Discorsi 2005-13 9122

AL CONGRESSO INTERNAZIONALE ORGANIZZATO DALLA PONTIFICIA COMMISSIONE PER L'AMERICA LATINA E DAI CAVALIERI DI COLOMBO Basilica Vaticana Domenica, 9 dicembre 2012

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«TRAS LAS HUELLAS DE LA EXHORTACIÓN APOSTÓLICA POSTSINODAL "ECCLESIA IN AMERICA", BAJO LA GUÍA DE NUESTRA SEÑORA DE GUADALUPE , MADRE DE TODA AMÉRICA, ESTRELLA DE LA NUEVA EVANGELIZACIÓN»,

Signori Cardinali,
Cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Stimati Cavalieri di Colombo,

Ringrazio vivamente per le parole che mi ha rivolto il signor Cardinale Marc Ouellet, Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, e sono lieto che, insieme ai Cavalieri di Colombo, abbia voluto promuovere un Congresso internazionale per approfondire la riflessione e la proiezione dell’Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in America, del beato Giovanni Paolo II, che raccoglie i contributi dell’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per l’America. Saluto cordialmente i signori Cardinali, i Vescovi, i sacerdoti e le persone consacrate, come pure i numerosi laici venuti per partecipare a questa importante iniziativa. I vostri volti mi riportano alla mente e al cuore i battiti del Continente americano, tanto presente nella preghiera del Papa, e la cui devozione alla Sede Apostolica ho potuto sperimentare con gratitudine, non solo durante le mie visite pastorali ad alcuni dei suoi Paesi, ma anche ogni qualvolta incontro qui pastori e fedeli di queste amate terre.

Il mio venerato Predecessore, il beato Giovanni Paolo II, ha avuto la lungimirante intuizione d’incrementare i rapporti di cooperazione tra le Chiese particolari di tutta l’America, del Nord, del Centro e del Sud, e, allo stesso tempo, di suscitare una più grande solidarietà tra le sue nazioni. Oggi tali propositi meritano di essere ripresi affinché il messaggio redentore di Cristo sia messo in pratica con maggior impegno e produca abbondanti frutti di santità e di rinnovamento ecclesiale.

Il tema che ha guidato le riflessioni di quell’Assemblea sinodale può servire anche da ispirazione per i lavori di questi giorni: «L’incontro con Gesù Cristo vivo, via per la conversione, la comunione e la solidarietà in America». In effetti, l’amore per il Signore Gesù e la potenza della sua grazia devono radicarsi sempre più profondamente nel cuore delle persone, delle famiglie e delle comunità cristiane delle vostre nazioni, affinché in esse si proceda con dinamismo lungo i sentieri della concordia e del giusto progresso. Pertanto, è un dono della Provvidenza che il vostro Congresso abbia luogo poco dopo l’inizio dell’Anno della Fede e dopo l’Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi dedicata alla nuova evangelizzazione, poiché le vostre decisioni contribuiranno coraggiosamente all’arduo e impellente compito di far risuonare con chiarezza e audacia il Vangelo di Cristo.

La suddetta Esortazione apostolica indicava già sfide e difficoltà che continuano a essere presenti al momento attuale, con singolari e complesse caratteristiche. Di fatto, il secolarismo e diversi gruppi religiosi si stanno propagando in ogni latitudine, dando luogo a numerose problematiche. L’educazione e la promozione di una cultura per la vita è un’urgenza fondamentale di fronte alla diffusione di una mentalità che attenta contro la dignità della persona e non favorisce né tutela l’istituzione matrimoniale e familiare. Come non preoccuparsi per le dolorose situazioni di emigrazione, sradicamento o violenza, specialmente per quelle causate dalla delinquenza organizzata, dal narcotraffico, dalla corruzione o dal commercio di armi? E cosa dire delle laceranti disuguaglianze e delle sacche di povertà provocate da misure economiche, politiche e sociali discutibili?

Tutte queste importanti questioni richiedono un accurato studio. Tuttavia, al di là della loro valutazione tecnica, la Chiesa cattolica è convinta che la luce per una soluzione adeguata può provenire solo dall’incontro con Gesù Cristo vivo che suscita atteggiamenti e comportamenti fondati sull’amore e sulla verità. È questa la forza decisiva che trasformerà il Continente americano.

Cari amici, l’amore di Cristo ci spinge a dedicarci senza riserve a proclamare il suo Nome in ogni angolo dell’America, portandolo, con libertà ed entusiasmo, nei cuori di tutti i suoi abitanti. Non c’è opera più gratificante e benefica di questa. Non c’è servizio più grande che possiamo prestare ai nostri fratelli. Essi hanno sete di Dio. Per questo dovremmo assumere questo impegno con convinzione e gioiosa dedizione, incoraggiando i sacerdoti, i diaconi, gli uomini e le donne consacrati e gli agenti di pastorale a purificare e a rafforzare sempre più la loro vita interiore attraverso una relazione sincera con il Signore e la partecipazione degna e assidua ai sacramenti. A ciò contribuiranno un’adeguata catechesi e una retta e costante formazione dottrinale, caratterizzate da una totale fedeltà alla Parola di Dio e al Magistero della Chiesa e volte a dare una risposta agli interrogativi e agli aneliti più profondi del cuore umano. In tal modo, la testimonianza della vostra fede sarà più eloquente e incisiva e crescerete nell’unità nello svolgimento del vostro apostolato. Un rinnovato spirito missionario e l’ardore e la zelante generosità nel vostro impegno saranno un contributo insostituibile a ciò che la Chiesa universale si aspetta e richiede dalla Chiesa in America.

Come modello di apertura alla grazia di Dio e di perfetta sollecitudine per gli altri, risplende nel vostro Continente la figura di Maria Santissima, Stella della nuova evangelizzazione, che viene invocata in tutta l’America con il glorioso titolo di Nuestra Señora de Guadalupe. Mentre affido alla sua materna e amorevole protezione questo Congresso, imparto ai suoi organizzatori e ai partecipanti la mia Benedizione Apostolica, pegno di abbondanti grazie divine.




AI NUOVI AMBASCIATORI NON-RESIDENTI ACCREDITATI PRESSO LA SANTA SEDE Sala Clementina Giovedì, 13 dicembre 2012

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Signora e Signori Ambasciatori,

È con piacere che vi accolgo in occasione della presentazione delle Lettere che vi accreditano come Ambasciatori straordinari e plenipotenziari dei vostri rispettivi Paesi presso la Santa Sede: la Repubblica di Guinea, San Vincenzo e Grenadine, il Niger, lo Zambia, la Thailandia, lo Sri Lanka. Vi ringrazio per le cordiali parole che mi avete rivolto e anche per i saluti che mi avete trasmesso da parte dei vostri rispettivi Capi di Stato. In cambio, vi sarei grato se poteste far pervenire loro i miei voti migliori per la loro persona e per lo svolgimento dell’incarico al servizio del proprio popolo. Prego Dio di concedere a tutti i vostri concittadini di condurre una vita pacifica e degna, nella concordia e nell’unità.

Esaminando le numerose sfide della nostra epoca, possiamo constatare che l’educazione occupa un posto di primo piano. Essa avviene oggigiorno in contesti in cui l’evoluzione degli stili di vita e di conoscenza crea fratture umane, culturali, sociali e spirituali inedite nella storia dell’umanità. Le reti sociali, altra novità, tendono a sostituire gli spazi naturali della società e della comunicazione, divenendo spesso l’unico punto di riferimento dell’informazione e della conoscenza. La famiglia e la scuola non sembrano essere più il terreno fertile primario e naturale da dove le giovani generazioni attingono la linfa nutritiva della loro esistenza. Inoltre, negli ambiti scolastico ed accademico, l’autorità degli insegnanti e dei professori è messa in discussione e, purtroppo, la competenza di alcuni di loro non è esente da parzialità cognitiva e da carenza antropologica, escludendo o limitando così la verità sulla persona umana. Quest’ultima è un essere integrale e non una somma di elementi che si possono isolare e manipolare a proprio piacimento. La scuola e l’università sembrano essere divenute incapaci di progetti creativi che rechino in sé una teleologia trascendentale in grado di sedurre i giovani nel loro essere profondo, sebbene questi ultimi, pur essendo preoccupati per il loro futuro, siano tentati dallo sforzo minore, dal minimo sufficiente e dal successo facile, utilizzando talvolta in modo inappropriato le possibilità offerte dalla tecnologia contemporanea. Molti vorrebbero aver successo e ottenere rapidamente uno status sociale e professionale importante, disinteressandosi della formazione, delle competenze e dell’esperienza richieste. Il mondo attuale e gli adulti responsabili non hanno saputo dare loro i necessari punti di riferimento. La disfunzione di alcune istituzioni e di alcuni servizi pubblici e privati non potrebbe essere spiegata da un’educazione mal garantita e male assimilata?

Riprendendo le parole del mio predecessore, Papa Leone XIII, sono convinto che «che la vera dignità e grandezza dell’uomo è tutta morale, ossia riposta nella virtù; che la virtù è patrimonio comune, conseguibile ugualmente dai grandi e dai piccoli, dai ricchi e dai proletari» (Rerum novarum, n. 20). Invito dunque i vostri governi a contribuire con coraggio al progresso della nostra umanità favorendo l’educazione delle nuove generazioni grazie alla promozione di una sana antropologia, base indispensabile per ogni educazione autentica, e conforme al patrimonio naturale comune. Questo compito potrebbe passare prima di tutto per una riflessione seria sulle diverse problematiche esistenti nei vostri rispettivi Paesi, dove talune opzioni politiche o economiche possono erodere subdolamente i vostri patrimoni antropologici e spirituali. Questi sono passati al vaglio dei secoli e si sono pazientemente costituiti su basi che rispettano l’essenza della persona umana nella sua realtà plurale, restando nel contempo in perfetta sintonia con l’insieme del cosmo. Invito ancora i vostri governanti ad avere il coraggio di adoperarsi per il consolidamento dell’autorità morale — intesa come chiamata a una coerenza di vita — necessaria per un’autentica e sana educazione delle giovani generazioni.

Il diritto a un’educazione ai giusti valori non deve mai essere negato né dimenticato. Il dovere di educare a tali valori non deve essere mai impedito o indebolito da qualsivoglia interesse politico nazionale o sovrannazionale. È pertanto necessario educare nella verità e alla verità. Ma, «che cos’è la verità?» (
Jn 18,38), si chiedeva già Pilato, che era un governatore. Ai giorni nostri, dire il vero è divenuto sospetto, voler vivere nella verità sembra superato e promuoverla sembra essere uno sforzo vano. Eppure il futuro dell’umanità si trova anche nel rapporto dei bambini e dei giovani con la verità: la verità sull’uomo, la verità sul creato, la verità sulle istituzioni, e così via. Oltre all’educazione alla rettitudine del cuore e della mente, i giovani hanno pure bisogno, oggi più che mai, di essere educati al senso dello sforzo e della perseveranza nelle difficoltà. Occorre insegnare loro che ogni atto che la persona umana compie deve essere responsabile e coerente con il suo desiderio d’infinito, e che tale atto accompagna la sua crescita in vista della formazione a un’umanità sempre più fraterna e libera da tentazioni individualiste e materialiste.

Permettetemi di salutare per mezzo vostro i vescovi e i fedeli delle comunità cattoliche presenti nei vostri Paesi. La Chiesa compie la sua missione nella fedeltà al suo Signore e con il desiderio ardente di apportare il suo contributo specifico alla promozione integrale dei vostri concittadini, in particolare attraverso l’educazione dei bambini e dei giovani. Essa partecipa ogni giorno agli sforzi comuni per la crescita spirituale e umana di tutti, mediante le sue strutture educative, caritative e sanitarie, avendo a cuore il risveglio delle coscienze al rispetto reciproco e alla responsabilità. In tal senso, incoraggio i vostri governanti a continuare a permettere alla Chiesa di occuparsi liberamente dei suoi ambiti di attività tradizionali che, come voi sapete, contribuiscono allo sviluppo dei vostri Paesi e al bene comune.

Signora e Signori Ambasciatori, mentre comincia ufficialmente la vostra missione presso la Santa Sede, vi porgo i miei migliori auguri, assicurandovi del sostegno dei diversi servizi della Curia romana nello svolgimento della vostra funzione. A tal fine, invoco con piacere su di voi e sulle vostre famiglie, come pure sui vostri collaboratori, l’abbondanza delle Benedizioni Divine.




ALLA DELEGAZIONE DEL COMUNE DI PESCOPENNATARO (ISERNIA), PER IL DONO DELL'ALBERO DI NATALE IN PIAZZA SAN PIETRO Sala Clementina Venerdì, 14 dicembre 2012

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Cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di accogliervi nel giorno in cui viene presentato l’albero di Natale di Piazza San Pietro, un abete che quest’anno proviene da Pescopennataro, in Provincia di Isernia, nel Molise. Penso che oggi qui ci sia tutto il paese! Rivolgo a ciascuno il mio cordiale saluto, a iniziare dal Sindaco Pompilio Sciulli, che ringrazio per le parole poc’anzi rivoltemi a nome dei presenti. Saluto inoltre le altre Autorità civili, con un particolare pensiero per il Presidente della Regione. Con fraterno affetto sono lieto di salutare il Vescovo di Trivento, Mons. Domenico Scotti, e il Parroco di Pescopennataro.

Questa sera, al termine della cerimonia di consegna ufficiale, verranno accese le luci che ornano l’albero. Esso resterà accanto al Presepe fino al termine delle festività natalizie e sarà ammirato dai numerosi pellegrini, provenienti da ogni parte del mondo. Grazie per questo devoto omaggio, come pure per gli altri alberi più piccoli destinati al Palazzo Apostolico e alle sale del Vaticano! L’abete bianco che avete voluto donarmi, cari pescolani e abitanti dell’intera Regione del Molise, manifesta anche la fede e la religiosità della gente molisana, che attraverso i secoli ha custodito un importante tesoro spirituale espresso nella cultura, nell’arte e nelle tradizioni locali. E’ compito di ciascuno di voi e dei vostri conterranei attingere costantemente a questo patrimonio e incrementarlo, per poter affrontare le nuove urgenze sociali e le odierne sfide culturali nel solco della consolidata e feconda fedeltà al Cristianesimo.

Auguro di cuore a tutti voi qui presenti, ai vostri concittadini e a tutti gli abitanti della vostra Regione, di trascorrere con serenità ed intensità il Natale del Signore. Egli, secondo il celebre oracolo del profeta Isaia, è apparso come una grande luce per il popolo che camminava nelle tenebre (cfr Is
Is 9,1). Dio si è fatto uomo ed è venuto in mezzo a noi, per dissipare le tenebre dell’errore e del peccato, recando all’umanità la sua luce divina. Questa luce altissima, di cui l’albero natalizio è segno e richiamo, non solo non ha subito alcun calo di tensione col passare dei secoli e dei millenni, ma continua a risplendere su di noi e a illuminare ogni uomo che viene al mondo, specialmente quando dobbiamo attraversare momenti di incertezza e difficoltà. Gesù stesso dirà di sé: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Jn 8,12).

E quando nelle varie epoche si è tentato di spegnere la luce di Dio, per accendere bagliori illusori e ingannevoli, si sono aperte stagioni segnate da tragiche violenze sull’uomo. Questo perché, quando si cerca di cancellare il nome di Dio sulle pagine della storia, il risultato è che si tracciano righe storte, dove anche le parole più belle e nobili perdono il loro vero significato. Pensiamo a termini come «libertà», «bene comune», «giustizia»: privati del radicamento in Dio e nel suo amore, nel Dio che ha mostrato il suo volto in Gesù Cristo, queste realtà rimangono molto spesso in balìa degli interessi umani, perdendo l’aggancio con le esigenze di verità e di civile responsabilità.

Cari amici, vi ringrazio ancora di cuore per il gesto che avete compiuto. Il vostro Albero è quello dell’Anno della fede: voglia il Signore ricompensare il vostro dono rafforzando la fede in voi e nelle vostre comunità! Lo chiedo per intercessione della Vergine Maria, Colei che per prima ha accolto e seguito il Verbo di Dio fatto uomo, mentre imparto di cuore a tutti voi ed alle vostre famiglie la Benedizione Apostolica.




ALLA DELEGAZIONE DEL COMITATO OLIMPICO NAZIONALE ITALIANO Sala Clementina Lunedì, 17 dicembre 2012

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Cari amici!

Sono molto lieto di accogliere voi Dirigenti del Comitato Olimpico Nazionale Italiano e, soprattutto, voi atleti che avete rappresentato l’Italia nelle recenti Olimpiadi di Londra. Vi saluto con viva cordialità, ad iniziare dal Presidente del CONI, Dottor Giovanni Petrucci, che ringrazio per le sue parole, belle e convincenti che mi ha rivolto a nome di tutti. La scorsa estate, avete partecipato al più grande evento sportivo internazionale: i Giochi Olimpici. Su quel palcoscenico vi siete confrontati con altri atleti provenienti da quasi tutti i Paesi del mondo. Vi siete sfidati sul terreno dell’agonismo e delle abilità tecniche, ma prima ancora su quello delle qualità umane, mettendo in campo le vostre doti e le vostre capacità, acquisite con l’impegno e il rigore nella preparazione, la costanza nell’allenamento, la consapevolezza dei vostri limiti. Lontano dai riflettori vi siete sottoposti ad una dura disciplina e diversi di voi hanno visto poi riconosciuto il valore raggiunto. Mi pare che a Londra abbiate conquistato ben 28 medaglie, di cui 8 d’oro! Ma a voi atleti non è stato chiesto solo di competere e ottenere risultati. Ogni attività sportiva, sia a livello amatoriale che agonistico, richiede la lealtà nella competizione, il rispetto del proprio corpo, il senso di solidarietà e di altruismo e poi anche la gioia, la soddisfazione e la festa. Tutto ciò presuppone un cammino di autentica maturazione umana, fatto di rinunce, di tenacia, di pazienza, e soprattutto di umiltà, che non viene applaudita, ma che è il segreto della vittoria.

Uno sport che voglia avere un senso pieno per chi lo pratica deve essere sempre a servizio della persona. La posta in gioco allora non è solo il rispetto delle regole, ma la visione dell’uomo, dell’uomo che fa sport e che, al tempo stesso, ha bisogno di educazione, di spiritualità e di valori trascendenti. Lo sport infatti è un bene educativo e culturale, capace di rivelare l’uomo a se stesso ed avvicinarlo a comprendere il valore profondo della sua vita. IlConcilio Ecumenico Vaticano II parla dello sport all’interno della Costituzione pastoraleGaudium et spes, nell’ampio quadro dei rapporti tra la Chiesa e il mondo contemporaneo, e lo colloca nel settore della cultura, cioè nell’ambito in cui si evidenzia la capacità interpretativa della vita, della persona e delle relazioni. Il Concilio auspica che lo sport contribuisca ad affinare lo spirito dell’uomo, consenta alle persone di arricchirsi con la reciproca conoscenza, aiuti a mantenere l’equilibrio della personalità, favorisca le fraterne relazioni fra gli uomini di tutte le condizioni, di nazioni e stirpi diverse (cfr n. 61). Insomma, una cultura dello sport fondata sul primato della persona umana; uno sport al servizio dell’uomo e non l’uomo al servizio dello sport.

La Chiesa si interessa di sport, perché le sta a cuore l’uomo, tutto l’uomo, e riconosce che l’attività sportiva incide sull’educazione, sulla formazione della persona, sulle relazioni, sulla spiritualità. Lo testimonia la presenza di spazi ludici e sportivi negli oratori parrocchiali e nei centri giovanili; lo dimostrano le associazioni sportive di ispirazione cristiana, che sono palestre di umanità, luoghi di incontro in cui coltivare anche quel forte desiderio di vita e d’infinito che c’è negli adolescenti e nei giovani. L’atleta che vive integralmente la propria esperienza si fa attento al progetto di Dio sulla sua vita, impara ad ascoltarne la voce nei lunghi tempi di allenamento, a riconoscerlo nel volto del compagno, e anche dell’avversario di gara! L’esperienza sportiva può «contribuire a rispondere alle domande profonde che pongono le nuove generazioni circa il senso della vita, il suo orientamento e la sua meta» (Giovanni Paolo II, Discorso al Centro Sportivo Italiano, 26 giugno 2004, 2), quando è vissuta in pienezza; sa educare ai valori umani e aiuta l’apertura al trascendente. Penso dunque a voi, cari atleti, come a dei campioni-testimoni, con una missione da compiere: possiate essere, per quanti vi ammirano, validi modelli da imitare. Ma anche voi, cari Dirigenti, come pure gli allenatori, i diversi operatori sportivi, siete chiamati ad essere testimoni di buona umanità, cooperatori con le famiglie e le istituzioni formative dell’educazione dei giovani, maestri di una pratica sportiva che sia sempre leale e limpida. La pressione di conseguire risultati significativi non deve mai spingere a imboccare scorciatoie come avviene nel caso del doping. Lo stesso spirito di squadra sia di sprone ad evitare questi vicoli ciechi, ma anche di sostegno a chi riconosce di avere sbagliato, in modo che si senta accolto e aiutato.

Cari amici, in questo Anno della fede vorrei sottolineare che l’attività sportiva può educare la persona anche all’“agonismo” spirituale, cioè a vivere ogni giorno cercando di far vincere il bene sul male, la verità sulla menzogna, l’amore sull’odio, e questo prima di tutto in se stessi. Pensando poi all’impegno della nuova evangelizzazione, anche il mondo dello sport può essere considerato un moderno “cortile dei gentili”, cioè un’opportunità preziosa di incontro aperta a tutti, credenti e non credenti, dove sperimentare la gioia e anche la fatica di confrontarsi con persone diverse per cultura, lingua e orientamento religioso.

Vorrei concludere ricordando la luminosa figura del beato Pier Giorgio Frassati: un giovane che univa in sé la passione per lo sport – amava specialmente le ascensioni in montagna – e la passione per Dio. Vi invito, cari atleti, a leggere una sua biografia: il beato Pier Giorgio ci mostra che essere cristiani significa amare la vita, amare la natura, ma soprattutto amare il prossimo, in particolare le persone in difficoltà. Auguro anche a ciascuno di voi di gustare la gioia più grande: quella di migliorarvi giorno dopo giorno, riuscendo ad amare sempre un po’ di più. Lo chiediamo come dono al Signore Gesù per questo Natale. Vi ringrazio di essere venuti e benedico di cuore tutti voi e i vostri familiari. Grazie.




ARTICOLO DEL SANTO PADRE PER IL FINANCIAL TIMES 20 dicembre 2012

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Tempo di impegno nel mondo per i cristiani




"Rendi a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio" fu la risposta di Gesù quando gli fu chiesto ciò che pensava sul pagamento delle tasse. Quelli che lo interrogavano, ovviamente, volevano tendergli una trappola. Volevano costringerlo a prendere posizione nel dibattito politico infuocato sulla dominazione romana nella terra di Israele. E tuttavia c’era in gioco ancora di più: se Gesù era realmente il Messia atteso, allora sicuramente si sarebbe opposto ai dominatori romani. Pertanto la domanda era calcolata per smascherarlo o come una minaccia per il regime o come un impostore.

La risposta di Gesù porta abilmente la questione ad un livello superiore, mettendo con finezza in guardia nei confronti sia della politicizzazione della religione sia della deificazione del potere temporale, come pure dell’instancabile ricerca della ricchezza. I suoi ascoltatori dovevano capire che il Messia non era Cesare, e che Cesare non era Dio. Il regno che Gesù veniva ad instaurare era di una dimensione assolutamente superiore. Come rispose a Ponzio Pilato: "Il mio regno non è di questo mondo".

I racconti di Natale del Nuovo Testamento hanno lo scopo di esprimere un messaggio simile. Gesù nacque durante un "censimento del mondo intero", voluto da Cesare Augusto, l’imperatore famoso per aver portato la Pax Romana in tutte le terre sottoposte al dominio romano. Eppure questo bambino, nato in un oscuro e distante angolo dell’impero, stava per offrire al mondo una pace molto più grande, veramente universale nei suoi scopi e trascendente ogni limite di spazio e di tempo.

Gesù ci viene presentato come erede del re Davide, ma la liberazione che egli portò alla propria gente non riguardava il tenere a bada eserciti nemici; si trattava, invece, di vincere per sempre il peccato e la morte.

La nascita di Cristo ci sfida a ripensare le nostre priorità, i nostri valori, il nostro stesso modo di vivere. E mentre il Natale è senza dubbio un tempo di gioia grande, è anche un’occasione di profonda riflessione, anzi un esame di coscienza. Alla fine di un anno che ha significato privazioni economiche per molti, che cosa possiamo apprendere dall’umiltà, dalla povertà, dalla semplicità della scena del presepe?

Il Natale può essere il tempo nel quale impariamo a leggere il Vangelo, a conoscere Gesù non soltanto come il Bimbo della mangiatoia, ma come colui nel quale riconosciamo il Dio fatto Uomo.

E’ nel Vangelo che i cristiani trovano ispirazione per la vita quotidiana e per il loro coinvolgimento negli affari del mondo – sia che ciò avvenga nel Parlamento o nella Borsa. I cristiani non dovrebbero sfuggire il mondo; al contrario, dovrebbero impegnarsi in esso. Ma il loro coinvolgimento nella politica e nell’economia dovrebbe trascendere ogni forma di ideologia.

I cristiani combattono la povertà perché riconoscono la dignità suprema di ogni essere umano, creato a immagine di Dio e destinato alla vita eterna. I cristiani operano per una condivisione equa delle risorse della terra perché sono convinti che, quali amministratori della creazione di Dio, noi abbiamo il dovere di prendersi cura dei più deboli e dei più vulnerabili. I cristiani si oppongono all’avidità e allo sfruttamento nel convincimento che la generosità e un amore dimentico di sé, insegnati e vissuti da Gesù di Nazareth, sono la via che conduce alla pienezza della vita. La fede cristiana nel destino trascendente di ogni essere umano implica l’urgenza del compito di promuovere la pace e la giustizia per tutti.

Poiché tali fini vengono condivisi da molti, è possibile una grande e fruttuosa collaborazione fra i cristiani e gli altri. E tuttavia i cristiani danno a Cesare soltanto quello che è di Cesare, ma non ciò che appartiene a Dio. Talvolta lungo la storia i cristiani non hanno potuto accondiscendere alle richieste fatte da Cesare. Dal culto dell’imperatore dell’antica Roma ai regimi totalitari del secolo appena trascorso, Cesare ha cercato di prendere il posto di Dio. Quando i cristiani rifiutano di inchinarsi davanti ai falsi dèi proposti nei nostri tempi non è perché hanno una visione antiquata del mondo. Al contrario, ciò avviene perché sono liberi dai legami dell’ideologia e animati da una visione così nobile del destino umano, che non possono accettare compromessi con nulla che lo possa insidiare.

In Italia, molte scene di presepi sono adornate di rovine degli antichi edifici romani sullo sfondo. Ciò dimostra che la nascita del bambino Gesù segna la fine dell’antico ordine, il mondo pagano, nel quale le rivendicazioni di Cesare apparivano impossibili da sfidare. Adesso vi è un nuovo re, il quale non confida nella forza delle armi, ma nella potenza dell’amore. Egli porta speranza a tutti coloro che, come lui stesso, vivono ai margini della società. Porta speranza a quanti sono vulnerabili nelle mutevoli fortune di un mondo precario. Dalla mangiatoia, Cristo ci chiama a vivere da cittadini del suo regno celeste, un regno che ogni persona di buona volontà può aiutare a costruire qui sulla terra.



Bollettino Sala Stampa, 20 dicembre 2012



ALLA DELEGAZIONE DEI RAGAZZI DELL'AZIONE CATTOLICA ITALIANA Sala del Concistoro Giovedì, 20 dicembre 2012

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Carissimi ragazzi e ragazze dell’ACR [ACIERRE],

sono contento di incontrarvi e di accogliere i vostri auguri per il Natale del Signore. Vi saluto con affetto, insieme con i vostri educatori, il presidente Prof. Franco Miano e l’assistente generale Mons. Domenico Sigalini.

Mi avete detto che siete “in cerca di autore” e che questa è la frase guida del vostro cammino di quest’anno in ACIERRE. Mi verrebbe subito da chiedervi: Chi è questo autore? Lo avete già trovato? Sono certo che, con i formatori e con gli altri amici dell’Azione Cattolica, troverete una risposta sempre più chiara alla vostra ricerca e sarete capaci di aiutare anche molti altri a trovarla. Però, vorrei anch’io dirvi qualcosa. Anzitutto, so che voi cercate l’autore della vita, chi vi aiuta a vivere bene, contenti con voi stessi e con gli altri. Ma noi sappiamo chi è questo autore: è Dio, che ci ha mostrato il suo volto. Dio ci ha creati, ci ha fatti a sua immagine, soprattutto ci ha donato il suo Figlio Gesù, che si è fatto bambino - lo contempleremo tra poco nel Santo Natale -, è cresciuto da ragazzo come voi, ha percorso le strade di questo nostro mondo per comunicarci l’amore di Dio, che rende bella e felice la vita, piena di bontà e di generosità.

Certamente voi cercate anche l’autore della vostra gioia. Se vi chiedessi che cosa vi dà gioia, forse la risposta sarebbe: i giochi, lo sport, gli amici, i genitori, che vivono per voi e vi vogliono bene. Sono tanti che vi rendono felici, ma c’è un grande Amico che è l’autore della gioia di tutti e con il quale il nostro cuore si riempie di una gioia che sorpassa tutte le altre e che dura per tutta la vita: è Gesù. Ricordate, cari amici: quanto più imparerete a conoscerlo e a dialogare con Lui, tanto più sentirete nel cuore di essere contenti e sarete capaci di vincere le piccole tristezze che ci sono a volte nell’animo.

Inoltre, siete in cerca dell’autore dell’amore. Si può vivere da soli, chiusi in se stessi? Se riflettete un momento, vedrete che la risposta è un chiaro: “no”. Tutti abbiamo bisogno di voler bene e di sentire che qualcuno ci accetta e ci vuole bene. Sentirsi amati è necessario per vivere, ma è altrettanto importante essere capaci di amare gli altri, per rendere bella la loro vita, la vita di tutti, anche dei vostri coetanei che si trovano in situazioni difficili. Gesù ci ha fatto vedere con la sua vita che Dio ama tutti senza distinzione e vuole che tutti vivano felici. Mi piace, allora, questa vostra iniziativa nel mese di gennaio per sostenere un progetto in Egitto di aiuto concreto a ragazzi di strada.

Infine, voi cercate sicuramente l’autore della pace, di cui il mondo ha tanto bisogno. Spesso gli uomini pensano di poter costruire la pace da soli, ma è importante capire che è Dio che può donarci una pace vera e solida. Se lo sappiamo ascoltare, se gli facciamo spazio nella nostra vita, Dio scioglie l’egoismo che spesso inquina i rapporti tra le persone e tra le Nazioni e fa sorgere desideri di riconciliazione, di perdono e di pace, anche in chi ha il cuore indurito.

Cari ragazzi e ragazze dell’ACIERRE, vi auguro di fare questa ricerca insieme, tra di voi e con i vostri compagni di scuola e di giochi. Se vi aiutate l’un l’altro a cercare il grande Autore della vita, della gioia, dell’amore, della pace, scoprirete che questo Autore non è mai lontano da voi, anzi, è vicinissimo: è il Dio che si è fatto bambino in Gesù!

Cari amici, un augurio di Buon Natale a voi e all’intera Azione Cattolica!





PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI DELLA CURIA ROMANA Sala Clementina Venerdì, 21 dicembre 2012

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Signori Cardinali,

venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
cari fratelli e sorelle!

Con grande gioia vi incontro oggi, cari Membri del Collegio Cardinalizio, Rappresentanti della Curia Romana e del Governatorato, per questo tradizionale momento prima del Santo Natale. Rivolgo a ciascuno un cordiale saluto, iniziando dal Cardinale Angelo Sodano, che ringrazio per le belle parole e per i fervidi auguri che mi ha indirizzato anche a nome vostro. Il Cardinale Decano ci ha ricordato un’espressione che ritorna spesso in questi giorni nella liturgia latina: Prope est iam Dominus, venite, adoremus! Il Signore è ormai vicino, venite adoriamolo! Anche noi, come un’unica famiglia ci disponiamo ad adorare, nella grotta di Betlemme, quel Bambino che è Dio stesso fattosi così vicino da diventare uomo come noi. Ricambio volentieri gli auguri e ringrazio di cuore tutti, compresi i Rappresentanti Pontifici sparsi per il mondo, per la generosa e qualificata collaborazione che ognuno di voi presta al mio Ministero.

Ci troviamo alla fine di un anno che nuovamente, nella Chiesa e nel mondo, è stato caratterizzato da molteplici situazioni travagliate, da grandi questioni e sfide, ma anche da segni di speranza. Menziono soltanto alcuni momenti salienti nell’ambito della vita della Chiesa e del mio ministero petrino. Ci sono stati - come menzionato dal Cardinale Decano - anzitutto i viaggi in Messico e a Cuba – incontri indimenticabili con la forza della fede, profondamente radicata nei cuori degli uomini, e con la gioia per la vita che scaturisce dalla fede. Ricordo che, dopo l’arrivo in Messico, ai bordi della lunga strada da percorrere, c’erano interminabili schiere di persone che salutavano, sventolando fazzoletti e bandiere. Ricordo che durante il tragitto verso Guanajuato, pittoresca capitale dello Stato omonimo, c’erano giovani devotamente inginocchiati ai margini della strada per ricevere la benedizione del Successore di Pietro; ricordo come la grande liturgia nelle vicinanze della statua di Cristo Re sia diventata un atto che ha reso presente la regalità di Cristo – la sua pace, la sua giustizia, la sua verità. Tutto ciò sullo sfondo dei problemi di un Paese che soffre per molteplici forme di violenza e per le difficoltà di dipendenze economiche. Sono problemi che, certo, non possono essere risolti semplicemente mediante la religiosità, ma lo possono ancor meno senza quella purificazione interiore dei cuori che proviene dalla forza della fede, dall’incontro con Gesù Cristo. E c’è stata poi l’esperienza di Cuba – anche qui le grandi liturgie, nei cui canti, preghiere e silenzi si è resa percepibile la presenza di Colui al quale, per molto tempo, si era voluto rifiutare un posto nel Paese. La ricerca, in quel Paese, di una giusta impostazione del rapporto tra vincoli e libertà, sicuramente non può riuscire senza un riferimento a quei criteri di fondo che si sono manifestati all’umanità nell’incontro con il Dio di Gesù Cristo.

Quali ulteriori tappe dell’anno che volge al termine, vorrei menzionare la grande Festa della Famiglia a Milano, come anche la visita in Libano con la consegna dell’Esortazione Apostolica Postsinodale, che ora dovrà costituire, nella vita delle Chiese e della società in Medio Oriente, un orientamento sulle difficili vie dell’unità e della pace. L’ultimo avvenimento importante di questo anno che sta tramontando è stato il Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione che è stato contemporaneamente un inizio comunitario dell’Anno della Fede, con cui commemoriamo l’inaugurazione del Concilio Vaticano II, cinquant’anni orsono, per comprenderlo e assimilarlo nuovamente nella mutata situazione.

Con tutte queste occasioni si sono toccati temi fondamentali del nostro momento storico: la famiglia (Milano), il servizio alla pace nel mondo e il dialogo interreligioso (Libano), come anche l’annuncio del messaggio di Gesù Cristo nel nostro tempo a coloro che ancora non l’hanno incontrato e ai tanti che lo conoscono soltanto dall’esterno e, proprio per questo, non lo ri-conoscono. Tra queste grandi tematiche vorrei riflettere un po’ più dettagliatamente soprattutto sul tema della famiglia e sulla natura del dialogo, per aggiungere poi ancora una breve annotazione sul tema della Nuova Evangelizzazione.

La grande gioia con cui a Milano si sono incontrate famiglie provenienti da tutto il mondo ha mostrato che, nonostante tutte le impressioni contrarie, la famiglia è forte e viva anche oggi. È incontestabile, però, anche la crisi che – particolarmente nel mondo occidentale – la minaccia fino nelle basi. Mi ha colpito che nel Sinodo si sia ripetutamente sottolineata l’importanza della famiglia per la trasmissione della fede come luogo autentico in cui si trasmettono le forme fondamentali dell’essere persona umana. Le si impara vivendole e anche soffrendole insieme. Così si è reso evidente che nella questione della famiglia non si tratta soltanto di una determinata forma sociale, ma della questione dell’uomo stesso – della questione di che cosa sia l’uomo e di che cosa occorra fare per essere uomini in modo giusto. Le sfide in questo contesto sono complesse. C’è anzitutto la questione della capacità dell’uomo di legarsi oppure della sua mancanza di legami. Può l’uomo legarsi per tutta una vita? Corrisponde alla sua natura? Non è forse in contrasto con la sua libertà e con l’ampiezza della sua autorealizzazione? L’uomo diventa se stesso rimanendo autonomo e entrando in contatto con l’altro solo mediante relazioni che può interrompere in ogni momento? Un legame per tutta la vita è in contrasto con la libertà? Il legame merita anche che se ne soffra? Il rifiuto del legame umano, che si diffonde sempre più a causa di un’errata comprensione della libertà e dell’autorealizzazione, come anche a motivo della fuga davanti alla paziente sopportazione della sofferenza, significa che l’uomo rimane chiuso in se stesso e, in ultima analisi, conserva il proprio “io” per se stesso, non lo supera veramente. Ma solo nel dono di sé l’uomo raggiunge se stesso, e solo aprendosi all’altro, agli altri, ai figli, alla famiglia, solo lasciandosi plasmare nella sofferenza, egli scopre l’ampiezza dell’essere persona umana. Con il rifiuto di questo legame scompaiono anche le figure fondamentali dell’esistenza umana: il padre, la madre, il figlio; cadono dimensioni essenziali dell’esperienza dell’essere persona umana.

Il Gran Rabbino di Francia, Gilles Bernheim, in un trattato accuratamente documentato e profondamente toccante, ha mostrato che l’attentato, al quale oggi ci troviamo esposti, all’autentica forma della famiglia, costituita da padre, madre e figlio, giunge ad una dimensione ancora più profonda. Se finora avevamo visto come causa della crisi della famiglia un fraintendimento dell’essenza della libertà umana, ora diventa chiaro che qui è in gioco la visione dell’essere stesso, di ciò che in realtà significa l’essere uomini. Egli cita l’affermazione, diventata famosa, di Simone de Beauvoir: “Donna non si nasce, lo si diventa” (“On ne naît pas femme, on le devient”). In queste parole è dato il fondamento di ciò che oggi, sotto il lemma “gender”, viene presentato come nuova filosofia della sessualità. Il sesso, secondo tale filosofia, non è più un dato originario della natura che l’uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la società a decidervi. La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela. Secondo il racconto biblico della creazione, appartiene all’essenza della creatura umana di essere stata creata da Dio come maschio e come femmina. Questa dualità è essenziale per l’essere umano, così come Dio l’ha dato. Proprio questa dualità come dato di partenza viene contestata. Non è più valido ciò che si legge nel racconto della creazione: “Maschio e femmina Egli li creò” (
Gn 1,27). No, adesso vale che non è stato Lui a crearli maschio e femmina, ma finora è stata la società a determinarlo e adesso siamo noi stessi a decidere su questo. Maschio e femmina come realtà della creazione, come natura della persona umana non esistono più. L’uomo contesta la propria natura. Egli è ormai solo spirito e volontà. La manipolazione della natura, che oggi deploriamo per quanto riguarda l’ambiente, diventa qui la scelta di fondo dell’uomo nei confronti di se stesso. Esiste ormai solo l’uomo in astratto, che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura. Maschio e femmina vengono contestati nella loro esigenza creazionale di forme della persona umana che si integrano a vicenda. Se, però, non esiste la dualità di maschio e femmina come dato della creazione, allora non esiste neppure più la famiglia come realtà prestabilita dalla creazione. Ma in tal caso anche la prole ha perso il luogo che finora le spettava e la particolare dignità che le è propria. Bernheim mostra come essa, da soggetto giuridico a sé stante, diventi ora necessariamente un oggetto, a cui si ha diritto e che, come oggetto di un diritto, ci si può procurare. Dove la libertà del fare diventa libertà di farsi da sé, si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio, quale immagine di Dio viene avvilito nell’essenza del suo essere. Nella lotta per la famiglia è in gioco l’uomo stesso. E si rende evidente che là dove Dio viene negato, si dissolve anche la dignità dell’uomo. Chi difende Dio, difende l’uomo.

Con ciò vorrei giungere al secondo grande tema che, da Assisi fino al Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione, ha pervaso tutto l’anno che volge al termine: la questione cioè del dialogo e dell’annuncio. Parliamo anzitutto del dialogo. Vedo per la Chiesa nel nostro tempo soprattutto tre campi di dialogo nei quali essa deve essere presente, nella lotta per l’uomo e per che cosa significhi essere persona umana: il dialogo con gli Stati, il dialogo con la società – in esso incluso il dialogo con le culture e con la scienza – e, infine, il dialogo con le religioni. In tutti questi dialoghi, la Chiesa parla a partire da quella luce che le offre la fede. Essa, però, incarna al tempo stesso la memoria dell’umanità che, fin dagli inizi e attraverso i tempi, è memoria delle esperienze e delle sofferenze dell’umanità, in cui la Chiesa ha imparato ciò che significa essere uomini, sperimentandone il limite e la grandezza, le possibilità e le limitazioni. La cultura dell’umano, di cui essa si fa garante, è nata e si è sviluppata dall’incontro tra la rivelazione di Dio e l’esistenza umana. La Chiesa rappresenta la memoria dell’essere uomini di fronte a una civiltà dell’oblio, che ormai conosce soltanto se stessa e il proprio criterio di misure. Ma come una persona senza memoria ha perso la propria identità, così anche un’umanità senza memoria perderebbe la propria identità. Ciò che, nell’incontro tra rivelazione ed esperienza umana, è stato mostrato alla Chiesa va, certo, al di là dell’ambito della ragione, ma non costituisce un mondo particolare che per il non credente sarebbe senza alcun interesse. Se l’uomo con il proprio pensiero entra nella riflessione e nella comprensione di quelle conoscenze, esse allargano l’orizzonte della ragione e ciò riguarda anche coloro che non riescono a condividere la fede della Chiesa. Nel dialogo con lo Stato e con la società, la Chiesa certamente non ha soluzioni pronte per le singole questioni. Insieme con le altre forze sociali, essa lotterà per le risposte che maggiormente corrispondano alla giusta misura dell’essere umano. Ciò che essa ha individuato come valori fondamentali, costitutivi e non negoziabili dell’esistenza umana, lo deve difendere con la massima chiarezza. Deve fare tutto il possibile per creare una convinzione che poi possa tradursi in azione politica.

Nella situazione attuale dell’umanità, il dialogo delle religioni è una condizione necessaria per la pace nel mondo, e pertanto è un dovere per i cristiani come pure per le altre comunità religiose. Questo dialogo delle religioni ha diverse dimensioni. Esso sarà innanzi tutto semplicemente un dialogo della vita, un dialogo della condivisione pratica. In esso non si parlerà dei grandi temi della fede – se Dio sia trinitario o come sia da intendere l’ispirazione delle Sacre Scritture ecc. Si tratta dei problemi concreti della convivenza e della responsabilità comune per la società, per lo Stato, per l’umanità. In ciò bisogna imparare ad accettare l’altro nel suo essere e pensare in modo diverso. A questo scopo è necessario fare della responsabilità comune per la giustizia e per la pace il criterio di fondo del colloquio. Un dialogo in cui si tratta di pace e di giustizia diventa da sé, al di là di ciò che è semplicemente pragmatico, una lotta etica circa la verità e circa l'essere umano; un dialogo circa le valutazioni che sono presupposte al tutto. Così il dialogo, in un primo momento meramente pratico, diventa tuttavia anche una lotta per il giusto modo di essere persona umana. Anche se le scelte di fondo non sono come tali in discussione, gli sforzi intorno a una questione concreta diventano un processo in cui, mediante l’ascolto dell’altro, ambedue le parti possono trovare purificazione e arricchimento. Così questi sforzi possono avere anche il significato di passi comuni verso l’unica verità, senza che le scelte di fondo vengano cambiate. Se ambedue le parti muovono da un’ermeneutica di giustizia e di pace, la differenza di fondo non scomparirà, crescerà tuttavia anche una vicinanza più profonda tra loro.

Per l’essenza del dialogo interreligioso, oggi in genere si considerano fondamentali due regole:

1. Il dialogo non ha di mira la conversione, bensì la comprensione. In questo si distingue dall’evangelizzazione, dalla missione.

2. Conformemente a ciò, in questo dialogo ambedue le parti restano consapevolmente nella loro identità, che, nel dialogo, non mettono in questione né per sé né per gli altri.

Queste regole sono giuste. Penso, tuttavia, che in questa forma siano formulate troppo superficialmente. Sì, il dialogo non ha di mira la conversione, ma una migliore comprensione reciproca: ciò è corretto. La ricerca di conoscenza e di comprensione, però, vuole sempre essere anche un avvicinamento alla verità. Così, ambedue le parti, avvicinandosi passo passo alla verità, vanno in avanti e sono in cammino verso una più grande condivisione, che si fonda sull’unità della verità. Per quanto riguarda il restare fedeli alla propria identità: sarebbe troppo poco se il cristiano con la sua decisione per la propria identità interrompesse, per così dire, in base alla sua volontà, la via verso la verità. Allora il suo essere cristiano diventerebbe qualcosa di arbitrario, una scelta semplicemente fattuale. Allora egli, evidentemente, non metterebbe in conto che nella religione si ha a che fare con la verità. Rispetto a questo direi che il cristiano ha la grande fiducia di fondo, anzi, la grande certezza di fondo di poter prendere tranquillamente il largo nel vasto mare della verità, senza dover temere per la sua identità di cristiano. Certo, non siamo noi a possedere la verità, ma è essa a possedere noi: Cristo, che è la Verità, ci ha presi per mano, e sulla via della nostra ricerca appassionata di conoscenza sappiamo che la sua mano ci tiene saldamente. L’essere interiormente sostenuti dalla mano di Cristo ci rende liberi e al tempo stesso sicuri. Liberi: se siamo sostenuti da Lui, possiamo entrare in qualsiasi dialogo apertamente e senza paura.Sicuri, perché Egli non ci lascia, se non siamo noi stessi a staccarci da Lui. Uniti a Lui, siamo nella luce della verità.

Alla fine, è doverosa ancora una breve annotazione sull’annuncio, sull’evangelizzazione, di cui infatti, a seguito delle proposte dei Padri sinodali, parlerà ampiamente il documento postsinodale. Trovo che gli elementi essenziali del processo di evangelizzazione appaiano in modo molto eloquente nel racconto di san Giovanni sulla chiamata di due discepoli del Battista, che diventano discepoli di Cristo (cfr Gv Jn 1,35-39). C’è anzitutto il semplice atto dell’annuncio. Giovanni Battista addita Gesù e dice: “Ecco l’agnello di Dio!” Un po’ più avanti l’evangelista racconta un evento simile. Questa volta è Andrea che dice a suo fratello Simone: “Abbiamo trovato il Messia” (1,41). Il primo e fondamentale elemento è il semplice annuncio, il kerigma, che attinge la sua forza dalla convinzione interiore dell’annunciatore. Nel racconto dei due discepoli segue poi l’ascolto, l’andare dietro i passi di Gesù, un seguire che non è ancora sequela, ma piuttosto una santa curiosità, un movimento di ricerca. Sono, infatti, ambedue persone alla ricerca, persone che, al di là del quotidiano, vivono nell’attesa di Dio – nell’attesa perché Egli c’è e quindi si mostrerà. Toccata dall’annuncio, la loro ricerca diventa concreta. Vogliono conoscere meglio Colui che il Battista ha qualificato come Agnello di Dio. Il terzo atto poi prende avvio per il fatto che Gesù si volge indietro, si volge verso di essi e domanda loro: “Che cosa cercate?”. La risposta dei due è, nuovamente, una domanda che indica l’apertura della loro attesa, la disponibilità a fare nuovi passi. Domandano: “Rabbì, dove dimori?” La risposta di Gesù: “Venite e vedrete!” è un invito ad accompagnarlo e, camminando con Lui, a diventare vedenti.

La parola dell’annuncio diventa efficace là dove nell’uomo esiste la disponibilità docile per la vicinanza di Dio; dove l’uomo è interiormente in ricerca e così in cammino verso il Signore. Allora, l’attenzione di Gesù per lui lo colpisce al cuore e poi l’impatto con l’annuncio suscita la santa curiosità di conoscere Gesù più da vicino. Questo andare con Lui conduce al luogo dove Gesù abita, nella comunità della Chiesa, che è il suo Corpo. Significa entrare nella comunione itinerante dei catecumeni, che è una comunione di approfondimento e, insieme, di vita, in cui il camminare con Gesù ci fa diventare vedenti.

“Venite e vedrete!” Questa parola che Gesù rivolge ai due discepoli in ricerca, la rivolge anche alle persone di oggi che sono in ricerca. Alla fine dell’anno vogliamo pregare il Signore, affinché la Chiesa, nonostante le proprie povertà, diventi sempre più riconoscibile come sua dimora. Lo preghiamo perché, nel cammino verso la sua casa, renda anche noi sempre più vedenti, affinché possiamo dire sempre meglio e in modo sempre più convincente: Abbiamo trovato Colui, del quale è in attesa tutto il mondo, Gesù Cristo, vero Figlio di Dio e vero uomo. In questo spirito auguro di cuore a tutti voi un Santo Natale e un felice Anno Nuovo. Grazie.





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