Agostino, Consenso Evang. 249

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CAPITOLO 49

Le parole della donna Cananea in Matteo e Luca.

103. Dopo il discorso che il Signore tenne ai farisei parlando del lavarsi o no le mani, Matteo prosegue con un racconto connesso e osservando anche l'ordine in cui le cose si susseguirono. Lo indica il modo com'è descritto il passaggio. Egli dice: Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone. Ed ecco una donna cananea, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: " Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio ". Ma egli non le rivolse neppure una parola (Mt 15,21-25)ecc. , fino alle parole: "Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri ". E da quell'istante sua figlia fu guarita (Mt 15,28). L'episodio della Cananea è riportato anche da Marco, il quale si attiene allo stesso ordine né presenta alcun problema in fatto di contrapposizione, se si esclude il particolare della casa, all'interno della quale si sarebbe trovato il Signore quando venne da lui la Cananea a pregarlo per la figlia (Mc 7,24-30) Matteo poté facilmente omettere il riferimento alla casa, pur narrando lo stesso avvenimento. Tuttavia, siccome nota che i discepoli suggerirono al Signore di allontanarla poiché gridava dietro a loro (Mt 15,23), con tale precisazione altro non vuol dire se non che il Signore era in cammino quando la donna comincio a gridare le sue implorazioni.

Come poté dunque il fatto accadere all'interno della casa? La soluzione viene se si ammette che la donna entro nella casa dopo che il Signore - come attesta Marco - era entrato anch'egli in casa. Siccome poi Matteo dice che Gesù non le rivolse neppure una parola (Mt 15,23), ci si lascia sottintendere che durante quel silenzio Gesù usci di casa: particolare che nessuno dei due evangelisti racconta. Dopo questo avvennero le altre cose narrate dal Vangelo: nelle quali non c'è nessuna divergenza. Quanto alle parole, riferite da Marco, che il Signore disse alla donna e cioè " non doversi gettare ai cani il pane dei figli ", furono dette dopo le inserzioni che anche Matteo riporta. In questo modo: i discepoli intervennero supplicando il Signore per lei; ma ad essi il Signore rispose di essere stato mandato soltanto alle pecore perdute della casa d'Israele. In quel frattempo intervenne lei, arrivando pero dopo i discepoli, e lo adoro dicendo: Signore, aiutami (Mt 15,25), e allora le fu data la risposta che tutt'e due gli evangelisti hanno tramandato.

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CAPITOLO 50

Le turbe sfamate con sette pani.

104. Continuando il racconto Matteo scrive: Allontanatosi di là, Gesù giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, si fermo là. Attorno a lui si raduno molta folla recando con sé muti, ciechi, zoppi, storpi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guari. E la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E glorificavano il Dio d'Israele. Allora Gesù chiamo a sé i suoi discepoli e disse: " Sento compassione di questa folla: ormai da tre giorni mi vengono dietro e non hanno da mangiare " (Mt 15,29-32)ecc. , fino alle parole: Quelli che avevano mangiato erano quattromila uomini, senza contare le donne e i bambini (Mt 15,38). Questo miracolo dei sette pani e pochi pesci è ricordato anche da Marco e, su per giù, nello stesso ordine. Solo che Marco inserisce qui l'episodio, non raccontato da nessuno degli altri evangelisti, di quel sordo (Mc 7,31-37 Mc 7, al quale il Signore apri gli orecchi usando dello sputo sulle dita dicendo: Effeta, che significa: " Apriti " (Mc 7,34).

105. A proposito del miracolo dei sette pani non mi sembra essere fuori posto segnalare che esso è raccontato da due evangelisti, Matteo e Marco (Mt 14,15 Mc 6,35 Lc 9,12 Jn 6,5). Se infatti lo avesse raccontato uno di loro che non aveva detto nulla dell'altro miracolo, cioè dei cinque pani, si sarebbe potuto pensare che l'autore d'un tale racconto era in contrasto con gli altri. Trattandosi d'un unico e identico fatto, chi non avrebbe concluso che o l'uno o l'altro o tutti i narratori ci abbiano lasciato un racconto non solo incompleto ma anche falsato? Ingannati, essi ci avrebbero parlato di sette pani invece che di cinque o di cinque invece che di sette; e tutti ci avrebbero riferito menzogne o, avendo dimenticato le cose, loro stessi sarebbero rimasti ingannati. Lo stesso vale per le dodici ceste: cosa che si potrà ritenere, più o meno, in contrasto con le sette sporte; e vale anche per il numero di quelli che furono sfamati: in un caso cinquemila, nell'altro quattromila.

Siccome pero gli stessi evangelisti che ci hanno riportato il miracolo dei sette pani ci hanno parlato anche di quello dei cinque pani, nessuno ha da sorprendersi delle differenze, essendo chiaro che entrambi i fatti sono realmente accaduti. Diciamo questo per risolvere altri casi simili, dove si trova compiuto dal Signore qualcosa in cui un evangelista sembra essere in contrasto con gli altri, e in maniera tale che la difficoltà sembra davvero insolubile. In questi casi non resta che supporre essere accaduto l'uno e l'altro episodio e che gli evangelisti, dei due, ne hanno raccontato chi l'uno e chi l'altro. Una tale soluzione abbiamo proposto riguardo ai gruppi di cento, o di cinquanta, della gente che sedeva in terra per mangiare i pani. Se infatti anche a questo riguardo non avessimo riscontrato che i due raggruppamenti sono riferiti in questi termini dal medesimo narratore, avremmo potuto concludere che i singoli scrittori sono fra loro in contrapposizione.

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CAPITOLO 51

Il segno di Giona.

106. Prosegue Matteo: Congedata la folla, Gesù sali sulla barca e ando nella regione di Magadan (Mt 15,39)ecc., fino alle parole: Una generazione perversa e adultera cerca un segno, ma nessun segno le sarà dato se non il segno di Giona (Mt 16,4). Di questo ha già parlato Matteo in altro luogo (Mt 12,39). Per cui bisognerà ritenere - e la cosa va ribadita senza mai stancarsi - che il Signore dové ripetere spesso le stesse parole, e quindi là dove esistono espressioni contrastanti si deve supporre che la cosa sia stata detta due volte. Quanto al nostro testo in concreto, Marco segue lo stesso ordine di Matteo, e dopo il miracolo dei sette pani riporta gli stessi avvenimenti, differenziandosi solo perché li colloca a Dalmanuta mentre Matteo non parla di questa località, anche se la si legge in alcuni codici, ma di Magadan. Non si deve pero dubitare che con i due nomi venga indicata la stessa regione: tant'è vero che la maggioranza dei codici anche di Marco altro non leggono se non Magadan (Mc 8,10-12). Né deve sorprendere il fatto che secondo Marco la risposta non fu data a gente che chiedeva un segno dal cielo e nemmeno, come ha Matteo, che questo segno era Giona, ma semplicemente che Gesù rispose: Non le sarà dato alcun segno. E facile comprendere quale fosse il segno che chiedevano e com'esso doveva provenire dal cielo. Quanto a Giona, ricordato da Matteo, Marco non ne parla.

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CAPITOLO 52

Il lievito dei farisei.

107. Prosegue Matteo: E lasciatili se ne ando. Nel passare pero all'altra riva, i discepoli avevano dimenticato di prendere il pane. Gesù disse loro: " Fate bene attenzione e guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei " (Mt 16,46)ecc. , fino alle parole: Allora essi compresero che egli non aveva detto che si guardassero dal lievito del pane, ma dalla dottrina dei farisei e dei sadducei (Mt 16,12). Identiche cose riferisce Marco e con lo stesso ordine (Mc 8,11-21).

Le opinioni della gente su Gesù.

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CAPITOLO 53

108. Prosegue Matteo: Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarea di Filippo, chiese ai suoi discepoli: " La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo? ". Risposero: " Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei Profeti " (Mt 16,13-14)ecc. , fino alle parole: E tutto cio che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli (Mt 16,19). Questo avvenimento è narrato anche da Marco e quasi con lo stesso ordine (Mc 8,22-29). Egli vi premette soltanto un miracolo che lui solo racconta, e cioè di quel cieco a cui il Signore restitui la vista. Prima di guarire egli aveva confessato: Vedo degli uomini simili ad alberi che si muovono (Mc 8,24). Luca ricorda questo episodio dopo il miracolo dei cinque pani e in quel contesto lo inserisce (Lc 9,18-20).

Ora quest'ordine, che è quello secondo cui un autore ricorda le cose, non contrasta assolutamente - come sopra abbiamo rilevato - con l'ordine seguito dagli altri autori sacri. Potrebbe invece sorprendere il fatto che l'interrogazione rivolta dal Signore ai discepoli sulle opinioni della gente nei suoi riguardi, secondo Luca sarebbe stata da lui proferita mentre stava pregando in solitudine e c'erano solo i discepoli, mentre secondo Marco li avrebbe interrogati mentre erano in cammino (Mc 8,27). Chi si stupisce d'una divergenza come questa dimostra che non ha mai pregato camminando per strada.

109. Voglio qui ribadire una cosa già detta sopra e cioè: non si deve pensare che a Pietro fu dato questo nome quando gli fu detto: Tu sei Pietro e su questa pietra edifichero la mia Chiesa (Mt 16,18). Viceversa, questo nome lo ricevette quando - come riferisce Giovanni - gli fu detto: Tu ti chiamerai Cefa, che significa Pietro (Jn 1,42). E non è da pensarsi nemmeno che a Pietro sia stato imposto questo nome quando Marco, elencati i dodici discepoli e precisato il nome di ciascuno, dice che allora a Giacomo e Giovanni fu imposto l'appellativo di " figli del tuono ". Che se l'evangelista colloca in quel contesto l'imposizione del nome con il quale in seguito Pietro (Mc 3,16-19) sarà sempre chiamato, il suo racconto è quello di uno che ricorda cose passate e non di chi descrive cose che accadevano allora.

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CAPITOLO 54

Gesù predice ai suoi discepoli la propria passione.

110. Prosegue Matteo: Allora ordino ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo. Da allora Gesù comincio a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani e degli scribi (Mt 16,20-21)ecc. , fino alle parole: Non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini (Mt 16,23). Nello stesso ordine conducono la narrazione Marco e Luca; solo che Luca non parla di Pietro che si ribella all'ipotesi della passione di Cristo (Mc 8,30-33 Lc 21-22).

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CAPITOLO 55

La sequela di Cristo.

111. Prosegue Matteo: Allora Gesù disse ai suoi discepoli: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua " (Mt 16,24)ecc. , fino alle parole: E renderà a ciascuno secondo le sue azioni (Mc 8,34-38). Identico è il racconto di Marco, che procede nel medesimo ordine (Mc 3,16-19), nulla pero dicendo del Figlio dell'uomo che verrà con i suoi angeli a dare a ciascuno la ricompensa meritata con le proprie opere. In compenso egli riporta queste altre parole del Signore: Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi (Mc 8,38). Sono parole che si possono ben interpretare come identiche nel contenuto a quelle riferite da Matteo, secondo il quale Cristo ricompenserà ciascuno secondo le sue opere. Quanto a Luca, il suo racconto procede riportando qui le stesse cose e nel medesimo ordine (Lc 9,23-26), né molto si discosta nella scelta delle parole, mentre è somigliantissimo nel contenuto, cioè nella verità.

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CAPITOLO 56

La trasfigurazione.

112. Continua Matteo: In verità vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell'uomo venire nel suo regno (Mt 16,28). Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte su un alto monte (Mt 17,1) ecc. , fino alle parole: Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti (Mt 17,9). Si tratta di quella teofania di Gesù avvenuta sul monte alla presenza dei tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, quando fu resa a lui testimonianza dal cielo tramite la voce del Padre. L'evento è riferito dai tre evangelisti secondo un identico ordine, e la sostanza del racconto è perfettamente uguale (Mc 8,39 Mc 8, Mc 9,1-9 Lc 9,27-36). Se ci sono delle diversità esse non toccano la sostanza dell'avvenimento: le si dovrà quindi interpretare come divergenze limitate all'ambito dell'espressione letteraria, le quali divergenze, come sopra abbiamo dimostrato, si incontrano in molti passi scritturali. Ogni lettore puo quindi scorgere di che si tratta.

113. Non si devono biasimare quei tali che restano sorpresi perché Marco e Matteo dicono che il fatto accadde dopo sei giorni, mentre Luca dopo otto; li si deve piuttosto istruire con una motivata spiegazione (Mc 9,2 Mt 17,1 Lc 9,28). La cosa accade anche a noi quando contiamo i giorni e diciamo: " Dopo tot giorni ". Ci succede a volte, dico, di non contare il giorno in cui stiamo parlando e nemmeno quello in cui accadrà la cosa che prediciamo o assicuriamo ma soltanto i giorni intermedi, passati i quali si avvererà il fatto: in realtà essi soli sono giorni del tutto completi e perfetti. Cosi computarono Matteo e Marco. Escludendo il giorno in cui Gesù parlava e quello in cui si mostro sul monte, nella visione sopra ricordata, e considerando solo i giorni intermedi dissero: dopo sei giorni. Luca al contrario incluse nel suo computo anche i giorni terminali, cioè il primo e l'ultimo, e cosi poté parlare di otto giorni, usando quel traslato che consente di dare alla parte il nome del tutto.

114. Lo stesso vale per quanto riferito da Luca a proposito di Mosè ed Elia: Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: " Maestro, è bello per noi stare qui " (Lc 9,33)ecc. Questo racconto non è da ritenersi contrario a quello di Matteo e di Marco, che unirono le cose in modo da farci quasi apparire che Pietro rivolse la parola al Signore mentre egli stava ancora parlando con Mosè ed Elia (Mt 17,3-9 Mc 9,4-8). Questi evangelisti tuttavia non precisano il momento ma piuttosto omettono il particolare aggiunto da Luca, e cioè che Pietro, mentre stavano scendendo dal monte, suggeri al Signore l'idea di costruire le tre tende. Luca aggiunge inoltre la notizia che la voce risuono dalla nube mentre essi entravano nella nube stessa: particolare di cui gli altri evangelisti non dicono nulla ma non per questo li si deve ritenere in opposizione con lui.

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CAPITOLO 57

Il ritorno di Elia.

115. Prosegue Matteo: Allora i discepoli gli domandarono: "Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia? ". Ed egli rispose: " Si, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi, l'hanno trattato come hanno voluto. Cosi anche il Figlio dell'uomo dovrà soffrire per opera loro ". Allora i discepoli compresero che egli parlava di Giovanni il Battista (Mt 17,10-13). Le stesse cose ricorda Marco, che si attiene allo stesso ordine e, se si allontana da Matteo, è per qualche differenza verbale, non per la verità del contenuto, che è sempre identico (Mc 9,10-12). Egli non aggiunge, ad esempio, la precisazione che, quando il Signore presento Elia come già venuto, i discepoli non compresero che voleva indicare Giovanni.

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CAPITOLO 58

Il fanciullo lunatico.

116. Prosegue Matteo: Appena ritornati presso la folla, si avvicino a Gesù un uomo che, gettatosi in ginocchio, gli disse: " Signore, abbi pietà di mio figlio. Egli è epilettico e soffre molto " ecc. (Mt 17,14), fino alle parole: Questa razza [di demoni] non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno (Mt 17,8). Lo stesso fatto è riportato da Marco e da Luca nello stesso ordine (Mc 9,16-18 Lc 9,38-43), né ci sono problemi di contrapposizione.

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CAPITOLO 59

Gesù predice la passione.

117. Prosegue Matteo: Mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse loro: " Il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà ". Ed essi furono molto rattristati (Mt 17,21-22). Nello stesso ordine riferiscono la cosa Marco e Luca (Mc 9,23-31 Lc 9,44-45).

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CAPITOLO 60

La moneta del tributo trovata nel pesce.

118. Prosegue Matteo: Venuti a Cafarnao, si avvicinarono a Pietro gli esattori della tassa per il tempio e gli dissero: " Il vostro maestro non paga la tassa per il tempio? ". Rispose: " Si " (Mt 17,23-24)ecc. , fino alle parole: Prendila e consegnala loro e per me e per te (Mt 17,26). E un episodio che Matteo solo ricorda. Dopo questo inciso continua il racconto nel medesimo ordine secondo cui procedono, insieme con lui, anche Marco e Luca. Senza varianti.

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CAPITOLO 61

Matteo confrontato con gli altri due Sinottici.

119. Prosegue ancora Matteo: In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: " Chi dunque è il più grande nel Regno dei cieli? ". Allora Gesù chiamo a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: " In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei cieli " (Mt 18,13), fino alle parole: Cosi il Padre mio celeste farà di voi, se ognuno di voi non perdonerà di cuore al suo fratello (Mt 18,35). Di questo discorso del Signore, piuttosto lungo, Marco non riferisce tutto quello che disse Gesù ma solo una parte; procede nello stesso ordine di Matteo, aggiungendo peraltro cose che questi non riferisce (Mc 9,33-49).

Durante la sezione del discorso che ora ci proponiamo di esaminare, chi interroga il Signore è il solo Pietro; egli chiede al Signore quante volte si debba perdonare il fratello. In effetti, Gesù doveva parlare spesso di tali argomenti, per cui è dato intravvedere a sufficienza come la domanda di Pietro e la risposta che ne ricevette rientravano nel medesimo discorso. In questa successione di fatti Luca non ricorda altro all'infuori della necessità d'imitare i bambini, quando appunto il Signore ne prese uno e lo colloco dinanzi ai discepoli, che carezzavano sogni di grandezza, perché lo imitassero. E se in Luca troviamo raccontate in modo somigliante altre cose che sono riportate in questo discorso, le troviamo in altri contesti e suggerite da altre occasioni (Lc 9,46-48). Lo stesso fa Giovanni quando parla della remissione dei peccati e dice che resteranno non rimessi a coloro cui non li rimetteranno e saranno rimessi e chi invece li rimetteranno (Jn 20,23).

Secondo Giovanni queste parole furono dette dal Signore dopo la risurrezione, mentre stando a Matteo egli le pronuncio nel presente discorso anzi, al dire del primo evangelista, esse erano già state dette al solo Pietro in epoca ancor precedente (Mt 18,18). Dobbiamo quindi ricordare ancora una volta che Gesù dovè ripetere le stesse parole spesso e in più occasioni e, come abbiamo altre volte inculcato, non ci dobbiamo sorprendere se la successione dei detti crea qualche apparente contrasto. E un avviso che non dobbiamo ripetere di continuo.

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CAPITOLO 62

Sul libello del ripudio.

120. Successivamente Matteo racconta: Terminati questi discorsi, Gesù parti dalla Galilea e ando nel territorio della Giudea, al di là del Giordano. E lo segui molta folla e colà egli guari i malati. Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: " E lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo? " (Mt 19,13)ecc. , fino alle parole: Chi puo capire capisca (Mt 19,12). Tutto questo è riportato anche da Marco, che segue il medesimo ordine (Mc 10,1-12). S'impone tuttavia un esame degli elementi che nei due testi potrebbero sembrare contrastanti. Dice infatti Marco che fu il Signore a chiedere ai farisei quale fosse la prescrizione data da Mosè, e a questa domanda essi risposero che era stato concesso di dare il libello del ripudio (Gn 1,12 Dt 24,1).

Matteo al contrario mette prima le parole con cui il Signore mostra come, secondo la legge, fu Dio a unire l'uomo e la donna, e quindi nessun uomo ha il diritto di separarli. A queste parole essi replicarono: Come mai allora Mosè prescrisse di dare il libello del ripudio e di licenziare [la moglie]? In risposta Gesù aggiunse: Mosè vi concesse di ripudiare la moglie a motivo della durezza del vostro cuore, ma da principio non fu cosi (Mt 19,7-8). Marco da parte sua non omette questa replica del Signore ma la colloca dopo che essi ebbero risposto alla domanda da lui posta sul libello del ripudio.

121. Dobbiamo ancora una volta persuaderci che, qualunque sia stato l'ordine delle parole e le modalità con cui furono rivolte al Signore, cio non ha nulla a che vedere con la verità dei fatti. Non interessa quindi sapere se fu il Signore a dichiarare illecita ogni separazione e a comprovare con la legge il suo asserto, dando quella risposta alla quale i Giudei obiettarono presentando il problema del libello del ripudio loro concesso da Mosè, che pure aveva scritto aver Dio congiunto l'uomo e la donna (Gn 2,24); o se invece furono gli avversari a rispondere cosi al Signore che chiedeva quale fosse al riguardo la prescrizione di Mosè. Nella volontà di Cristo c'era infatti il proposito di non esporre il motivo per cui Mosè aveva accordato loro quella concessione se essi prima non gliene avessero parlato.

Ora questo proposito del Signore fu espresso da Marco mediante la domanda da lui ricordata. In effetti la loro intenzione s'incentrava sull'autorità di Mosè e com'egli aveva loro concesso di dare il libello del ripudio. La domanda quindi era fatta prevedendo la conclusione di Gesù, che avrebbe sicuramente proibito ogni separazione. Erano infatti andati da lui proprio per metterlo alla prova con la loro domanda. Ora, questa intenzione è descritta da Matteo senza che venga ricordata la domanda loro rivolta dal Signore ma mettendo in bocca agli stessi avversari il riferimento al comando dato da Mosè, con cui volevano in certo qual modo trarre dalla propria parte il Maestro, che invece proibiva ogni sorta di separazione. Avendo dunque tutt'e due gli evangelisti esposto chiaramente qual era l'intenzione degli interlocutori - elemento essenziale al cui servizio erano le parole - non importa nulla se il loro modo di narrare la cosa sia diverso, dal momento che nessuno dei due si allontana dalla verità.

122. Il fatto puo anche ricostruirsi secondo quel che riferisce Marco, e cioè che, venuti gli avversari a interrogarlo sul ripudio della moglie, il Signore li interrogo a sua volta sulle ingiunzioni date al riguardo da Mosè. Avendo essi risposto che Mosè aveva permesso di compilare il libello del ripudio e cosi rimandarla, egli replico citando la legge stessa, data da Mosè, secondo la quale Dio istitui le nozze tra uomo e donna e aggiungendo le parole riportate da Matteo: Non avete voi letto come colui che al principio li creo, li creo maschio e femmina? (Mt 19,4) ecc.

All'udire questo, essi riproposero la sussunta già a lui presentata dopo la prima domanda e gli dissero di nuovo: Come mai potè Mosè comandare che le si desse il libello del ripudio e la si rimandasse? (Mt 19,7) In riferimento a tale richiesta Gesù mostro come il motivo era da ricercarsi nella durezza del loro cuore; e Marco per brevità colloca dapprincipio questo riferimento al motivo della interrogazione, supponendo che la risposta fu data alla replica precedente, che Matteo colloca altrove. Egli, cosi facendo, indica che nessun pregiudizio si arreca alla verità con riferire in contesti diversi ma con identiche parole quanto quei farisei avevano detto e poi ripetuto, dal momento che anche il Signore l'aveva espresso con tali parole.

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CAPITOLO 63

I fanciulli e il giovane ricco.

123. Prosegue Matteo: Allora gli furono portati dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li sgridavano (Mt 19,13)ecc. , fino alle parole: Molti invero sono i chiamati, ma pochi gli eletti (Mt 20,16). Lo stesso ordine di Matteo segue Marco (Mc 10,13-31), ma il racconto degli operai presi a giornata per lavorare la vigna è inserito dal solo Matteo. Quanto a Luca, egli, riferita la risposta che il Signore diede ai discepoli vogliosi di sapere chi fosse il più grande fra loro, aggiunge il racconto di quel tale che avevano visto scacciare i demoni senza essere dei seguaci di Gesù. In seguito si distacca completamente dai primi due evangelisti e narra come il Maestro si rivolse decisamente verso Gerusalemme intenzionato di salirvi (Lc 9,46 Lc 9,51). Dopo una lunga digressione torna a combaciare con gli altri raccontando di quel ricco (Lc 18,18-30) al quale il Signore disse: Vendi tutto quello che possiedi (Lc 18,22), cosa che gli altri ricordano in questo momento procedendo insieme nello stesso ordine. E in tal punto che anche Luca prima di menzionare quel ricco pone l'episodio dei fanciulli, come fanno gli altri due. Riguardo poi al ricco che chiedeva cosa dovesse fare di bene per ottenere la vita eterna potrebbe notarsi una qualche diversità fra quanto riferito da Matteo (e cioè: Perché mi interroghi su cio che è buono?(Mt 13,17) e quanto riferito dagli altri evangelisti, che hanno: Perché mi chiami buono? (Mc 10,18 Lc 18,19)Ad ogni modo le parole: Perché mi interroghi su cio che è buono? possono con probabilità riferirsi alla domanda di quel tale: Cosa dovro fare di buono? In tale domanda si parla di cio che è buono e la forma è interrogativa, mentre Maestro buono non è un'interrogazione. Si deve dunque con tutta probabilità intendere che le frasi furono dette tutt'e due, e cioè: Perché mi chiami buono? e: Perché mi interroghi su cio che è buono?

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CAPITOLO 64

Gesù predice la passione.

124. Matteo prosegue: Mentre saliva a Gerusalemme Gesù prese in disparte i Dodici e lungo la via disse loro: " Ecco, noi stiamo salendo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi, che lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché sia schernito e flagellato e crocifisso; ma il terzo giorno risusciterà ". Allora gli si avvicino la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli, e si prostro per chiedergli qualcosa (Mt 20,17-20)ecc. , fino alle parole: Appunto come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto di molti (Mt 20,28). Alla stessa successione dei fatti si attiene Marco, ma nel particolare dei figli di Zebedeo annota che furono loro a dire quelle parole, mentre secondo Matteo non furono dette da loro personalmente ma tramite la madre, che presento al Signore il loro desiderio. Per questo motivo Marco, che ama la brevità, cosi scrivendo volle sottolineare che a dire la frase furono piuttosto loro e non la madre (Mc 10,32-45); tant'è vero che, tanto secondo Matteo quanto secondo Marco, nella risposta il Signore si rivolse a loro più che non alla madre. Luca (Lc 18,31-34)ricorda la predizione che Gesù fece ai dodici discepoli della sua passione e risurrezione e la espone nello stesso ordine, ma poi omette quanto narrato dagli altri finché, dopo le diverse aggiunte, non si rincontrano nell'episodio accaduto a Gerico. Riguardo pero alle affermazioni riportate da Matteo e Marco sui capi delle nazioni che spadroneggiano sui sudditi, mentre fra i discepoli non deve essere cosi, anzi chi fra loro è più in alto deve diventare il servo degli altri, tutto cio è narrato, più o meno, anche da Luca, ma non nello stesso contesto. Questa diversità di collocazione di per sé indica che la stessa espressione fu ripetuta più volte dal Signore (Mt 20,25 Mc 10,42 Lc 22,24-27).

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CAPITOLO 65

I ciechi di Gerico.

125. Prosegue Matteo: Mentre uscivano da Gerico, una gran folla seguiva Gesù. Ed ecco che due ciechi, seduti lungo la strada, sentendo che passava Gesù, si misero a gridare: " Signore, figlio di Davide, abbi pietà di noi! " (Mt 20,29-30)ecc. , fino alle parole: Subito recuperarono la vista e lo seguirono (Mt 20,34). L'episodio è ricordato anche da Marco, che pero dice essersi trattato d'un solo cieco (Mc 10,46-52). La soluzione della difficoltà è la stessa che è stata data a proposito di quei due posseduti dalla legione di demoni nel paese dei Geraseni (Mt 8,28 Mc 5,1 Lc 8,27). In effetti, dei due ciechi che qui Marco menziona uno doveva essere molto conosciuto, direi anzi ben rinomato, in quella città: tant'è vero che Marco riferisce il nome suo e quello di suo padre (Mc 10,46 Lc 8,41). Questa precisazione del nome non è facile riscontrarla fra le tante persone guarite dal Signore di cui prima si parla nel Vangelo. Si trova indicato per nome soltanto l'arcisinagogo Giairo di cui Gesù risuscito la figlia (Mc 5,22-43). Da questo viene confermata la nostra precedente conclusione, in quanto quell'arcisinagogo nel proprio ambiente doveva essere senz'altro un personaggio di rilievo. Non c'è dubbio pertanto che Bartimeo, figlio di Timeo, era un personaggio decaduto da prosperità molto grande, e la sua condizione di miseria doveva essere universalmente nota e di pubblico dominio in quanto non era soltanto cieco ma un mendicante che sedeva lungo la strada. Per questo motivo Marco volle ricordare lui solo, perché l'avere egli ricuperato la vista conferi al miracolo tanta risonanza quanto era grande la fama della sventura capitata al cieco.

126. Luca riferisce un episodio che nelle modalità corrisponde esattamente al precedente; tuttavia occorrerà intendere il suo racconto nel senso che si tratta di un altro miracolo avvenuto nella persona di un altro cieco per quanto in modo consimile (Lc 18,35-43). Questo perché Luca afferma che il fatto avvenne mentre Gesù si avvicinava a Gerico (Lc 18,35), gli altri evangelisti invece lo collocano quando egli usciva da Gerico(Mc 10,46 Mt 20,29). E vero che il nome della città e le somiglianze fra i due episodi indurrebbero a farci credere trattarsi d'un solo e identico fatto, ma in tal caso gli evangelisti sarebbero in contraddizione fra loro poiché uno dice: Mentre si avvicinava a Gerico, gli altri: Mentre usciva da Gerico. A una tale conclusione possono naturalmente lasciarsi indurre coloro che sono più propensi a credere che nel Vangelo ci siano menzogne anziché a credere che Gesù abbia compiuto due miracoli simili e con modalità press'a poco uguali. Ora quale di queste due ipotesi sia la più credibile (o piuttosto l'unica vera) lo scopre, e con molta facilità, chi vuol esser un figlio fedele al Vangelo; e anche chi ama le polemiche, almeno dopo che lo si è avvisato, puo trovare una risposta per starsene zitto o, se non gli garba tacere, potrà darsi una risposta che lo costringa a pensare.

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CAPITOLO 66

L'ingresso di Gesù a Gerusalemme.

127. Prosegue Matteo: Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero a Betfage, presso il monte degli Ulivi, Gesù mando due dei suoi discepoli dicendo loro: " Andate nel villaggio che vi sta di fronte: subito troverete un'asina legata e con essa un puledro " (Mt 21,1-2) ecc. , fino alle parole: Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell'alto dei cieli (Mt 21,9). Identico il racconto di Marco che rispetta lo stesso ordine (Mc 11,1-20). Al contrario Luca si sofferma ancora a Gerico, ricordando particolari omessi dagli altri evangelisti, come il fatto di Zaccheo, capo dei pubblicani, e alcuni testi parabolici (Lc 19,1-38).

Terminata la digressione si riannoda al racconto degli altri, ricordando anche lui l'asinello sul quale sedette Gesù. Né ci si deve meravigliare se Matteo menziona l'asina e il puledro, mentre gli altri non parlano dell'asina. Si deve anche qui ripensare alla norma sopra inculcata a proposito di quella gente che si adagio sull'erba a gruppi di cento e di cinquanta, quando le folle furono sfamate con cinque pani (Mc 6,40 Lc 9,1-4). Tenendo presente questa norma, il lettore non dovrebbe turbarsi nemmeno se Matteo avesse tralasciato di menzionare il puledro, come gli altri hanno sorvolato sull'asina, né tanto meno pensare a una opposizione per aver uno parlato dell'asina mentre gli altri del puledro. Come si fa quindi a stupirsi se uno ricorda l'asina, di cui gli altri tacciono, ma non tralascia di ricordare il puledro, menzionato anche dagli altri? Se pertanto c'è modo di interpretare le cose come tutt'e due avvenute, non c'è contrasto quando un evangelista ne riferisce l'una e un altro l'altra. Quanto meno ci sarà contrasto se un autore riferisce uno dei fatti mentre l'altro tutti e due?

128. Giovanni non parla dell'incarico dato dal Signore ai discepoli di recargli i due animali ma accenna brevemente al puledro, aggiungendo anche la testimonianza del profeta ricordata da Matteo (Jn 12,14-15 Za 9,9). Nel riferire questa testimonianza profetica c'è fra i due evangelisti una certa diversità di linguaggio ma nessuna opposizione di contenuto. Puo tuttavia sorprendere il fatto che Matteo nel riferire la cosa afferma che nel profeta si fa menzione dell'asina (Mt 21,5), mentre non sarebbe conforme al testo né in quanto descrive Giovanni né in quanto leggono i codici della versione in uso nella Chiesa. La ragione di tale divergenza mi sembra doversi ricercare nel fatto che, stando alla tradizione, Matteo scrisse il Vangelo in lingua ebraica. Ora è noto che la versione cosiddetta dei Settanta differisce in vari passi da quel che leggono nel testo ebraico coloro che conoscono detta lingua e hanno interpretato qualcuno dei libri scritti in ebraico. Si potrebbe ricercare la causa di queste divergenze e come mai riscuota tanto credito la versione dei Settanta, che cosi spesso si allontana dalla verità contenuta nei codici ebraici. Per quanto mi è dato conoscere, non penso che ci sia un motivo più probabile di questo: che quei Settanta interpreti tradussero per impulso dello stesso Spirito dal quale erano state dette le cose che essi traducevano.

La qual cosa è confermata dal mirabile accordo che, a quanto si dice, fu riscontrato fra loro. Essi pertanto si permisero delle varianti nella elocuzione ma non si scostarono in nulla dalla volontà di Dio, autore di quelle affermazioni: quella volontà della quale le parole erano al servizio. Comportandosi in questa maniera non vollero indicare altro se non quello che con meraviglia constatiamo noi oggi nella concorde diversità esistente fra i quattro evangelisti. Per essa ci si dimostra che non è falsità se un narratore descrive le cose in modo diverso da altri ma non tradisce l'intenzione di colui con il quale deve concordare e assentire. Tale convinzione è utile anche nella vita pratica, per evitare e valutare negativamente la menzogna, ed è utile anche nel trattare problemi di fede. Non si deve infatti pensare a questo riguardo che la verità sia bloccata da espressioni, per cosi dire, sacrali, quasi che Dio ci abbia imposto le parole che si usano per comunicare la verità con lo stesso rigore che si richiede per il contenuto. Sono cose del tutto diverse. La sostanza di cio che vogliamo dire è talmente al di sopra del linguaggio che usiamo per dirla che, se la potessimo conoscere senza parole - come fa Dio e in Dio gli angeli del cielo - di tali parole non andremo in cerca di alcun modo.


Agostino, Consenso Evang. 249