciare la propria struttura liberandola da ostacoli che l’allontanano dall’obiettivo indicato dalla sua Costituzione di garantire la crescita nutrizionale, la disponibilità della produzione alimentare, lo sviluppo delle aree rurali, così da assicurare all’umanità la libertà dalla fame (cfr. FAO, Constitution, Preamble). In questo impegno diventa essenziale una piena sintonia dell’Organizzazione con i Governi nell’orientarne e nel sostenerne le iniziative, specialmente nell’attuale congiuntura, che vede ridursi la disponibilità di risorse economico-finanziarie mentre il numero di affamati nel mondo non diminuisce secondo gli obiettivi sperati.

5. Il mio pensiero si dirige ora alla situazione di milioni di bambini, che sono le prime vittime di questa tragedia, condannati ad una morte precoce, ad un ritardo nel loro sviluppo fisico e psichico o costretti a forme di sfruttamento pur di ricevere un minimo di nutrimento. L’attenzione verso le giovani generazioni può essere un modo per contrastare l’abbandono delle aree rurali e del lavoro agricolo, così da consentire ad intere comunità, la cui sopravvivenza è minacciata dalla fame, di guardare con maggiore fiducia al loro futuro. Si deve, infatti, constatare che nonostante gli impegni assunti ed i conseguenti obblighi, l’assistenza e gli aiuti concreti si limitano spesso alle emergenze, dimenticando che una coerente concezione dello sviluppo deve essere in grado di disegnare un futuro per ogni persona, famiglia e comunità favorendo obiettivi di lungo periodo.

Vanno perciò sostenute le iniziative che si vorrebbero prendere anche a livello dell’intera Comunità internazionale per riscoprire il valore dell’azienda familiare rurale e sostenerne il ruolo centrale per raggiungere una stabile sicurezza alimentare. Infatti, nel mondo rurale, il tradizionale nucleo familiare è impegnato a favorire la produzione agricola mediante la sapiente trasmissione dai genitori ai figli non solo dei sistemi di coltivazione o della conservazione e distribuzione degli alimenti, ma anche di modi di vivere, dei principi educativi, della cultura, della religiosità, della concezione della sacralità della persona in tutte le fasi della sua esistenza. La famiglia rurale è un modello non solo di lavoro, ma di vita e di espressione concreta della solidarietà, dove si conferma il ruolo essenziale della donna.

Signor Presidente, Signore e Signori,

6. L’obiettivo della sicurezza alimentare è un’esigenza autenticamente umana, ne siamo consapevoli. Garantirla alle presenti generazioni ed a quelle che verranno significa anche tutelare da un frenetico sfruttamento le risorse naturali poiché la corsa al consumo ed allo spreco sembra ignorare ogni attenzione verso il patrimonio genetico e le diversità biologiche, tanto importanti per le attività agricole. Ma all’idea di un’esclusiva appropriazione di tali risorse si oppone la chiamata di Dio ad uomini e donne perché nel “coltivare e custodire” la terra (cfr
Gn 2,8-17) promuovano un uso partecipato dei beni della Creazione, obiettivo che l’attività multilaterale e le regole internazionali possono certamente concorrere a realizzare.

In questo momento nel quale ai tanti problemi che investono l’attività agricola si affiancano nuove opportunità per contribuire ad alleviare il dramma della fame, voi potete operare perché attraverso la garanzia di un’alimentazione rispondente ai bisogni, ogni persona possa crescere secondo la sua vera dimensione di creatura fatta a somiglianza di Dio.

È questo l’auspicio che intendo manifestare, mentre su tutti voi e sul vostro lavoro invoco l’abbondanza delle benedizioni divine.




Discorsi 2005-13 28061