Agostino, Consenso Evang. 206

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CAPITOLO 6.

La predicazione di Giovanni Battista riferita dai quattro Evangelisti.

18. A questo punto inizia il racconto della predicazione di Giovanni, ricordata da tutti e quattro gli evangelisti. Matteo, dopo le parole da me riportate per ultimo, e cioè dopo la testimonianza del profeta che dice: Egli sarà chiamato Nazireo (Mt 2,23), prosegue aggiungendo: In quei giorni poi venne Giovanni Battista e comincio a predicare nel deserto della Giudea (Mt 3,1), ecc. Marco, il quale non racconta nulla della nascita, fanciullezza e puerizia del Signore, comincia il suo Vangelo proprio con la predicazione di Giovanni e dice: Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio, come è scritto nel libro del profeta Isaia: " Ecco io mando dinanzi a te il mio angelo che ti preparerà la via " (Ml 3,1). Voce di uno che grida nel deserto: " Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri " (Is 40,3). Giovanni stava nel deserto e battezzava e predicava un battesimo di penitenza per la remissione dei peccati (Mc 1,14). Quanto a Luca, egli racconta di Gesù che progrediva in sapienza, in età e in grazia dinanzi a Dio e agli uomini (Lc 2,52), e poi continua parlandoci della predicazione di Giovanni. Dice: Nell'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, e tetrarca della Galilea Erode, e Filippo suo fratello tetrarca dell'Iturea e della Traconitide, e Lisania tetrarca dell'Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto (Lc 3,1-2) Anche l'apostolo Giovanni, il più eminente fra i quattro evangelisti, dopo averci parlato del Verbo di Dio - che è lo stesso Figlio e precede ogni creatura esistente nel tempo in quanto tutte le creature sono state fatte ad opera di lui (Jn 1,15)- inserisce un richiamo alla predicazione e testimonianza di Giovanni dicendo: Ci fu un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni (Jn 1,6).

Occorre dunque vedere come i racconti dei quattro evangelisti a proposito di Giovanni non siano in disarmonia fra loro. Non ci si venga pero a chiedere o ad esigere in dettaglio cio che or ora abbiamo fatto sulle origini di Cristo, nato da Maria, dimostrando come al riguardo si armonizzino fra loro Matteo e Luca. Per ottenere questo abbiamo preso il racconto dei due evangelisti e ne abbiamo fatto uno solo e abbiamo mostrato anche ai più ottusi come ciascuno riferisca cose taciute dall'altro e taccia su quanto l'altro ricorda, e questo evidentemente non ostacola la comprensione di quanto di vero ognuno racconta. Da questo esempio, o come ho fatto io o in qualsiasi altro modo possa opportunamente farsi, ognuno puo vedere come in tutti i passi contenenti uguali problemi si possono usare gli stessi metodi con cui si è risolto il caso precedente.

19. Vediamo dunque, come dicevo, in che modo i quattro evangelisti siano concordi sul problema di Giovanni Battista. Matteo continuando la narrazione scrive: Poi in quei giorni venne Giovanni Battista a predicare nel deserto della Giudea (Mt 3,1). Marco non dice: In quei giorni, perché prima non aveva narrato nessuna serie di fatti nel corso dei quali sarebbe potuta inserirsi la frase: In quei giorni. Luca al contrario, ricordando le persone rivestite di autorità, sottolinea più marcatamente il tempo in cui Giovanni comincio a predicare e a battezzare: Nell'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare, essendo procuratore della Giudea Ponzio Pilato, e tetrarca della Galilea Erode, e Filippo suo fratello tetrarca dell'Iturea e della Traconitide, e Lisania tetrarca dell'Abilene, sotto i pontefici Anna e Caifa, il Signore parlo a Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto (Lc 3,1-2). Non dobbiamo tuttavia interpretare che agli stessi giorni, cioè al tempo in cui esercitavano il potere questi dignitari, si sia riferito Matteo con le parole: In quei giorni. Dicendo infatti: In quei giorni, egli ha voluto abbracciare un periodo di tempo molto più lungo. All'inizio di questo periodo, dopo la morte di Erode, Cristo - cosi l'evangelista - torno dall'Egitto (Mt 2,19-21 Mt 2,9); la qual cosa dové certo accadere durante la sua infanzia o puerizia, perché possa trovare uno spazio quanto Luca racconta di lui dodicenne, cioè quel che accadde nel tempio di Gerusalemme (Lc 2,42-50). Avendo dunque riferito che Cristo torno dall'Egitto quand'era ancora bambino o ragazzetto, Matteo soggiunge immediatamente: In quei giorni poi venne Giovanni Battista (Mt 3,1), intendendo designare ovviamente non solo i giorni della sua fanciullezza ma tutto il periodo che va dalla sua nascita fino al tempo in cui Giovanni comincio a predicare e a battezzare, nel qual tempo - come risulta - Cristo aveva raggiunto la giovinezza. Cristo infatti e Giovanni erano coetanei e, secondo la narrazione evangelica, quando venne battezzato Cristo aveva all'incirca trent'anni.

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CAPITOLO 7.

I due Erodi.

20. Alcuni naturalmente sono turbati per quel che Luca racconta a proposito di Erode, il quale, quando Giovanni battezzava e il Signore ormai giovane ricevette il battesimo (Lc 3,1-21), sarebbe stato tetrarca della Galilea. Al contrario Matteo ci dice che Gesù fanciullo torno dall'Egitto dopo la morte di Erode (Mt 2,19-22). L'una e l'altra cosa non puo essere vera, a meno che non si supponga essere stati due gli Erodi, cosa possibilissima e da tutti risaputa. Pertanto quanto sono ciechi e dissennati coloro che inclinano piuttosto a lanciare calunnie contro la verità evangelica che non a riflettere, magari un pochino, per capire che due persone poterono chiamarsi con lo stesso nome. Di una cosa simile troviamo esempi a bizzeffe. E in realtà di questo secondo Erode ci vien detto che fu figlio del precedente come Archelao, di cui dice Matteo che successe al padre defunto nel regno della Giudea, o come Filippo, che Luca presenta come fratello del tetrarca Erode e lui stesso tetrarca dell'Iturea. Quell'Erode infatti che voleva uccidere il bambino Gesù fu re, mentre l'altro Erode, figlio di lui, è chiamato non re ma tetrarca, nome greco che ha assonanza e riferimento ad una quarta parte del regno.

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CAPITOLO 8.

Giuseppe preferisce abitare in Galilea piuttosto che a Gerusalemme.

21. Qualcuno potrebbe impressionarsi per quanto riferisce Matteo sul timore avuto da Giuseppe quando, di ritorno dall'Egitto insieme col fanciullo Gesù, evito di stabilirsi in Giudea per il fatto che li, al posto di suo padre Erode, regnava il figlio Archelao. Come mai allora, ci si chiede, poté recarsi in Galilea, dove, come attesta Luca (Mt 2,22 Lc 3,1), era tetrarca l'altro figlio Erode? Questo ragionamento farebbe supporre che l'epoca menzionata da Luca sia identica con quell'altra, quando Giuseppe temeva per la vita del fanciullo, mentre in realtà i tempi erano talmente mutati che nella stessa Giudea non era più re Archelao ma c'era Ponzio Pilato, il quale non era re dei Giudei ma governatore. In quel medesimo periodo, cioè sotto l'impero di Tiberio, i figli di Erode il Grande, costituiti in autorità, non erano a capo di regni ma di tetrarchie, mentre questo non era ancora accaduto quando Giuseppe, per timore di Archelao che regnava in Giudea, si reco insieme col fanciullo nella Galilea, dov'era la sua città, Nazareth.

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CAPITOLO 9.

I motivi per cui Giuseppe si stabili a Nazareth.

22. Forse impressiona anche la notizia riferita da Matteo, secondo il quale i genitori di Gesù si recarono in Galilea insieme col bambino perché avevano timore di Archelao e per questo non vollero fermarsi in Giudea (Mt 2,22), mentre sembrerebbe piuttosto verosimile che essi si stabilirono in Galilea perché la loro città era Nazareth, che si trova appunto in Galilea, come attesta Luca (Lc 2,4). Dobbiamo pero capir bene le parole che l'angelo aveva dette in sogno a Giuseppe quand'era in Egitto: Alzati, prendi il bambino e sua madre e va' nella terra d'Israele (Mt 2,13). Queste parole Giuseppe dapprincipio poté intenderle nel senso che gli fosse ingiunto di recarsi in Giudea, poiché per terra d'Israele in primo luogo s'intende la Giudea; ma quando più tardi venne a sapere che ivi regnava Archelao, figlio di Erode, non volle esporsi al pericolo, potendosi intendere quelle parole come riferite anche alla Galilea, abitata anch'essa dal popolo d'Israele. E poi c'è un'altra soluzione che si puo dare al problema. I genitori di Cristo poterono convincersi che tanto loro quanto il fanciullo, sul quale per rivelazione angelica avevano appreso tali cose, non avrebbero dovuto risiedere se non in Gerusalemme, dov'era il tempio del Signore. Ritornando dunque dall'Egitto, sarebbero andati in quella città e li sarebbero rimasti se non li avesse intimoriti la presenza di Archelao. Non era infatti cosi deciso il comando divino che essi vi dovessero abitare nonostante il timore che provavano a causa di quel monarca.

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CAPITOLO 10

La sacra Famiglia si reca al tempio di Gerusalemme.

23. Ci potrebbe essere qualcuno che, ricordando quanto narra Luca, si chieda: Ma come facevano i genitori di Cristo a recarsi a Gerusalemme tutti gli anni della sua fanciullezza (Lc 2,41)se il timore di Archelao aveva loro impedito perfino di accostarsi a quella città? Non mi sarebbe difficile risolvere questo problema nemmeno se qualcuno degli evangelisti mi avesse indicato esplicitamente quanto duro il regno di Archelao nella Giudea. Era infatti possibile che salissero a Gerusalemme in occasione della festa, nascosti in mezzo alla strabocchevole folla, e prontamente se ne tornassero a casa, mentre temevano di abitarvi nei giorni ordinari. In tal modo non peccavano di irreligiosità per aver trascurato la festa né si esponevano alla pubblica attenzione per un soggiorno prolungato. Siccome pero tutti i documenti tacciono circa la durata del regno di Archelao, rimane aperta anche questa interpretazione, e cioè che Luca dice di loro che ogni anno salivano a Gerusalemme, da quando il timore di Archelao non c'era più. Ma se il regno di Archelao fosse durato più a lungo, secondo qualche racconto tramandato dalla storia extraevangelica e sempre che questa meriti credito da parte nostra, a noi basterà riflettere su quanto ho detto sopra, e cioè che i genitori del fanciullo temevano di risiedere stabilmente in Gerusalemme, ma non tanto da omettere di recarvisi, mossi dal timore di Dio, per la festa solenne, durante la quale potevano molto facilmente passare inosservati. Non è infatti cosa incredibile che, scegliendo con criterio i giorni e le ore più adatte, ci si rechi momentaneamente in posti dove temiamo di abitare in maniera stabile.

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CAPITOLO 11

Il viaggio a Gerusalemme non fu impedito dalla presenza di Erode.

24. In base a cio puo risolversi anche un'altra difficoltà che impressiona qualcuno. Questa: se Erode il Grande, spaventato per la notizia avuta dai Magi, era inquieto perché ai Giudei era nato un re (Mt 2,3-16), come poterono i genitori di Gesù, quando si compirono i giorni della purificazione di sua madre, ascendere col figlio al tempio per adempiere alle prescrizioni della legge del Signore, come Luca riferisce?(Lc 2,22) Chi non s'avvede al riguardo che quel giorno - si tratta infatti di un sol giorno! - poté sfuggire al re, in tutt'altre faccende affaccendato? Ma a qualcuno, forse, non sembrerà verosimile che cio sia accaduto ad Erode, il quale aspettava con ansia le informazioni dei Magi nei riguardi del bambino (Mt 2,8). Egli infatti, quando passati molti giorni si senti burlato, nonostante che fosse passato il tempo che consenti alla madre di Gesù d'andarsi a purificare, al bambino di adempiere nel tempio di Gerusalemme i riti prescritti per i primogeniti e all'intera famiglia di trasferirsi in Egitto, poté ricordarsi ancora del bambino che intendeva eliminare, e fece uccidere molti neonati. Orbene, a quei tali che si sentono turbati da questa difficoltà io potrei elencare - ma lo ometto - quali e quante occupazioni potrebbero esser sopravvenute a distrarre l'attenzione del re e a distoglierlo completamente o, quanto meno, a ostacolarlo per parecchi giorni dal suo proposito. Enumerare in concreto quali saranno stati i motivi che impedirono il fatto, è certo impossibile, ma che ci poterono esser di questi motivi (e molti e gravi) non potrà negarlo o metterlo in dubbio nessuno che sia un po' addentro nel susseguirsi delle vicende umane.

Chi troverà difficile pensare quante altre notizie, o vere o false, poterono essere recate a quel sovrano, notizie certo più spaventose di quanto non lo fosse un re bambino che egli temeva perché di li a qualche anno sarebbe stato rivale suo o dei suoi figli? Turbato dal timore di altri pericoli che lo minacciavano più da vicino, distolse il pensiero da quell'idea e s'immerse tutto a scansare prontamente queste altre minacce. Questi rilievi voglio pero ometterli, per dire una cosa sola. Siccome i Magi non tornarono da Erode a dargli notizie, egli poté supporre che quei brav'uomini s'erano ingannati riguardo alla stella e alla sua presunta apparizione e, non avendo trovato colui che pensavano essere nato, si vergognaroro di tornare da lui. Con questo pensiero gli passo ogni timore e smise di ricercare e perseguitare il bambino. Una novità pero successe quando, dopo la purificazione della madre, i genitori del bambino vennero con lui a Gerusalemme e nel tempio accaddero i fatti raccontati da Luca (Lc 2,22-39). Le parole di Simeone e di Anna che profetarono di lui cominciarono a divulgarsi ad opera di coloro che le avevano udite, e tali parole avrebbero potuto rievocare nell'animo del re l'antico proposito, per cui Giuseppe, avvertito da un sogno, fuggi in Egitto con il bambino e la madre (Mt 2,3-16). Successivamente, quando le cose accadute e le parole proferite nel tempio divennero di pubblico dominio, Erode s'accorse d'essere stato beffato dai Magi e, nell'intento di eliminare il Cristo, uccise molti bambini, come racconta Matteo.

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CAPITOLO 12

Le parole di Giovanni nei quattro Vangeli.

25. Parlando di Giovanni, Matteo prosegue cosi: In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea, dicendo: " Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino! ". Egli è colui che fu annunziato dal profeta Isaia quando disse: " Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! " (Mt 3,13). Marco e Luca concordano con Matteo nel riferire a Giovanni la testimonianza di Isaia (Mc 1,3 Lc 3,4). Anzi Luca, parlando proprio di Giovanni Battista aggiunge altre parole, quelle cioè che seguono nel testo del profeta. L'evangelista Giovanni, viceversa, racconta che fu lo stesso Giovanni Battista a riferire a se stesso la testimonianza di Isaia sopra ricordata (Jn 1,23), esattamente come fa Matteo il quale riporta a questo punto alcune parole di Giovanni omesse dagli altri evangelisti. Dice: Mentre predicava nel deserto della Giudea egli diceva: "Convertitevi perché il Regno dei cieli è vicino ", parole non riferite negli altri Vangeli. Quanto al resto che Matteo aggiunge proseguendo: Questi è colui che fu annunziato dal profeta Isaia quando dice: "Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri ", il passo è ambiguo, né risulta con chiarezza se Matteo riporti tali parole come scritte da se stesso o se ve l'abbia aggiunte riportando ancora parole di Giovanni. In tale ipotesi sarebbe stato Giovanni a dire tutta la frase: Convertitevi perché il Regno dei cieli è vicino. Questi è colui che fu annunziato dal profeta Isaia, ecc. Al riguardo non ci deve sorprendere il fatto che il Precursore non abbia detto: Io sono colui del quale ha parlato il profeta Isaia, ma: Questi è colui che fu annunziato. Tale modo di esprimersi si trova infatti frequentemente negli evangelisti Matteo e Giovanni. Ad esempio, dice Matteo: Egli trovo un uomo seduto al banco della gabella (Mt 9,9), e non: " Trovo me ". E Giovanni a sua volta: Questi è il discepolo che attesta tali cose e le ha messe in iscritto, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera (Jn 21,24). Non dice: " Io sono il discepolo " ecc. , né: " La mia testimonianza è vera ".

Parimenti lo stesso nostro Signore spessissimo si denomina Figlio dell'uomo o Figlio di Dio (Mt 9,6 Mt 16,27 Mt 17,9 Mc 8,31-38 Jn 5,25), e non dice: " Io ". Confrontare anche il detto: Bisognava che il Cristo soffrisse e risuscitasse il terzo giorno (Lc 24,46), mentre avrebbe dovuto dire: " Bisognava che io soffrissi ". Allo stesso modo anche Giovanni Battista, dopo le parole: Convertitevi perché il Regno dei cieli è vicino, poté aggiungere, riferendole a se stesso, le altre: Questi è colui che fu annunziato dal profeta Isaia, ecc. Riportate queste parole del Battista, Matteo continua la narrazione dicendo: Ora, questo Giovanni indossava una veste fatta con peli di cammello ecc. Pertanto, se le cose stanno davvero cosi, non c'è da meravigliarsi che egli, interrogato sull'idea che aveva di se stesso, abbia risposto, come riferisce l'evangelista Giovanni: Io sono la voce di uno che grida nel deserto (Jn 1,23). La stessa cosa infatti aveva asserito allorché ingiungeva di far penitenza. Parlando poi delle sue vesti e del suo cibo, Matteo continuando la narrazione dice: Ora questo Giovanni indossava una veste fatta con peli di cammello e attorno ai fianchi aveva una fascia di pelle. Suo nutrimento erano le locuste e il miele selvatico (Mt 3,4). La stessa cosa è narrata da Marco e quasi con le stesse parole (Mc 1,6).

Gli altri due ne tacciono.

26. Matteo continua dicendo: Allora accorrevano a lui da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla zona adiacente il Giordano; e, confessando i loro peccati, si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano. Vedendo pero molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: " Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all'ira imminente? Fate dunque frutti degni di conversione, e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio puo far sorgere figli di Abramo da queste pietre. Già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più potente di me e io non son degno neanche di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile " (Mt 3,5-12). Le stesse cose riferisce anche Luca, riportando su per giù le stesse parole di Giovanni (Lc 3,7-17); e se talvolta ci sono varianti di parole, non esistono divergenze circa il contenuto, che è identico.

Ad esempio, secondo Matteo Giovanni diceva: E non vogliate dire in cuor vostro: "Abbiamo per padre Abramo " (Mt 3,9); secondo Luca invece: Non cominciate a dire: " Abbiamo per padre Abramo " (Lc 3,8). E appresso Matteo fa dire a Giovanni: Io vi battezzo nell'acqua per la penitenza (Mt 3,11), mentre Luca frappone la domanda della gente che chiede cosa avrebbero dovuto fare e la risposta di Giovanni concernente la necessità delle opere buone, quale frutto del ravvedimento (Lc 3,16): particolare omesso da Matteo. Successivamente Luca parla di alcuni che in cuor loro pensavano che Giovanni fosse il Cristo e che appunto a questi tali egli disse: Io vi battezzo con acqua (Lc 3,16), senza pero aggiungere: " Per la penitenza ". Continua Matteo: Colui che verrà dopo di me è più forte di me, che è diverso da Luca, il quale scrive: Viene uno più forte di me (Mt 3,11 Lc 3,16). E ancora dice Matteo: Io non sono degno di portare i suoi calzari (Mt 3,11), mentre Luca: Io non son degno di sciogliere il laccio dei suoi calzari (Lc 3,16).

Quest'ultima espressione riferisce anche Marco, tacendo su tutto il resto. Descritto infatti il vestito e il nutrimento di Giovanni, Marco aggiunge: Egli predicava dicendo: Dopo di me viene uno più forte di me. A lui io non son degno di prostrarmi davanti per sciogliere il laccio dei suoi calzari. E se io vi ho battezzati nell'acqua, egli vi battezzerà nello Spirito Santo (Mc 1,68). Riguardo ai calzari dunque Marco si differenzia da Luca per quell'aggiunta del prostrarsi davanti; riguardo poi al battesimo si differenzia dagli altri due perché non dice: " E nel fuoco ", ma semplicemente: Nello Spirito Santo. Matteo infatti dice: Egli vi battezzerà nello Spirito Santo e nel fuoco, e la stessa cosa e nello stesso ordine riporta Luca, senza pero aggiungere la parola Santo là dove Matteo dice: Nello Spirito Santo e nel fuoco. Con questi tre concorda anche l'evangelista Giovanni, il quale scrive: Giovanni rende a lui testimonianza e grida: " Costui era l'uomo del quale vi avevo detto: Colui che viene dopo di me mi ha sorpassato perché esisteva prima di me " (Jn 1,15). Scrivendo cosi, mostra che il Battista disse quelle parole nel momento riferito dagli altri evangelisti e che le ripeté, al fine di richiamarle alla memoria, quando disse: Costui era l'uomo del quale vi avevo detto: Colui che viene dopo di me.

27. Ma ci si puo, al riguardo, chiedere quali parole abbia pronunziato realmente Giovanni Battista: se quelle riferite da Matteo o quelle riferite da Luca o magari quelle poche che Marco, tralasciando il resto, scrive essere state dette da lui. Su tale ricerca non è proprio il caso di affaticarci: la valutazione è ben nota ad ogni ricercatore saggio, che si renda conto del fatto che per conoscere il vero senso di un detto è da prendersi in considerazione l'affermazione in sé, qualunque siano le parole con cui la si manifesta. Se uno scrittore, ad esempio, segue un ordine diverso da quello seguito da un altro nel riportare certe parole, non per questo è in contrapposizione con lui. Né gli è contrario chi riferisce un particolare che l'altro omette. E chiaro infatti che gli evangelisti hanno descritto le cose come ciascuno ricordava o come a ciascuno stavano a cuore. Si sono avute cosi narrazioni più brevi o più lunghe, ma nelle une e nelle altre essi hanno voluto sempre esprimere lo stesso contenuto.

28. Da qui emerge una constatazione importantissima, specie in questa nostra materia, ed è questa: la verità evangelica è stata a noi comunicata dal Verbo di Dio, che rimane eterno e immutabile al di sopra di ogni creatura, mediante l'opera di creature umane e attraverso segni e lingue umane. Questa comunicazione ha raggiunto nel Vangelo il più alto vertice dell'autorevolezza. Non dobbiamo pertanto credere che l'uno o l'altro degli evangelisti abbia mentito se la stessa cosa, o udita o vista da parecchi e da costoro mandata a memoria, sia stata poi esposta in modo diverso e con parole diverse, purché la cosa sia rimasta veramente la stessa. Cosi è ad esempio, quando si inverte l'ordine delle parole o si pone un vocabolo al posto di un altro che abbia lo stesso significato. Ugualmente quando di una cosa che il narratore non ricorda o che puo essere desunta dal contesto si dice meno. Puo anche darsi che uno scrittore, essendosi prefisso di raccontare più diffusamente certe cose, per avere uno spazio sufficiente a raggiungere il suo intento decida di non sviluppare completamente una qualche parte ma solo toccarla di traverso.

E se a lui era stata data l'autorità di narratore [sacro], egli poté anche aggiungere qualcosa, certo non alla sostanza ma all'espressione verbale, al fine di rendere più chiara ed esplicita l'idea. Egli inoltre poté ricordare con precisione la sostanza dei fatti ma non riuscire poi, nonostante i suoi sforzi, ad esporre integralmente le parole che aveva udite e conservate nella memoria. Qualcuno potrebbe obiettare: Almeno agli evangelisti lo Spirito Santo con la sua potenza avrebbe dovuto concedere la grazia di non diversificarsi fra loro nella scelta delle parole, nel loro ordine e numero. Chi ragiona cosi non comprende quale sia la funzione degli evangelisti, la cui autorità, quanto più è superiore a qualsiasi altra, tanto più vale a dar sicurezza a tutti coloro che nella Chiesa predicano la verità. Se questi predicatori, pur volendo narrare in parecchi la stessa verità, differiscono l'uno dall'altro nel presentarla, a nessuno di loro

si potrà con fondatezza rimproverare d'averla falsificata quando egli a sua difesa puo addurre l'esempio degli evangelisti che antecedentemente hanno fatto la stessa cosa. Se infatti non è lecito né pensare né dire che qualcuno degli evangelisti abbia mentito, sarà anche evidente che non è un falsario colui che, riferendo le cose a memoria, sarà incorso in una di quelle mende che si riscontrano anche nei Vangeli. E siccome evitare la falsità rientra in maniera tutta speciale nelle norme della buona condotta, essi dovevano proprio per questo essere sostenuti da un'autorità che supera tutte le altre: di modo che, trovando nei diversi racconti elementi diversi l'uno dall'altro, mai avessimo a pensare a falsificazioni della verità, dal momento che le stesse variazioni le troviamo fra un evangelista e l'altro. E poi c'è una constatazione che rientra quant'altre mai nel cuore della dottrina cristiana, ed è questa: noi dobbiamo renderci conto che la verità non è da ricercarsi o collocarsi nelle parole ma nella realtà delle cose, e pertanto noi riconosciamo essere rimasti fedeli alla verità, sempre identica, tutti coloro che, sebbene non usino le stesse parole, non sono in contrasto nel riferire i fatti e le affermazioni riguardanti il contenuto.

29. Orbene, nei brani evangelici che ho proposto confrontandoli l'uno con l'altro cosa riterremo essere incompossibile? Forse l'aver un evangelista detto: A lui io non son degno di portare i calzari (Mt 3,11), mentre un altro: Di sciogliere il laccio dei calzari ? (Lc 1,7 Lc 3,16 Jn 1,27)In effetti, portare i calzari e sciogliere il laccio dei calzari a prima vista sembrano espressioni che si diversificano non solo per i termini o per l'ordine delle parole o per la forma del dire ma anche per il contenuto. Al riguardo si puo certo indagare cosa in realtà abbia detto Giovanni e di che cosa si ritenesse indegno: se di portare i calzari o di sciogliere il laccio dei calzari. Se infatti egli pronuncio una di queste frasi, si dovrà concludere - cosi almeno sembra - che abbia detto il vero colui che fu in grado di riferire cio che egli effettivamente disse; quanto invece all'altro, si potrà ritenere che, se ha riferito una cosa per un'altra, cio facendo non ha mentito ma, ovviamente, è incorso in una dimenticanza.

E tuttavia conveniente escludere nei racconti evangelici ogni sorta di falsità: non solo quindi quella che si commette mentendo ma anche quella che consiste nel dimenticare una cosa. E allora, se rientra davvero nella sostanza delle cose intendere in un senso le parole portare i calzari e sciogliere il laccio dei calzari in un altro, cosa pensi si dovrà concludere, per essere nella verità? Credo non resti altro che dire aver Giovanni usato l'una e l'altra espressione o in tempi diversi o una dopo l'altra. Ad esempio, egli poté dire cosi: A lui io non son degno di sciogliere il laccio dei calzari e nemmeno di portare i suoi calzari. In questa ipotesi un evangelista prese una parte dell'affermazione mentre gli altri ne presero un'altra, ma tutti narrarono la verità. Ma Giovanni parlando dei calzari del Signore, poté intendere questo soltanto: inculcarci la dignità eminente di Gesù e il suo abbassamento. In tal caso, qualunque cosa abbia egli detto, tanto cioè sciogliere il laccio dei calzari quanto portare i calzari, ha colto il vero senso della sua espressione - in questa ipotesi, identica - chiunque nel riferimento ai calzari riportato con parole proprie ha saputo vedere inculcata la nota dell'umiltà, significata appunto dai calzari.

In tal modo nessuno dei narratori ha deviato da cio che Giovanni intendeva asserire. Quando dunque si parla dell'accordo fra gli evangelisti occorre tener presente questo procedimento, che è utile e occorre imparare a memoria: non esiste menzogna quando uno narra una cosa in termini alquanto diversi da quelli con cui si espresse colui del quale son riportate le parole, purché il narratore sia fedele nell'esporre le stesse cose che intendeva tramandarci colui che pronuncio le parole riportate. In questo modo ci si fa conoscere, a nostra salvezza, che non è da ricercarsi altro all'infuori di quello che intende dire colui che parla.

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CAPITOLO 13

Il battesimo di Gesù.

30. Matteo prosegue dicendo: In quel tempo Gesù dalla Galilea ando al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. Giovanni pero voleva impedirglielo, dicendo: " Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me? ". Ma Gesù gli disse: " Lascia fare per ora, poiché conviene che cosi adempiamo ogni giustizia ". Allora Giovanni acconsenti (Mt 3,13-15). Gli altri evangelisti riferiscono che Gesù si reco da Giovanni e che fu da lui battezzato (Mc 1,9 Lc 3,21 Jn 1,32-34), ma non dicono niente di quel che, secondo Matteo, Giovanni disse al Signore né della risposta che questi gli diede.

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CAPITOLO 14

La voce celeste presenta a noi Gesù.

31. Continua Matteo: Appena battezzato, Gesù usci dall'acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. Ed ecco una voce dal cielo che disse: " Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto " (Mt 3,16-17). La stessa cosa narrano gli altri due, cioè Marco e Luca, e nello stesso modo (Mc 1,10-11 Lc 3,22). Tuttavia riguardo alle parole della voce celeste variano nella dicitura, pur lasciando inalterata l'identità del contenuto. E se Matteo riferisce che la voce disse: Questi è il mio Figlio diletto, mentre gli altri due: Tu sei il mio Figlio diletto (Mc 1,11 Lc 3,22), cio serve a rendere più esplicito il senso della frase, come ho già precedentemente esposto, ma la frase non è mutata. Di queste due espressioni la voce celeste ne disse certamente una sola, ma stava a cuore all'evangelista mostrarci che ambedue si equivalgono; e se fu detto: Questi è il mio Figlio, lo si disse per indicare agli uditori che quel tale era il Figlio di Dio, e per questo motivo un altro evangelista preferi le parole: Tu sei mio Figlio, intendendole nel senso che ai presenti si diceva: Questi è il mio Figlio. Non si voleva dunque inculcare a Cristo una cosa che lui certo sapeva, ma è detto cosi perché cosi udirono i presenti, per i quali era effettivamente venuta la voce.

Lo stesso vale per quel che segue. Dice un evangelista: Nel quale mi sono compiaciuto; un altro: In te io sono compiaciuto, un terzo: In te mi sono compiaciuto. Se vuoi indagare quali siano state le precise parole uscite da quella voce, scegli quelle che ti pare, purché ritenga che gli evangelisti, sebbene non abbiano riferito alla lettera le parole usate, abbiano riferito il senso della frase, identico in tutte le narrazioni. Anzi, io direi che già in se stessa questa diversità di espressione è utile, in quanto impedisce che la cosa sia compresa in maniera inadeguata e interpretata in senso diverso da come realmente si verifico: inconvenienti che potrebbero accadere se la si trovasse narrata in un unico modo. Poniamo infatti che la voce abbia detto: Nel quale mi sono compiaciuto.

Chi volesse intendere la frase nel senso che Dio abbia trovato nel Figlio le sue compiacenze è richiamato ad una diversa accezione dal testo che dice: In te sono compiaciuto. Se viceversa un altro, fermandosi su quest'unico testo, volesse intendere che nel Figlio il Padre ha voluto rendersi accetto agli uomini, è richiamato dal testo che dice: In te ho posto le mie compiacenze. Da cui scaturisce questa conclusione: uno degli evangelisti, chiunque sia stato, ha riportato alla lettera le parole della voce celeste; gli altri le hanno modificate, volendo con cio spiegare e rendere più accessibile il loro significato. Dovrà dunque ritenersi che tutti hanno inteso suggerirci di prendere tali parole come equivalenti a: " In te ho collocato la mia compiacenza ", o anche: " Io per tuo mezzo compio quel che è di mio gradimento ". Quanto poi al testo di Luca riportato da alcuni codici, nei quali la voce dal cielo si sarebbe espressa citando le parole del Salmo che dice: Tu sei il mio Figlio, oggi io ti ho generato (Sal 2,7; Lc 3,22), a quel che ci si tramanda, tale richiamo non si trova nei codici greci più antichi. Tuttavia, se ci fossero esemplari attendibili, anche se pochi di numero, che lo confermassero, quale lezione bisognerà preferire se non quella che accetta le due espressioni, qualunque sia stato l'ordine delle parole quando risuonarono dalla voce celeste?


Agostino, Consenso Evang. 206