Benedetto XVI Omelie 18


CELEBRAZIONE DEI VESPRI NELLA FESTA DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO

A CONCLUSIONE DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI

Patriarcale Basilica di San Paolo fuori le Mura, Mercoledì, 25 gennaio 2006

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Cari fratelli e sorelle!

In questo giorno, nel quale si celebra la conversione dell'apostolo Paolo, concludiamo, riuniti in fraterna assemblea liturgica, l'annuale Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. È significativo che la memoria della conversione dell'Apostolo delle genti coincida con la giornata finale di questa importante Settimana, in cui con particolare intensità domandiamo a Dio il dono prezioso dell'unità tra tutti i cristiani, facendo nostra l'invocazione che Gesù stesso elevò al Padre per i suoi discepoli: "Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (
Jn 17,21). L'aspirazione di ogni Comunità cristiana e di ogni singolo fedele all'unità e la forza per realizzarla sono un dono dello Spirito Santo e vanno di pari passo con una sempre più profonda e radicale fedeltà al Vangelo (cfr Enc. Ut unum sint UUS 15). Ci rendiamo conto che alla base dell'impegno ecumenico c'è la conversione del cuore, come afferma chiaramente il Concilio Vaticano II: "Ecumenismo vero non c'è senza interiore conversione; poiché il desiderio dell'unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall'abnegazione di se stessi e dalla liberissima effusione della carità" (Decr. Unitatis redintegratio UR 7).

Deus caritas est (1Jn 4,8 1Jn 4,16), Dio è amore. Su questa solida roccia poggia tutta intera la fede della Chiesa. In particolare, si basa su di essa la paziente ricerca della piena comunione tra tutti i discepoli di Cristo: fissando lo sguardo su questa verità, culmine della divina rivelazione, le divisioni, pur mantenendo la loro dolorosa gravità, appaiono superabili e non ci scoraggiano. Il Signore Gesù, che con il sangue della sua Passione ha abbattuto "il muro di separazione" dell'"inimicizia" (Ep 2,14), non mancherà di concedere a quanti lo invocano con fede la forza per rimarginare ogni lacerazione. Ma occorre sempre ripartire da qui: Deus caritas est. Al tema dell'amore ho voluto dedicare la mia prima Enciclica, che proprio oggi è stata pubblicata e questa felice coincidenza con la conclusione della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani ci invita a considerare questo nostro incontro, ma, ben più in là, tutto il cammino ecumenico nella luce dell'amore di Dio, dell'Amore che è Dio. Se già sotto il profilo umano l'amore si manifesta come una forza invincibile, che cosa dobbiamo dire noi, che "abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi" (1Jn 4,16)? L'amore vero non annulla le legittime differenze, ma le armonizza in una superiore unità, che non viene imposta dall'esterno, ma che dall'interno dà forma, per così dire, all'insieme. È il mistero della comunione, che come unisce l'uomo e la donna in quella comunità d'amore e di vita che è il matrimonio, così forma la Chiesa quale comunità d'amore, componendo in unità una multiforme ricchezza di doni, di tradizioni. Al servizio di tale unità d'amore è posta la Chiesa di Roma che, secondo l'espressione di sant'Ignazio di Antiochia, "presiede alla carità" (Ad Rom 1, 1). Davanti a voi, cari fratelli e sorelle, desidero oggi rinnovare l'affidamento a Dio del mio peculiare ministero petrino, invocando su di esso la luce e la forza dello Spirito Santo, affinché favorisca sempre la fraterna comunione tra tutti i cristiani.

Il tema dell'amore lega in profondità le due brevi letture bibliche dell'odierna liturgia vespertina. Nella prima, la carità divina è la forza che trasforma la vita di Saulo di Tarso e ne fa l'Apostolo delle genti. Scrivendo ai cristiani di Corinto, san Paolo confessa che la grazia di Dio ha operato in lui l'evento straordinario della conversione: "Per grazia di Dio sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana" (1Co 15,10). Da una parte sente il peso di essere stato di ostacolo alla diffusione del messaggio di Cristo, ma nel contempo vive nella gioia di avere incontrato il Signore risorto e di essere stato illuminato e trasformato dalla sua luce. Egli conserva una costante memoria di quell'evento che ha cambiato la sua esistenza, evento talmente importante per la Chiesa intera che negli Atti degli Apostoli vi si fa riferimento ben tre volte (cfr Ac 9,3-9 Ac 22,6-11 Ac 26,12-18). Sulla via di Damasco, Saulo sentì lo sconvolgente interrogativo: "Perché mi perseguiti?". Caduto a terra e interiormente turbato, domandò: "Chi sei, o Signore?", ottenendo quella risposta che è alla base della sua conversione: "Io sono Gesù, che tu perseguiti" (Ac 9,4-5). Paolo comprese in un istante ciò che avrebbe espresso poi nei suoi scritti, che la Chiesa forma un corpo unico di cui Cristo è il Capo. Così, da persecutore dei cristiani diventò l'Apostolo delle genti.

Nel brano evangelico di Matteo, che poc'anzi abbiamo ascoltato, l'amore opera come principio che unisce i cristiani e fa sì che la loro preghiera unanime venga esaudita dal Padre celeste. Dice Gesù: "Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà" (Mt 18,19). Il verbo che l'evangelista usa per "si accorderanno" è synphonesosin: c'è il riferimento ad una "sinfonia" dei cuori. È questo che ha presa sul cuore di Dio. L'accordo nella preghiera risulta dunque importante ai fini del suo accoglimento da parte del Padre celeste. Il chiedere insieme segna già un passo verso l'unità tra coloro che chiedono. Ciò non significa certamente che la risposta di Dio venga in qualche modo determinata dalla nostra domanda. Lo sappiamo bene: l'auspicato compimento dell'unità dipende in primo luogo dalla volontà di Dio, il cui disegno e la cui generosità superano la comprensione dell'uomo e le sue stesse richieste ed attese. Contando proprio sulla bontà divina, intensifichiamo la nostra preghiera comune per l'unità, che è un mezzo necessario e quanto mai efficace, come ha ricordato Giovanni Paolo II nell'Enciclica Ut unum sint: "Sulla via ecumenica verso l'unità, il primato spetta senz'altro alla preghiera comune, all'unione orante di coloro che si stringono insieme attorno a Cristo stesso" (UUS 22).

Analizzando poi più profondamente questi versetti evangelici, comprendiamo meglio la ragione per cui il Padre risponderà positivamente alla domanda della comunità cristiana: "Perché - dice Gesù - dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro". È la presenza di Cristo che rende efficace la preghiera comune di coloro che sono riuniti nel suo nome. Quando i cristiani si raccolgono per pregare, Gesù stesso è in mezzo a loro. Essi sono uno con Colui che è l'unico mediatore tra Dio e gli uomini. La Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II si riferisce proprio a questo passo del Vangelo per indicare uno dei modi della presenza di Cristo: "Quando la Chiesa prega e canta i Salmi, è presente Lui che ha promesso: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20)" (Sacrosanctum Concilium SC 7).

Commentando questo testo dell'evangelista Matteo, san Giovanni Crisostomo si chiede: "Ebbene, non ci sono due o tre che si riuniscono nel suo nome? Ci sono - egli risponde - ma raramente" (Omelie sul Vangelo di MT 60,3). Questa sera provo un'immensa gioia nel vedere una così nutrita ed orante assemblea, che implora in modo "sinfonico" il dono dell'unità. A tutti e a ciascuno rivolgo il mio cordiale saluto. Saluto con particolare affetto i fratelli delle altre Chiese e Comunità ecclesiali di questa Città, uniti nell'unico battesimo, che ci fa membra dell'unico Corpo mistico di Cristo. Sono appena trascorsi 40 anni da quando, proprio in questa Basilica, il 5 dicembre del 1965, il Servo di Dio Paolo VI, di felice memoria, celebrò la prima preghiera comune, a conclusione del Concilio Vaticano II, con la solenne presenza dei Padri conciliari e la partecipazione attiva degli Osservatori delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. In seguito, l'amato Giovanni Paolo II ha continuato con perseveranza la tradizione di concludere qui la Settimana di preghiera.

Sono certo che questa sera entrambi ci guardano dal Cielo e si uniscono alla nostra preghiera. Fra coloro che prendono parte a questa nostra assemblea vorrei specialmente salutare e ringraziare il gruppo dei delegati di Chiese, di Conferenze Episcopali, di Comunità cristiane e di organismi ecumenici che avviano la preparazione della Terza Assemblea Ecumenica Europea, in programma a Sìbiu, in Romania, nel settembre del 2007, sul tema: "La luce di Cristo illumina tutti. Speranza di rinnovamento e unità in Europa". Sì, cari fratelli e sorelle, noi cristiani abbiamo il compito di essere, in Europa e tra tutti i popoli, "luce del mondo" (Mt 5,14). Voglia Iddio concederci di raggiungere presto l'auspicata piena comunione. La ricomposizione della nostra unità darà maggiore efficacia all'evangelizzazione. L'unità è la nostra comune missione; è la condizione perché la luce di Cristo si diffonda più efficacemente in ogni angolo del mondo e gli uomini si convertano e siano salvati. Quanta strada sta dinanzi a noi! Eppure non perdiamo la fiducia, anzi con più lena riprendiamo il cammino insieme. Cristo ci precede e ci accompagna. Noi contiamo sulla sua indefettibile presenza; da Lui umilmente e instancabilmente imploriamo il prezioso dono dell'unità e della pace.


SANTA MESSA PER I RELIGIOSI E LE RELIGIOSE NELLA FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE

GIORNATA DELLA VITA CONSACRATA

Basilica Vaticana, Giovedì, 2 febbraio 2006

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Cari fratelli e sorelle!

L'odierna festa della Presentazione al tempio di Gesù, a quaranta giorni dalla sua nascita, pone davanti ai nostri occhi un momento particolare della vita della santa Famiglia: secondo la legge mosaica, il piccolo Gesù viene portato da Maria e Giuseppe nel tempio di Gerusalemme per essere offerto al Signore (cfr
Lc 2,22). Simeone ed Anna, ispirati da Dio, riconoscono in quel Bambino il Messia tanto atteso e profetizzano su di Lui. Siamo in presenza di un mistero, semplice e solenne al tempo stesso, nel quale la santa Chiesa celebra Cristo, il Consacrato del Padre, primogenito della nuova umanità.

La suggestiva processione dei ceri all'inizio della nostra celebrazione ci ha fatto rivivere il maestoso ingresso, cantato nel Salmo responsoriale, di Colui che è "il re della gloria", "il Signore potente in battaglia" (Ps 23,7 Ps 23,8). Ma chi è il Dio potente che entra nel tempio? È un Bambino; è il Bambino Gesù, tra le braccia di sua madre, la Vergine Maria. La santa Famiglia compie quanto prescriveva la Legge: la purificazione della madre, l'offerta del primogenito a Dio e il suo riscatto mediante un sacrificio. Nella prima Lettura la Liturgia parla dell'oracolo del profeta Malachia: "Subito entrerà nel suo tempio il Signore" (Ml 3,1). Queste parole comunicano tutta l'intensità del desiderio che ha animato l'attesa da parte del popolo ebreo nel corso dei secoli. Entra finalmente nella sua casa "l'angelo dell'alleanza" e si sottomette alla Legge: viene a Gerusalemme per entrare in atteggiamento di obbedienza nella casa di Dio.

Il significato di questo gesto acquista una prospettiva più ampia nel brano della Lettera agli Ebrei, proclamato oggi come seconda Lettura. Qui ci viene presentato Cristo, il mediatore che unisce Dio e l'uomo abolendo le distanze, eliminando ogni divisione e abbattendo ogni muro di separazione. Cristo viene come nuovo "sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo" (He 2,17). Notiamo così che la mediazione con Dio non si attua più nella santità-separazione del sacerdozio antico, ma nella solidarietà liberante con gli uomini. Egli inizia, ancora Bambino, a camminare sulla via dell'obbedienza, che percorrerà fino in fondo. Lo pone ben in luce la Lettera agli Ebrei quando dice: "Nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche... a colui che poteva liberarlo da morte ... Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono" (cfr He 5,7-9).

La prima persona che si associa a Cristo sulla via dell'obbedienza, della fede provata e del dolore condiviso è sua madre Maria. Il testo evangelico ce la mostra nell'atto di offrire il Figlio: un'offerta incondizionata che la coinvolge in prima persona: Maria è Madre di Colui che è "gloria del suo popolo Israele" e "luce per illuminare le genti", ma anche "segno di contraddizione" (cfr Lc 2,32 Lc 2,34). E lei stessa, nella sua anima immacolata, dovrà essere trafitta dalla spada del dolore, mostrando così che il suo ruolo nella storia della salvezza non si esaurisce nel mistero dell'Incarnazione, ma si completa nell'amorosa e dolorosa partecipazione alla morte e alla risurrezione del Figlio suo. Portando il Figlio a Gerusalemme, la Vergine Madre lo offre a Dio come vero Agnello che toglie i peccati del mondo; lo porge a Simeone e ad Anna quale annuncio di redenzione; lo presenta a tutti come luce per un cammino sicuro sulla via della verità e dell'amore.

Le parole che in quest'incontro affiorano sulle labbra del vecchio Simeone - "I miei occhi han visto la tua salvezza" (Lc 2,30) - trovano eco nell'animo della profetessa Anna. Queste persone giuste e pie, avvolte dalla luce di Cristo, possono contemplare nel Bambino Gesù "il conforto d'Israele" (Lc 2,25). La loro attesa si trasforma così in luce che rischiara la storia. Simeone è portatore di un'antica speranza e lo Spirito del Signore parla al suo cuore: per questo può contemplare colui che molti profeti e re avevano desiderato vedere, Cristo, luce che illumina le genti. In quel Bambino riconosce il Salvatore, ma intuisce nello Spirito che intorno a Lui si giocheranno i destini dell'umanità, e che dovrà soffrire molto da parte di quanti lo rifiuteranno; ne proclama l'identità e la missione di Messia con le parole che formano uno degli inni della Chiesa nascente, dal quale si sprigiona tutta l'esultanza comunitaria ed escatologica dell'attesa salvifica realizzata. L'entusiasmo è così grande che vivere e morire sono la stessa cosa, e la "luce" e la "gloria" diventano una rivelazione universale. Anna è "profetessa", donna saggia e pia che interpreta il senso profondo degli eventi storici e del messaggio di Dio in essi celato. Per questo può "lodare Dio" e parlare "del Bambino a tutti coloro che aspettavano la redenzione di Gerusalemme" (Lc 2,38). La lunga vedovanza dedita al culto nel tempio, la fedeltà ai digiuni settimanali, la partecipazione all'attesa di quanti anelavano il riscatto d'Israele si concludono nell'incontro con il Bambino Gesù.

Cari fratelli e sorelle, in questa festa della Presentazione del Signore la Chiesa celebra la Giornata della Vita Consacrata. Si tratta di un'opportuna occasione per lodare il Signore e ringraziarlo del dono inestimabile che la vita consacrata nelle sue differenti forme rappresenta; è al tempo stesso uno stimolo a promuovere in tutto il popolo di Dio la conoscenza e la stima per chi è totalmente consacrato a Dio. Come, infatti, la vita di Gesù, nella sua obbedienza e dedizione al Padre, è parabola vivente del "Dio con noi", così la concreta dedizione delle persone consacrate a Dio e ai fratelli diventa segno eloquente della presenza del Regno di Dio per il mondo di oggi. Il vostro modo di vivere e di operare è in grado di manifestare senza attenuazioni la piena appartenenza all'unico Signore; la vostra completa consegna nelle mani di Cristo e della Chiesa è un annuncio forte e chiaro della presenza di Dio in un linguaggio comprensibile ai nostri contemporanei. È questo il primo servizio che la vita consacrata rende alla Chiesa e al mondo. All'interno del Popolo di Dio essi sono come sentinelle che scorgono e annunciano la vita nuova già presente nella nostra storia.

Mi rivolgo ora in modo speciale a voi, cari fratelli e sorelle che avete abbracciato la vocazione di speciale consacrazione, per salutarvi con affetto e ringraziarvi di cuore per la vostra presenza. Un saluto speciale rivolgo a Mons. Franc Rodé, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, e ai suoi collaboratori, che concelebrano con me in questa Santa Messa. Il Signore rinnovi ogni giorno in voi e in tutte le persone consacrate la risposta gioiosa al suo amore gratuito e fedele. Cari fratelli e sorelle, come ceri accesi, irradiate sempre e in ogni luogo l'amore di Cristo, luce del mondo. Maria Santissima, la Donna consacrata, vi aiuti a vivere appieno questa vostra speciale vocazione e missione nella Chiesa per la salvezza del mondo.

Amen!


SANTA MESSA NELLA PARROCCHIA DI SANT'ANNA IN VATICANO, Domenica, 5 febbraio 2006

50206
Cari fratelli e sorelle,

Il Vangelo ora ascoltato (
Mc 1,29-39) comincia con un episodio molto simpatico, molto bello ma anche pieno di significato. Il Signore si reca alla casa di Simon Pietro ed Andrea e trova ammalata con febbre la suocera di Pietro; la prende per mano, la solleva e la donna è guarita e si mette a servire. In questo episodio appare simbolicamente tutta la missione di Gesù. Gesù venendo dal Padre si reca nella casa dell'umanità, sulla nostra terra e trova un'umanità ammalata, ammalata di febbre, di quella febbre che sono le ideologie, le idolatrie, la dimenticanza di Dio. Il Signore ci dà la sua mano, ci solleva e ci guarisce. E lo fa in tutti i secoli; ci prende per mano con la sua parola, e così dissipa le nebbie delle ideologie, delle idolatrie. Prende la nostra mano nei sacramenti, ci risana dalla febbre delle nostre passioni e dei nostri peccati mediante l'assoluzione nel sacramento della riconciliazione. Ci dà la capacità di alzarci, di stare in piedi davanti a Dio e davanti agli uomini. E proprio con questo contenuto della liturgia domenicale il Signore si incontra con noi, ci prende per mano, ci solleva e ci sana sempre di nuovo con il dono della sua parola, il dono di se stesso.

Ma anche la seconda parte di questo episodio è importante, questa donna appena guarita si mette a servirli, dice il Vangelo. Subito comincia a lavorare, ad essere a disposizione degli altri, e così diventa rappresentanza di tante buone donne, madri, nonne, donne nelle diverse professioni, che sono disponibili, si alzano e servono, e sono anima della famiglia, anima della parrocchia. E qui vedendo il dipinto sopra l'altare, vediamo che non fanno solo servizi esteriori, sant'Anna introduce la grande figlia, la Madonna, nelle Sacre Scritture, nella speranza di Israele, nella quale lei sarebbe stata proprio il luogo dell'adempimento. Le donne sono anche le prime portatrici della parola di Dio del Vangelo, sono vere evangeliste. E mi sembra che questo Vangelo con questo episodio apparentemente così modesto, proprio qui nella chiesa di sant'Anna ci dà l'occasione di dire un grazie sentito a tutte le donne che animano questa parrocchia, alle donne che servono in tutte le dimensioni, che ci aiutano sempre di nuovo a conoscere la parola di Dio non solo con l'intelletto, ma col cuore.

Ritorniamo al Vangelo: Gesù dorme nella casa di Pietro, ma di prima mattina quando ancora è buio, si alza ed esce e cerca un luogo deserto e prega. E qui appare il vero centro del mistero di Gesù. Gesù sta in colloquio con il Padre ed eleva la sua anima umana nella comunione con la persona del Figlio, così che l'umanità del Figlio, unita a Lui, parla nel dialogo trinitario col Padre; e così rende possibile anche a noi la vera preghiera. Nella liturgia Gesù prega con noi, noi preghiamo con Gesù e così noi entriamo in contatto reale con Dio, entriamo nel mistero dell'eterno amore della Santissima Trinità.

Gesù parla con il Padre, questa è la fonte ed il centro di tutte le attività di Gesù; vediamo la sua predicazione, le guarigioni, i miracoli e infine la passione, escono da questo centro, dal suo essere col Padre. E così questo Vangelo ci insegna il centro della fede e della nostra vita cioè il primato di Dio. Dove Dio non c'è, anche l'uomo non è più rispettato. Solo se lo splendore di Dio rifulge sul volto dell'uomo, l'uomo immagine di Dio è protetto da una dignità che poi da nessuno deve essere violata.

Il primato di Dio. Vediamo nel "Padre nostro" come le tre prime domande si riferiscano proprio a questo primato di Dio: che il nome di Dio sia santificato, che il rispetto del mistero divino sia vivo e animi tutta la nostra vita; che "venga il regno di Dio" e "sia fatta la sua volontà" sono due aspetti diversi della stessa medaglia; dove è fatta la volontà di Dio c'è già il cielo, comincia anche in terra un po' di cielo, e dove viene fatta la volontà di Dio è presente il Regno Dio. Perché il Regno di Dio non è una serie di cose, il Regno di Dio è la presenza di Dio, l'unione dell'uomo con Dio. E verso questo obiettivo Gesù ci vuole guidare.

Centro del suo annuncio è il regno di Dio, cioè Dio come fonte e centro della nostra vita, e ci dice: solo Dio è la redenzione dell'uomo. E possiamo vedere nella storia del secolo scorso, come negli Stati dove Dio era abolito, non solo l'economia è stata distrutta, ma soprattutto le anime. Le distruzioni morali, le distruzioni della dignità dell'uomo sono le distruzioni fondamentali e il rinnovamento può venire solo dal ritorno di Dio, cioè dal riconoscimento della centralità di Dio. In questi giorni un vescovo del Congo in visita ad limina mi ha detto: gli europei ci danno generosamente molte cose per lo sviluppo, ma c'è un'esitazione nell'aiutarci per la pastorale; sembra che considerino inutile la pastorale, che sia importante solo lo sviluppo tecnico-materiale. Ma è vero il contrario - ha detto - dove non c'è parola di Dio lo sviluppo non funziona, e non dà risultati positivi. Solo se c'è la parola di Dio prima, solo se l'uomo è riconciliato con Dio, anche le cose materiali possono andare bene.

Il Vangelo stesso con la sua continuazione conferma questo fortemente. Gli apostoli dicono a Gesù: ritorna, tutti ti cercano. E lui dice: no, devo andare negli altri paesi per annunciare Dio e per scacciare via i demoni, le forze del male; per questo sono venuto. Gesù è venuto - nel testo greco è scritto: "sono uscito dal Padre" - non per portare le comodità della vita, ma per portare la condizione fondamentale della nostra dignità, per portarci l'annuncio di Dio, la presenza di Dio e così vincere le forze del male. Questa priorità egli indica con grande chiarezza: non sono venuto per guarire - anche questo faccio, ma come segno - sono venuto per riconciliarvi con Dio. Dio è il nostro creatore, Dio ci ha dato la vita, la nostra dignità: E lui dobbiamo soprattutto rivolgerci.

E come ha detto padre Gioele, la chiesa celebra oggi in Italia la Giornata per la Vita. I Vescovi italiani hanno voluto richiamare nel loro messaggio il dovere prioritario di "rispettare la vita", trattandosi di un bene "indisponibile": l'uomo non è il padrone della vita; ne è piuttosto il custode e l'amministratore. E sotto il primato di Dio automaticamente nasce questa priorità di amministrare, di custodire la vita dell'uomo, creata da Dio. Questa verità che l'uomo è custode ed amministratore della vita costituisce un punto qualificante della legge naturale, pienamente illuminato dalla rivelazione biblica. Esso si presenta oggi come "segno di contraddizione" rispetto alla mentalità dominante. Constatiamo infatti che, malgrado vi sia in senso generale un'ampia convergenza sul valore della vita, tuttavia quando si arriva a questo punto, cioè alla "disponibilità" o indisponibilità della vita, due mentalità si oppongono in maniera inconciliabile. Per esprimerci in termini semplificati, potremmo dire: l'una delle due mentalità ritiene che la vita umana sia nelle mani dell'uomo, l'altra riconosce che essa è nelle mani di Dio. La cultura moderna ha legittimamente enfatizzato l'autonomia dell'uomo e delle realtà terrene, sviluppando così una prospettiva cara al Cristianesimo, quella dell'Incarnazione di Dio. Ma, come ha affermato chiaramente il Concilio Vaticano II, se questa autonomia porta a pensare che "le cose create non dipendono da Dio, e che l'uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore", allora si dà origine a un profondo squilibrio, perché "la creatura senza il Creatore svanisce" (Gaudium et spes GS 36). È significativo che il documento conciliare, nel passo citato, affermi che questa capacità di riconoscere la voce e la manifestazione di Dio nella bellezza del creato appartiene a tutti i credenti, a qualunque religione appartengano. Ne possiamo concludere che il rispetto pieno della vita è legato al senso religioso, all'atteggiamento interiore con cui l'uomo si pone nei confronti della realtà, se come padrone o come custode. Del resto, la parola "rispetto", deriva dal verbo latino respicere-guardare, e indica un modo di guardare le cose e le persone che porta a riconoscerne la consistenza, a non appropriarsene, ma ad averne riguardo, prendendosene cura. In ultima analisi, se vien tolto alle creature il loro riferimento a Dio, come fondamento trascendente, esse rischiano di cadere in balia dell'arbitrio dell'uomo che può farne, come vediamo, un uso dissennato.

Cari fratelli e sorelle, invochiamo insieme l'intercessione di sant'Anna per la vostra comunità parrocchiale, che saluto con affetto. Saluto in particolare il Parroco, Padre Gioele, e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto all'inizio; saluto poi i confratelli Agostiniani con il loro Priore Generale; saluto Mons. Angelo Comastri, mio Vicario Generale per la Città del Vaticano, Mons. Rizzato, mio Elemosiniere, e tutti i presenti, in modo speciale i bambini, i giovani e quanti abitualmente frequentano questa Chiesa. Su tutti vegli sant'Anna, vostra celeste Patrona, ed ottenga per ciascuno il dono di essere testimone del Dio della vita e dell'amore.


STAZIONE QUARESIMALE PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE NELLA BASILICA DI SANTA SABINA ALL’AVENTINO

Mercoledì delle Ceneri, 1° marzo 2006

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
cari fratelli e sorelle!

La processione penitenziale, con cui abbiamo iniziato l'odierna celebrazione, ci ha aiutati ad entrare nel clima tipico della Quaresima, che è un pellegrinaggio personale e comunitario di conversione e di rinnovamento spirituale. Secondo l'antichissima tradizione romana delle stationes quaresimali, durante questo tempo i fedeli, insieme ai pellegrini, ogni giorno si radunano e fanno sosta - statio - presso una delle tante "memorie" dei Martiri, che costituiscono le fondamenta della Chiesa di Roma. Nelle Basiliche, dove vengono esposte le loro reliquie, è celebrata la Santa Messa preceduta da una processione, durante la quale si cantano le litanie dei Santi. Si fa così memoria di quanti con il loro sangue hanno reso testimonianza a Cristo, e la loro evocazione diventa stimolo per ciascun cristiano a rinnovare la propria adesione al Vangelo. Malgrado il passare dei secoli, questi riti conservano il loro valore, perché ricordano quanto importante sia, anche in questi nostri tempi, accogliere senza compromessi le parole di Gesù: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua" (
Lc 9,23).

Altro rito simbolico, gesto proprio ed esclusivo del primo giorno della Quaresima, è l'imposizione delle Ceneri. Qual è il suo più pregnante significato? Non si tratta certo di mero ritualismo, ma di qualcosa di assai profondo, che tocca il nostro cuore. Esso ci fa comprendere l'attualità dell'ammonimento del profeta Gioele, riecheggiato nella prima Lettura, ammonimento che conserva anche per noi la sua salutare validità: ai gesti esteriori deve sempre corrispondere la sincerità dell'animo e la coerenza delle opere. A che serve infatti - si domanda l'autore ispirato - lacerarsi le vesti, se il cuore rimane lontano dal Signore, cioè dal bene e dalla giustizia? Ecco ciò che conta veramente: ritornare a Dio, con animo sinceramente pentito, per ottenere la sua misericordia (cfr Jl 2,12-18). Un cuore nuovo e uno spirito nuovo: questo domandiamo con il Salmo penitenziale per eccellenza, il Miserere, che quest'oggi cantiamo col ritornello "Perdonaci, Signore, abbiamo peccato". Il vero credente, consapevole di essere peccatore, aspira con tutto se stesso - spirito, anima e corpo - al perdono divino, come a una nuova creazione, in grado di restituirgli gioia e speranza (cfr Ps 50,3 Ps 50,5 Ps 50,12 Ps 50,14).

Un altro aspetto della spiritualità quaresimale è quello che potremmo definire "agonistico", ed emerge nell'odierna orazione "colletta", là dove si parla di "armi" della penitenza e di "combattimento" contro lo spirito del male. Ogni giorno, ma particolarmente in Quaresima, il cristiano deve affrontare una lotta, come quella che Cristo ha sostenuto nel deserto di Giuda, dove per quaranta giorni fu tentato dal diavolo, e poi nel Getsemani, quando respinse l'estrema tentazione accettando fino in fondo la volontà del Padre. Si tratta di una battaglia spirituale, che è diretta contro il peccato e, ultimamente, contro satana. È una lotta che investe l'intera persona e richiede un'attenta e costante vigilanza. Osserva sant'Agostino che chi vuole camminare nell'amore di Dio e nella sua misericordia non può accontentarsi di liberarsi dai peccati gravi e mortali, ma "opera la verità riconoscendo anche i peccati che si considerano meno gravi ... e viene alla luce compiendo opere degne. Anche i peccati meno gravi, se trascurati, proliferano e producono la morte" (In Io. evang. 12, 13, 35).

La Quaresima ci ricorda, pertanto, che l'esistenza cristiana è un combattimento senza sosta, nel quale vanno utilizzate le "armi" della preghiera, del digiuno e della penitenza. Lottare contro il male, contro ogni forma di egoismo e di odio, e morire a se stessi per vivere in Dio è l'itinerario ascetico che ogni discepolo di Gesù è chiamato a percorrere con umiltà e pazienza, con generosità e perseveranza. La docile sequela del divino Maestro rende i cristiani testimoni e apostoli di pace. Potremmo dire che questo interiore atteggiamento ci aiuta a meglio evidenziare anche quale debba essere la risposta cristiana alla violenza che minaccia la pace nel mondo. Non certo la vendetta, non l'odio e nemmeno la fuga in un falso spiritualismo. La risposta di chi segue Cristo è piuttosto quella di percorrere la strada scelta da Colui che, davanti ai mali del suo tempo e di tutti i tempi, ha abbracciato decisamente la Croce, seguendo il sentiero più lungo ma efficace dell'amore. Sulle sue orme e uniti a Lui, dobbiamo tutti impegnarci nell'opporci al male con il bene, alla menzogna con la verità, all'odio con l'amore. Nell'Enciclica Deus caritas est ho voluto presentare questo amore come il segreto della nostra conversione personale ed ecclesiale. Richiamandomi alle parole di Paolo ai Corinzi: "L'amore del Cristo ci spinge" (2Co 5,14), ho sottolineato come "la consapevolezza che in Lui Dio stesso si è donato per noi fino alla morte deve indurci a non vivere più per noi stessi, ma per Lui, e con Lui per gli altri" ().

L'amore, come ribadisce Gesù quest'oggi nel Vangelo, deve poi tradursi in gesti concreti verso il prossimo, specialmente verso i poveri e i bisognosi, sempre subordinando il valore delle "buone opere" alla sincerità del rapporto con il "Padre che è nei cieli", che "vede nel segreto" e "ricompenserà" quanti fanno il bene in modo umile e disinteressato (cfr Mt 6,1 Mt 6,4 Mt 6,6 Mt 6,18). La concretezza dell'amore costituisce uno degli elementi essenziali della vita dei cristiani, che sono incoraggiati da Gesù ad essere luce del mondo, affinché gli uomini, vedendo le loro "opere buone", rendano gloria a Dio (cfr Mt 5,16). Questa raccomandazione giunge a noi quanto mai opportuna all'inizio della Quaresima, perché comprendiamo sempre più che "la carità non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale ... ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza" (Deus caritas est ,a). L'amore vero si traduce in gesti che non escludono nessuno, sull'esempio del buon Samaritano che, con grande apertura d'animo, aiutò uno sconosciuto in difficoltà, incontrato "per caso" lungo la strada (cfr Lc 10,31).

Signori Cardinali, venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Presbiterato, cari religiosi, religiose e fedeli laici, che saluto tutti con viva cordialità, entriamo nel clima tipico di questo periodo liturgico con questi sentimenti, lasciando che la parola di Dio ci illumini e ci guidi. In Quaresima sentiremo spesso riecheggiare l'invito a convertirci e a credere al Vangelo, e saremo costantemente stimolati ad aprire lo spirito alla potenza della grazia divina. Facciamo tesoro degli insegnamenti che abbondantemente in queste settimane ci offrirà la Chiesa. Animati da un forte impegno di preghiera, decisi a uno sforzo più grande di penitenza, di digiuno e di attenzione d'amore ai fratelli, incamminiamoci verso la Pasqua, accompagnati dalla Vergine Maria, Madre della Chiesa e modello di ogni autentico discepolo di Cristo.



Benedetto XVI Omelie 18