Discorsi 2005-13 11212

AL PELLEGRINAGGIO "GENTE DELLO SPETTACOLO VIAGGIANTE" IN OCCASIONE DELL'ANNO DELLA FEDE Sabato, 1° dicembre 2012

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PROMOSSO DAL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI
Aula Paolo VI



Cari fratelli e sorelle!


Sono lieto di dare il mio benvenuto a tutti voi e vi ringrazio per il vostro benvenuto! Siete qui convenuti così numerosi, per incontrare il Successore di san Pietro e per manifestare, anche a nome di tanti che lavorano nello spettacolo viaggiante, la gioia di essere cristiani e di appartenere alla Chiesa. Saluto e ringrazio il Cardinale Antonio Maria Vegliò, Presidente delPontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, che, in collaborazione con la Diocesi di Roma e con la Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana, ha organizzato questo evento. Grazie Eminenza! Sono grato anche ai vostri rappresentanti, che ci hanno offerto le loro testimonianze e un bellissimo piccolo spettacolo, come pure a quanti hanno contribuito a preparare questo appuntamento, che si colloca nell’Anno della fede, occasione importante per professare apertamente la fede nel Signore Gesù.

Ciò che anzitutto contraddistingue la vostra grande famiglia è la capacità di usare il linguaggio particolare e specifico della vostra arte. L’allegria degli spettacoli, la gioia ricreativa del gioco, la grazia delle coreografie, il ritmo della musica costituiscono proprio una via immediata di comunicazione per mettersi in dialogo con i piccoli e con i grandi, suscitando sentimenti di serenità, di gioia, di concordia. Con la varietà delle vostre professioni e l’originalità delle esibizioni, voi sapete stupire e suscitare meraviglia, offrire occasioni di festa e di sano divertimento.

Cari amici, proprio a partire da queste caratteristiche e con il vostro stile, voi siete chiamati a testimoniare quei valori che fanno parte della vostra tradizione: l’amore per la famiglia, la premura per i piccoli, l’attenzione ai disabili, la cura dei malati, la valorizzazione degli anziani e del loro patrimonio di esperienze. Nel vostro ambiente si conserva vivo il dialogo tra le generazioni, il senso dell’amicizia, il gusto del lavoro di squadra. Accoglienza e ospitalità vi sono proprie, così come l’attenzione a dare risposta ai desideri più autentici, soprattutto delle giovani generazioni. I vostri mestieri richiedono rinuncia e sacrificio, responsabilità e perseveranza, coraggio e generosità: virtù che la società odierna non sempre apprezza, ma che hanno contribuito a formare, nella vostra grande famiglia, intere generazioni. Conosco anche i numerosi problemi legati alla vostra condizione itinerante, quali l’istruzione dei figli, la ricerca di luoghi adatti per gli spettacoli, le autorizzazioni per le rappresentazioni e i permessi di soggiorno per gli stranieri. Mentre auspico che le Amministrazioni pubbliche, riconoscendo la funzione sociale e culturale dello spettacolo viaggiante, si impegnino per la tutela della vostra categoria, incoraggio sia voi sia la società civile a superare ogni pregiudizio e ricercare sempre un buon inserimento nelle realtà locali.

Cari fratelli e sorelle, la Chiesa si rallegra per l’impegno che dimostrate ed apprezza la fedeltà alle tradizioni, di cui a ragione andate fieri. Essa stessa che è pellegrina, come voi, in questo mondo, vi invita a partecipare alla sua missione divina attraverso il vostro lavoro quotidiano. La dignità di ogni uomo si esprime anche nell’esercizio onesto delle professionalità acquisite e nel praticare quella gratuità che permette di non lasciarsi determinare da tornaconti economici. Così anche voi, mentre ponete attenzione alla qualità delle vostre realizzazioni e degli spettacoli, non mancate di vigilare affinché, con i valori del Vangelo, possiate continuare ad offrire alle giovani generazioni la speranza e l’incoraggiamento di cui necessitano, soprattutto rispetto alle difficoltà della vita, alle tentazioni della sfiducia, della chiusura in se stessi e del pessimismo, che impediscono di cogliere la bellezza dell’esistenza.

Benché la vita itinerante impedisca di far parte stabilmente di una comunità parrocchiale e non faciliti la regolare partecipazione alla catechesi e al culto divino, anche nel vostro mondo si rende necessaria una nuova evangelizzazione. Auspico che possiate trovare, presso le comunità in cui sostate, persone accoglienti e disponibili, capaci di venire incontro alle vostre necessità spirituali. Non dimenticate, però, che è la famiglia la via primaria di trasmissione della fede, la piccola Chiesa domestica chiamata a far conoscere Gesù e il suo Vangelo e ad educare secondo la legge di Dio, affinché ognuno possa giungere alla piena maturità umana e cristiana (cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 2). Le vostre famiglie siano sempre scuole di fede e di carità, palestre di comunione e di fraternità.

Cari artisti e operatori dello spettacolo viaggiante, vi ripeto quanto ho affermato all’inizio del mio Pontificato: «Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con Lui… Solo in quell’amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in quell’amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera» (Omelia nella S. Messa per l’inizio del Pontificato, 24 aprile 2005). Nell’assicurarvi la vicinanza della Chiesa, che condivide il vostro cammino, vi affido tutti alla Santa Vergine Maria, la «stella del cammino», che con la sua materna presenza ci accompagna in ogni momento della vita.

Chers amis, votre charisme consiste à donner aux autres la joie, le sens de la fête et de la beauté. Que votre joie trouve sa source en Dieu et qu’elle soit fortement associée à la confiance en Lui et en son amour, une joie pleine d’humilité et de foi. Devenez donc des imitateurs de Dieu et cheminez dans la charité (cf. Eph
Ep 5,1-2), en apportant à tous la joie de la foi.

[Cari amici, il vostro carisma consiste nel dare agli altri la gioia, il senso della festa e della bellezza. Che la vostra gioia trovi la sua fonte in Dio e che sia strettamente unita alla fiducia in lui e nel suo amore, una gioia piena di umiltà e di fede. Diventate dunque imitatori di Dio e camminate nella carità (cfr. Ef Ep 5,1-2), portando a tutti la gioia della fede.]

Dear friends, you spread around you a joyful atmosphere and you ease the burden of daily work. May you also be men and women with a strong inner self, open to contemplation and dialogue with God. I pray that your faith in Christ and your devotion to the Blessed Virgin Mary may sustain you in your life and work.

[Cari amici, voi diffondete intorno a voi un clima gioioso e alleviate il fardello del lavoro quotidiano. Siate anche uomini e donne con una forte vita interiore, aperti alla contemplazione e al dialogo con Dio! Prego affinché la vostra fede in Cristo e la vostra devozione alla Beata Vergine Maria vi sostengano nella vita e nel lavoro.]

Liebe Freunde, eure Welt kann ein Laboratorium im Bereich der großen Themenstellungen der Ökumene und der Begegnung mit Menschen werden, die anderen Religionen angehören. Euer Glaube möge euch leiten, wahre Zeugen Gottes und seiner Liebe zu sein, Gemeinden, die in Brüderlichkeit, in Frieden und Solidarität vereint sind.

[Cari amici, il vostro mondo può diventare un laboratorio nell’ambito delle grandi tematiche dell’ecumenismo e dell’incontro con le persone appartenenti ad altre religioni. Che la vostra fede vi guidi per essere testimoni autentici di Dio e del suo amore, comunità unite nella fratellanza, nella pace e nella solidarietà.]

Queridos amigos profesionales del espectáculo itinerante, en la Exhortación Apostólica post-sinodal Verbum Domini, en el párrafo dedicado a los emigrantes, manifestaba mi deseo de que «se hagan ellos mismos anunciadores de la Palabra de Dios y testigos de Jesús Resucitado, esperanza del mundo» (n. 105). Hoy con gran confianza repito también a Ustedes este deseo, y a los agentes de pastoral, que os acompañan con admirable dedicación.

[Cari amici operatori dello spettacolo itinerante, nell’Esortazione apostolica post-sinodaleVerbum Domini, nel paragrafo dedicato ai migranti, esprimevo il mio desiderio che «si facciano essi stessi annunciatori della Parola di Dio e testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo» (n. 105). Oggi, con grande fiducia, ribadisco questo desiderio anche a voi e agli agenti di pastorale che vi accompagnano con ammirevole dedizione.]

A ciascuno di voi ed alle vostre famiglie e comunità imparto di cuore la Benedizione Apostolica. Grazie.



AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE Sala del Concistoro Lunedì, 3 dicembre 2012

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di accogliervi in occasione della vostra Assemblea Plenaria. Saluto il Cardinale Presidente, che ringrazio per le cortesi parole rivoltemi, come pure Monsignor Segretario, gli Officiali del Dicastero e tutti voi, Membri e Consultori, convenuti per questo importante momento di riflessione e di programmazione. La vostra Assemblea si celebra nell’Anno della fede, dopo ilSinodo dedicato alla nuova evangelizzazione, nonché – come è stato detto – nel cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano II e – tra pochi mesi – dell’Enciclica Pacem in terris del beato Papa Giovanni XXIII. Si tratta di un contesto che già di per sé offre molteplici stimoli.

La Dottrina sociale, come ci ha insegnato il beato Papa Giovanni Paolo II, è parte integrante della missione evangelizzatrice della Chiesa (cfr Enc. Centesimus annus
CA 54), e a maggior ragione essa va considerata importante per la nuova evangelizzazione (cfr ibid., 5; Enc. Caritas in veritate ). Accogliendo Gesù Cristo e il suo Vangelo, oltre che nella vita personale, anche nei rapporti sociali, diventiamo portatori di una visione dell’uomo, della sua dignità, della sua libertà e relazionalità, che è contrassegnata dalla trascendenza, in senso sia orizzontale sia verticale. Dall’antropologia integrale, che deriva dalla Rivelazione e dall’esercizio della ragione naturale, dipendono la fondazione e il significato dei diritti e dei doveri umani, come ci ha ricordato il beato Giovanni XXIII proprio nellaPacem in terris (cfr n. 9). I diritti e i doveri, infatti, non hanno come unico ed esclusivo fondamento la coscienza sociale dei popoli, ma dipendono primariamente dalla legge morale naturale, inscritta da Dio nella coscienza di ogni persona, e quindi in ultima istanza dalla verità sull’uomo e sulla società.

Sebbene la difesa dei diritti abbia fatto grandi progressi nel nostro tempo, la cultura odierna, caratterizzata, tra l’altro, da un individualismo utilitarista e un economicismo tecnocratico, tende a svalutare la persona. Questa viene concepita come un essere «fluido», senza consistenza permanente. Nonostante sia immerso in una rete infinita di relazioni e di comunicazioni, l’uomo di oggi paradossalmente appare spesso un essere isolato, perché indifferente rispetto al rapporto costitutivo del suo essere, che è la radice di tutti gli altri rapporti, quello con Dio. L’uomo d’oggi è considerato in chiave prevalentemente biologica o come «capitale umano», «risorsa», parte di un ingranaggio produttivo e finanziario che lo sovrasta. Se, da una parte, si continua a proclamare la dignità della persona, dall’altra, nuove ideologie - come quella edonistica ed egoistica dei diritti sessuali e riproduttivi o quella di un capitalismo finanziario sregolato che prevarica sulla politica e destruttura l’economia reale - contribuiscono a considerare il lavoratore dipendente e il suo lavoro come beni «minori» e a minare i fondamenti naturali della società, specialmente la famiglia. In realtà, l’essere umano, costitutivamente trascendente rispetto agli altri esseri e beni terreni, gode di un reale primato che lo pone come responsabile di se stesso e del creato. Concretamente, per il Cristianesimo, il lavoro è un bene fondamentale per l’uomo, in vista della sua personalizzazione, della sua socializzazione, della formazione di una famiglia, dell’apporto al bene comune e alla pace. Proprio per questo, l’obiettivo dell’accesso al lavoro per tutti è sempre prioritario, anche nei periodi di recessione economica (cfr Caritas in veritate ).

Da una nuova evangelizzazione del sociale possono derivare un nuovo umanesimo e un rinnovato impegno culturale e progettuale. Essa aiuta a detronizzare gli idoli moderni, a sostituire l’individualismo, il consumismo materialista e la tecnocrazia, con la cultura della fraternità e della gratuità, dell’amore solidale. Gesù Cristo ha riassunto e dato compimento ai precetti in un comandamento nuovo: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Jn 13,34); qui sta il segreto di ogni vita sociale pienamente umana e pacifica, nonché del rinnovamento della politica e delle istituzioni nazionali e mondiali. Il beato Papa Giovanni XXIII ha motivato l’impegno per la costruzione di una comunità mondiale, con una corrispondente autorità, proprio muovendo dall’amore, e precisamente dall’amore per il bene comune della famiglia umana. Così leggiamo nellaPacem in terris: «Esiste un rapporto intrinseco fra i contenuti storici del bene comune da una parte e la configurazione dei Poteri pubblici dall’altra. L’ordine morale, cioè, come esige l’autorità pubblica nella convivenza per l’attuazione del bene comune, di conseguenza esige pure che l’autorità a tale scopo sia efficiente» (n. 71).

La Chiesa non ha certo il compito di suggerire, dal punto di vista giuridico e politico, la configurazione concreta di un tale ordinamento internazionale, ma offre a chi ne ha la responsabilità quei principi di riflessione, criteri di giudizio e orientamenti pratici che possano garantirne l’intelaiatura antropologica ed etica attorno al bene comune (cfr Enc. Caritas in veritate ). Nella riflessione, comunque, è da tenere presente che non si dovrebbe immaginare un superpotere, concentrato nelle mani di pochi, che dominerebbe su tutti i popoli, sfruttando i più deboli, ma che qualunque autorità deve essere intesa, anzitutto, come forza morale, facoltà di influire secondo ragione (cfr Pacem in terris PT 27), ossia come autorità partecipata, limitata per competenza e dal diritto.

Ringrazio il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace perché, assieme ad altre istituzioni pontificie, si è prefissato di approfondire gli orientamenti che ho offerto nella Caritas in veritate. E ciò, sia mediante le riflessioni per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale, sia mediante la Plenaria di questi giorni e il Seminario internazionale sulla Pacem in terris del prossimo anno.

La Vergine Maria, Colei che con fede ed amore ha accolto in sé il Salvatore per donarlo al mondo, ci guidi nell’annuncio e nella testimonianza della Dottrina sociale della Chiesa, per rendere più efficace la nuova evangelizzazione. Con questo auspicio, ben volentieri imparto a ciascuno di voi la Benedizione Apostolica. Grazie.





ALLA COMUNITÀ DEL VENERABILE COLLEGIO INGLESE IN ROMA Lunedì, 3 dicembre 2012

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Eminenza,Cari Fratelli Vescovi,

Monsignor Hudson,
Studenti e Personale del Venerabile Collegio Inglese,

È per me un grande piacere accogliervi oggi nel Palazzo Apostolico, nella Casa di Pietro. Saluto il mio venerabile Fratello, Cardinale Cormac Murphy-O’Connor, già Rettore del Collegio, e ringrazio l’Arcivescovo Vincent Nichols per le cordiali parole pronunciate a nome di tutti i presenti. Anch’io guardo con grande rendimento di grazie nel cuore alle giornate trascorse nel vostro Paese a settembre 2010. In effetti, mi ha fatto piacere incontrare alcuni di voi all’Oscott College in quell’occasione, e prego affinché il Signore continui a suscitare molte sante vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa nella vostra patria.

Per grazia di Dio, la comunità cattolica in Inghilterra e in Galles è stata benedetta con una lunga tradizione di zelo per la fede e di lealtà alla Sede Apostolica. Più o meno nello stesso tempo in cui i vostri antenati sassoni costruivano la Schola Saxonum, stabilendo una presenza a Roma vicino alla tomba di Pietro, san Bonifacio era impegnato a evangelizzare i popoli della Germania. Quindi, essendo stato sacerdote e Arcivescovo della Sede di München und Freising, che deve la propria fondazione a questo grande missionario inglese, sono consapevole che la mia ascendenza spirituale è collegata alla vostra. Ancor prima, naturalmente, il mio predecessore Papa Gregorio Magno era stato spinto a inviare Agostino di Canterbury sulle vostre coste, per piantare il seme della fede cristiana nel suolo anglosassone. I frutti di quell’impegno missionario sono molto evidenti nei seicentocinquant’anni di storia di fede e di martirio che caratterizza l’Ospizio degli Inglesi di San Tommaso Becket e del Venerabile Collegio Inglese, che ne è scaturito.

Potius hodie quam cras, come disse san Ralph Sherwin quando gli fu chiesto di emettere la promessa missionaria, «meglio oggi che domani». Queste parole trasmettono bene il suo ardente desiderio di mantenere viva la fiamma della fede in Inghilterra, a qualunque prezzo personale. Coloro che hanno davvero incontrato Cristo sono incapaci di tacere su di lui. Coma ha detto lo stesso san Pietro agli anziani e agli scribi di Gerusalemme, «noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (
Ac 4,20). San Bonifacio, sant’Agostino di Canterbury, san Francesco Saverio, la cui memoria celebriamo oggi, e molti altri santi missionari, ci mostrano come l’amore profondo per il Signore suscita il desiderio intenso di far sì che altri lo conoscano. Anche voi, mentre seguite le orme dei martiri del Collegio, siete gli uomini che Dio ha scelto per diffondere oggi il messaggio del Vangelo, in Inghilterra e in Galles, in Canada, in Scandinavia. I vostri predecessori hanno affrontato la possibilità concreta del martirio, ed è bene e giusto che voi veneriate la gloriosa memoria di quei quarantaquattro ex allievi del Collegio che hanno versato il loro sangue per Cristo. Siete chiamati a imitare il loro amore per il Signore e il loro zelo di farlo conoscere, potius hodie quam cras. Le conseguenze, i frutti, li potete porre con fiducia nelle mani di Dio.

Il vostro primo compito, quindi, è di conoscere voi stessi Cristo, e il tempo che trascorrete in seminario vi offre un’opportunità privilegiata per farlo. Imparate a pregare ogni giorno, specialmente alla presenza del Santissimo Sacramento, ascoltando attentamente la parola di Dio e permettendo a cuore di parlare a cuore, come direbbe il beato John Henry Newman. Ricordate i due discepoli del primo capitolo del Vangelo di Giovanni, che seguivano Cristo e volevano sapere dove abitava, e, come loro, rispondete con ardore al suo invito: «Venite e vedrete» (1, 37-39). Permettete al fascino della sua persona di catturare la vostra fantasia e di riscaldare il vostro cuore. Egli vi ha scelto per essere suoi amici e non suoi servi, e v’invita a partecipare alla sua opera sacerdotale di realizzare la salvezza del mondo. Mettetevi totalmente a sua disposizione e permettetegli di formarvi per qualunque compito possa avere in mente per voi.

Avete sentito parlare molto della nuova evangelizzazione, la proclamazione di Cristo in quelle parti del mondo in cui il Vangelo è già stato predicato, ma dove, in maggiore o in minor misura, la brace della fede si è raffreddata e ora ha bisogno di essere nuovamente alimentata per diventare fiamma. Il motto del vostro Collegio parla del desiderio di Cristo di portare il fuoco sulla terra, e la vostra missione è quella di servire come suoi strumenti per ravvivare la fede nei vostri rispettivi Paesi. Nella Sacra Scrittura, il fuoco spesso serve a indicare la presenza divina, che si tratti del roveto ardente dal quale Dio ha rivelato il suo nome a Mosè, della colonna di fuoco che ha guidato il popolo d’Israele nel suo cammino dalla schiavitù alla libertà, o delle lingue di fuoco discese sugli Apostoli a Pentecoste, permettendo loro di andare, nella potenza dello Spirito, a proclamare il Vangelo fino ai confini della terra. Proprio come un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta (cfr. Gc Jc 3,5), così la fedele testimonianza di pochi può rilasciare la potenza purificatrice e trasformatrice dell’amore di Dio, affinché si diffonda in un lampo in una comunità o in una nazione. Come i martiri dell’Inghilterra e del Galles, dunque, permettete ai vostri cuori di ardere d’amore per Cristo, per la Chiesa e per la Messa.

Durante la mia visita nel Regno Unito ho constatato direttamente che tra le persone c’è una grande fame spirituale. Portate loro il nutrimento autentico che viene dal conoscere, amare e servire Cristo. Dite loro la verità del Vangelo con amore. Offrite loro l’acqua viva della fede cristiana e indirizzatele verso il pane di vita, affinché la loro fame e la loro sete vengano placate. Soprattutto, però, permettete alla luce di Cristo di risplendere attraverso di voi, vivendo una vita di santità, seguendo le orme dei molti grandi santi dell’Inghilterra e del Galles, gli uomini e le donne santi che hanno dato testimonianza dell’amore di Dio anche a costo della propria vita. Il Collegio, del quale fate parte, l’ambiente in cui vivete e studiate, la tradizione di fede e la testimonianza cristiana che vi ha formati: tutte queste cose sono santificate dalla presenza di molti santi. La vostra aspirazione sia quella di essere annoverati tra loro!

Vi assicuro del mio affettuoso ricordo nelle preghiere per voi e per tutti gli ex studenti del Venerabile Collegio Inglese. Faccio mio il saluto tanto spesso sentito dalle labbra di un grande amico e vicino del Collegio, san Filippo Neri, Salvete, flores martyrum! Affidando voi, e tutti coloro ai quali il Signore vi manda, all’amorevole intercessione di Nostra Signora di Walsingham, imparto volentieri la mia Benedizione Apostolica, come pegno di pace e di gioia nel Signore Gesù Cristo. Grazie.




ALLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE IN OCCASIONE DELLA SESSIONE PLENARIA ANNUALE Sala dei Papi Venerdì, 7 dicembre 2012

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Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

illustri Professori e cari Collaboratori,

con grande gioia vi accolgo al termine dei lavori della vostra Sessione Plenaria annuale. Saluto di cuore il vostro nuovo Presidente, Mons. Gerhard Ludwig Müller, che ringrazio per le parole che mi ha indirizzato a nome di tutti, così come il nuovo Segretario generale, il Padre Serge-Thomas Bonino.

La vostra Sessione Plenaria si è svolta nel contesto dell’Anno della fede, e sono profondamente lieto che la Commissione Teologica Internazionale abbia voluto manifestare la sua adesione a questo evento ecclesiale attraverso un pellegrinaggio alla Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, per affidare alla Vergine Maria, praesidium fidei, i lavori della vostra Commissione e per pregare per tutti coloro che, in medio Ecclesiae, si dedicano a far fruttificare l’intelligenza della fede a beneficio e gioia spirituale di tutti i credenti. Grazie per questo gesto straordinario. Esprimo apprezzamento per il Messaggio che avete redatto in occasione di quest’Anno della fede. Esso mette bene in luce il modo specifico in cui i teologi, servendo fedelmente la verità della fede, possono partecipare allo slancio evangelizzatore della Chiesa.

Questo Messaggio riprende i temi che avete sviluppato più ampiamente nel documento “La teologia oggi. Prospettive, principi e criteri”, pubblicato all’inizio di quest’anno. Prendendo atto della vitalità e della varietà della teologia dopo il Concilio Vaticano II, questo documento intende presentare, per così dire, il codice genetico della teologia cattolica, cioè i principi che definiscono la sua stessa identità e, di conseguenza, garantiscono la sua unità nella diversità delle sue realizzazioni. A tale scopo, il testo chiarisce i criteri per una teologia autenticamente cattolica e pertanto capace di contribuire alla missione della Chiesa, all’annuncio del Vangelo a tutti gli uomini. In un contesto culturale dove taluni sono tentati o di privare la teologia di uno statuto accademico, a causa del suo legame intrinseco con la fede, o di prescindere dalla dimensione credente e confessionale della teologia, con il rischio di confonderla e di ridurla alle scienze religiose, il vostro documento ricorda opportunamente che la teologia è inscindibilmente confessionale e razionale e che la sua presenza all’interno dell’istituzione universitaria garantisce, o dovrebbe garantire, una visione ampia ed integrale della stessa ragione umana.

Tra i criteri della teologia cattolica, il documento menziona l’attenzione che i teologi devono riservare al sensus fidelium. È molto utile che la vostra Commissione si sia concentrata anche su questo tema che è di particolare importanza per la riflessione sulla fede e per la vita della Chiesa. Il Concilio Vaticano II, ribadendo il ruolo specifico ed insostituibile che spetta al Magistero, ha sottolineato nondimeno che l’insieme del Popolo di Dio partecipa dell’ufficio profetico di Cristo, realizzando così il desiderio ispirato, espresso da Mosè: «Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo spirito!» (
Nb 11,29). La Costituzione dogmatica Lumen gentium insegna al riguardo: «La totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo (cfr 1Jn 2,20 1Jn 2,27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale» (n. 12). Questo dono, il sensus fidei, costituisce nel credente una sorta di istinto soprannaturale che ha una connaturalità vitale con lo stesso oggetto della fede. Osserviamo che proprio i semplici fedeli portano con sé questa certezza, questa sicurezza del senso della fede. Il sensus fidei è un criterio per discernere se una verità appartenga o no al deposito vivente della tradizione apostolica. Presenta anche un valore propositivo perché lo Spirito Santo non smette di parlare alle Chiese e di guidarle verso la verità tutta intera. Oggi, tuttavia, è particolarmente importante precisare i criteri che permettono di distinguere il sensus fidelium autentico dalle sue contraffazioni. In realtà, esso non è una sorta di opinione pubblica ecclesiale, e non è pensabile poterlo menzionare per contestare gli insegnamenti del Magistero, poiché il sensus fìdei non può svilupparsi autenticamente nel credente se non nella misura in cui egli partecipa pienamente alla vita della Chiesa, e ciò esige l’adesione responsabile al suo Magistero, al deposito della fede.

Oggi, questo stesso senso soprannaturale della fede dei credenti porta a reagire con vigore anche contro il pregiudizio secondo cui le religioni, ed in particolare le religioni monoteiste, sarebbero intrinsecamente portatrici di violenza, soprattutto a causa della pretesa che esse avanzano dell’esistenza di una verità universale. Alcuni ritengono che solo il “politeismo dei valori” garantirebbe la tolleranza e la pace civile e sarebbe conforme allo spirito di una società democratica pluralistica. In questa direzione, il vostro studio sul tema “Dio Trinità, unità degli uomini. Cristianesimo e monoteismo” è di viva attualità. Da una parte, è essenziale ricordare che la fede nel Dio unico, Creatore del cielo e della terra, incontra le esigenze razionali della riflessione metafisica, la quale non viene indebolita ma rinforzata ed approfondita dalla Rivelazione del mistero del Dio-Trinità. Dall’altra parte, bisogna sottolineare la forma che la Rivelazione definitiva del mistero dell’unico Dio prende nella vita e morte di Gesù Cristo, che va incontro alla Croce come “agnello condotto al macello” (Is 53,7). Il Signore attesta un rifiuto radicale di ogni forma di odio e violenza a favore del primato assoluto dell’agape. Se dunque nella storia vi sono state o vi sono forme di violenza operate nel nome di Dio, queste non sono da attribuire al monoteismo, ma a cause storiche, principalmente agli errori degli uomini. Piuttosto è proprio l’oblio di Dio ad immergere le società umane in una forma di relativismo, che genera ineluttabilmente la violenza. Quando si nega la possibilità per tutti di riferirsi ad una verità oggettiva, il dialogo viene reso impossibile e la violenza, dichiarata o nascosta, diventa la regola dei rapporti umani. Senza l’apertura al trascendente, che permette di trovare delle risposte agli interrogativi sul senso della vita e sulla maniera di vivere in modo morale, senza questa apertura l’uomo diventa incapace di agire secondo giustizia e di impegnarsi per la pace.

Se la rottura del rapporto degli uomini con Dio porta con sé uno squilibrio profondo nelle relazioni tra gli uomini stessi, la riconciliazione con Dio, operata dalla Croce di Cristo, “nostra pace” (Ep 2,14) è la sorgente fondamentale dell’unità e della fraternità. In questa prospettiva, si colloca anche la vostra riflessione sul terzo tema, quello della dottrina sociale della Chiesa nell’insieme della dottrina della fede. Essa conferma che la dottrina sociale non è un’aggiunta estrinseca, ma, senza trascurare l’apporto di una filosofia sociale, attinge i suoi principi di fondo alle sorgenti stesse della fede. Tale dottrina cerca di rendere effettivo, nella grande diversità delle situazioni sociali, il comandamento nuovo che il Signore Gesù ci ha lasciato: «Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Jn 13,34).

Preghiamo la Vergine Immacolata, modello di chi ascolta e medita la Parola di Dio, che vi ottenga la grazia di servire sempre gioiosamente l’intelligenza della fede a favore di tutta la Chiesa. Rinnovando l’espressione della mia profonda gratitudine per il vostro servizio ecclesiale, vi assicuro la mia costante vicinanza nella preghiera e imparto di cuore a voi tutti la Benedizione Apostolica.




ATTO DI VENERAZIONE ALL’IMMACOLATA A PIAZZA DI SPAGNA Sabato, 8 dicembre 2012

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Cari fratelli e sorelle!


E’ sempre una gioia speciale radunarci qui, in Piazza di Spagna, nella festa di Maria Immacolata. Ritrovarci insieme – romani, pellegrini e visitatori – ai piedi della statua della nostra Madre spirituale, ci fa sentire uniti nel segno della fede. Mi piace sottolinearlo in questo Anno della fede che tutta la Chiesa sta vivendo. Vi saluto con grande affetto e vorrei condividere con voi alcuni semplici pensieri, suggeriti dal Vangelo di questa solennità: il Vangelo dell’Annunciazione.

Anzitutto, ci colpisce sempre, e ci fa riflettere, il fatto che quel momento decisivo per il destino dell’umanità, il momento in cui Dio si fece uomo, è avvolto da un grande silenzio. L’incontro tra il messaggero divino e la Vergine Immacolata passa del tutto inosservato: nessuno sa, nessuno ne parla. E’ un avvenimento che, se accadesse ai nostri tempi, non lascerebbe traccia nei giornali e nelle riviste, perché è un mistero che accade nel silenzio. Ciò che è veramente grande passa spesso inosservato e il quieto silenzio si rivela più fecondo del frenetico agitarsi che caratterizza le nostre città, ma che – con le debite proporzioni – si viveva già in città importanti come la Gerusalemme di allora. Quell’attivismo che ci rende incapaci di fermarci, di stare tranquilli, di ascoltare il silenzio in cui il Signore fa sentire la sua voce discreta. Maria, quel giorno in cui ricevette l’annuncio dell’Angelo, era tutta raccolta e al tempo stesso aperta all’ascolto di Dio. In lei non c’è ostacolo, non c’è schermo, non c’è nulla che la separi da Dio. Questo è il significato del suo essere senza peccato originale: la sua relazione con Dio è libera da qualsiasi pur minima incrinatura; non c’è separazione, non c’è ombra di egoismo, ma una perfetta sintonia: il suo piccolo cuore umano è perfettamente «centrato» nel grande cuore di Dio. Ecco, cari fratelli, venire qui, presso questo monumento a Maria, nel centro di Roma, ci ricorda prima di tutto che la voce di Dio non si riconosce nel frastuono e nell’agitazione; il suo disegno sulla nostra vita personale e sociale non si percepisce rimanendo in superficie, ma scendendo ad un livello più profondo, dove le forze che agiscono non sono quelle economiche e politiche, ma quelle morali e spirituali. E’ lì che Maria ci invita a scendere e a sintonizzarci con l’azione di Dio.

C’è una seconda cosa, ancora più importante, che l’Immacolata ci dice quando veniamo qui, ed è che la salvezza del mondo non è opera dell’uomo – della scienza, della tecnica, dell’ideologia – ma viene dalla Grazia. Che significa questa parola? Grazia vuol dire l’Amore nella sua purezza e bellezza, è Dio stesso così come si è rivelato nella storia salvifica narrata nella Bibbia e compiutamente in Gesù Cristo. Maria è chiamata la «piena di grazia» (
Lc 1,28) e con questa sua identità ci ricorda il primato di Dio nella nostra vita e nella storia del mondo, ci ricorda che la potenza d’amore di Dio è più forte del male, può colmare i vuoti che l’egoismo provoca nella storia delle persone, delle famiglie, delle nazioni e del mondo. Questi vuoti possono diventare degli inferni, dove la vita umana viene come tirata verso il basso e verso il nulla, perde di senso e di luce. I falsi rimedi che il mondo propone per riempire questi vuoti – emblematica è la droga – in realtà allargano la voragine. Solo l’amore può salvare da questa caduta, ma non un amore qualsiasi: un amore che abbia in sé la purezza della Grazia - di Dio che trasforma e rinnova - e che così possa immettere nei polmoni intossicati nuovo ossigeno, aria pulita, nuova energia di vita. Maria ci dice che, per quanto l’uomo possa cadere in basso, non è mai troppo in basso per Dio, il quale è disceso fino agli inferi; per quanto il nostro cuore sia sviato, Dio è sempre «più grande del nostro cuore» (1Jn 3,20). Il soffio mite della Grazia può disperdere le nubi più nere, può rendere la vita bella e ricca di significato anche nelle situazioni più disumane.

E da qui deriva la terza cosa che ci dice Maria Immacolata: ci parla della gioia, quella gioia autentica che si diffonde nel cuore liberato dal peccato. Il peccato porta con sé una tristezza negativa, che induce a chiudersi in se stessi. La Grazia porta la vera gioia, che non dipende dal possesso delle cose ma è radicata nell’intimo, nel profondo della persona, e che nulla e nessuno possono togliere. Il Cristianesimo è essenzialmente un «evangelo», una «lieta notizia», mentre alcuni pensano che sia un ostacolo alla gioia, perché vedono in esso un insieme di divieti e di regole. In realtà, il Cristianesimo è l’annuncio della vittoria della Grazia sul peccato, della vita sulla morte. E se comporta delle rinunce e una disciplina della mente, del cuore e del comportamento è proprio perché nell’uomo c’è la radice velenosa dell’egoismo, che fa male a se stessi e agli altri. Bisogna dunque imparare a dire no alla voce dell’egoismo e a dire sì a quella dell’amore autentico. La gioia di Maria è piena, perché nel suo cuore non c’è ombra di peccato. Questa gioia coincide con la presenza di Gesù nella sua vita: Gesù concepito e portato in grembo, poi bambino affidato alle sue cure materne, quindi adolescente e giovane e uomo maturo; Gesù visto partire da casa, seguito a distanza con fede fino alla Croce e alla Risurrezione: Gesù è la gioia di Maria ed è la gioia della Chiesa, di tutti noi.

In questo tempo di Avvento, Maria Immacolata ci insegni ad ascoltare la voce di Dio che parla nel silenzio; ad accogliere la sua Grazia, che ci libera dal peccato e da ogni egoismo; per gustare così la vera gioia. Maria, piena di grazia, prega per noi!




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