Benedetto XVI Omelie 21039

CELEBRAZIONE EUCARISTICA CON I VESCOVI DELL’I.M.B.I.S.A. (INTERREGIONAL MEETING OF BISHOPS OF SOUTHERN AFRICA)

Spianata di Cimangola a Luanda, Domenica, 22 marzo 2009

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Cari fratelli,

desidero includere in questa Eucaristia una particolare preghiera di suffragio per i due giovani che ieri hanno perso la vita all’ingresso dello “Stadio dos Coqueiros”. Affidiamoli a Gesù perché li accolga nel suo Regno. Ai loro familiari ed amici, esprimo la mia solidarietà e il più vivo dolore anche perché erano venuti per incontrarmi. Allo stesso tempo prego per i feriti augurando loro una pronta guarigione. Abbandoniamoci ai disegni insondabili di Dio!

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari fratelli e sorelle in Cristo!

“Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (
Jn 3,16). Queste parole ci colmano di gioia e di speranza, in quanto attendiamo il compimento delle promesse di Dio. Motivo di particolare gioia è, oggi, per me potere come Successore dell’Apostolo Pietro celebrare questa Messa con voi, miei fratelli e sorelle in Cristo venuti da varie regioni dell’Angola, di São Tomé e Príncipe e da molti altri Paesi. Con grande affetto nel Signore, saluto le comunità cattoliche di Luanda, Bengo, Cabinda, Benguela, Huambo, Huíla, Kuando Kubango, Kunene, Kwanza Norte, Kwanza Sul, Lunda Norte, Lunda Sul, Malanje, Namibe, Moxico, Uíje e Zaire.

(inglese)

In modo speciale, saluto i miei Fratelli Vescovi, i membri dell’Associazione Inter-regionale dei Vescovi dell’Africa Australe, raccolti intorno a questo altare del Sacrificio del Signore. Ringrazio il Presidente del CEAST, Arcivescovo Damião Franklin, per le sue gentile parole di benvenuto e, nelle persone dei loro Pastori, saluto tutti i fedeli della nazioni di Botswana, Lesotho, Mozambique, Namibia, South Africa, Swaziland e Zimbabwe.

La prima lettura di oggi ha una particolare risonanza per il Popolo di Dio in Angola. E’ un messaggio di speranza rivolto al Popolo eletto nella lontana regione del loro esilio, un invito a ritornare in Gerusalemme per ricostruire il Tempio del Signore. La vivace descrizione della distruzione e della rovina causata dalla guerra rispecchia l’esperienza personale di tante persone in questo Paese durante le terribili devastazioni della guerra civile. Com’è vero che la guerra può “distruggere tutto ciò che ha valore” (cfr 2Ch 36,19): famiglie, intere comunità, il frutto della fatica degli uomini, le speranze che guidano e sostengono le loro vite e il loro lavoro! Questa esperienza è fin troppo familiare all’Africa nel suo insieme: il potere distruttivo della guerra civile, il precipitare nel vortice dell’odio e della vendetta, lo sperpero degli sforzi di generazioni di gente perbene. Quando la Parola del Signore – una Parola che mira all’edificazione dei singoli, delle comunità e dell’intera famiglia umana – è trascurata, e quando la Legge di Dio è “ridicolizzata, disprezzata e schernita” (cfr ibid., 2Ch 36,16), il risultato può essere solo distruzione ed ingiustizia: l’umiliazione della nostra comune umanità e il tradimento della nostra vocazione ad essere figli e figlie del Padre misericordioso, fratelli e sorelle del suo Figlio diletto.

Traiamo quindi conforto dalle parole consolanti, che abbiamo ascoltato nella prima lettura! La chiamata a ritornare e a ricostruire il tempio di Dio ha un significato particolare per ciascuno di noi. San Paolo, della cui nascita celebriamo quest’anno il bimillennario, ci dice che “siamo il tempio del Dio vivente” (2Co 6,16). Come sappiamo, Dio dimora nei cuori di quanti pongono la loro fiducia in Cristo, sono rinati nel Battesimo e sono resi tempio dello Spirito Santo. Anche adesso, nell’unità del Corpo di Cristo che è la Chiesa, Dio ci chiama a riconoscere il potere della sua presenza in noi, a riappropriarci del dono del suo amore e del suo perdono e a diventare messaggeri di questo amore misericordioso entro le nostre famiglie e comunità, a scuola e al posto di lavoro, in ogni settore della vita sociale e politica.

(portoghese)

Qui in Angola, questa Domenica è stata riservata come giorno di preghiera e di sacrificio per la riconciliazione nazionale. Il Vangelo ci insegna che la riconciliazione - una vera riconciliazione - può essere soltanto frutto di una conversione, di un cambiamento del cuore, di un nuovo modo di pensare. Ci insegna che solo il potere dell’amore di Dio può cambiare i nostri cuori e farci trionfare sul potere del peccato e della divisione. Quando eravamo “morti per i nostri peccati” (cfr Ep 2,5) il suo amore e la sua misericordia ci hanno offerto la riconciliazione e la vita nuova in Cristo. È questo il nucleo dell’insegnamento dell’Apostolo Paolo, ed è importante per noi richiamare alla memoria che solo la grazia di Dio può creare in n oi un cuore nuovo! Solo il suo amore può cambiare il nostro “cuore di pietra” (Ez 11,19) e metterci in grado di costruire invece di demolire. Solo Dio può fare nuove tutte le cose!

Sono venuto in Africa proprio per predicare questo messaggio di perdono, di speranza e di una nuova vita in Cristo. Tre giorni fa, a Yaoundé, ho avuto la gioia di rendere pubblico l’Instrumentum laboris della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, che sarà dedicata al tema: La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. Vi chiedo oggi di pregare, in unione con tutti i nostri fratelli e sorelle in tutta l’Africa, per questa intenzione: che ogni cristiano in questo grande Continente sperimenti il tocco risanante dell’amore misericordioso di Dio e che la Chiesa in Africa diventi “per tutti, grazie alla testimonianza resa dai suoi figli e dalle sue figlie, luogo di autentica riconciliazione” (Ecclesia in Africa ).

Cari amici, è questo il messaggio che il Papa porta a voi e ai vostri figli. Dallo Spirito Santo avete ricevuto la forza di essere i costruttori di un domani migliore per il vostro amato Paese. Nel Battesimo vi è stato dato lo Spirito per essere araldi del Regno di Dio, Regno di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace (cfr Messale Romano, Prefazio di Cristo Re). Nel giorno del vostro Battesimo avete ricevuto la luce di Cristo. Siate fedeli a questo dono, certi che il Vangelo può confermare, purificare e nobilitare i profondi valori umani presenti nella vostra cultura nativa e nelle vostre tradizioni: famiglie unite, profondo senso religioso, gioiosa celebrazione del dono della vita, apprezzamento della saggezza degli anziani e delle aspirazioni dei giovani. E poi siate riconoscenti per la luce di Cristo! Mostratevi riconoscenti verso coloro che ve l’hanno portata: generazioni e generazioni di missionari che tanto hanno contribuito e continuano a contribuire allo sviluppo umano e spirituale di questo Paese. Siate riconoscenti per la testimonianza di tanti genitori ed insegnanti cristiani, di catechisti, sacerdoti, religiose e religiosi, che hanno sacrificato la loro propria vita per trasmettervi questo tesoro prezioso! Ed affrontate la sfida che questo grande patrimonio vi pone. Rendetevi conto che la Chiesa, in Angola e in tutta l’Africa, ha il compito di essere, davanti al mondo, un segno di quell’unità alla quale l’intera famiglia umana è chiamata mediante la fede in Cristo Redentore.

Nel Vangelo di oggi vi sono parole pronunciate da Gesù che suscitano una certa impressione: Egli ci dice che la sentenza di Dio sul mondo è già stata emessa (cfr Jn 3,19 ss). La luce è già venuta nel mondo. Ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Quanto grandi sono le tenebre in tante parti del mondo! Tragicamente, le nuvole del male hanno ottenebrato anche l’Africa, compresa questa amata Nazione di Angola. Pensiamo al flagello della guerra, ai frutti feroci del tribalismo e delle rivalità etniche, alla cupidigia che corrompe il cuore dell’uomo, riduce in schiavitù i poveri e priva le generazioni future delle risorse di cui hanno bisogno per creare una società più solidale e più giusta – una società veramente ed autenticamente africana nel suo genio e nei suoi valori. E che dire di quell’ insidioso spirito di egoismo che chiude gli individui in se stessi, divide le famiglie e, soppiantando i grandi ideali di generosità e di abnegazione, conduce inevitabilmente all’edonismo, all’evasione in false utopie attraverso l’uso della droga, all’irresponsabilità sessuale, all’indebolimento del legame matrimoniale, alla distruzione delle famiglie e all’eliminazione di vite umane innocenti mediante l’aborto?

La parola di Dio, però, è una parola di speranza senza limiti. “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito … perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Jn 3,16-17). Dio non ci dà mai per spacciati! Egli continua ad invitarci ad alzare gli occhi verso un futuro di speranza e ci promette la forza per realizzarlo. Come dice san Paolo nella seconda lettura di oggi, Dio ci ha creati in Cristo Gesù per vivere una vita giusta, una vita in cui pratichiamo opere buone secondo la sua volontà (cfr Ep 2,10). Ci ha donati i suoi comandamenti, non come un fardello, ma come una fonte di libertà: della libertà di diventare uomini e donne pieni di saggezza, maestri di giustizia e di pace, gente che ha fiducia negli altri e cerca il loro vero bene. Dio ci ha creati per vivere nella luce e per essere luce per il mondo intorno a noi! È questo che Gesù ci dice nel Vangelo di oggi: “Chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio” (Jn 3,21).

“Vivete, dunque, secondo verità!” Irraggiate la luce della fede, della speranza e dell’amore nelle vostre famiglie e comunità! Siate testimoni della santa verità che rende liberi uomini e donne! Voi sapete in base ad un’amara esperienza che, rispetto alla repentina furia distruttrice del male, il lavoro di ricostruzione è penosamente lento e duro. Richiede tempo, fatica e perseveranza: deve iniziare nei nostri cuori, nei piccoli sacrifici quotidiani necessari per essere fedeli alla legge di Dio, nei piccoli gesti mediante i quali dimostriamo di amare i nostri vicini - tutti i nostri vicini senza riguardo alla razza, all’etnia o alla lingua - nella disponibilità a collaborare con loro per costruire insieme su basi durevoli. Fate sì che le vostre parrocchie diventino comunità dove la luce della verità di Dio e il potere dell’amore riconciliante di Cristo non siano soltanto celebrati, ma espressi in opere concrete di carità. E non abbiate paura! Anche se questo significa essere un “segno di contraddizione” (Lc 2,34) di fronte ad atteggiamenti duri e ad una mentalità che vede gli altri come strumenti da usare piuttosto che come fratelli e sorelle da amare, da rispettare e da aiutare lungo la via della libertà, della vita e della speranza.

Permettetemi di concludere con una parola rivolta in particolare ai giovani dell’Angola e a tutti i giovani dell’Africa. Cari giovani amici, voi siete la speranza del futuro del vostro Paese, la promessa di un domani migliore! Cominciate fin da oggi a crescere nella vostra amicizia con Gesù, che è “la via, la verità e la vita” (Jn 14,6): un’amicizia nutrita ed approfondita mediante la preghiera umile e perseverante. Cercate la sua volontà su di voi, ascoltando quotidianamente la sua parola e permettendo alla sua legge di modellare la vostra vita e le vostre relazioni. In questo modo diventerete profeti saggi e generosi dell’amore salvifico di Dio; diventerete evangelizzatori dei vostri stessi compagni, guidandoli con il vostro esempio personale ad apprezzare la bellezza e la verità del Vangelo e verso la speranza di un futuro plasmato dai valori del Regno di Dio. La Chiesa ha bisogno della vostra testimonianza! Non abbiate paura di rispondere generosamente alla chiamata di Dio a servirlo sia come sacerdoti, religiose o religiosi, sia come genitori cristiani o in tante altre forme di servizio che la Chiesa vi propone.

(inglese)

Cari fratelli e sorelle! Alla fine della prima lettura di oggi, Ciro re di Persia, ispirato da Dio, ingiunge al Popolo eletto di ritornare nella sua amata Patria e di ricostruire il Tempio del Signore. Che queste parole del Signore siano un appello all’intero Popolo di Dio in Angola e in tutta l’Africa del Sud: Alzatevi! Ponde-vos a caminho!(2Ch 36,23). Guardate al futuro con speranza, confidate nelle promesse di Dio e vivete nella sua verità. In questo modo costruirete qualcosa destinato a perdurare e lascerete alla generazioni future un’eredità durevole di riconciliazione, di giustizia e di pace. Amen.



VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DEL SANTO VOLTO DI GESÙ ALLA MAGLIANA

V domenica di Quaresima, 29 marzo 2009

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Cari fratelli e sorelle,

nell’odierna pagina del Vangelo, san Giovanni riferisce un episodio avvenuto nell’ultima fase della vita pubblica di Cristo, nell’imminenza ormai della Pasqua ebraica, che sarà la sua Pasqua di morte e risurrezione. Mentre si trovava a Gerusalemme – narra l’Evangelista – alcuni greci, proseliti del giudaismo, incuriositi ed attratti da quanto Egli andava compiendo, si avvicinarono a Filippo, uno dei Dodici che aveva un nome greco e proveniva dalla Galilea. “Signore, gli dissero, vogliamo vedere Gesù”. Filippo chiamò a sua volta Andrea, uno dei primi apostoli molto vicino al Signore, anch’egli con un nome greco, ed entrambi “andarono a dirlo a Gesù” (cfr
Jn 12,20-21).

Nella richiesta di questi anonimi greci possiamo leggere la sete che è nel cuore di ogni uomo di vedere e di conoscere Cristo; e la risposta di Gesù ci orienta al mistero della Pasqua, manifestazione gloriosa della sua missione salvifica. “È venuta l’ora – Egli dichiara – che il Figlio dell’uomo sia glorificato» (Jn 12,23). Sì! Sta per giungere l’ora della glorificazione del Figlio dell’uomo, ma questo comporterà il passaggio doloroso attraverso la passione e la morte in croce. Solo così infatti si realizzerà il piano divino della salvezza che è per tutti, giudei e pagani. Tutti sono infatti invitati a far parte dell’unico popolo della nuova e definitiva alleanza. In questa luce, comprendiamo anche la solenne proclamazione con cui si chiude il brano evangelico: “E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Jn 12,32), come pure il commento dell’Evangelista: “Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire” (Jn 12,33). La croce: l’altezza dell’amore è l’altezza di Gesù e a quest’altezza Egli attira tutti.

Molto opportunamente la liturgia ci fa meditare questo testo del Vangelo di Giovanni nell’odierna quinta domenica di Quaresima, mentre si avvicinano i giorni della Passione del Signore, nella quale ci immergeremo spiritualmente a partire da domenica prossima, detta appunto domenica delle Palme e della Passione del Signore. E’ come se la Chiesa ci stimolasse a condividere lo stato d’animo di Gesù, volendoci preparare a rivivere il mistero della sua crocifissione, morte e risurrezione non come spettatori estranei, bensì come protagonisti insieme con Lui, coinvolti nel suo mistero di croce e di risurrezione. Laddove infatti è Cristo devono trovarsi anche i suoi discepoli, che sono chiamati a seguirlo, a solidarizzare con Lui nel momento del combattimento, per essere compartecipi della sua vittoria.

In che consista la nostra associazione alla sua missione lo spiega il Signore stesso. Parlando della sua prossima morte gloriosa, egli utilizza una semplice e insieme suggestiva immagine: “Se il chicco di grano caduto in terra, non muore, rimane solo, se invece muore, produce molto frutto” (Jn 12,24). Paragona se stesso a un “chicco di grano disfatto, per portare a tutti molto frutto”, secondo una efficace espressione di sant’Atanasio; e solo mediante la morte, la croce, Cristo porta molto frutto per tutti i secoli. Non bastava infatti che il Figlio di Dio si fosse incarnato. Per portare a compimento il piano divino della salvezza universale, occorreva che Egli venisse ucciso e sepolto: solo così tutta la realtà umana sarebbe stata accettata e, mediante la sua morte e risurrezione, si sarebbe reso manifesto il trionfo della Vita, il trionfo dell’Amore; si sarebbe dimostrato che l’amore è più forte della morte.

Tuttavia, l’uomo Gesù – che era un vero uomo con i nostri stessi sentimenti - avvertiva il peso della prova e la tristezza amara per la tragica fine che lo attendeva. Proprio essendo Uomo-Dio, sperimentava tanto maggiormente il terrore di fronte all’abisso del peccato umano e di quanto vi è di sporco nell’umanità, che Egli doveva portare con sé e consumare nel fuoco del suo amore. Tutto questo Egli doveva portare con sé e trasformare nel suo amore. “Adesso – Egli confessa – l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora?” (Jn 12,27). Affiora la tentazione di chiedere: “Salvami, non permettere la croce, dammi la vita!” Cogliamo in questa sua accorata invocazione un anticipo della struggente preghiera del Getsemani, quando, sperimentando il dramma della solitudine e della paura, implorerà il Padre di allontanare da Lui il calice della passione. Allo stesso tempo, però, non viene meno la sua filiale adesione al disegno divino, perché proprio per questo sa di essere giunto a quest’ora, e con fiducia prega: “Padre, glorifica il tuo nome” (Jn 12,28). Con questo vuol dire: “Accetto la croce” - nella quale si glorifica il nome di Dio, cioè la grandezza del suo amore. Anche qui Gesù anticipa le parole del Monte degli Ulivi: “Non la mia, ma la tua volontà sia fatta”. Egli trasforma la sua volontà umana e la identifica con quella di Dio. Questo è il grande evento del Monte degli Ulivi, il percorso che dovrebbe realizzarsi fondamentalmente in ogni nostra preghiera: trasformare, lasciare che la grazia trasformi la nostra volontà egoistica e la apra ad uniformarsi alla volontà divina. Gli stessi sentimenti affiorano nel brano della Lettera agli Ebrei, proclamato nella seconda lettura. Prostrato da un’angoscia estrema a causa della morte che incombe, Gesù offre a Dio preghiere e suppliche “con forti grida e lacrime” (He 5,7). Invoca aiuto da Colui che può liberarlo, sempre però restando abbandonato nelle mani del Padre. E proprio per questa sua filiale fiducia verso Dio – nota l’autore – è stato esaudito, nel senso che è risorto, ha ricevuto la vita nuova e definitiva. La Lettera agli Ebrei ci fa capire che queste preghiere insistenti di Gesù, con lacrime e grida, erano il vero atto del sommo sacerdote, col quale offriva se stesso e l’umanità al Padre, trasformando così il mondo.

Cari fratelli e sorelle, questo è il cammino esigente della croce che Gesù indica a tutti i suoi discepoli. Più volte ha detto: “Se uno mi vuole servire, mi segua”. Non c’è alternativa per il cristiano, che voglia realizzare la propria vocazione. E’ la “legge” della Croce descritta con l’immagine del chicco di grano che muore per germinare a nuova vita; è la “logica” della Croce richiamata anche nel Vangelo odierno: “Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”. “Odiare” la propria vita è una espressione semitica forte e paradossale, che ben sottolinea la radicale totalità che deve contraddistinguere chi segue Cristo e si pone, per suo amore, al servizio dei fratelli: perde la vita e così la trova. Non esiste altra via per sperimentare la gioia e la vera fecondità dell’Amore: la via del darsi, del donarsi, del perdersi per trovarsi.

Cari amici, l’invito di Gesù risuona particolarmente eloquente nell’odierna celebrazione in questa vostra Parrocchia. Essa è infatti dedicata al Santo Volto di Gesù: quel Volto che “alcuni greci”, di cui parla il Vangelo, desideravano vedere; quel Volto che nei prossimi giorni della Passione contempleremo sfigurato a causa dei peccati, dell’indifferenza e dell’ingratitudine degli uomini; quel Volto radioso di luce e sfolgorante di gloria, che brillerà nell’alba del giorno di Pasqua. Manteniamo fissi il cuore e la mente sul Volto di Cristo, cari fedeli, che saluto con affetto ad iniziare dal vostro Parroco, don Luigi Coluzzi, al quale sono grato anche per essersi fatto interprete dei vostri sentimenti. Grazie per la vostra cordiale accoglienza: sono veramente lieto di trovarmi in mezzo a voi in occasione del 3° anniversario della dedicazione di questa vostra chiesa e tutti vi saluto con affetto. Un saluto speciale rivolgo al Cardinale Vicario, come anche al Cardinale Fiorenzo Angelini, che ha contribuito alla realizzazione di questo nuovo complesso parrocchiale, al Vescovo Ausiliare del Settore, al Vescovo Mons. Marcello Costalunga e agli altri Presuli presenti, ai sacerdoti collaboratori parrocchiali, alle benemerite religiose della Congregazione delle Povere Figlie della Visitazione, che proprio di fronte a questa bella chiesa accudiscono gli ospiti nella loro Casa di Riposo per anziani. Saluto i catechisti, il Consiglio e gli operatori pastorali e quanti collaborano alla vita della Parrocchia; saluto i bambini, i giovani e le famiglie. Estendo con piacere il mio pensiero agli abitanti della Magliana, particolarmente agli anziani, ai malati, alle persone sole e in difficoltà. Per tutti e ciascuno prego in questa Santa Messa.

Cari fratelli e sorelle, lasciatevi illuminare dallo splendore del Volto di Cristo, e la vostra giovane comunità – che può ora usufruire di un nuovo complesso parrocchiale, moderno nella sua struttura e funzionale – camminerà unita, accomunata dall’impegno di annunciare e testimoniare il Vangelo in questo quartiere. So quanta cura voi ponete nella formazione liturgica, valorizzando ogni risorsa della vostra comunità: i lettori, il coro e quanti si dedicano all’animazione delle celebrazioni. E’ importante che la preghiera, personale e liturgica, occupi sempre il primo posto nella nostra vita. So con quanto impegno vi dedicate alla catechesi, perché risponda alle attese dei ragazzi, tanto di quelli che si apprestano a ricevere i sacramenti della Prima Comunione e della Confermazione, quanto di quelli che frequentano l’Oratorio. Vi preoccupate anche di assicurare una catechesi adatta ai genitori, che invitate a compiere un percorso di formazione cristiana insieme ai loro figli. Volete così aiutare le famiglie a vivere insieme gli appuntamenti sacramentali educando ed educandosi alla fede “in famiglia”, che deve essere la prima e naturale “scuola” di vita cristiana per tutti i suoi membri. Mi rallegro con voi perché la vostra parrocchia è aperta ed accogliente, animata e resa viva da un amore sincero verso Dio e verso tutti i fratelli, ad imitazione di san Massimiliano Maria Kolbe, a cui in origine essa era dedicata. Ad Auschwitz, con eroico coraggio, egli sacrificò se stesso per salvare la vita altrui. In questo nostro tempo, segnato da una generale crisi sociale ed economica, molto meritevole è lo sforzo che state compiendo, attraverso soprattutto la Caritas parrocchiale e il gruppo S. Egidio, per andare incontro, come è possibile, alle attese dei più poveri e bisognosi.

Uno speciale incoraggiamento vorrei riservare a voi, cari giovani: lasciatevi coinvolgere dal fascino di Cristo! Fissando, con gli occhi della fede, il suo Volto, chiedetegli: “Gesù, cosa vuoi che io faccia con Te e per Te?”. Rimanete quindi in ascolto e, guidati dal suo Spirito, assecondate il disegno che Egli ha su di voi. Preparatevi seriamente a costruire famiglie unite e fedeli al Vangelo e ad essere suoi testimoni nella società; se poi Lui vi chiama, siate pronti a dedicare totalmente la vostra esistenza al suo servizio nella Chiesa come sacerdoti o come religiosi e religiose. Io vi assicuro la mia preghiera; in particolare, vi aspetto giovedì prossimo nella Basilica di San Pietro per prepararci alla Giornata Mondiale della Gioventù, che, come sapete, si celebra quest’anno a livello diocesano, Domenica prossima. Ricorderemo insieme il mio caro e venerato predecessore Giovanni Paolo II, nel IV anniversario della sua morte. In molte circostanze egli ha incoraggiato i giovani ad incontrare Cristo e a seguirlo con entusiasmo e generosità.

Cari fratelli e sorelle di questa comunità parrocchiale, l’infinito amore di Cristo che brilla nel suo Volto risplenda in ogni vostro atteggiamento, e diventi la vostra “quotidianità”. Come esortava sant’Agostino in una omelia pasquale, “Cristo ha patito; moriamo al peccato. Cristo è risuscitato; viviamo per Dio. Cristo è passato da questo mondo al Padre; non si attacchi qui il nostro cuore, ma lo segua nelle cose di lassù. Il nostro capo fu appeso sul legno; crocifiggiamo la concupiscenza della carne. Giacque nel sepolcro; sepolti con Lui dimentichiamo le cose passate. Siede in cielo; trasferiamo i nostri desideri alle cose supreme” (S. Agostino, Discorso 229/D,1).

Animati da tale consapevolezza, proseguiamo la celebrazione eucaristica, invocando la materna intercessione di Maria, perché la nostra esistenza diventi un riflesso di quella di Cristo. Preghiamo perché quanti ci incontrano percepiscano sempre nei nostri gesti e nelle nostre parole la pacificante e consolatrice bontà del suo Volto. Amen!


CAPPELLA PAPALE NEL IV ANNIVERSARIO DELLA MORTE DEL SERVO DI DIO GIOVANNI PAOLO II, Giovedì, 2 aprile 2009

20409
Basilica Vaticana

Cari fratelli e sorelle!

Quattro anni or sono, proprio in questo giorno, l’amato mio Predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, concludeva il suo pellegrinaggio terreno, dopo un non breve periodo di grande sofferenza. Celebriamo la Santa Eucaristia in suffragio della sua anima, mentre ringraziamo il Signore di averlo dato alla Chiesa, per tanti anni, come zelante e generoso Pastore.

Ci riunisce questa sera il suo ricordo, che continua ad essere vivo nel cuore della gente, come dimostra anche l’ininterrotto pellegrinaggio di fedeli alla sua tomba, nelle Grotte Vaticane. È pertanto con emozione e gioia che presiedo questa Santa Messa, mentre saluto e ringrazio per la presenza voi, venerati Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio, e voi, cari fedeli venuti da varie parti del mondo, specialmente dalla Polonia, per tale significativa ricorrenza.

In polacco:

[Vorrei salutare i polacchi, in modo particolare, la gioventù polacca. Nel quarto anniversario della morte di Giovanni Paolo II accogliete il suo appello: “Non abbiate paura di affidarvi a Cristo. Egli vi guiderà, vi darà la forza di seguirlo ogni giorno e in ogni situazione» (Tor Vergata, Veglia di preghiera 19.08.2000). Vi auguro che questo pensiero del Servo di Dio vi guidi nelle strade della vostra vita, e vi conduca alla felicità del mattino della Risurrezione.]

Saluto il Cardinale Vicario, il Cardinale Arcivescovo di Cracovia, il caro Cardinale Stanislao, gli altri Cardinali e gli altri Presuli; saluto i sacerdoti, i religiosi e le religiose. Saluto in modo speciale voi, amati giovani di Roma, che con questa celebrazione vi preparate alla Giornata Mondiale della Gioventù, che vivremo insieme domenica prossima, Domenica delle Palme. La vostra presenza mi richiama alla mente l’entusiasmo che Giovanni Paolo II sapeva infondere nelle nuove generazioni. La sua memoria è stimolo per tutti noi, raccolti in questa Basilica dove in molte occasioni egli ha celebrato l’Eucaristia, a lasciarci illuminare ed interpellare dalla Parola di Dio, poc’anzi proclamata.

Il Vangelo di questo giovedì della quinta settimana di Quaresima propone alla nostra meditazione l’ultima parte del capitolo VIII del Vangelo di Giovanni, che contiene – come abbiamo sentito - una lunga disputa sull’identità di Gesù. Poco prima Egli si è presentato come “la luce del mondo” (
Jn 8,12), usando per ben tre volte (vv. Jn 8,24 Jn 8,28 Jn 8,58) l’espressione “Io Sono”, che in senso forte richiama il nome di Dio rivelato a Mosè (cfr Ex 3,14). Ed aggiunge: “Se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte” (Jn 8,51), dichiarando così di essere stato mandato da Dio, che è suo Padre, a portare agli uomini la libertà radicale dal peccato e dalla morte, indispensabile per entrare nella vita eterna. Le sue parole però feriscono l’orgoglio degli interlocutori, ed anche il riferimento al grande patriarca Abramo diventa motivo di conflitto. “In verità, in verità io vi dico: – afferma il Signore - prima che Abramo fosse, Io Sono” (Jn 8,58). Senza mezzi termini, dichiara la sua pre-esistenza e, dunque, la sua superiorità rispetto ad Abramo, suscitando – comprensibilmente – la reazione scandalizzata dei Giudei. Ma non può tacere Gesù la propria identità; sa che, alla fine, sarà il Padre stesso a rendergli ragione, glorificandolo con la morte e la risurrezione, perché proprio quando sarà innalzato sulla croce si rivelerà come l’unigenito Figlio di Dio (cfr Jn 8,28 Mc 15,39).

Cari amici, meditando su questa pagina del Vangelo di Giovanni, viene spontaneo considerare quanto sia difficile in verità rendere testimonianza a Cristo. Ed il pensiero va all’amato Servo di Dio Karol Wojtyla - Giovanni Paolo II, che sin da giovane si mostrò intrepido e ardito difensore di Cristo: per Lui non esitò a spendere ogni energia al fine di diffonderne dappertutto la luce; non accettò di scendere a compromessi quando si trattava di proclamare e difendere la sua Verità; non si stancò mai di diffondere il suo amore. Dall’inizio del pontificato sino al 2 aprile del 2005, non ebbe paura di proclamare, a tutti e sempre, che solo Gesù è il Salvatore e il vero Liberatore dell’uomo e di tutto l’uomo.

Nella prima lettura abbiamo sentito le parole ad Abramo: “Ti renderò molto, molto fecondo” (Gn 17,6). Se testimoniare la propria adesione al Vangelo non è mai facile, è certamente di conforto la certezza che Dio rende fecondo il nostro impegno, quando è sincero e generoso. Anche da questo punto di vista significativa ci appare l’esperienza spirituale del servo di Dio Giovanni Paolo II. Guardando alla sua esistenza, vi vediamo come realizzata la promessa di fecondità fatta da Dio ad Abramo, ed echeggiata nella prima lettura tratta dal libro della Genesi.Si potrebbe dire che specialmente negli anni del suo lungo pontificato, egli ha generato alla fede molti figli e figlie. Ne siete segno visibile voi, cari giovani presenti questa sera: voi, giovani di Roma e voi, giovani venuti da Sydney e da Madrid, a rappresentare idealmente le schiere di ragazzi e ragazze che hanno partecipato alle ormai 23 Giornate Mondiali della Gioventù, in varie parti del mondo. Quante vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, quante giovani famiglie decise a vivere l’ideale evangelico e a tendere alla santità sono legate alla testimonianza e alla predicazione del mio venerato Predecessore! Quanti ragazzi e ragazze si sono convertiti, o hanno perseverato nel loro cammino cristiano grazie alla sua preghiera, al suo incoraggiamento, al suo sostegno e al suo esempio!

È vero! Giovanni Paolo II riusciva a comunicare una forte carica di speranza, fondata sulla fede in Gesù Cristo, il quale “è lo stesso ieri, oggi e per sempre” (He 13,8), come recitava il motto del Grande Giubileo del 2000. Come padre affettuoso e attento educatore, indicava sicuri e saldi punti di riferimento indispensabili per tutti, in special modo per la gioventù. E nell’ora dell’agonia e della morte, questa nuova generazione volle manifestargli di aver compreso i suoi ammaestramenti, raccogliendosi silenziosamente in preghiera in Piazza San Pietro e in tanti altri luoghi del mondo. Sentivano, i giovani, che la sua scomparsa costituiva una perdita: moriva il “loro” Papa, che consideravano “loro padre” nella fede. Avvertivano al tempo stesso che lasciava loro in eredità il suo coraggio e la coerenza della sua testimonianza. Non aveva egli sottolineato più volte il bisogno di una radicale adesione al Vangelo, esortando adulti e giovani a prendere sul serio questa comune responsabilità educativa? Anch’io, come sapete, ho voluto riprendere questa sua ansia, soffermandomi in diverse occasioni a parlare dell’urgenza educativa che concerne oggi le famiglie, la chiesa, la società e specialmente le nuove generazioni. Nell’età della crescita, i ragazzi hanno bisogno di adulti capaci di proporre loro principi e valori; avvertono il bisogno di persone che sappiano insegnare con la vita, ancor prima che con le parole, a spendersi per alti ideali.

Ma dove attingere luce e saggezza per portare a compimento questa missione, che tutti ci coinvolge nella Chiesa e nella società? Certamente non basta far appello alle risorse umane; occorre fidarsi anche e in primo luogo dell’aiuto divino. “Il Signore è fedele per sempre”: così abbiamo pregato poco fa nel Salmo responsoriale, certi che Iddio non abbandona mai quanti a Lui restano fedeli. Ciò richiama il tema della 24a Giornata Mondiale della Gioventù, che sarà celebrata a livello diocesano domenica prossima. Esso è tratto dalla prima Lettera a Timoteo di san Paolo: “Abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente” (1Tm 4,10). L’Apostolo parla a nome della comunità cristiana, a nome di quanti hanno creduto in Cristo e sono diversi dagli “altri che non hanno speranza” (1Th 4,13), proprio perché invece sperano, nutrono cioè fiducia nel futuro, una fiducia non basata solo su idee o previsioni umane, bensì su Dio, il “Dio vivente”.

Cari giovani, non si può vivere senza sperare. L’esperienza mostra che ogni cosa, e la nostra vita stessa sono a rischio, possono crollare per qualche motivo a noi interno o esterno, in qualsiasi momento. E’ normale: tutto ciò che è umano, e dunque anche la speranza, non ha fondamento in se stesso, ma necessita di una “roccia” a cui ancorarsi. Ecco perché Paolo scrive che la speranza umana i cristiani sono chiamati a fondarla sul “Dio vivente”.

Solo in Lui diventa sicura e affidabile. Anzi solo Dio, che in Gesù Cristo ci ha rivelato la pienezza del suo amore, può essere la nostra salda speranza. In Lui, nostra speranza, infatti siamo stati salvati (Cfr Rm 8,24).

Fate però attenzione: in momenti come questo, dato il contesto culturale e sociale nel quale viviamo, potrebbe essere più forte il rischio di ridurre la speranza cristiana a ideologia, a slogan di gruppo, a rivestimento esteriore. Nulla di più contrario al messaggio di Gesù! Egli non vuole che i suoi discepoli “recitino” una parte, magari quella della speranza. Egli vuole che essi “siano” speranza, e possono esserlo soltanto se restano uniti a Lui! Vuole che ognuno di voi, cari giovani amici, sia una piccola sorgente di speranza per il suo prossimo, e che tutti insieme diventiate un’oasi di speranza per la società all’interno della quale siete inseriti. Ora, questo è possibile ad una condizione: che viviate di Lui e in Lui, mediante la preghiera e i Sacramenti, come vi ho scritto nel Messaggio di quest’anno.

Se le parole di Cristo rimangono in noi, possiamo propagare la fiamma di quell’amore che Egli ha acceso sulla terra; possiamo portare alta la fiaccola della fede e della speranza, con la quale avanziamo verso di Lui, mentre ne attendiamo il ritorno glorioso alla fine dei tempi. E’ la fiaccola che il Papa Giovanni Paolo II ci ha lasciato in eredità. L’ha consegnata a me, come suo successore; ed io questa sera la consegno idealmente, ancora una volta, in un modo speciale a voi, giovani di Roma, perché continuiate ad essere sentinelle del mattino, vigili e gioiosi in quest’alba del terzo millennio. Rispondete generosamente all’appello di Cristo! In particolare, durante l’Anno Sacerdotale che inizierà il 19 giugno prossimo, rendetevi prontamente disponibili, se Gesù vi chiama, a seguirlo nella via del sacerdozio e della vita consacrata.

“Ecco ora il momento favorevole; è questo il giorno della salvezza!” Al canto al Vangelo, la liturgia ci ha esortati a rinnovare ora, - ed ogni istante è “momento favorevole” – la nostra decisa volontà di seguire Cristo, certi che Egli è la nostra salvezza. Questo, in fondo, è il messaggio che ci ripete questa sera il caro Papa Giovanni Paolo II. Mentre affidiamo la sua anima eletta alla materna intercessione della Vergine Maria che ha sempre amato teneramente, speriamo vivamente che dal Cielo non cessi di accompagnarci e di intercedere per noi. Aiuti ciascuno di noi a vivere, come lui ha fatto, ripetendo giorno dopo giorno a Dio, per mezzo di Maria con piena fiducia: Totus tuus. Amen!



Benedetto XVI Omelie 21039