Benedetto XVI Omelie 31127


SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO XLI GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

Basilica Vaticana, Martedì, 1° gennaio 2008

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Cari fratelli e sorelle!

Iniziamo quest’oggi un nuovo anno e ci prende per mano la speranza cristiana; lo iniziamo invocando su di esso la benedizione divina ed implorando, per intercessione di Maria, Madre di Dio, il dono della pace: per le nostre famiglie, per le nostre città, per il mondo intero. Con questo auspicio saluto tutti voi qui presenti ad iniziare dagli illustri Ambasciatori del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, convenuti a questa celebrazione in occasione della Giornata Mondiale della Pace. Saluto il Cardinale Tarcisio Bertone, mio Segretario di Stato, il Cardinale Renato Raffaele Martino e tutti i componenti del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Ad essi sono particolarmente grato per il loro impegno nel diffondere il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, che quest’anno ha come tema: "Famiglia umana, comunità di pace".

La pace. Nella prima Lettura, tratta dal Libro dei Numeri, abbiamo ascoltato l’invocazione: "Il Signore ti conceda pace" (
Nb 6,26); il Signore doni pace a ciascuno di voi, alle vostre famiglie, al mondo intero. Tutti aspiriamo a vivere nella pace, ma la pace vera, quella annunciata dagli angeli nella notte di Natale, non è semplice conquista dell’uomo o frutto di accordi politici; è innanzitutto dono divino da implorare costantemente e, allo stesso tempo, impegno da portare avanti con pazienza restando sempre docili ai comandi del Signore. Quest’anno, nel Messaggio per l’odierna Giornata Mondiale della Pace, ho voluto porre in luce lo stretto rapporto che esiste tra la famiglia e la costruzione della pace nel mondo. La famiglia naturale, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, è "culla della vita e dell’amore" e "la prima e insostituibile educatrice alla pace". Proprio per questo la famiglia è "la principale ‘agenzia’ di pace" e "la negazione o anche la restrizione dei diritti della famiglia, oscurando la verità dell’uomo, minaccia gli stessi fondamenti della pace" (cfr nn. 1-5). Poiché poi l’umanità è una "grande famiglia", se vuole vivere in pace non può non ispirarsi a quei valori sui quali si fonda e si regge la comunità familiare. La provvidenziale coincidenza di varie ricorrenze ci sprona quest’anno ad uno sforzo ancor più sentito per realizzare la pace nel mondo. Sessant’anni or sono, nel 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite rese pubblica la "Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo"; quarant’anni fa il mio venerato Predecessore Paolo VI celebrò la prima Giornata Mondiale della Pace; quest’anno inoltre ricorderemo il 25° anniversario dell’adozione da parte della Santa Sede della "Carta dei diritti della famiglia". "Alla luce di queste significative ricorrenze – riprendo qui quanto ho scritto proprio a conclusione del Messaggio – invito ogni uomo e ogni donna a prendere più lucida consapevolezza della comune appartenenza all’unica famiglia umana e ad impegnarsi perché la convivenza sulla terra rispecchi sempre più questa convinzione da cui dipende l’instaurazione di una pace vera e duratura".

Il nostro pensiero si volge ora naturalmente alla Madonna, che oggi invochiamo come Madre di Dio. Fu il Papa Paolo VI a trasferire al primo gennaio la festa della Divina Maternità di Maria, che un tempo cadeva l’11 di ottobre. Prima infatti della riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II, nel primo giorno dell’anno si celebrava la memoria della circoncisione di Gesù nell’ottavo giorno dopo la sua nascita - come segno della sottomissione alla legge, il suo inserimento ufficiale nel popolo eletto - e la domenica seguente si celebrava la festa del nome di Gesù. Di queste ricorrenze scorgiamo qualche traccia nella pagina evangelica che è stata poco fa proclamata, in cui san Luca riferisce che otto giorni dopo la nascita il Bambino venne circonciso e gli fu posto il nome di Gesù, "come era stato chiamato dall’angelo prima di essere concepito nel grembo della madre" (Lc 2,21). Quella odierna pertanto, oltre che essere una quanto mai significativa festa mariana, conserva pure un contenuto fortemente cristologico, perché, potremmo dire, prima della Madre, riguarda proprio il Figlio, Gesù vero Dio e vero Uomo.

Al mistero della divina maternità di Maria, la Theotokos, fa riferimento l’apostolo Paolo nella Lettera ai Galati. "Quando venne la pienezza del tempo, - egli scrive - Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge" (Ga 4,4). In poche parole troviamo sintetizzati il mistero dell’incarnazione del Verbo eterno e la divina maternità di Maria: il grande privilegio della Vergine sta proprio nell’essere Madre del Figlio che è Dio. A otto giorni dal Natale trova pertanto la sua più logica e giusta collocazione questa festa mariana. Infatti, nella notte di Betlemme, quando "diede alla luce il suo figlio primogenito" (Lc 2,7), si compirono le profezie concernenti il Messia. "Una Vergine concepirà e partorirà un figlio", aveva preannunciato Isaia (Is 7,14); "ecco concepirai nel seno e partorirai un figlio", disse a Maria l’angelo Gabriele (Lc 1,31); e ancora un angelo del Signore - narra l’evangelista Matteo -, apparendo in sogno a Giuseppe, lo rassicurò dicendogli: "non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quello che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio"(Mt 1,20-21).

Il titolo di Madre di Dio è il fondamento di tutti gli altri titoli con cui la Madonna è stata venerata e continua ad essere invocata di generazione in generazione, in Oriente e in Occidente. Al mistero della sua divina maternità fanno riferimento tanti inni e tante preghiere della tradizione cristiana, come ad esempio un’antifona mariana del tempo natalizio, l’Alma Redemptoris mater con la quale così preghiamo: "Tu quae genuisti, natura mirante, tuum sanctum Genitorem, Virgo prius ac posterius – Tu, nello stupore di tutto il creato, hai generato il tuo Creatore, Madre sempre vergine". Cari fratelli e sorelle, contempliamo quest’oggi Maria, madre sempre vergine del Figlio unigenito del Padre; impariamo da Lei ad accogliere il Bambino che per noi è nato a Betlemme. Se nel Bimbo nato da Lei riconosciamo il Figlio eterno di Dio e lo accogliamo come il nostro unico Salvatore, possiamo essere detti e lo siamo realmente figli di Dio: figli nel Figlio. Scrive l’Apostolo: "Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli" (Ga 4,4).

L’evangelista Luca ripete più volte che la Madonna meditava silenziosa su questi eventi straordinari nei quali Iddio l’aveva coinvolta. Lo abbiamo ascoltato anche nel breve brano evangelico che quest’oggi la liturgia ci ripropone. "Maria serbava queste cose meditandole nel suo cuore" (Lc 2,19). Il verbo greco usato "sumbállousa" letteralmente significa "mettere insieme" e fa pensare a un mistero grande da scoprire poco a poco. Il Bambino che vagisce nella mangiatoia, pur apparentemente simile a tutti i bimbi del mondo, è al tempo stesso del tutto differente: è il Figlio di Dio, è Dio, vero Dio e vero uomo. Questo mistero – l’incarnazione del Verbo e la divina maternità di Maria – è grande e certamente non facile da comprendere con la sola umana intelligenza.

Alla scuola di Maria però possiamo cogliere con il cuore quello che gli occhi e la mente non riescono da soli a percepire, né possono contenere. Si tratta, infatti, di un dono così grande che solo nella fede ci è dato accogliere pur senza tutto comprendere. Ed è proprio in questo cammino di fede che Maria ci viene incontro, ci è sostegno e guida. Lei è madre perché ha generato nella carne Gesù; lo è perché ha aderito totalmente alla volontà del Padre. Scrive sant’Agostino: "Di nessun valore sarebbe stata per lei la stessa divina maternità, se lei il Cristo non l’avesse portato nel cuore, con una sorte più fortunata di quando lo concepì nella carne" (De sancta Virginitate, 3,3). E nel suo cuore Maria continuò a conservare, a "mettere insieme" gli eventi successivi di cui sarà testimone e protagonista, sino alla morte in croce e alla risurrezione del suo Figlio Gesù.

Cari fratelli e sorelle, solo conservando nel cuore, mettendo cioè insieme e trovando un’unità di tutto ciò che viviamo, possiamo addentrarci, seguendo Maria, nel mistero di un Dio che per amore si è fatto uomo e ci chiama a seguirlo sulla strada dell’amore; amore da tradurre ogni giorno in un generoso servizio ai fratelli. Possa il nuovo anno, che oggi fiduciosi iniziamo, essere un tempo nel quale avanzare in quella conoscenza del cuore, che è la sapienza dei santi. Preghiamo perché, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura, il Signore "faccia brillare il suo volto" su di noi, ci "sia propizio" (cfr Nb 6,24-7), e ci benedica. Possiamo esserne certi: se non ci stanchiamo di ricercare il suo volto, se non cediamo alla tentazione dello scoraggiamento e del dubbio, se pur fra le tante difficoltà che incontriamo restiamo sempre ancorati a Lui, sperimenteremo la potenza del suo amore e della sua misericordia. Il fragile Bambino che la Vergine quest’oggi mostra al mondo, ci renda operatori di pace, testimoni di Lui, Principe della pace. Amen!



CAPPELLA PAPALE NELLA SOLENNITÀ DELLA EPIFANIA DEL SIGNORE

Basilica Vaticana, Domenica, 6 gennaio 2008

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Cari fratelli e sorelle,

celebriamo oggi Cristo, Luce del mondo, e la sua manifestazione alle genti. Nel giorno di Natale il messaggio della liturgia suonava così: “Hodie descendit lux magna super terram – Oggi una grande luce discende sulla terra” (Messale Romano). A Betlemme, questa “grande luce” apparve a un piccolo nucleo di persone, un minuscolo “resto d’Israele”: la Vergine Maria, il suo sposo Giuseppe e alcuni pastori. Una luce umile, come è nello stile del vero Dio; una fiammella accesa nella notte: un fragile neonato, che vagisce nel silenzio del mondo… Ma accompagnava quella nascita nascosta e sconosciuta l’inno di lode delle schiere celesti, che cantavano gloria e pace (cfr
Lc 2,13-14).

Così quella luce, pur modesta nel suo apparire sulla terra, si proiettava con potenza nei cieli: la nascita del Re dei Giudei era stata annunciata dal sorgere di una stella, visibile da molto lontano. Fu questa la testimonianza di “alcuni Magi”, giunti da oriente a Gerusalemme poco dopo la nascita di Gesù, al tempo del re Erode (cfr Mt 2,1-2). Ancora una volta si richiamano e si rispondono il cielo e la terra, il cosmo e la storia. Le antiche profezie trovano riscontro nel linguaggio degli astri. “Una stella spunta da Giacobbe / e uno scettro sorge da Israele” (Nb 24,17), aveva annunciato il veggente pagano Balaam, chiamato a maledire il popolo d’Israele, e che invece lo benedisse perché – gli rivelò Dio – “quel popolo è benedetto” (Nb 22,12). Cromazio di Aquileia, nel suo Commento al Vangelo di Matteo, mettendo in relazione Balaam con i Magi; scrive: “Quegli profetizzò che Cristo sarebbe venuto; costoro lo scorsero con gli occhi della fede”. E aggiunge un’osservazione importante: “La stella era scorta da tutti, ma non tutti ne compresero il senso. Allo stesso modo il Signore e Salvatore nostro è nato per tutti, ma non tutti lo hanno accolto” (ivi, 4,1-2). Appare qui il significato, nella prospettiva storica, del simbolo della luce applicato alla nascita di Cristo: esso esprime la speciale benedizione di Dio sulla discendenza di Abramo, destinata ad estendersi a tutti i popoli della terra.

L’avvenimento evangelico che ricordiamo nell’Epifania – la visita dei Magi al Bambino Gesù a Betlemme – ci rimanda così alle origini della storia del popolo di Dio, cioè alla chiamata di Abramo. Siamo al capitolo 12° del Libro della Genesi. I primi 11 capitoli sono come grandi affreschi che rispondono ad alcune domande fondamentali dell’umanità: qual è l’origine dell’universo e del genere umano? Da dove viene il male? Perché ci sono diverse lingue e civiltà? Tra i racconti iniziali della Bibbia, compare una prima “alleanza”, stabilita da Dio con Noè, dopo il diluvio. Si tratta di un’alleanza universale, che riguarda tutta l’umanità: il nuovo patto con la famiglia di Noè è insieme patto con “ogni carne”. Poi, prima della chiamata di Abramo si trova un altro grande affresco molto importante per capire il senso dell’Epifania: quello della torre di Babele. Afferma il testo sacro che in origine “tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole” (Gn 11,1). Poi gli uomini dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra” (Gn 11,4). La conseguenza di questa colpa di orgoglio, analoga a quella di Adamo ed Eva, fu la confusione delle lingue e la dispersione dell’umanità su tutta la terra (cfr Gn 11,7-8). Questo significa “Babele”, e fu una sorta di maledizione, simile alla cacciata dal paradiso terrestre.

A questo punto inizia la storia della benedizione, con la chiamata di Abramo: incomincia il grande disegno di Dio per fare dell’umanità una famiglia, mediante l’alleanza con un popolo nuovo, da Lui scelto perché sia una benedizione in mezzo a tutte le genti (cfr Gn 12,1-3). Questo piano divino è tuttora in corso e ha avuto il suo momento culminante nel mistero di Cristo. Da allora sono iniziati gli “ultimi tempi”, nel senso che il disegno è stato pienamente rivelato e realizzato in Cristo, ma chiede di essere accolto dalla storia umana, che rimane sempre storia di fedeltà da parte di Dio e purtroppo anche di infedeltà da parte di noi uomini. La stessa Chiesa, depositaria della benedizione, è santa e composta di peccatori, segnata dalla tensione tra il “già” e il “non ancora”. Nella pienezza dei tempi Gesù Cristo è venuto a portare a compimento l’alleanza: Lui stesso, vero Dio e vero uomo, è il Sacramento della fedeltà di Dio al suo disegno di salvezza per l’intera umanità, per tutti noi.

L’arrivo dei Magi dall’Oriente a Betlemme, per adorare il neonato Messia, è il segno della manifestazione del Re universale ai popoli e a tutti gli uomini che cercano la verità. E’ l’inizio di un movimento opposto a quello di Babele: dalla confusione alla comprensione, dalla dispersione alla riconciliazione. Scorgiamo così un legame tra l’Epifania e la Pentecoste: se il Natale di Cristo, che è il Capo, è anche il Natale della Chiesa, suo corpo, noi vediamo nei Magi i popoli che si aggregano al resto d’Israele, preannunciando il grande segno della “Chiesa poliglotta”, attuato dallo Spirito Santo cinquanta giorni dopo la Pasqua. L’amore fedele e tenace di Dio, che mai viene meno alla sua alleanza di generazione in generazione. E’ il “mistero” di cui parla san Paolo nelle sue Lettere, anche nel brano della Lettera agli Efesini poc’anzi proclamato: l’Apostolo afferma che tale mistero “gli è stato fatto conoscere per rivelazione” (Ep 3,3) e lui è incaricato di farlo conoscere.

Questo “mistero” della fedeltà di Dio costituisce la speranza della storia. Certo, esso è contrastato da spinte di divisione e di sopraffazione, che lacerano l’umanità a causa del peccato e del conflitto di egoismi. La Chiesa è, nella storia, al servizio di questo “mistero” di benedizione per l’intera umanità. In questo mistero della fedeltà di Dio, la Chiesa assolve appieno la sua missione solo quando riflette in se stessa la luce di Cristo Signore, e così è di aiuto ai popoli del mondo sulla via della pace e dell’autentico progresso. Infatti resta sempre valida la parola di Dio rivelata per mezzo del profeta Isaia: “… le tenebre ricoprono la terra, / nebbia fitta avvolge le nazioni; / ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te” (Is 60,2). Quanto il profeta annuncia a Gerusalemme, si compie nella Chiesa di Cristo: “Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere” (Is 60,3).

Con Gesù Cristo la benedizione di Abramo si è estesa a tutti i popoli, alla Chiesa universale come nuovo Israele che accoglie nel suo seno l’intera umanità. Anche oggi, tuttavia, resta in molti sensi vero quanto diceva il profeta: “nebbia fitta avvolge le nazioni” e la nostra storia. Non si può dire infatti che la globalizzazione sia sinonimo di ordine mondiale, tutt’altro. I conflitti per la supremazia economica e l’accaparramento delle risorse energetiche, idriche e delle materie prime rendono difficile il lavoro di quanti, ad ogni livello, si sforzano di costruire un mondo giusto e solidale. C’è bisogno di una speranza più grande, che permetta di preferire il bene comune di tutti al lusso di pochi e alla miseria di molti. “Questa grande speranza può essere solo Dio … non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano” (Enc. Spe salvi ): il Dio che si è manifestato nel Bambino di Betlemme e nel Crocifisso-Risorto. Se c’è una grande speranza, si può perseverare nella sobrietà. Se manca la vera speranza, si cerca la felicità nell’ebbrezza, nel superfluo, negli eccessi, e si rovina se stessi e il mondo. La moderazione non è allora solo una regola ascetica, ma anche una via di salvezza per l’umanità. È ormai evidente che soltanto adottando uno stile di vita sobrio, accompagnato dal serio impegno per un’equa distribuzione delle ricchezze, sarà possibile instaurare un ordine di sviluppo giusto e sostenibile. Per questo c’è bisogno di uomini che nutrano una grande speranza e possiedano perciò molto coraggio. Il coraggio dei Magi, che intrapresero un lungo viaggio seguendo una stella, e che seppero inginocchiarsi davanti ad un Bambino e offrirgli i loro doni preziosi. Abbiamo tutti bisogno di questo coraggio, ancorato a una salda speranza. Ce lo ottenga Maria, accompagnandoci nel nostro pellegrinaggio terreno con la sua materna protezione. Amen!


SANTA MESSA NELLA CAPPELLA SISTINA E AMMINISTRAZIONE DEL SACRAMENTO DEL BATTESIMO

Festa del Battesimo del Signore, Domenica, 13 gennaio 2008

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Cari fratelli e sorelle,

l’odierna celebrazione è sempre per me motivo di gioia speciale. Amministrare il sacramento del Battesimo, nel giorno della festa del Battesimo del Signore, è infatti uno dei momenti più espressivi della nostra fede, in cui possiamo quasi vedere, attraverso i segni della liturgia, il mistero della vita. In primo luogo, vita umana, rappresentata qui in particolare da questi 13 bambini che sono il frutto del vostro amore, cari genitori, ai quali rivolgo il mio cordiale saluto, estendendolo ai padrini, alle madrine e agli altri parenti ed amici presenti. C’è poi il mistero della vita divina, che oggi Dio dona a questi piccoli mediante la rinascita dall’acqua e dallo Spirito Santo. Dio è vita, come è anche stupendamente rappresentato da alcune pitture che impreziosiscono questa Cappella Sistina.

Non sembri però fuori luogo se accostiamo subito, all’esperienza della vita, quella opposta e cioè la realtà della morte. Tutto ciò che ha inizio sulla terra prima o poi finisce, come l’erba del campo, che spunta al mattino e avvizzisce la sera. Però nel Battesimo il piccolo essere umano riceve una vita nuova, la vita della grazia, che lo rende capace di entrare in relazione personale con il Creatore, e questo per sempre, per tutta l’eternità. Sfortunatamente l’uomo è capace di spegnere questa nuova vita con il suo peccato, riducendosi ad una situazione che la Sacra Scrittura chiama "morte seconda". Mentre nelle altre creature, che non sono chiamate all’eternità, la morte significa soltanto la fine dell’esistenza sulla terra, in noi il peccato crea una voragine che rischia di inghiottirci per sempre, se il Padre che è nei cieli non ci tende la sua mano. Ecco, cari fratelli, il mistero del Battesimo: Dio ha voluto salvarci andando lui stesso fino in fondo all’abisso della morte, perché ogni uomo, anche chi è caduto tanto in basso da non vedere più il cielo, possa trovare la mano di Dio a cui aggrapparsi e risalire dalle tenebre a rivedere la luce per la quale egli è fatto. Tutti sentiamo, tutti percepiamo interiormente che la nostra esistenza è un desiderio di vita che invoca una pienezza, una salvezza. Questa pienezza di vita ci viene data nel Battesimo.

Abbiamo sentito poco fa il racconto del battesimo di Gesù nel Giordano. Fu un battesimo diverso da quello che questi bambini stanno per ricevere, ma non privo di un profondo rapporto con esso. In fondo, tutto il mistero di Cristo nel mondo si può riassumere con questa parola, "battesimo", che in greco significa "immersione". Il Figlio di Dio, che condivide dall’eternità con il Padre e con lo Spirito Santo la pienezza della vita, è stato "immerso" nella nostra realtà di peccatori, per renderci partecipi della sua stessa vita: si è incarnato, è nato come noi, è cresciuto come noi e, giunto all’età adulta, ha manifestato la sua missione iniziando proprio con il "battesimo di conversione" dato da Giovanni il Battista. Il suo primo atto pubblico, come abbiamo ascoltato poco fa, è stato scendere al Giordano, confuso tra i peccatori penitenti, per ricevere quel battesimo. Giovanni naturalmente non voleva, ma Gesù insistette, perché quella era la volontà del Padre (cfr
Mt 3,13-15).

Perché dunque il Padre ha voluto questo? Perché ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo come Agnello a prendere su di sé il peccato del mondo (cfr Jn 1,29)? Narra l’evangelista che, quando Gesù uscì dall’acqua, scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza di colomba, mentre la voce del Padre dal cielo lo proclamava "Figlio prediletto" (Mt 3,17). Fin da quel momento dunque Gesù fu rivelato come Colui che è venuto a battezzare l’umanità nello Spirito Santo: è venuto a portare agli uomini la vita in abbondanza (cfr Jn 10,10), la vita eterna, che risuscita l’essere umano e lo guarisce interamente, corpo e spirito, restituendolo al progetto originario per il quale è stato creato. Il fine dell’esistenza di Cristo è stato appunto donare all’umanità la vita di Dio, il suo Spirito d’amore, perché ogni uomo possa attingere da questa sorgente inesauribile di salvezza. Ecco perché san Paolo scrive ai Romani che noi siamo stati battezzati nella morte di Cristo per avere la sua stessa vita di risorto (cfr Rm 6,3-4). Ecco perché i genitori cristiani, come quest’oggi voi, portano appena possibile i loro figli al fonte battesimale, sapendo che la vita, che essi hanno loro comunicato, invoca una pienezza, una salvezza che solo Dio può dare. E in questo modo i genitori diventano collaboratori di Dio nel trasmettere ai loro figli non solo la vita fisica ma anche quella spirituale.

Cari genitori, insieme con voi ringrazio il Signore per il dono di questi bambini ed invoco la sua assistenza perché vi aiuti ad educarli e a inserirli nel Corpo spirituale della Chiesa. Mentre offrite loro ciò che è necessario alla crescita e alla salute, voi, aiutati dai padrini, siete impegnati a sviluppare in essi la fede, la speranza e la carità, le virtù teologali che sono proprie della vita nuova ad essi donata nel sacramento del Battesimo. Assicurerete ciò con la vostra presenza, con il vostro affetto; l’assicurerete prima di tutto e soprattutto con la preghiera, presentandoli quotidianamente a Dio, affidandoli a Lui in ogni stagione della loro esistenza. Certo per crescere sani e forti, questi bambini e bambine avranno bisogno di cure materiali e di tante attenzioni; ciò però che sarà loro più necessario, anzi indispensabile è conoscere, amare e servire fedelmente Dio, per avere la vita eterna. Cari genitori, siate per loro i primi testimoni di una fede autentica in Dio!

C’è nel rito del Battesimo un segno eloquente, che esprime proprio la trasmissione della fede ed è la consegna, per ognuno dei battezzandi, di una candela accesa alla fiamma del cero pasquale: è la luce di Cristo risorto che voi vi impegnate a trasmettere ai vostri figli. Così, di generazione in generazione, noi cristiani ci trasmettiamo la luce di Cristo, in modo che quando Egli ritornerà, possa trovarci con questa fiamma ardente tra le mani. Nel corso del rito io vi dirò: "A voi, genitori e padrini, è affidato questo segno pasquale, fiamma che sempre dovete alimentare". Alimentate sempre, cari fratelli e sorelle, la fiamma della fede con l’ascolto e la meditazione della Parola di Dio e l’assidua comunione con Gesù Eucaristia. Vi aiutino in questa stupenda, anche se non facile, missione i santi Protettori dei quali questi tredici bambini prenderanno i nomi. Aiutino, questi Santi, soprattutto loro, i battezzandi, a corrispondere alle vostre premure di genitori cristiani. Sia in particolare la Vergine Maria ad accompagnare loro e voi, cari genitori, ora e sempre. Amen!



CELEBRAZIONE DEI VESPRI NELLA FESTA DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO

A CONCLUSIONE DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI

Basilica di San Paolo fuori le Mura, Venerdì, 25 gennaio 2008

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Cari fratelli e sorelle,

la festa della Conversione di San Paolo ci pone nuovamente alla presenza di questo grande Apostolo, scelto da Dio per essere il suo "testimone davanti a tutti gli uomini" (
Ac 22,15). Per Saulo di Tarso, il momento dell’incontro con Cristo risorto sulla via di Damasco segnò la svolta decisiva della vita. Si attuò allora la sua completa trasformazione, una vera e propria conversione spirituale. In un istante, per intervento divino, l’accanito persecutore della Chiesa di Dio si ritrovò cieco brancolante nel buio, ma con nel cuore ormai una grande luce che lo avrebbe portato, di lì a poco, ad essere un ardente apostolo del Vangelo. La consapevolezza che solo la grazia divina aveva potuto realizzare una simile conversione non abbandonò mai Paolo. Quando egli aveva già dato il meglio di sé, consacrandosi instancabilmente alla predicazione del Vangelo, scrisse con rinnovato fervore: "Ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me" (1Co 15,10). Infaticabile come se l’opera della missione dipendesse interamente dai suoi sforzi, San Paolo fu tuttavia animato sempre dalla profonda persuasione che tutta la sua forza proveniva dalla grazia di Dio operante in lui.

Questa sera, le parole dell’Apostolo sul rapporto tra sforzo umano e grazia divina risuonano colme di un significato del tutto particolare. A conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, siamo ancor più coscienti di quanto l’opera della ricomposizione dell’unità, che richiede ogni nostra energia e sforzo, sia comunque infinitamente superiore alle nostre possibilità. L’unità con Dio e con i nostri fratelli e sorelle è un dono che viene dall’Alto, che scaturisce dalla comunione d’amore tra Padre, Figlio e Spirito Santo e che in essa si accresce e si perfeziona. Non è in nostro potere decidere quando o come questa unità si realizzerà pienamente. Solo Dio potrà farlo! Come San Paolo, anche noi riponiamo la nostra speranza e fiducia "nella grazia di Dio che è con noi". Cari fratelli e sorelle, questo vuole implorare la preghiera che insieme eleviamo al Signore, affinché sia Lui a illuminarci e sostenerci nella costante nostra ricerca di unità.

Ed ecco allora assumere il suo valore più pieno l’esortazione di Paolo ai cristiani di Tessalonica: "Pregate continuamente" (1Th 5,17), che è stata scelta come tema della Settimana di preghiera di quest’anno. L’Apostolo conosce bene quella comunità nata dalla sua attività missionaria, e nutre per essa grandi speranze. Ne conosce sia i meriti che le debolezze. Tra i suoi membri, infatti, non mancano comportamenti, atteggiamenti e dibattiti suscettibili di creare tensioni e conflitti, e Paolo interviene per aiutare la comunità a camminare nell’unità e nella pace. Alla conclusione dell’epistola, con una bontà quasi paterna, egli aggiunge una serie di esortazioni molto concrete, invitando i cristiani a favorire la partecipazione di tutti, a sostenere i deboli, ad essere pazienti, a non rendere male per male ad alcuno, a cercare sempre il bene, ad essere sempre lieti e a rendere grazie in ogni circostanza (cfr 1Th 5,12-22). Al centro di queste esortazioni, pone l’imperativo "pregate continuamente". Gli altri ammonimenti perderebbero infatti forza e coerenza, se non fossero sostenuti dalla preghiera. L’unità con Dio e con gli altri si costruisce innanzitutto mediante una vita di preghiera, nella costante ricerca della "volontà di Dio in Cristo Gesù verso di noi" (cfr 1Th 5,18).

L’invito rivolto da San Paolo ai Tessalonicesi è sempre attuale. Davanti alle debolezze ed ai peccati che impediscono ancora la piena comunione dei cristiani, ognuna di queste esortazioni ha mantenuto la sua pertinenza, ma ciò è particolarmente vero per l’imperativo "pregate continuamente". Che cosa diventerebbe il movimento ecumenico senza la preghiera personale o comune, affinché "tutti siano una cosa sola, come tu, Padre, sei in me ed io in te" (Jn 17,21)? Dove trovare lo "slancio supplementare" di fede, di carità e di speranza di cui ha oggi un particolare bisogno la nostra ricerca dell’unità? Il nostro desiderio di unità non dovrebbe limitarsi ad occasioni sporadiche, ma divenire parte integrante di tutta la nostra vita di preghiera. Sono stati uomini e donne formati nella Parola di Dio e nella preghiera gli artigiani della riconciliazione e dell’unità in ogni fase della storia. È il cammino della preghiera che ha aperto la strada al movimento ecumenico, così come lo conosciamo oggi. A partire dalla metà del XVIII secolo, sono emersi difatti vari movimenti di rinnovamento spirituale, desiderosi di contribuire per mezzo della preghiera alla promozione dell’unità dei cristiani. Fin dall’inizio, gruppi di cattolici, animati da personalità religiose di spicco, hanno partecipato attivamente a simili iniziative. La preghiera per l’unità è stata sostenuta anche da miei venerati Predecessori, come Papa Leone XIII, il quale, già nel 1895, raccomandava l’introduzione di una novena di preghiera per l’unità dei cristiani. Questi sforzi, compiuti secondo le possibilità della Chiesa del tempo, intendevano attuare la preghiera pronunciata da Gesù stesso nel Cenacolo "perché tutti siano una cosa sola" (Jn 17,21). Non esiste pertanto un ecumenismo genuino che non affondi le sue radici nella preghiera.

Quest’anno celebriamo il centesimo anniversario dell’"Ottavario per l’unità della Chiesa", divenuto in seguito "Settimana di Preghiera per l’unità dei Cristiani". Cento anni fa, Padre Paul Wattson, all’epoca ancora ministro episcopaliano, ideò un ottavario di preghiera per l’unità, che fu celebrato per la prima volta a Graymoor (New York) dal 18 al 25 gennaio 1908. Questa sera, è con grande gioia che rivolgo il mio saluto al Ministro Generale e alla delegazione internazionale dei Fratelli e delle Sorelle francescani dell’Atonement, Congregazione fondata da Padre Paul Wattson e promotrice della sua eredità spirituale. Negli anni trenta del secolo scorso, l’ottavario di preghiera conobbe importanti adattamenti dietro impulso soprattutto dell’Abbé Paul Couturier di Lione, anch’egli grande promotore dell’ecumenismo spirituale. Il suo invito a "pregare per l’unità della Chiesa così come Cristo la vuole e secondo i mezzi che Lui vuole", permise a cristiani di tutte le tradizioni di unirsi in una sola preghiera per l’unità. Rendiamo grazie a Dio per il grande movimento di preghiera che, da cento anni, accompagna e sostiene i credenti in Cristo nella loro ricerca di unità. La barca dell’ecumenismo non sarebbe mai uscita dal porto se non fosse stata mossa da quest’ampia corrente di preghiera e spinta dal soffio dello Spirito Santo.

Congiuntamente alla Settimana di preghiera, molte comunità religiose e monastiche hanno invitato ed aiutato i loro membri a "pregare continuamente" per l’unità dei cristiani. In questa occasione che ci vede riuniti, ricordiamo in particolare la vita e la testimonianza di Suor Maria Gabriella dell’Unità (1914-1936), suora trappista del monastero di Grottaferrata (attualmente a Vitorchiano). Quando la sua superiora, incoraggiata dall’Abbé Paul Couturier, invitò le sorelle a pregare e a fare dono di sé per l’unità dei cristiani, Suor Maria Gabriella si sentì immediatamente coinvolta e non esitò a dedicare la sua giovane esistenza a questa grande causa. Oggi stesso ricorre il venticinquesimo anniversario della sua beatificazione da parte del mio predecessore, Papa Giovanni Paolo II. Quell’evento ebbe luogo in questa Basilica precisamente il 25 gennaio 1983, durante la celebrazione di chiusura della Settimana di Preghiera per l’Unità. Nella sua omelia, il Servo di Dio ebbe a sottolineare i tre elementi su cui si costruisce la ricerca dell’unità: la conversione, la croce e la preghiera. Su questi tre elementi si fondarono anche la vita e la testimonianza di Suor Maria Gabriella. L’ecumenismo ha un forte bisogno, oggi come ieri, del grande "monastero invisibile" di cui parlava l’Abbé Paul Couturier, di quella vasta comunità di cristiani di tutte le tradizioni che, senza clamore, pregano ed offrono la loro vita affinché si realizzi l’unità.

Inoltre, da quarant’anni esatti, le comunità cristiane di tutto il mondo ricevono per la Settimana meditazioni e preghiere preparate congiuntamente dalla Commissione "Fede e Costituzione" del Consiglio Ecumenico delle Chiese e dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Questa felice collaborazione ha permesso di ampliare il vasto circolo di preghiera e preparare i suoi contenuti in maniera più adeguata. Questa sera, saluto cordialmente il Rev. Dott. Samuel Kobia, Segretario Generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese, che è venuto a Roma per unirsi a noi nel centenario della Settimana di preghiera. Sono lieto per la presenza dei membri del "Gruppo Misto di Lavoro", che saluto con affetto. Il Gruppo Misto è lo strumento di cooperazione tra la Chiesa cattolica ed il Consiglio Ecumenico delle Chiese nella nostra ricerca comune di unità. E, come ogni anno, rivolgo il mio saluto fraterno anche ai vescovi, ai sacerdoti, ai pastori delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali che hanno qui a Roma i loro rappresentanti. La vostra partecipazione a questa preghiera è espressione tangibile dei legami che ci uniscono in Cristo Gesù: "Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20).

In questa storica Basilica, il 28 giugno prossimo, si aprirà l’anno consacrato alla testimonianza e all’insegnamento dell’apostolo Paolo. Che il suo instancabile fervore nel costruire il Corpo di Cristo nell’unità ci aiuti a pregare incessantemente per la piena unità di tutti i cristiani! Amen!


Benedetto XVI Omelie 31127