Discorsi 2005-13 24022

AI SOCI DEL CIRCOLO SAN PIETRO Sala dei Papi Venerdì, 24 febbraio 2012

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Cari Soci del Circolo di San Pietro!

Sono lieto di accogliervi in questo incontro che ha luogo in prossimità della Festa della Cattedra di San Pietro, circostanza questa che vi offre l’occasione di manifestare la peculiare fedeltà alla Sede Apostolica che, da sempre, contraddistingue il vostro benemerito Circolo. Vi saluto tutti con viva cordialità. Saluto il Presidente Generale, il Duca Leopoldo Torlonia, ringraziandolo per le affettuose e devote parole che ha voluto rivolgermi, interpretando i sentimenti di voi tutti, e saluto l’Assistente ecclesiastico.

Abbiamo appena iniziato il cammino quaresimale e, come ho ricordato nel mio recente Messaggio (cfr L’Osservatore Romano, 8 febbraio 2012, p. 8), questo Tempo liturgico ci invita a riflettere sul cuore della vita cristiana: la carità. La Quaresima è un tempo propizio affinché, con l’aiuto della Parola di Dio e dei Sacramenti, ci rinnoviamo nella fede e nell’amore, a livello sia personale che comunitario. E’ un percorso segnato dalla preghiera e dalla condivisione, dal silenzio e dal digiuno, in attesa di vivere la gioia pasquale. La Lettera agli Ebrei ci esorta con queste parole: “Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone” (
He 10,24).

Cari amici, oggi come ieri, la testimonianza della carità tocca in modo particolare il cuore degli uomini; la nuova evangelizzazione, specialmente in una città cosmopolita come Roma, richiede grande apertura di spirito e sapiente disponibilità verso tutti. In tale senso, bene si pone la rete di interventi assistenziali che voi, ogni giorno, realizzate a favore di quanti si trovano nel bisogno. Mi piace ricordare la generosa opera che svolgete nelle Cucine, nell’Asilo notturno, nella Casa famiglia, nel Centro polifunzionale, come pure la testimonianza silenziosa, ma quanto mai eloquente che offrite a sostegno dei malati e dei loro familiari nell’Hospice Fondazione Roma, senza dimenticare l’impegno missionario in Laos e le adozioni a distanza.

Noi sappiamo che l’autenticità della nostra fedeltà al Vangelo si verifica anche in base all’attenzione e alla sollecitudine concreta che ci sforziamo di manifestare verso il prossimo, specialmente verso i più deboli ed emarginati. L’attenzione all’altro comporta desiderare per lui il bene, sotto tutti gli aspetti: fisico, morale e spirituale. Anche se la cultura contemporanea sembra aver smarrito il senso del bene e del male, occorre ribadire con forza che il bene esiste e vince. La responsabilità verso il prossimo significa allora volere e fare il bene dell’altro, desiderando che egli si apra alla logica del bene; interessarsi al fratello significa aprire gli occhi sulle sue necessità, superando la durezza di cuore che rende ciechi alle sofferenze altrui. Così il servizio caritativo diventa una forma privilegiata di evangelizzazione, alla luce dell’insegnamento di Gesù, il quale riterrà come fatto a se stesso quanto avremo fatto ai nostri fratelli, specialmente a chi tra loro è piccolo e trascurato (cfr Mt 25,40). Occorre armonizzare il nostro cuore con il cuore di Cristo, affinché il sostegno amorevole offerto agli altri si traduca in partecipazione e consapevole condivisione delle loro sofferenze e delle loro speranze, rendendo così visibile, da una parte la misericordia infinita di Dio verso ogni uomo, che brilla sul volto di Cristo, e dall’altra la nostra fede in Lui. L’incontro con l’altro e l’aprire il cuore al suo bisogno sono occasione di salvezza e di beatitudine.

Cari componenti del Circolo di San Pietro, come ogni anno, siete venuti quest’oggi a consegnarmi l’obolo per la carità del Papa, che avete raccolto nelle parrocchie di Roma. Esso rappresenta un concreto aiuto offerto al Successore di Pietro, perché possa rispondere alle innumerevoli richieste che gli provengono da ogni parte del mondo, specialmente dai Paesi più poveri. Vi ringrazio di cuore per tutta l’attività che svolgete generosamente e con spirito di sacrificio e che nasce dalla vostra fede, dal rapporto con il Signore coltivato ogni giorno. Fede, carità e testimonianza continuino ad essere le linee-guida del vostro apostolato. E come, poi, non ricordare la vostra presenza durante le Celebrazioni liturgiche nella Basilica di San Pietro? Essa torna tanto maggiormente a vostro onore, in quanto manifestate con essa la costante dedizione e la devota fedeltà che vi uniscono alla Sede dell’Apostolo Pietro. Il Signore ve ne renda merito e ricolmi di benedizioni il vostro Circolo; aiuti ciascuno di voi a realizzare la propria vocazione cristiana in famiglia, nel lavoro e all’interno della vostra Associazione.

Cari amici, nel rinnovare il mio apprezzamento per il servizio che rendete alla Chiesa, vi affido, insieme alle vostre famiglie, all’aiuto materno della Vergine Maria Salus Populi Romani e dei Santi vostri Protettori. Da parte mia, assicuro il ricordo nella preghiera per voi, per quanti vi affiancano nelle varie iniziative e per coloro che incontrate nel vostro apostolato quotidiano, mentre con affetto imparto a tutti una speciale Benedizione Apostolica.




AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA Sala Clementina Sabato, 25 febbraio 2012

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Signori Cardinali,
venerati fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle,

sono lieto di incontrarvi in occasione dei lavori della XVIII Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita. Saluto e ringrazio voi tutti per il generoso servizio in difesa e a favore della vita, in particolare il Presidente, Mons. Ignacio Carrasco de Paula, per le parole che mi ha rivolto anche a nome vostro. L’impostazione che avete dato ai vostri lavori manifesta la fiducia che la Chiesa ha sempre riposto nelle possibilità della ragione umana e in un lavoro scientifico rigorosamente condotto, che tengano sempre presente l’aspetto morale. Il tema da voi scelto quest’anno, “Diagnosi e terapia dell’infertilità”, oltre che avere una rilevanza umana e sociale, possiede un peculiare valore scientifico ed esprime la possibilità concreta di un fecondo dialogo tra dimensione etica e ricerca biomedica. Davanti al problema dell’infertilità della coppia, infatti, avete scelto di richiamare e considerare attentamente la dimensione morale, ricercando le vie per una corretta valutazione diagnostica ed una terapia che corregga le cause dell’infertilità. Questo approccio muove dal desiderio non solo di donare un figlio alla coppia, ma di restituire agli sposi la loro fertilità e tutta la dignità di essere responsabili delle proprie scelte procreative, per essere collaboratori di Dio nella generazione di un nuovo essere umano. La ricerca di una diagnosi e di una terapia rappresenta l’approccio scientificamente più corretto alla questione dell’infertilità, ma anche quello maggiormente rispettoso dell’umanità integrale dei soggetti coinvolti. Infatti, l’unione dell’uomo e della donna in quella comunità di amore e di vita che è il matrimonio, costituisce l’unico “luogo” degno per la chiamata all’esistenza di un nuovo essere umano, che è sempre un dono.

È mio desiderio, pertanto, incoraggiare l’onestà intellettuale del vostro lavoro, espressione di una scienza che mantiene desto il suo spirito di ricerca della verità, a servizio dell’autentico bene dell’uomo, e che evita il rischio di essere una pratica meramente funzionale. La dignità umana e cristiana della procreazione, infatti, non consiste in un “prodotto”, ma nel suo legame con l’atto coniugale, espressione dell’amore dei coniugi, della loro unione non solo biologica, ma anche spirituale. L’Istruzione Donum vitae ci ricorda, a questo proposito, che “per la sua intima struttura, l’atto coniugale, mentre unisce con profondissimo vincolo gli sposi, li rende atti alla generazione di nuove vite, secondo leggi iscritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna” (n. 126). Le legittime aspirazioni genitoriali della coppia che si trova in una condizione di infertilità devono pertanto trovare, con l’aiuto della scienza, una risposta che rispetti pienamente la loro dignità di persone e di sposi. L’umiltà e la precisione con cui approfondite queste problematiche, ritenute da alcuni vostri colleghi desuete dinanzi al fascino della tecnologia della fecondazione artificiale, merita incoraggiamento e sostegno. In occasione del X anniversario dell’Enciclica Fides et ratio, ricordavo come “il facile guadagno o, peggio ancora, l’arroganza di sostituirsi al Creatore svolgono, a volte, un ruolo determinante. È questa una forma di hybris della ragione, che può assumere caratteristiche pericolose per la stessa umanità” (Discorso ai Partecipanti al Congresso Internazionale promosso dalla Pontificia Università Lateranense, 16 ottobre 2008: AAS 100 [2008], 788-789). Effettivamente lo scientismo e la logica del profitto sembrano oggi dominare il campo dell’infertilità e della procreazione umana, giungendo a limitare anche molte altre aree di ricerca.

La Chiesa presta molta attenzione alla sofferenza delle coppie con infertilità, ha cura di esse e, proprio per questo, incoraggia la ricerca medica. La scienza, tuttavia, non sempre è in grado di rispondere ai desideri di tante coppie. Vorrei allora ricordare agli sposi che vivono la condizione dell’infertilità, che non per questo la loro vocazione matrimoniale viene frustrata. I coniugi, per la loro stessa vocazione battesimale e matrimoniale, sono sempre chiamati a collaborare con Dio nella creazione di un’umanità nuova. La vocazione all’amore, infatti, è vocazione al dono di sé e questa è una possibilità che nessuna condizione organica può impedire. Dove, dunque, la scienza non trova una risposta, la risposta che dona luce viene da Cristo.

Desidero incoraggiare tutti voi qui convenuti per queste giornate di studio e che talora lavorate in un contesto medico-scientifico dove la dimensione della verità risulta offuscata: proseguite il cammino intrapreso di una scienza intellettualmente onesta e affascinata dalla ricerca continua del bene dell’uomo. Nel vostro percorso intellettuale non disdegnate il dialogo con la fede. Rivolgo a voi l’accorato appello espresso nell’Enciclica Deus caritas est: “Per poter operare rettamente, la ragione deve sempre di nuovo essere purificata, perché il suo accecamento etico, derivante dal prevalere dell'interesse e del potere che l'abbagliano, è un pericolo mai totalmente eliminabile. […] La fede permette alla ragione di svolgere in modo migliore il suo compito e di vedere meglio ciò che le è proprio” (n. 28). D’altro canto proprio la matrice culturale creata dal cristianesimo – radicata nell’affermazione dell’esistenza della Verità e dell’intelligibilità del reale alla luce della Somma Verità – ha reso possibile nell’Europa del Medioevo lo sviluppo del sapere scientifico moderno, sapere che nelle culture precedenti era rimasto solo in germe.

Illustri scienziati e voi tutti membri dell’Accademia impegnati a promuovere la vita e la dignità della persona umana, tenete sempre presente anche il fondamentale ruolo culturale che svolgete nella società e l’influenza che avete nel formare l’opinione pubblica. Il mio predecessore, il beato Giovanni Paolo II ricordava che gli scienziati, “proprio perché sanno di più, sono chiamati a servire di più” (Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 11 novembre 2002: AAS 95 [2003], 206). La gente ha fiducia in voi che servite la vita, ha fiducia nel vostro impegno a sostegno di chi ha bisogno di conforto e di speranza. Non cedete mai alla tentazione di trattare il bene delle persone riducendolo ad un mero problema tecnico! L’indifferenza della coscienza nei confronti del vero e del bene rappresenta una pericolosa minaccia per un autentico progresso scientifico.

Vorrei concludere rinnovando l’augurio che il Concilio Vaticano II rivolse agli uomini di pensiero e di scienza: “Felici sono coloro che, possedendo la verità, la continuano a cercare, per rinnovarla, per approfondirla, per donarla agli altri” (Messaggio agli uomini di pensiero e di scienza, 8 dicembre 1965: AAS 58 [1966], 12). È con questi auspici che imparto a voi tutti qui presenti e ai vostri cari la Benedizione Apostolica.




CONCLUSIONE DEGLI ESERCIZI SPIRITUALI DELLA CURIA ROMANA Cappella "Redemptoris Mater" Sabato, 3 marzo 2012

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Eminenza,
cari fratelli,

alla fine di questi giorni di preghiera e di ascolto, conviene dire: grazie. A nome di tutti noi, dico grazie a Lei, Eminenza, per la guida che ci ha donato in questi Esercizi. Lei ci ha guidato - come dire - nel grande giardino della Prima Lettera di San Giovanni e così in tutta la Scrittura, con grande competenza esegetica e con esperienza spirituale e pastorale. Ha guidato sempre con lo sguardo verso Dio e, proprio con questo sguardo verso Dio, abbiamo imparato l'amore, la fede che crea comunione. E Lei ha condito queste sue meditazioni con belle storie, prevalentemente prese dalla sua cara terra africana, che ci hanno dato gioia e aiutato.

Io sono rimasto particolarmente colpito da quella storia in cui Lei parlava di un amico che, essendo in coma, aveva l'impressione di stare in un tunnel oscuro, ma alla fine vedeva un po’ di luce e soprattutto sentiva una bella musica. Mi sembra che questa possa essere una parabola della nostra vita: spesso ci troviamo in un tunnel oscuro in piena notte, ma, per la fede, alla fine vediamo luce e sentiamo una bella musica, percepiamo la bellezza di Dio, del cielo e della terra, di Dio creatore e della creatura; e così, è vero, spe sumus salvati (cfr
Rm 8,24).

E Lei, Eminenza, ci ha confermati nella fede, nella speranza e nella carità.

Grazie.



VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SAN GIOVANNI BATTISTA DE LA SALLE AL TORRINO Domenica, 4 marzo 2012

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Saluti ai bambini prima della Messa

Cari bambini!
Buona domenica, buona giornata!

Per me è una grande gioia vedere tanti bambini. Allora Roma vive e vivrà anche domani! Voi siete in cammino di Catechesi: imparate Gesù, imparate che cosa ha fatto, detto, sofferto; imparate, così, anche la Chiesa, i Sacramenti e così imparate anche a vivere, perché vivere è un’arte, e Gesù ci mostra quest’arte.

Auguro a tutti un buona domenica. E poi già oggi vi auguro anche buona Pasqua.

Grazie per la vostra cordialità!


* * *

Saluto alla partenza sul sagrato della parrocchia

Cari amici,

grazie per questa bella celebrazione e per la chiesa, con la Madonna e i Santi. Siamo una famiglia con tutti i Santi.

Domenica scorsa il Signore ci ha guidato nel deserto; questa domenica, al monte: sono sempre luoghi privilegiati per essere un po’ più vicino a Dio, uscire da tutte le cose di ogni giorno e percepire che c’è Dio, che è il centro della nostra vita.

Vi auguro che possiate sentire la vicinanza di Dio e che vi guidi ogni giorno.

Buona domenica, buona Quaresima a tutti voi!



CORSO SUL FORO INTERNO PROMOSSO DALLA PENITENZIERIA APOSTOLICA Aula Paolo VI Venerdì, 9 marzo 2011

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Cari Amici,

sono molto lieto di incontrarvi in occasione dell’annuale Corso sul Foro Interno, organizzato dalla Penitenzieria Apostolica. Rivolgo un cordiale saluto al Cardinale Manuel Monteiro de Castro, Penitenziere Maggiore, che, per la prima volta in questa veste, ha presieduto le vostre sessioni di studio, e lo ringrazio per le cordiali espressioni che ha voluto rivolgermi. Saluto altresì Mons. Gianfranco Girotti, Reggente, il personale della Penitenzieria e ciascuno di voi che, con la vostra presenza, richiamate a tutti l’importanza che ha per la vita di fede il Sacramento della Riconciliazione, evidenziando sia la necessità permanente di un’adeguata preparazione teologica, spirituale e canonica per poter essere confessori, sia, soprattutto, il legame costitutivo tra celebrazione sacramentale e annuncio del Vangelo.

I Sacramenti e l’annuncio della Parola, infatti, non devono mai essere concepiti come separati, ma, al contrario, «Gesù afferma che l’annuncio del Regno di Dio è lo scopo della sua missione; questo annuncio, però, non è solo un “discorso”, ma include, nel medesimo tempo, il suo stesso agire; i segni, i miracoli che Gesù compie indicano che il Regno viene come realtà presente e che coincide alla fine con la sua stessa persona, con il dono di sé. […] Il sacerdote rappresenta Cristo, l’Inviato del Padre, ne continua la missione, mediante la “parola” e il “sacramento”, in questa totalità di corpo e anima, di segno e parola» (Udienza generale, 5 maggio 2010). Proprio questa totalità, che affonda le radici nel mistero stesso dell’Incarnazione, ci suggerisce che la celebrazione del Sacramento della Riconciliazione è essa stessa annuncio e perciò via da percorrere per l’opera della nuova evangelizzazione.

In che senso allora la Confessione sacramentale è “via” per la nuova evangelizzazione? Anzitutto perché la nuova evangelizzazione trae linfa vitale dalla santità dei figli della Chiesa, dal cammino quotidiano di conversione personale e comunitaria per conformarsi sempre più profondamente a Cristo. E c’è uno stretto legame tra santità e Sacramento della Riconciliazione, testimoniato da tutti i Santi della storia. La reale conversione dei cuori, che è aprirsi all’azione trasformante e rinnovatrice di Dio, è il “motore” di ogni riforma e si traduce in una vera forza evangelizzante. Nella Confessione il peccatore pentito, per l’azione gratuita della Misericordia divina, viene giustificato, perdonato e santificato, abbandona l’uomo vecchio per rivestirsi dell’uomo nuovo. Solo chi si è lasciato profondamente rinnovare dalla Grazia divina, può portare in se stesso, e quindi annunciare, la novità del Vangelo. Il beato Giovanni Paolo II, nella Lettera apostolica Novo Millennio ineunte, affermava: «Un rinnovato coraggio pastorale vengo poi a chiedere perché la quotidiana pedagogia delle comunità cristiane sappia proporre in modo suadente ed efficace la pratica del sacramento della Riconciliazione» (n. 37). Desidero ribadire tale appello, nella consapevolezza che la nuova evangelizzazione deve far conoscere all’uomo del nostro tempo il volto di Cristo «come mysterium pietatis, colui nel quale Dio ci mostra il suo cuore compassionevole e ci riconcilia pienamente a sé. È questo volto di Cristo che occorre far riscoprire anche attraverso il sacramento della Penitenza» (ibidem).

In un’epoca di emergenza educativa, in cui il relativismo mette in discussione la possibilità stessa di un’educazione intesa come progressiva introduzione alla conoscenza della verità, al senso profondo della realtà, quindi come progressiva introduzione al rapporto con la Verità che è Dio, i cristiani sono chiamati ad annunciare con vigore la possibilità dell’incontro tra l’uomo d’oggi e Gesù Cristo, in cui Dio si è fatto così vicino da poterlo vedere e ascoltare. In questa prospettiva il Sacramento della Riconciliazione, che prende le mosse da uno sguardo alla propria concreta condizione esistenziale, aiuta in modo singolare quella “apertura del cuore” che permette di volgere lo sguardo a Dio perché entri nella vita. La certezza che Lui è vicino e nella sua misericordia attende l’uomo, anche quello coinvolto nel peccato, per guarire le sue infermità con la grazia del Sacramento della Riconciliazione, è sempre una luce di speranza per il mondo.

Cari sacerdoti e cari diaconi che vi preparate al Presbiterato, nell’amministrazione di questo Sacramento, vi è data o vi verrà data la possibilità di essere strumenti di un sempre rinnovato incontro degli uomini con Dio. Quanti si rivolgeranno a voi, proprio per la loro condizione di peccatori, sperimenteranno in se stessi un desiderio profondo: desiderio di cambiamento, domanda di misericordia e, in definitiva, desiderio che riaccada, attraverso il Sacramento, l’incontro e l’abbraccio con Cristo. Sarete perciò collaboratori e protagonisti di tanti possibili “nuovi inizi”, quanti saranno i penitenti che vi si accosteranno, avendo presente che l’autentico significato di ogni “novità” non consiste tanto nell’abbandono o nella rimozione del passato, quanto nell’accogliere Cristo e nell’aprirsi alla sua Presenza, sempre nuova e sempre capace di trasformare, di illuminare tutte le zone d’ombra e di schiudere continuamente un nuovo orizzonte. La nuova evangelizzazione, allora, parte anche dal Confessionale! Parte cioè dal misterioso incontro tra l’inesauribile domanda dell’uomo, segno in lui del Mistero Creatore, e la Misericordia di Dio, unica risposta adeguata al bisogno umano di infinito. Se la celebrazione del Sacramento della Riconciliazione sarà questo, se in essa i fedeli faranno reale esperienza di quella Misericordia che Gesù di Nazaret, Signore e Cristo, ci ha donato, allora diverranno essi stessi testimoni credibili di quella santità, che è il fine della nuova evangelizzazione.

Tutto questo, cari amici, se è vero per i fedeli laici, acquista ancora maggiore rilevanza per ciascuno di noi. Il ministro del Sacramento della Riconciliazione collabora alla nuova evangelizzazione rinnovando egli stesso, per primo, la coscienza del proprio essere penitente e del bisogno di accostarsi al perdono sacramentale, perché si rinnovi quell’incontro con Cristo, che, iniziato nel Battesimo, ha trovato nel Sacramento dell’Ordine una specifica e definitiva configurazione. Questo il mio augurio per ciascuno di voi: la novità di Cristo sia sempre il centro e la ragione della vostra esistenza sacerdotale, perché chi vi incontra possa, attraverso il vostro ministero, proclamare come Andrea e Giovanni: «Abbiamo incontrato il Messia» (
Jn 1,41). In tal modo, ogni Confessione, dalla quale ciascun cristiano uscirà rinnovato, rappresenterà un passo in avanti della nuova evangelizzazione. Maria, Madre di Misericordia, Rifugio per noi peccatori e Stella della nuova evangelizzazione accompagni il nostro cammino. Vi ringrazio di cuore e volentieri vi imparto la mia Benedizione Apostolica.



VIAGGIO APOSTOLICO IN MESSICO E NELLA REPUBBLICA DI CUBA

(23-29 MARZO 2012)



INTERVISTA AI GIORNALISTI DURANTE IL VOLO VERSO IL MESSICO Volo Papale Venerdì, 23 marzo 2012

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Padre Lombardi: Santità, grazie di essere in mezzo a noi, all’inizio di questo viaggio così bello e importante. Come vede, la nostra assemblea viaggiante è numerosa: ci sono più di 70 giornalisti che La seguono con attenzione, e il gruppo più importante – a parte gli italiani – sono, naturalmente, i messicani, che sono un bel gruppo: ce ne sono almeno 14; i rappresentanti delle televisioni messicane che seguiranno e copriranno tutto il viaggio. C’è anche un bel gruppo degli Stati Uniti, un bel gruppo della Francia, di altri Paesi. Ecco, quindi siamo un po’ rappresentanti di tutto il mondo. Come al solito, abbiamo raccolto, nei giorni scorsi, diverse domande da parte dei giornalisti e ne abbiamo scelte cinque, che sono espressione, un po’, dell’attesa generale. E questa volta, dato che abbiamo più spazio e un po’ più di tempo, non le pongono io, ma le pongono i giornalisti stessi che le hanno formulate o comunque che ci siamo distribuite tra noi per farle. Allora, cominciamo con una domanda che Le viene posta dalla signora Maria Collins per la televisione “Univision”, che è una delle televisioni che segue questo viaggio; è una signora messicana che ci farà la domanda in spagnolo e poi io la ripeterò in italiano per tutti.

1a Domanda: Santo Padre, il Messico e Cuba sono stati terre in cui i viaggi del suo Predecessore hanno fatto storia. Con quale animo e con quali speranze Lei si mette oggi sulle sue tracce?

Santo Padre: Cari amici, anzitutto vorrei dire: benvenuti e grazie per il vostro accompagnamento in questo viaggio, che speriamo sia benedetto dal Signore. Io, in questo viaggio, mi sento totalmente nella continuità con Papa Giovanni Paolo II. Mi ricordo benissimo del suo primo viaggio in Messico, che è stato realmente storico. In una situazione giuridica ancora molto confusa, ha aperto le porte, ha incominciato una nuova fase della collaborazione tra Chiesa, società e Stato. E mi ricordo bene anche del suo viaggio storico in Cuba. Quindi, cerco di andare nelle sue tracce e continuare quanto lui ha cominciato. Per me c’era, fin dall’inizio, un desiderio di visitare il Messico. Da cardinale sono stato in Messico, con ottimi ricordi, e ogni mercoledì sento l’applauso, la gioia dei messicani. Essere adesso da Papa, qui, per me è una grande gioia e risponde ad un desiderio che ho avuto da tanto tempo. Per dire quali sentimenti mi toccano, mi vengono in mente le parole del Vaticano II “gaudium et spes, luctus et angor”, gioia e speranza, ma anche lutto e angoscia. Condivido le gioie e le speranze, ma condivido anche il lutto e le difficoltà di questo grande Paese. Vado per incoraggiare e per imparare, per confortare nella fede, nella speranza e nella carità, e per confortare nell’impegno per il bene e nell’impegno per la lotta contro il male. Speriamo che il Signore ci aiuti!

P. Lombardi: Grazie, Santità. E ora diamo la parola al dott. Javier Alatorre Soria,che rappresenta Tele Azteca, una delle grandi televisioni messicane che ci seguiranno in questi giorni:

2a Domanda: Santità, il Messico è un Paese con risorse e possibilità meravigliose, ma in questi anni sappiamo che è anche terra di violenza per il problema del narcotraffico. Si parla di 50.000 morti negli ultimi cinque anni. Come affronta la Chiesa cattolica questa situazione? Lei avrà parole per i responsabili, e per i trafficanti che a volte si professano cattolici o addirittura benefattori della Chiesa?

Santo Padre: Noi conosciamo bene tutte le bellezze del Messico, ma anche questo grande problema del narcotraffico e della violenza. E’ certamente una grande responsabilità per la Chiesa cattolica in un Paese con l’80 per cento di cattolici. Dobbiamo fare il possibile contro questo male distruttivo dell’umanità e della nostra gioventù. Direi che il primo atto è annunciare Dio: Dio è il giudice, Dio che ci ama, ma ci ama per attirarci al bene, alla verità contro il male. Quindi, è grande responsabilità della Chiesa educare le coscienze, educare alla responsabilità morale e smascherare il male, smascherare questa idolatria del denaro, che schiavizza gli uomini solo per questa cosa; smascherare anche le false promesse, la menzogna, la truffa, che sta dietro la droga. Dobbiamo vedere che l’uomo ha bisogno dell’infinito. Se Dio non c’è, l’infinito si crea i suoi propri paradisi, un’apparenza di “infintitudini” che può essere solo una menzogna. Perciò è tanto importante che Dio sia presente, accessibile; è una grande responsabilità davanti al Dio giudice che ci guida, ci attira alla verità e al bene, e in questo senso la Chiesa deve smascherare il male, rendere presente la bontà di Dio, rendere presente la sua verità, il vero infinito del quale abbiamo sete. E’ il grande dovere della Chiesa. Facciamo tutti insieme il possibile, sempre più.

P. Lombardi: Santità, la terza domanda Le viene posta da Valentina Alazraki per Televisa, una delle veterane dei nostri viaggi che Lei ben conosce e che è così lieta che finalmente Lei possa andare anche nel suo Paese:

3a Domanda: Santità, noi Le diamo veramente il benvenuto in Messico: siamo tutti contenti che Lei vada in Messico. La domanda è la seguente: Santo Padre, dal Messico Lei ha detto di volersi rivolgere all’intera America Latina nel bicentenario dell’indipendenza. L’America Latina, nonostante lo sviluppo, continua ad essere una regione di contrasti sociali, dove si trovano i più ricchi accanto ai più poveri. A volte sembra che la Chiesa cattolica non sia sufficientemente incoraggiata ad impegnarsi in questo campo. Si può continuare a parlare di “teologia della liberazione” in un modo positivo, dopo che certi eccessi – sul marxismo o la violenza – sono stati corretti?

Santo Padre: Naturalmente la Chiesa deve sempre chiedere se si fa a sufficienza per la giustizia sociale in questo grande Continente. Questa è una questione di coscienza che dobbiamo sempre porci. Chiedere: che cosa può e deve fare la Chiesa, che cosa non può e non deve fare. La Chiesa non è un potere politico, non è un partito, ma è una realtà morale, un potere morale. In quanto la politica fondamentalmente dev’essere una realtà morale, la Chiesa, su questo binario, ha fondamentalmente a che fare con la politica. Ripeto quanto avevo già detto: il primo pensiero della Chiesa è educare le coscienze e così creare la responsabilità necessaria; educare le coscienze sia nell’etica individuale, sia nell’etica pubblica. E qui forse c’è una mancanza. Si vede, in America Latina ma anche altrove, presso non pochi cattolici, una certa schizofrenia tra morale individuale e pubblica: personalmente, nella sfera individuale, sono cattolici, credenti, ma nella vita pubblica seguono altre strade che non corrispondono ai grandi valori del Vangelo, che sono necessari per la fondazione di una società giusta. Quindi, bisogna educare a superare questa schizofrenia, educare non solo ad una morale individuale, ma ad una morale pubblica, e questo cerchiamo di farlo con la Dottrina Sociale della Chiesa, perché, naturalmente, questa morale pubblica dev’essere una morale ragionevole, condivisa e condivisibile anche da non credenti, una morale della ragione. Certo, noi nella luce della fede possiamo meglio vedere tante cose che anche la ragione può vedere, ma proprio la fede serve anche per liberare la ragione dagli interessi falsi e dagli oscuramenti degli interessi, e così creare nella dottrina sociale, i modelli sostanziali per una collaborazione politica, soprattutto per il superamento di questa divisione sociale, antisociale, che purtroppo esiste. Vogliamo lavorare in questo senso. Non so se la parola “teologia della liberazione”, che si può anche interpretare molto bene, ci aiuterebbe molto. Importante è la comune razionalità alla quale la Chiesa offre un contributo fondamentale e deve sempre aiutare nell’educazione delle coscienze, sia per la vita pubblica, sia per la vita privata.

P. Lombardi: Grazie Santità. E ora una quarta domanda. Questa la fa una delle nostre “decane” di questi viaggi, ma sempre giovane, Paloma Gómez Borrero, che rappresenta anche la Spagna in questo viaggio, che naturalmente ha una grande interesse anche per gli spagnoli.

4a Domanda: Santità, guardiamo a Cuba. Tutti ricordiamo le famose parole di Giovanni Paolo II: “Che Cuba si apra al mondo e che il mondo si apra a Cuba”. Sono passati 14 anni, ma sembra che queste parole siano ancora attuali. Come Lei sa, durante l’attesa del suo viaggio, molte voci di oppositori e di sostenitori dei diritti umani si sono fatte sentire. Santità, Lei pensa di riprendere il messaggio di Giovanni Paolo II, pensando sia alla situazione interna di Cuba, sia a quella internazionale?

Santo Padre: Come ho già detto, mi sento in assoluta continuità con le parole del Santo Padre Giovanni Paolo II, che sono ancora attualissime. Questa visita del Papa ha inaugurato una strada di collaborazione e di dialogo costruttivo; una strada che è lunga e che esige pazienza, ma va avanti. Oggi è evidente che l’ideologia marxista com’era concepita, non risponde più alla realtà: così non si può più rispondere e costruire un società; devono essere trovati nuovi modelli, con pazienza e in modo costruttivo. In questo processo, che esige pazienza ma anche decisione, vogliamo aiutare in spirito di dialogo, per evitare traumi e per aiutare il cammino verso una società fraterna e giusta come la desideriamo per tutto il mondo e vogliamo collaborare in questo senso. E’ ovvio che la Chiesa stia sempre dalla parte della libertà: libertà della coscienza, libertà della religione. In tale senso contribuiamo, contribuiscono proprio anche semplici fedeli in questo cammino in avanti.

P. Lombardi: Grazie Santità, come può immaginare, ci sarà grande attenzione per i suoi discorsi a Cuba da parte di tutti noi. Ed ora per la quinta domanda diamo la parola ad un francese, perché appunto ci sono anche gli altri popoli qui che sono presenti. Jean-Louis de La Vaissière è il corrispondente della France Press a Roma, e ci ha proposto diverse domande interessanti per questo Viaggio e quindi era giusto che lui interpretasse anche le nostre domande e le nostre attese.

5° Domanda: Santità, dopo la Conferenza di Aparecida si parla di “missione continentale” della Chiesa in America Latina; fra pochi mesi vi sarà il Sinodo sulla nuova evangelizzazione e inizierà l’Anno della fede. Anche in America Latina vi sono le sfide della secolarizzazione, delle sette. In Cuba vi sono le conseguenze di una lunga propaganda dell’ateismo, la religiosità afrocubana è molto diffusa. Pensa che questo viaggio sia un incoraggiamento per la “nuova evangelizzazione” e quali sono i punti che Le stanno più a cuore in questa prospettiva?

Santo Padre: Il periodo della nuova evangelizzazione è cominciato con il Concilio; questa era fondamentalmente l’intenzione di Papa Giovanni XXIII; è stata molto sottolineata da Papa Giovanni Paolo II e la sua necessità, in un mondo che è in grande cambiamento, diventa sempre più evidente. Necessità nel senso che il Vangelo deve esprimersi in modi nuovi; necessità anche nell’altro senso, che il mondo ha bisogno di una parola nella confusione, nella difficoltà di orientarsi oggi. C’è una situazione comune del mondo, c’è la secolarizzazione, l’assenza di Dio, la difficoltà di trovare accesso, di vederlo come una realtà che concerne la mia vita. E dall’altra parte ci sono i contesti specifici; lei ha accennato a quelli di Cuba con il sincretismo afro-cubano, con tante altre difficoltà, ma ogni Paese ha la sua situazione culturale specifica. E da una parte dobbiamo partire dal problema comune: come oggi, in questo contesto della nostra moderna razionalità, possiamo di nuovo riscoprire Dio come l’orientamento fondamentale della nostra vita, la speranza fondamentale della nostra vita, il fondamento dei valori che realmente costruiscono una società, e come possiamo tener conto della specificità delle situazioni diverse. Il primo mi sembra molto importante: annunciare un Dio che risponde alla nostra ragione, perchè vediamo la razionalità del cosmo, vediamo che c’è qualcosa dietro, ma non vediamo come sia vicino questo Dio, come concerne me e questa sintesi del Dio grande e maestoso e del Dio piccolo che è vicino a me, mi orienta, mi mostra i valori della mia vita è il nucleo dell’evangelizzazione. Quindi un Cristianesimo essenzializzato, dove si trova realmente il nucleo fondamentale per vivere oggi con tutti i problemi del nostro tempo. E dall’altra parte, tenere conto della realtà concreta. In America Latina, in genere, è molto importante che il Cristianesimo non sia mai tanto una cosa della ragione, ma del cuore. La Madonna di Guadalupe è riconosciuta ed amata da tutti, perché capiscono che è una Madre per tutti ed è presente dall’inizio in questa nuova America Latina, dopo l’arrivo degli Europei. E pure in Cuba abbiamo la Madonna del Cobre, che tocca i cuori e tutti sanno intuitivamente che è vero, che questa Madonna ci aiuta, che esiste, ci ama e ci aiuta. Ma questa intuizione del cuore deve collegarsi con la razionalità della fede e con la profondità della fede che va oltre la ragione. Dobbiamo cercare di non perdere il cuore, ma di collegare cuore e ragione, così che cooperino, perché solo così l’uomo è completo e può realmente aiutare e lavorare per un futuro migliore.





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