Discorsi 2005-13 16121

ALLA DELEGAZIONE DALL'UCRAINA, PER LA CONSEGNA DELL'ALBERO DI NATALE IN PIAZZA SAN PIETRO Sala Clementina Venerdì, 16 dicembre 2011

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[Cari fratelli e sorelle! Sono lieto di accogliervi e di rivolgere a ciascuno il mio cordiale saluto.]

Saluto l’Arcivescovo Maggiore di Kyiv-Halyc, Sua Beatitudine Sviatoslav Schevchuk, l’Arcivescovo di Leopoli dei Latini, Mons. Mieczyslaw Mokrzycki e l’Eparca di Mukachevo, Mons. Milan Šašik, unitamente agli altri Fratelli nell’Episcopato e nel presbiterato della Chiesa Greco-cattolica e della Chiesa Latina; estendo il mio pensiero affettuoso a tutti i fedeli dell’Ucraina, che qui rappresentate. Saluto con deferenza le Autorità civili, in particolare il Vice Primo Ministro, Sig. Kolesnikov Borys. Ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto e per il dono del grande albero di Natale che adorna Piazza San Pietro e anche per l'icona. Un pensiero speciale dirigo agli illustri rappresentanti della Chiesa Ortodossa, con l’Arcivescovo di Poltava e Myrhorod, manifestando sincero apprezzamento per il significato della presenza. Saluto, infine, tutti gli Ucraini, quelli in Patria e quelli sparsi per il mondo e presenti anche qui a Roma.

Questo albero resterà accanto al presepe, in allestimento, fino al termine delle festività natalizie per essere ammirato dagli abitanti di Roma e dai pellegrini che giungono qui da ogni parte del mondo. Significativo simbolo del Natale di Cristo, perché con i suoi rami sempre verdi richiama il perdurare della vita, l’abete è anche segno della religiosità popolare della vostra terra e delle radici cristiane della vostra cultura. Auspico che queste radici possano rinsaldare sempre più la vostra unità nazionale, favorendo la promozione di valori autentici e condivisi. Nel corso dei secoli, il vostro Paese è stato crocevia di culture diverse, punto di incontro tra ricchezze spirituali d’Oriente e d’Occidente. Nella tenace adesione ai valori della fede, possa continuare a rispondere a questa peculiare vocazione.

Voi avete voluto accompagnare questo imponente abete rosso con alberi più piccoli per il Palazzo Apostolico e altri ambienti del Vaticano. Queste piante, unitamente ai tradizionali costumi, alle suggestive musiche e ai prodotti locali, faranno conoscere a Roma gli elementi tipici della vostra terra. Possa questo vostro pellegrinaggio suscitare nell’intera comunità cristiana ucraina un rinnovato desiderio di vivere e testimoniare con gioia la fede e promuovere i valori della vita, della solidarietà e della pace, che il Natale di Cristo ogni anno ci ripropone.

In questo tempo di Avvento, la Chiesa ci invita a prepararci alla Nascita del Salvatore, intensificando il cammino spirituale e il rapporto con Cristo. La nostra epoca ha bisogno dei cristiani santi, entusiasti della propria fede! La Vergine Maria ci è modello e guida: per comprendere la volontà di Dio sulla sua vita e il senso degli avvenimenti che riguardano il Figlio di Dio, Ella rivela un singolare sguardo contemplativo: ascolta, osserva, custodisce, medita, prega. Quanto c’è bisogno di recuperare il gusto della preghiera! Come dobbiamo essere attenti a non lasciarci sopraffare dai ritmi incalzanti della vita, che ci impediscono di rientrare in noi stessi e di ritrovarci davanti al mistero stupendo di Dio che abita nel nostro cuore!

Cari amici, l’albero e il presepio sono elementi di quel clima tipico del Natale che appartiene al patrimonio spirituale delle nostre comunità; un clima soffuso di religiosità e di intimità familiare, che dobbiamo conservare anche nelle odierne società, dove talora sembrano prevalere il consumismo e la ricerca dei beni materiali. Natale è festa cristiana e i suoi simboli costituiscono importanti riferimenti al grande mistero dell’Incarnazione e della Nascita di Gesù, che la liturgia costantemente rievoca. Il Creatore dell’universo, facendosi bambino, è venuto tra noi per condividere il nostro cammino; si è fatto piccolo per entrare nel cuore dell’uomo e così rinnovarlo con il suo amore. Predisponiamoci ad accoglierlo con fede.



[Rinnovo la mia viva gratitudine a tutti voi, ai vostri collaboratori rimasti in patria e a quanti si sono prodigati per il trasporto dell’albero. Grazie per il contributo che ciascuno di voi ha offerto con grande generosità. E colgo questa propizia occasione per porgervi i più fervidi voti augurali per il prossimo Natale e le festività natalizie. Assicuro un ricordo nella preghiera per voi, per le vostre famiglie, per l’Ucraina e per tutti gli Ucraini, mentre imparto di cuore la Benedizione Apostolica. Buon Natale!]




AL GRUPPO DEGLI ECC.MI PRESULI DELLE CONFERENZE EPISCOPALI DEL PACIFICO E DI NUOVA ZELANDA, IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Sala del Concistoro Sabato, 17 dicembre 2011

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Cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

Sono lieto di porgervi un caloroso e fraterno benvenuto in occasione della vostra visita ad limina Apostolorum.Questo incontro è un segno tangibile della nostra comunione nella fede e nella carità, nell’unica Chiesa di Cristo. Desidero ringraziare monsignor Dew e monsignor Mafi per le cortesi parole che mi hanno rivolto a nome vostro. Saluto cordialmente i sacerdoti, le persone consacrate, come pure tutti i fedeli affidati alle vostre cure pastorali. Vogliate assicurarli delle mie preghiere per la loro crescita nella santità e del mio affetto per loro nel Signore.

Riconoscente a Dio Onnipotente nelle vostre relazioni, noto le numerose benedizioni che il Signore ha concesso alle vostre circoscrizioni ecclesiastiche. Sono altresì consapevole delle sfide della vita cristiana che vi accomunano, nonostante i diversi contesti sociali, economici e culturali nei quali operate. Avete menzionato in particolare la sfida che la secolarizzazione, caratteristica delle vostre società, rappresenta per voi. Questa realtà ha un impatto importante sulla comprensione e sulla pratica della fede cattolica. Ciò è reso particolarmente visibile nel carente approccio alla natura sacra del matrimonio cristiano e alla stabilità della famiglia. In tale contesto, la lotta per condurre una vita degna della nostra vocazione battesimale (cfr. Ef
Ep 4,1) e per astenersi dalle passioni terrene che fanno guerra all’anima (cfr. 1P 2,11), diviene sempre più impegnativa. Inoltre e in ultima analisi, sappiamo che la fede cristiana dà alla vita una base più sicura della visione secolarizzata. «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo» (Gaudium et spes GS 22).

Da poco tempo è stato creato il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Poiché la fede cristiana è fondata sul Verbo Incarnato, Gesù Cristo, la nuova evangelizzazione non è un concetto astratto, ma è un rinnovamento di una autentica vita cristiana basata sugli insegnamenti della Chiesa. Voi, in quanto Vescovi e Pastori, siete chiamati a essere protagonisti nel formulare questa risposta secondo le esigenze e le circostanze locali nei vostri vari Paesi e tra le vostre popolazioni. Rafforzando i vincoli invisibili di comunione ecclesiale, create fra voi un senso ancor più forte di fede e di carità cosicché quanti servite, a loro volta, possano imitare la vostra carità ed essere ambasciatori di Cristo sia nella Chiesa sia nell’arena civile.

Dovete affrontare questa sfida storica sotto la guida dello Spirito Santo, che è presente e che, inoltre, esorta, consacra e invia sacerdoti come «cooperatori dell’ordine dei Vescovi nel servizio del popolo di Dio» (Rito di Ordinazione dei Sacerdoti). Cari Fratelli Vescovi, vi incoraggio ad avere una particolare sollecitudine per i vostri sacerdoti. Come sapete, uno dei vostri primi doveri pastorali è verso i vostri sacerdoti e la loro santificazione, in particolare verso quanti stanno affrontando difficoltà e quanti hanno pochi contatti con i loro fratelli sacerdoti. Siate padri che li guidano lungo il cammino verso la santità, cosicché la loro vita possa attrarre altri nella sequela di Cristo. Sappiamo che sacerdoti buoni, saggi e santi sono i migliori promotori di vocazioni al sacerdozio. Con la fiducia che deriva dalla fede, possiamo affermare che il Signore sta ancora chiamando uomini al sacerdozio e voi siete consapevoli che incoraggiarli a considerare di dedicare la propria vita pienamente a Cristo è fra le vostre priorità. Nel nostro tempo, i giovani hanno bisogno di maggiore assistenza e discernimento spirituale cosicché possano conoscere la volontà del Signore. In un mondo colpito da una «crisi profonda della fede» (Porta fidei, n. 2), fate anche sì che i vostri seminaristi ricevano una formazione completa che li prepari a servire il Signore e ad amare il suo gregge secondo il cuore del Buon Pastore.

In questo contesto, desidero riconoscere il contributo significativo alla diffusione del Vangelo apportato da religiosi, uomini e donne, presenti in tutta la vostra regione, inclusi quanti sono attivi nei campi educativo, catechetico e pastorale. Insieme con quanti conducono una vita contemplativa, possano restare fedeli ai carismi dei loro fondatori, i quali sono sempre uniti alla vita e alla disciplina di tutta la Chiesa, e possa la loro testimonianza di Dio continuare a essere un faro puntato verso una vita di fede, amore e rettitudine.

Parimenti, il ruolo dei fedeli laici per il benessere della Chiesa è essenziale perché il Signore non si aspetta che i Pastori si assumano «da soli tutto il peso della missione salvifica della Chiesa» (Lumen gentium LG 30). Capisco dalle vostre relazioni che il vostro compito di diffondere il Vangelo dipende spesso dall’assistenza di missionari e catechisti laici. Continuate a garantire che venga offerta loro un’educazione sana e permanente, in particolare nelle loro associazioni. Così facendo li formerete per ogni buona opera nell’edificazione del Corpo di Cristo (cfr. 2Tm 3,17 Ep 4,12). Il loro zelo per la fede, grazie alla vostra guida e al vostro sostegno costanti, recherà di certo frutti abbondanti nella vigna del Signore.

Miei cari Fratelli Vescovi e Sacerdoti, avendo avuto questa opportunità di discutere con voi della nuova evangelizzazione, lo faccio ricordando la recente proclamazione dell’Anno della Fede, che intende proprio «dare rinnovato impulso alla missione di tutta la Chiesa di condurre gli uomini fuori dal deserto in cui spesso si trovano» (Omelia, 16 ottobre 2011). Possa questo tempo privilegiato servire come ispirazione per unirvi all’intera Chiesa negli sforzi permanenti della Nuova Evangelizzazione perché, anche se siete sparsi su molte isole e siamo separati da grandi distanze, insieme professiamo «un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un Dio unico e Padre di tutti» (Ep 4,5-6). Che possiate continuare a essere uniti fra voi e con il Successore di Pietro. Affidandovi all’intercessione di nostra Signora, Stella del Mare, e assicurando del mio affetto e delle mie preghiere voi e quanti sono affidati alla vostra sollecitudine pastorale, imparto volentieri la mia Benedizione Apostolica.




VISITA PASTORALE ALLA CASA CIRCONDARIALE NUOVO COMPLESSO DI REBIBBIA (ROMA) Domenica, 18 dicembre 2011

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Cari fratelli e sorelle,


con grande gioia e commozione sono questa mattina in mezzo a voi, per una visita che ben si colloca a pochi giorni dalla celebrazione del Natale del Signore. Rivolgo un caloroso saluto a tutti, in particolare al Ministro della Giustizia, On. Paola Severino, e ai Cappellani, che ringrazio per le parole di benvenuto, rivoltemi anche a nome vostro. Saluto il Dott. Carmelo Cantone, Direttore della Casa Circondariale, e i collaboratori, la polizia penitenziaria e i volontari che si prodigano per le attività di questo Istituto. E saluto in modo speciale tutti voi, detenuti, manifestandovi la mia vicinanza.

«Ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (
Mt 25,36). Queste sono le parole del giudizio finale, raccontato dall’evangelista Matteo, e queste parole del Signore, nelle quali Egli si identifica con i detenuti, esprimono in pienezza il senso della mia visita odierna tra voi. Dovunque c’è un affamato, uno straniero, un ammalato, un carcerato, lì c’è Cristo stesso che attende la nostra visita e il nostro aiuto. È questa la ragione principale che mi rende felice di essere qui, per pregare, dialogare ed ascoltare. La Chiesa ha sempre annoverato, tra le opere di misericordia corporale, la visita ai carcerati (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, CEC 2447). E questa, per essere completa, richiede una piena capacità di accoglienza del detenuto, «facendogli spazio nel proprio tempo, nella propria casa, nelle proprie amicizie, nelle proprie leggi, nelle proprie città» (cfr CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità, 39). Vorrei infatti potermi mettere in ascolto della vicenda personale di ciascuno, ma, purtroppo, non è possibile; sono venuto però a dirvi semplicemente che Dio vi ama di un amore infinito, e siete sempre figli di Dio. E lo stesso Unigenito Figlio di Dio, il Signore Gesù, ha fatto l’esperienza del carcere, è stato sottoposto a un giudizio davanti a un tribunale e ha subito la più feroce condanna alla pena capitale.

In occasione del mio recente viaggio apostolico in Benin, nel novembre scorso, ho firmato una Esortazione apostolica postsinodale in cui ho ribadito l’attenzione della Chiesa per la giustizia negli Stati, scrivendo: «È pertanto urgente che siano adottati sistemi giudiziari e carcerari indipendenti, per ristabilire la giustizia e rieducare i colpevoli. Occorre inoltre bandire i casi di errori della giustizia e i trattamenti cattivi dei prigionieri, le numerose occasioni di non applicazione della legge che corrispondono ad una violazione dei diritti umani e le incarcerazioni che non sfociano se non tardivamente o mai in un processo. La Chiesa riconosce la propria missione profetica di fronte a coloro che sono colpiti dalla criminalità e il loro bisogno di riconciliazione, di giustizia e di pace. I carcerati sono persone umane che meritano, nonostante il loro crimine, di essere trattati con rispetto e dignità. Hanno bisogno della nostra sollecitudine» (n. 83).

Cari fratelli e sorelle, la giustizia umana e quella divina sono molto diverse. Certo, gli uomini non sono in grado di applicare la giustizia divina, ma devono almeno guardare ad essa, cercare di cogliere lo spirito profondo che la anima, perché illumini anche la giustizia umana, per evitare – come purtroppo non di rado accade – che il detenuto divenga un escluso. Dio, infatti, è colui che proclama la giustizia con forza, ma che, al tempo stesso, cura le ferite con il balsamo della misericordia.

La parabola del vangelo di Matteo (Mt 20,1-16) sui lavoratori chiamati a giornata nella vigna ci fa capire in cosa consiste questa differenza tra la giustizia umana e quella divina, perché rende esplicito il delicato rapporto tra giustizia e misericordia. La parabola descrive un agricoltore che assume degli operai nella sua vigna. Lo fa però in diverse ore del giorno, così che qualcuno lavora tutto il giorno e qualcun altro solo un’ora. Al momento della consegna del compenso, il padrone suscita stupore e accende un dibattito tra gli operai. La questione riguarda la generosità - considerata dai presenti ingiustizia - del padrone della vigna, il quale decide di dare la stessa paga sia ai lavoratori del mattino, sia agli ultimi del pomeriggio. Nell’ottica umana questa decisione è un’autentica ingiustizia, nell’ottica di Dio un atto di bontà, perché la giustizia divina dà a ciascuno il suo e, inoltre, comprende la misericordia e il perdono.

Giustizia e misericordia, giustizia e carità, cardini della dottrina sociale della Chiesa, sono due realtà differenti soltanto per noi uomini, che distinguiamo attentamente un atto giusto da un atto d’amore. Giusto per noi è “ciò che è all’altro dovuto”, mentre misericordioso è ciò che è donato per bontà. E una cosa sembra escludere l’altra. Ma per Dio non è così: in Lui giustizia e carità coincidono; non c’è un’azione giusta che non sia anche atto di misericordia e di perdono e, nello stesso tempo, non c’è un’azione misericordiosa che non sia perfettamente giusta.

Come è lontana la logica di Dio dalla nostra! E come è diverso dal nostro il suo modo di agire! Il Signore ci invita a cogliere e osservare il vero spirito della legge, per darle pieno compimento nell’amore verso chi è nel bisogno. «Pieno compimento della legge è l’amore», scrive san Paolo (Rm 13,10): la nostra giustizia sarà tanto più perfetta quanto più sarà animata dall’amore per Dio e per i fratelli.

Cari amici, il sistema di detenzione ruota intorno a due capisaldi, entrambi importanti: da un lato tutelare la società da eventuali minacce, dall’altro reintegrare chi ha sbagliato senza calpestarne la dignità e senza escluderlo dalla vita sociale. Entrambi questi aspetti hanno la loro rilevanza e sono protesi a non creare quell’«abisso» tra la realtà carceraria reale e quella pensata dalla legge, che prevede come elemento fondamentale la funzione rieducatrice della pena e il rispetto dei diritti e della dignità delle persone. La vita umana appartiene a Dio solo, che ce l’ha donata, e non è abbandonata alla mercé di nessuno, nemmeno al nostro libero arbitrio! Noi siamo chiamati a custodire la perla preziosa della vita nostra e di quella degli altri.

So che il sovraffollamento e il degrado delle carceri possono rendere ancora più amara la detenzione: mi sono giunte varie lettere di detenuti che lo sottolineano. E’ importante che le istituzioni promuovano un’attenta analisi della situazione carceraria oggi, verifichino le strutture, i mezzi, il personale, in modo che i detenuti non scontino mai una “doppia pena”; ed è importante promuovere uno sviluppo del sistema carcerario, che, pur nel rispetto della giustizia, sia sempre più adeguato alle esigenze della persona umana, con il ricorso anche alle pene non detentive o a modalità diverse di detenzione.

Cari amici, oggi è la quarta domenica dell’Avvento. Il Natale del Signore, ormai vicino, riaccenda di speranza e di amore il vostro cuore. La nascita del Signore Gesù, di cui faremo memoria tra pochi giorni, ci ricorda la sua missione di portare la salvezza a tutti gli uomini, nessuno escluso. La sua salvezza non si impone, ma ci raggiunge attraverso gli atti d’amore, di misericordia e di perdono che noi stessi sappiamo realizzare. Il Bambino di Betlemme sarà felice quando tutti gli uomini torneranno a Dio con cuore rinnovato. Chiediamogli nel silenzio e nella preghiera di essere tutti liberati dalla prigionia del peccato, della superbia e dell’orgoglio: ciascuno infatti ha bisogno di uscire da questo carcere interiore per essere veramente libero dal male, dalle angosce e dalla morte. Solo quel Bambino adagiato nella mangiatoia è in grado di donare a tutti questa liberazione piena!

Vorrei terminare dicendovi che la Chiesa sostiene e incoraggia ogni sforzo diretto a garantire a tutti una vita dignitosa. Siate sicuri che io sono vicino a ciascuno di voi, alle vostre famiglie, ai vostri bambini, ai vostri giovani, ai vostri anziani e vi porto tutti nel cuore davanti a Dio. Il Signore benedica voi e il vostro futuro!



RISPOSTE ALLE DOMANDE DEI DETENUTI Rebibbia Domenica, 18 dicembre 2011

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Domanda


Mi chiamo Rocco.
Innanzitutto volevo porgerLe il nostro ed il mio personale ringraziamento per questa visita che ci è molto gradita ed assume, in un momento così drammatico per le carceri italiane, un grande contenuto di solidarietà, umanità e conforto. Desidero chiedere a Vostra Santità se questo suo gesto sarà compreso nella sua semplicità, anche dai nostri politici e governanti affinché venga restituita a tutti gli ultimi, compresi noi detenuti, la dignità e la speranza che devono essere riconosciute ad ogni essere vivente. Speranza e dignità indispensabili per riprendere il cammino verso una vita degna di essere vissuta.

Risposta del Santo Padre

Grazie per le sue parole. Sento il suo affetto per il Santo Padre, e sono commosso da questa amicizia, che sento da tutti voi. E vorrei dire che penso spesso a voi e prego sempre per voi perché so che è una condizione molto difficile che spesso, invece di aiutare a rinnovare l’amicizia con Dio e con l’umanità, peggiora la situazione, anche interiore. Io sono venuto soprattutto per mostrarvi questa mia vicinanza personale e intima, nella comunione con Cristo che vi ama, come ho detto. Ma certamente questa visita, che vuole essere personale a voi, è anche un gesto pubblico che ricorda ai nostri concittadini, al nostro Governo il fatto che ci sono grandi problemi e difficoltà nelle carceri italiane. E certamente, il senso di queste carceri è proprio quello di aiutare la giustizia, e la giustizia implica come primo fatto la dignità umana. Quindi devono essere costruite così che cresca la dignità, sia rispettata la dignità e voi possiate rinnovare in voi stessi il senso della dignità, per rispondere meglio a questa nostra vocazione intima. Abbiamo sentito il Ministro della Giustizia, abbiamo sentito come sente con voi, come sente tutta la vostra realtà e così possiamo essere convinti che il nostro Governo e i responsabili faranno il possibile per migliorare questa situazione, per aiutarvi a trovare realmente, qui, una buona realizzazione di una giustizia che vi aiuti a ritornare nella società con tutta la convinzione della vostra vocazione umana e con tutto il rispetto che esige la vostra condizione umana. Quindi, io, in quanto posso, vorrei sempre dare segni di quanto sia importante che queste carceri rispondano al loro senso di rinnovare la dignità umana e non di attaccare questa dignità, e di migliorare la condizione. E speriamo che il Governo abbia la possibilità e tutte le possibilità per rispondere a questa vocazione. Grazie.

Domanda

Mi chiamo Omar.
Santo Padre, vorrei domandarti un milione di cose, che ho sempre pensato di chiederti, ma oggi che posso mi rimane difficile farti una domanda. Sono emozionato per l’evento, la tua visita qui in carcere è un fatto molto forte per noi detenuti cristiani cattolici, e perciò più che una domanda preferisco chiederti di permetterci di aggrapparci con te con la nostra sofferenza e quella dei nostri familiari, come un cavo elettrico che comunichi con il Signore Nostro. Ti voglio bene.

Risposta del Santo Padre

Anch’io ti voglio bene, e sono grato per queste parole che toccano il mio cuore. Penso che questa mia visita mostra che vorrei seguire le parole del Signore che mi toccano sempre, dove dice - l’ho letto nel mio discorso - nell’ultimo giudizio: “mi avete visitato nel carcere e sono stato io che vi ho aspettato”. Questa identificazione del Signore con i carcerati ci obbliga profondamente, e io stesso devo chiedermi: ho agito secondo questo imperativo del Signore? Ho tenuto presente questa parola del Signore? Questo è un motivo perché sono venuto, perché so che in voi il Signore mi aspetta, che voi avete bisogno di questo riconoscimento umano e che avete bisogno di questa presenza del Signore, il Quale, nel giudizio ultimo, ci interrogherà proprio su questo punto e, perciò, spero che qui, sempre più, possa essere realizzato il vero scopo di queste case circondariali: quello di aiutare a ritrovare se stessi, di aiutare ad andare avanti con se stessi, nella riconciliazione con se stessi, con gli altri, con Dio, per rientrare di nuovo nella società e aiutare nel progresso dell’umanità. Il Signore vi aiuterà. Nelle mie preghiere sono sempre con voi. Io so che per me è un obbligo particolare quello di pregare per voi, quasi di “tirarvi al Signore”, in alto, perché il Signore, tramite la nostra preghiera, aiuta: la preghiera è una realtà. Io invito anche tutti gli altri a pregare, così che ci sia, per così dire, un forte cavo che vi “tira al Signore” e ci collega anche tra di noi, perché andando al Signore siamo anche collegati tra noi. Siate sicuri di questa forza della mia preghiera e invito anche gli altri ad unirsi con voi nella preghiera, e così trovare quasi un’unica cordata che va verso il Signore.

Domanda

Mi chiamo Alberto.
Santità, Le sembra giusto che dopo aver perso uno dopo l’altro tutti i componenti della mia famiglia, ora che sono un uomo nuovo, e da due mesi papà di una splendida bambina di nome Gaia, non mi concedano la possibilità di tornare a casa, nonostante abbia ampiamente pagato il debito verso la società?

Risposta del Santo Padre

Anzitutto, felicitazioni! Sono felice che Lei sia padre, che Lei si consideri un uomo nuovo e che abbia una splendida figlia: questo è un dono di Dio. Io, naturalmente, non conosco i dettagli del suo caso, ma spero con Lei che quanto prima Lei possa tornare alla sua famiglia. Lei sa che per la dottrina della Chiesa la famiglia è fondamentale, importante che il padre possa tenere in braccio la figlia. E così, prego e spero che quanto prima Lei possa realmente avere in braccio sua figlia, essere con la moglie e la figlia per costruire una bella famiglia e così anche collaborare al futuro dell’Italia.

Domanda

Santità, sono Federico, parlo a nome delle persone detenute del G14, che è il reparto infermeria.
Cosa possono chiedere degli uomini detenuti, malati e sieropositivi al Papa? Al nostro Papa, già gravato dal peso di tutte le sofferenze del mondo, chiedono che preghi per loro? Che li perdoni? Che li tenga presente nel suo grande cuore? Sì, noi questo vorremmo chiedere, ma soprattutto che portasse la nostra voce dove non viene sentita. Siamo assenti dalle nostre famiglie, ma non dalla vita, siamo caduti e nelle nostre cadute abbiamo fatto del male ad altri, ma ci stiamo rialzando.
Troppo poco si parla di noi, spesso in modo così feroce come a volerci eliminare dalla società. Questo ci fa sentire sub-umani. Lei è il Papa di tutti e noi la preghiamo di fare in modo che non ci venga strappata la dignità, insieme alla libertà. Perché non sia più dato per scontato che recluso voglia dire escluso per sempre. La sua presenza è per noi un onore grandissimo! I nostri più cari auguri per il Santo Natale, a tutti.

Risposta del Santo Padre

Si, mi hai detto parole veramente memorabili: siamo caduti, ma siamo qui per rialzarci. Questo è importante, questo coraggio di rialzarsi, di andare avanti con l’aiuto del Signore e con l’aiuto di tutti gli amici. Lei ha anche detto che si parla in modo “feroce” di voi. Purtroppo è vero, ma vorrei dire che non c’è solo questo, ci sono anche altri che parlano bene di voi e pensano bene di voi. Io penso alla mia piccola famiglia papale; sono circondato da quattro “suore laiche” e parliamo spesso di questo problema; loro hanno amici in diverse carceri, riceviamo anche doni da loro e diamo da parte nostra dei doni. Quindi questa realtà è presente in modo molto positivo nella mia famiglia e penso che lo sia in tante altre. Dobbiamo sopportare che alcuni parlino in modo “feroce”, parlano in modo “feroce” anche contro il Papa, e, tuttavia, andiamo avanti. Mi sembra importante incoraggiare tutti che pensino bene, che abbiano senso delle vostre sofferenze, abbiano il senso di aiutarvi nel processo di rialzamento, e, diciamo, io farò la mia parte per invitare tutti a pensare in questo modo giusto, non in modo dispregiativo, ma in modo umano, pensando che ognuno può cadere, ma Dio vuole che tutti arrivino da Lui, e noi dobbiamo cooperare in spirito di fraternità e di riconoscimento anche della propria fragilità, perché possano realmente rialzarsi e andare avanti con dignità e trovare sempre rispettata la propria dignità, perché cresca e possano così anche trovare gioia nella vita, perché la vita ci è donata dal Signore, con una sua idea. E se riconosciamo questa idea, Dio è con noi, e anche i passi oscuri hanno il loro senso per darci una maggiore conoscenza di noi stessi, per aiutarci a diventare più noi stessi, più figli di Dio e così essere realmente felici di essere uomini, perché creati da Dio, anche in diverse condizioni difficili. Il Signore vi aiuterà e noi siamo vicini a voi.

Domanda

Mi chiamo Gianni, del Reparto G8.
Santità, mi è stato insegnato che il Signore vede e legge dentro di noi, mi chiedo perché l’assoluzione è stata delegata ai preti? Se io la chiedessi in ginocchio, da solo, dentro una stanza, rivolgendomi al Signore, mi assolverebbe? Oppure sarebbe un’assoluzione di diverso valore? Quale sarebbe la differenza?

Risposta del Santo Padre

Sì: è una grande e vera questione quella che Lei porta a me. Direi due cose. La prima: naturalmente, se Lei si mette in ginocchio e con vero amore di Dio prega che Dio perdoni, Egli perdona. E’ sempre dottrina della Chiesa che se uno, con vero pentimento, cioè non solo per evitare pene, difficoltà, ma per amore del bene, per amore di Dio, chiede perdono, riceve perdono da Dio. Questa è la prima parte. Se io realmente riconosco che ho fatto male, e se in me è rinato l’amore del bene, la volontà del bene, il pentimento per non aver risposto a questo amore, e chiedo da Dio, che è il Bene, il perdono, Egli lo dona. Ma c’è un secondo elemento: il peccato non è solamente una cosa “personale”, individuale, tra me e Dio. Il peccato ha sempre anche una dimensione sociale, orizzontale. Con il mio peccato personale, anche se forse nessuno lo sa, ho danneggiato anche la comunione della Chiesa, ho sporcato la comunione della Chiesa, ho sporcato l’umanità. E perciò questa dimensione sociale, orizzontale, del peccato esige che sia assolto anche a livello della comunità umana, della comunità della Chiesa, quasi corporalmente. Quindi, questa seconda dimensione del peccato, che non è solo contro Dio ma concerne anche la comunità, esige il Sacramento, e il Sacramento è il grande dono nel quale posso, nella confessione, liberarmi da questa cosa e posso realmente ricevere il perdono anche nel senso di una piena riammissione nella comunità della Chiesa viva, del Corpo di Cristo. E così, in questo senso, l’assoluzione necessaria da parte del sacerdote, il Sacramento, non è un’imposizione che – diciamo - limita la bontà di Dio, ma, al contrario, è un’espressione della bontà di Dio perché mi dimostra che anche concretamente, nella comunione della Chiesa, ho ricevuto il perdono e posso ricominciare di nuovo. Quindi, io direi di tenere presenti queste due dimensioni: quella verticale, con Dio, e quella orizzontale, con la comunità della Chiesa e dell’umanità. L’assoluzione del prete, l’assoluzione sacramentale è necessaria per assolvermi realmente da questo legame del male e re-integrarmi nella volontà di Dio, nell’ottica di Dio, completamente, nella sua Chiesa, e darmi la certezza, anche quasi corporale, sacramentale: Dio mi perdona, mi riceve nella comunità dei suoi figli. Penso che dobbiamo imparare a capire il Sacramento della Penitenza in questo senso: una possibilità di trovare, quasi corporalmente, la bontà del Signore, la certezza della riconciliazione.

Domanda

Santità, mi chiamo Nwaihim Ndubuisi, reparto G11.
Santo Padre, lo scorso mese è stato in visita pastorale in Africa, nella piccola nazione del Benin, una delle nazioni più povere del mondo. Ha visto la fede e la passione di quegli uomini verso Gesù Cristo. Ha visto persone soffrire per cause diverse: razzismo, fame, lavoro minorile…
Le chiedo: loro pongono la speranza e la fede in Dio e muoiono tra povertà e violenze. Perché Dio non li ascolta? Forse Dio ascolta solo i ricchi e i potenti che invece non hanno fede? Grazie, Santo Padre.

Risposta del Santo Padre

Vorrei innanzi tutto dire che sono stato molto felice nella sua terra; l’accoglienza da parte degli africani è stata calorosissima, ho sentito questa cordialità umana che in Europa è un po’ oscurata, perché abbiamo tante altre cose nel nostro cuore che rendono un po’ duro anche il cuore. Qui [in Benin] c’era una cordialità, per così dire, esuberante, ho sentito anche la gioia di vivere, e questa era una delle impressioni belle per me: nonostante la povertà e tutte le grandi sofferenze che ho anche visto – ho salutato lebbrosi, malati di Aids, eccetera –, nonostante tutti questi problemi e la grande povertà, c’è una gioia di vivere, una gioia di essere una creatura umana perché c’è una consapevolezza originaria che Dio è buono e mi ama, ed essere uomo è essere amato da Dio. Quindi questa era per me l’impressione, diciamo, preponderante, forte: vedere, in un Paese sofferente, gioia, allegrezza più che nei Paesi ricchi. E questo a me fa anche pensare che nei Paesi ricchi la gioia è spesso assente; siamo tutti pienamente occupati con tanti problemi: come fare questo, come impostare questo, come conservare questo, comprare ancora. E con la massa delle cose che abbiamo siamo sempre più allontanati da noi stessi e da questa esperienza originaria che Dio c’è e che Dio mi è vicino. Perciò direi che avere grandi proprietà e avere potere non rende necessariamente felici, non è il più grande dono. Può essere anche, direi, una cosa negativa, che mi impedisce di vivere realmente. Le misure di Dio, i criteri di Dio, sono diversi dai nostri. Dio dà anche a questi poveri gioia, il riconoscimento della sua presenza, fa sentire che è vicino a loro anche nella sofferenza, nelle difficoltà e, naturalmente, ci chiama tutti perché noi facciamo di tutto affinché possano uscire da queste oscurità delle malattie, della povertà. È un compito nostro, e così nel fare questo anche noi possiamo divenire più allegri. Quindi le due parti devono completarsi: noi dobbiamo aiutare perché anche l’Africa, questi Paesi poveri, possano trovare il superamento di questi problemi, della povertà, aiutarli a vivere, e loro possono aiutarci a capire che le cose materiali non sono l’ultima parola. E dobbiamo pregare Dio: mostraci, aiutaci, perché ci sia giustizia, perché tutti possano vivere nella gioia di essere tuoi figli.

Un detenuto legge una preghiera

Santità, mi chiamo Stefano, reparto G 11

Preghiera dietro le sbarre
O Dio, dammi il coraggio di chiamarti Padre.
Sai che non sempre riesco a pensarti con l’attenzione che meriti.
Tu non ti sei dimenticato di me, anche se vivo spesso lontano dalla luce del tuo volto.
Fatti sentire vicino, nonostante tutto, nonostante il mio peccato grande o piccolo, segreto o pubblico che sia.
Dammi la pace interiore, quella che solo tu sai dare.
Dammi la forza di essere vero, sincero; strappa dal mio volto le maschere che oscurano la consapevolezza che io valgo qualcosa solo perché sono tuo figlio. Perdona le mie colpe e dammi insieme la possibilità di fare il bene.
Accorcia le mie notti insonni; dammi la grazia della conversione del cuore.
Ricordati, Padre, di coloro che sono fuori di qui e che mi vogliono ancora bene, perché pensando a loro, io mi ricordi che solo l’amore dà vita, mentre l’odio distrugge e il rancore trasforma in inferno le lunghe e interminabili giornate.
Ricordati di me, o Dio. Amen.

Dopo la preghiera letta da un detenuto il Papa ha detto:

Cari amici ho detto che tutti noi siamo figli di Dio, da figli preghiamo adesso insieme al nostro Padre, come il Signore ci ha insegnato di pregare:

Padre nostro….

Al termine della sua visita il Papa ha pronunciato le seguenti parole:

Cari amici, un cordiale grazie per questa accoglienza, auguro a tutti un buon Natale. Che un po’ della luce del Signore ci venga. Avvento è tempo di attesa: non siamo ancora arrivati, ma sappiamo che andiamo verso la luce e che Dio ci ama. In questo senso, buona domenica e anche buon Natale. Auguri! Grazie.



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