Agostino, Consenso Evang. 276

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CAPITOLO 76

La distruzione del tempio.

146. Matteo continua: Mentre Gesù uscito dal tempio se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio. Gesù disse loro: " Vedete tutte queste cose? In verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra che non venga diroccata " (Mt 24,1-2). Marco ricorda questi particolari con una successione più o meno identica. Se ne allontana solo per ricordare quella vedova che getto due spiccioli nel tesoro: cosa riferita non solo da lui ma anche da Luca (Mc 12,41-44 Mc 12, Lc 21,14). Stando dunque a Marco, egli ci presenta il Signore che discute con i Giudei sul Cristo e in che senso essi lo ritenessero figlio di Davide; quindi riferisce quanto detto dal Signore sulla necessità di guardarsi dai farisei e dalla loro ipocrisia (Mc 12,35-40). Su tale argomento Matteo si dilunga parecchio riferendo come detti in quell'occasione molti altri discorsi. Ne risulta che, dopo quell'identico fatto narrato brevemente da Marco e presentato in maniera diffusa da Matteo, Marco, come ho già detto, non aggiunge altro di proprio all'infuori dell'episodio di quella vedova poverissima e generosissima. Subito dopo si congiunge con quanto narrato da Matteo sull'imminente distruzione del tempio. Quanto a Luca, terminata la controversia sul Cristo figlio di Davide, egli riporta poche parole sull'obbligo di guardarsi dall'ipocrisia dei farisei; quindi, come Marco, volge l'attenzione alla vedova che verso i due spiccioli nel tesoro e, alla fine, come Matteo e Marco, fa menzione dell'imminente distruzione del tempio (Lc 20,45-47 Lc 21,1-16).

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CAPITOLO 77

Il discorso escatologico nei tre Sinottici.

147. Prosegue Matteo: Sedutosi poi sul monte degli Ulivi, i suoi discepoli gli si avvicinarono e in disparte gli dissero: " Dicci quando accadranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo ". Gesù rispose: Guardate che nessuno vi inganni; molti verranno nel mio nome dicendo: Io sono il Cristo, e trarranno molti in inganno (Mt 24,35) ecc. , fino alle parole: E se ne andranno questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna (Mt 25,40 Mc 13,4-37 Lc 21,7-36). Esaminiamo questo lungo discorso del Signore e vediamo com'è riferito dagli evangelisti Matteo, Marco e Luca: noteremo subito che la loro narrazione è stilata in maniera simile e secondo un identico ordine. Ciascuno aggiunge, è vero, dei particolari propri, ma in questo non c'è da temere o supporre contrasti. Riguardo invece alle cose riferite in comune bisogna discuterle perché non si pensi che ci siano contrapposizioni fra l'uno e l'altro. Qui infatti, se ci sono delle divergenze, non si puo dire che si tratti d'un altro discorso del Signore, cioè di un discorso simile ma pronunciato in circostanze differenti. I particolari del racconto che leggiamo nei tre, e per i fatti narrati e per la loro cronologia obbligano a collocarli in uno stesso ambiente. Che se nel riportare gli stessi detti del Signore gli evangelisti non seguono lo stesso ordine, cio non intacca in alcun modo la retta comprensione del racconto né lo si puo prendere come semplice orientamento. L'importante è che nelle cose narrate e attribuite al Cristo non ci sia contrapposizione fra l'una e l'altra.

148. Ecco, ad esempio, una frase di Matteo. Dice: Questo Vangelo del regno sarà annunziato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; e allora verrà la fine (Mt 24,14). Lo riferisce anche Marco, che procede nello stesso ordine, ma in questo modo: Ma prima è necessario che il Vangelo sia proclamato a tutte le genti (Mc 13,10). Non dice: Allora verrà la fine, ma questo concetto è contenuto nella parola prima, che è appunto da intendersi cosi: Ma prima è necessario che il Vangelo sia predicato a tutte le genti. In effetti quei tali lo avevano interrogato sulla fine, per cui la frase: Ma prima è necessario che il Vangelo sia predicato a tutte le genti, ponendo l'accento su quel prima, vuol dire " prima che giunga la fine ".

149. Inoltre dice Matteo: Quando dunque vedrete l'abominio della desolazione, di cui parlo il profeta Daniele, stare nel luogo santo, chi legge comprenda (Mt 24,15). La stessa cosa intende dire Marco con le parole: Quando vedrete l'abominio della desolazione stare là dove non conviene, chi legge comprenda (Mc 13,14). Egli cambia solo il verbo, lasciando invariato il concetto. Dice infatti: Là dove non conviene, perché quella cosa abominevole non deve stare nel luogo santo. Quanto a Luca, egli non dice né: Quando vedrete l'abominio della desolazione stare nel luogo santo, né parla di luogo dove non dovrebbe, ma afferma: Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, sappiate allora che la sua devastazione è vicina (Lc 21,20). Vuol dire che proprio in quel tempo l'abominio della desolazione starà nel luogo santo.

150. Matteo fa dire a Gesù: Allora quelli che sono in Giudea fuggano ai monti, chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere la roba di casa, e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello (Mt 24,16-18). Il passo è riportato da Marco e press'a poco con le stesse parole (Mc 13,14-16). Luca al contrario, riferite in accordo con gli altri le parole: Allora quelli che sono in Giudea fuggano ai monti (Lc 21,21), per il resto se ne differenzia notevolmente. Egli scrive: Coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli in campagna non tornino in città. Saranno infatti giorni di vendetta, perché tutto cio che è stato scritto si compia (Lc 21,21-22). Si avverte subito la diversità fra quel che dicono i primi, e cioè: Chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere la roba di casa (Mc 13,15 Mt 24,17), e quel che dice lui: Coloro che sono dentro la città se ne allontanino, a meno che non ci si voglia riferire al grande turbamento provocato dall'imminenza di quello spaventoso pericolo.

In questa ipotesi le parole: Coloro che sono dentro la città, si riferirebbero a quanti erano bloccati dall'assedio, i quali se ne resterebbero sopra i tetti sbigottiti e desiderosi di veder meglio cosa sta loro per succedere e per quale via possano sfuggire [alla morte]. Ma come puo dire: Si allontanino, se prima ha detto: Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti? In effetti le parole dette subito dopo, e cioè: Coloro che sono in campagna non tornino in città, sembrano collegarsi bene con questo avvertimento, appropriato alla situazione; ed ha senso l'annotazione che chi sta fuori non deve entrare in essa, mentre invece, se si tratta di chi sta dentro le mura, come si puo allontanare quando la città è circondata da eserciti? Che non sia, allora, il caso di prendere le parole: Coloro che sono dentro la città come dette in riferimento a un pericolo cosi pressante che, nell'ordine temporale, non se ne possa uscire da vivi, conservando cioè la vita presente? Di fronte a un tale pericolo l'anima dev'esser pronta e libera; non dev'essere ingombra e appesantita da desideri carnali. Questa stessa esortazione sarebbe contenuta nella frase riferita dai primi due evangelisti, e cioè: Sul terrazzo o: Sopra il tetto, e in quanto scrive Luca, cioè: Si allontani.

Ci si direbbe insomma di non lasciarci intrappolare dai desideri della vita presente ma essere pronti ad emigrare nell'altra vita. Questo dicono Matteo e Marco con le parole: Non scendano a prendere la roba da casa, non nutrano cioè inclinazioni o affetti carnali come se ne avessero a conseguire chi sa quali vantaggi; e lo stesso dice Luca affermando: Quei che sono nella campagna non entrino in città. E vuol dire. " Coloro che con la retta intenzione del cuore sono usciti dalle bramosie della carne non vogliano nutrire ancora tali desideri ". Cosi le parole: Coloro che sono nel campo non tornino indietro a prendere il mantello, non potrebbero suggerire l'idea di non lasciarsi invischiare di nuovo dalle preoccupazioni di cui ci si era spogliati?

151. Le parole di Matteo: Pregate perché la vostra fuga non avvenga d'inverno o di sabato (Mt 24,20), sono da Marco in parte riportate, in parte omesse. Egli scrive: Pregate perché non accadano d'inverno (Mc 13,18). Quanto a Luca, egli non riporta queste parole ma contiene, lui solo, delle note che a mio avviso giovano a chiarire il senso dell'espressione riportata dagli altri, che è in sé piuttosto oscura. Egli scrive: State ben attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate e pregate in ogni momento perché abbiate la forza di sfuggire a tutto cio che deve accadere (Lc 21,34-36). Cosi deve intendersi la fuga ricordata da Matteo: quella fuga che non deve avvenire d'inverno o di sabato. Con l'inverno infatti dicono riferimento gli affanni per la vita presente espressamente ricordati da Luca, mentre al sabato si riferiscono le crapule e le ubriachezze. Cio perché gli affanni contengono una nota di tristezza come l'inverno, mentre le crapule e le ubriachezze affogano il cuore in godimenti carnali e specialmente nella lussuria: i quali disordini son qui chiamati col nome di sabato. Il motivo d'una tale denominazione è da collocarsi nella pessima costumanza in voga fra i Giudei di allora, come del resto in quelli di oggi, di immergersi proprio in giorno di sabato - non conoscendo il sabato spirituale - in godimenti carnali. Inoltre, puo anche ammettersi che nelle parole riportate da Matteo e da Marco sia da intendersi una qualche altra cosa e un'altra ancora in quelle riportate da Luca. L'importante per noi è che non ne sorgano problemi di contrapposizione, poiché questo è il compito che ci siamo proposti in quest'opera: difendere i Vangeli dalle calunnie di falsità o di errori, non quello di farne un commento esauriente. Tornando dunque al nostro tema, osserviamo che le altre cose riferite da Matteo e, insieme, da Marco nel contesto di questo discorso, non pongono alcun problema. Ci sono poi particolari che Matteo ha in comune con Luca ma non sono riportati nel contesto di questo discorso, dove Luca si adegua all'ordine di Matteo, ma altrove. Vuol dire che in tal caso egli, ricordando delle parole del Signore, o le descrive in anticipo, cioè prima che il Signore le abbia effettivamente proferite; o si puo anche supporre che il Signore ripeté due volte le stesse cose, una volta conforme narra qui Matteo, un'altra -anteriore - come narra Luca.

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CAPITOLO 78

L'approssimarsi della Pasqua.

152. Continua Matteo: Terminati tutti questi discorsi, Gesù disse ai suoi discepoli: " Voi sapete che tra due giorni è Pasqua e che il Figlio dell'uomo sarà consegnato per essere crocifisso" (Mt 26,1-2). Concordano con lui Marco e Luca che seguono lo stesso ordine; tuttavia non sottolineano che tali parole furono dette dal Signore - una precisazione di questo genere è da loro omessa -ma le espongono parlando in persona propria. Cosi Marco: Dopo due giorni era la Pasqua e gli azzimi (Mc 14,1); e Luca: Si avvicinava intanto la festa degli azzimi, chiamata Pasqua (Lc 22,1). Si avvicinava nel senso che sarebbe stata fra due giorni, come affermano concordemente gli altri due evangelisti. Quanto a Giovanni, egli ricorda l'avvicinarsi della festa in tre passi, due dei quali si collocano in tempi antecedenti, cioè durante il racconto di altri fatti. La terza volta invece da tutto il racconto traspare che ci si trova nelle stesse circostanze di tempo di cui si occupano gli altri tre, cioè quando la passione del Signore era ormai vicina (Jn 11,55 Jn 11, Jn 13,1).

153. Chi osserva le cose con poca accuratezza potrebbe riscontrare una contraddizione fra il racconto di Matteo e Marco e quello di Giovanni. I primi infatti dicono che fra due giorni sarebbe stata la Pasqua e successivamente raccontano di Gesù che si trovava in Betania dove venne cosparso di unguento prezioso (Mt 26,6 Mc 14,3). Sono quindi in contrasto con Giovanni che pone l'andata di Gesù a Betania sei giorni prima della Pasqua e li colloca l'episodio dell'unzione (Jn 12,1). Ci si chiede quindi: Come poteva esser Pasqua fra due giorni - cosa che affermano i primi due - se dopo che hanno riferito questo fatto s'accordano con Giovanni nel dirci che Gesù si reco a Betania, dove fu cosparso d'unguento, cosa che secondo Giovanni avvenne sei giorni prima della Pasqua? Chi si turba di questa difficoltà mostra di non capire come il racconto lasciatoci da Matteo e da Marco sui fatti di Betania, e in particolare sull'unzione, è un racconto riassuntivo e lo si colloca li non perché avvenuto dopo la predizione dei due giorni ma perché cosi lo ricordavano, anche se in realtà era avvenuto sei giorni prima della Pasqua.

Nessuno dei due evangelisti infatti, dopo aver asserito che mancavano due giorni per la Pasqua, a questa affermazione ricollega i fatti di Betania dicendo che subito dopo Gesù era a Betania; ma Matteo dice: Quando poi Gesù era a Betania (Mt 26,6), e Marco: Quand'era a Betania (Mc 14,3), espressioni da intendersi come riferite a un tempo anteriore ai due giorni precedenti la Pasqua.

Stando dunque alla relazione di Giovanni, si ricava che Gesù sei giorni prima della Pasqua venne a Betania, dove durante un pranzo fu unto, come l'evangelista ricorda, con unguento prezioso. Successivamente entro in Gerusalemme cavalcando un asinello e, dopo questo, accaddero gli altri fatti che gli evangelisti collocano dopo il suo ingresso in città. Ne segue che dal giorno in cui si reco a Betania, dove accadde l'episodio dell'unzione, fino al momento in cui avvennero questi altri fatti e discorsi, se intendiamo a dovere le cose, dovettero passare quattro giorni (non menzionati dagli evangelisti) prima che giungesse quel giorno che, al dire di due di loro, era l'antivigilia della Pasqua.

Quanto a Luca, nelle sue parole: Si avvicinava la festa degli azzimi (Lc 22,1)non si fa espressa menzione dei due giorni, ma la vicinanza da lui annotata ben si lascia identificare con l'intervallo di due giorni. Diverso pero è il caso di Giovanni. Se egli dice: Era vicina la Pasqua dei Giudei (Jn 11,55), non è possibile che si riferisca ai due famosi giorni in quanto egli asserisce che alla Pasqua mancavano ancora sei giorni. In effetti, dopo quell'affermazione egli ricorda alcuni fatti e, dopo questi fatti, volendo specificare in che senso aveva detto che la Pasqua era vicina, scrive: Sei giorni prima della Pasqua Gesù si reco a Betania, il paese di Lazzaro, il morto che Gesù aveva risuscitato.

Li gli fecero un pranzo (Jn 12,1-2). E questo l'episodio che in compendio ricordano Matteo e Marco collocandolo dopo la nota cronologica concernente i due giorni antecedenti la Pasqua. Alla maniera di uno che ricapitoli le cose essi tornano al fatto di Betania, accaduto sei giorni prima della Pasqua, e raccontano al pari di Giovanni i particolari della cena e dell'unzione. In seguito Gesù sarebbe entrato in Gerusalemme e, compiuto tutto quello che gli accadde in città, sarebbe arrivato all'antivigilia della Pasqua, e cioè al momento dove gli altri evangelisti, distanziandosi da Giovanni, inseriscono il racconto sunteggiato dei fatti di Betania, unzione compresa. Terminato questo racconto, essi tornano al punto da dove s'erano allontanati riportando il discorso tenuto dal Signore due giorni prima della Pasqua. In questo modo, eliminando cioè il racconto che Matteo e Marco compilarono in base a cio che ricordavano e in forma riassuntiva sui fatti di Betania senza badare alla loro successione, la struttura della narrazione lasciataci da Matteo sarebbe la seguente: Il Signore disse: Sapete che fra due giorni è Pasqua e che il Figlio dell'uomo sarà consegnato per essere crocifisso.

Allora i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa, e tennero consiglio per arrestare con un inganno Gesù e farlo morire. Ma dicevano: " Non durante la festa, perché non avvengano tumulti tra il popolo " (Mt 26,2-5). Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, ando dai sommi sacerdoti (Mt 26,14). Tra le parole: Perché non avvengano tumulti tra il popolo, e le altre: Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda ando, furono collocati dall'evangelista gli eventi di Betania, riferiti in modo sommario. Omettendo questi fatti, noi abbiamo sistemato il racconto mostrando come non ci sia ripugnanza nella successione cronologica dei fatti riferiti.

Quanto poi a Marco, anch'egli omette il racconto del banchetto di Betania e lo inserisce là dove ritiene opportuno procedendo col metodo di chi riassume (Mt 26,6-13). Pertanto la successione degli eventi secondo Marco si snoderebbe cosi: Mancavano due giorni alla Pasqua e agli azzimi, e i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano il modo d'impadronirsi di lui con inganno, per ucciderlo. Dicevano infatti: "Non durante la festa, perché non succeda un tumulto di popolo " (Mc 14,1-2).

Allora Giuda Iscariota, uno dei dodici ando dai sommi sacerdoti per consegnarlo (Mc 14,10), ecc. Anche nel suo racconto fra le parole: Perché non succeda un tumulto di popolo, e quanto aggiunge: Giuda Iscariota, uno dei Dodici è da porsi quel che accadde a Betania, narrato sommariamente dai due primi evangelisti, mentre Luca sorvola su tutta la vicenda di Betania (Lc 22,1). Il presente ragionamento l'abbiamo fatto per concordare i sei giorni prima della Pasqua menzionati da Giovanni (Jn 12,1)nel riferire quanto accaduto a Betania e i due giorni di cui parlano Matteo e Marco, collocando dopo questa precisazione cronologica gli stessi avvenimenti di Betania esposti da Giovanni.

L'unzione di Betania.

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CAPITOLO 79

154. Continuando il racconto dal punto dove l'avevamo interrotto per un esame più approfondito, Matteo scrive: Allora i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa, e tennero consiglio per arrestare con un inganno Gesù e farlo morire. Ma dicevano: " Non durante la festa, perché non avvengano tumulti fra il popolo ". Mentre Gesù si trovava a Betania, in casa di Simone il lebbroso, gli si avvicino una donna con un vaso di alabastro di olio profumato molto prezioso, e glielo verso sul capo mentre stava a mensa (Mt 26,3-7)ecc. , fino alle parole: Sarà detto anche cio che essa ha fatto in ricordo di lei (Mt 26,13). Prendiamo in esame i fatti di Betania soffermandoci particolarmente sulla donna e sull'unguento prezioso.

Un avvenimento simile a questo è ricordato anche da Luca (Lc 7,36-50), e troviamo che identico è il nome del fariseo presso il quale il Signore pranzava. Si chiamava infatti Simone, com'è detto anche dagli altri evangelisti. Dobbiamo pero a questo riguardo notare che, se non è innaturale né insolito che un uomo abbia due nomi, tanto meno lo è il fatto che due diverse persone abbiano lo stesso nome, per cui è assai verosimile che il Simone non lebbroso, di cui Luca, sia differente da quell'altro in casa del quale avvenne l'episodio che Matteo situa in Betania.

In realtà Luca non dice che quanto da lui narrato accadde a Betania: di modo che, non avendo egli precisato né la città né il villaggio, sembra preferibile concludere che non si tratta della medesima località. Riguardo invece alla donna io sarei dell'avviso che Luca si riferisca alla stessa Maria di cui ci parlano gli altri evangelisti, e non ad un'altra. E sempre la stessa peccatrice: la quale si getto ai piedi di Gesù e li bacio, li lavo con le lacrime, li asciugo con i capelli e li unse con l'unguento; e a lei il Signore, mediante la parabola dei due debitori, disse che erano stati rimessi molti peccati perché aveva molto amato. Da cio segue che la stessa Maria ripeté due volte il suo gesto, e di queste due volte Luca ci narra la prima, quando cioè la donna si presento a Gesù la prima volta e ottenne il perdono dei peccati mediante l'umiltà e le lacrime.

Di quanto raccontato da Luca, sebbene non scenda nei particolari dell'episodio, si occupa anche Giovanni, presentandoci la stessa Maria quando si accinge a narrare la risurrezione di Lazzaro, prima che Gesù entri in Betania. Egli scrive: Era allora malato un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato (Jn 11,1 Jn 11,2). Con tali parole Giovanni conferma il racconto di Luca che colloca l'episodio in casa di un certo Simone fariseo (Lc 7,36-50).

Maria dunque aveva già una prima volta compiuto quel gesto. Che se poi un gesto uguale lo compi a Betania, si tratta d'un avvenimento diverso, rimasto fuori dal racconto di Luca ma riportato concordemente dagli altri tre, cioè Giovanni, Matteo e Marco (Jn 12,1-8 Mt 26,6-13; Mc 14,3-9).

155. Prendiamo ora in esame gli evangelisti Matteo, Marco e Giovanni e vediamo come sia concorde il loro racconto. Non c'è dubbio che essi narrino la stessa vicenda, cioè quel che accadde a Betania. Basti sottolineare la nota, riferita da tutti e tre, concernente i discepoli che brontolavano contro la donna quasi che avesse sprecato quell'unguento preziosissimo. Se poi Matteo e Marco dicono che con l'unguento fu cosparso il capo del Signore mentre Giovanni i piedi, è facile dimostrare che non esiste opposizione fra i due racconti se si tiene presente quella norma che abbiamo esposta trattando delle folle sfamate con i cinque pani. Narrando quell'episodio un evangelista parla di persone divise cinquanta per cinquanta e cento per cento mentre un altro ricorda la sola divisione per gruppi di cinquanta (Mc 6,40 Lc 9,14). I due racconti non sono certo contrastanti fra loro, mentre invece lo sarebbero se uno avesse parlato solo della distribuzione per centinaia e l'altro solo di quella per cinquantine: nel quale caso si sarebbe dovuto ugualmente investigare come poterono accadere l'una e l'altra cosa. In quell'occasione, e prendendo proprio lo spunto da quell'esempio, avvisai [il lettore] che con un tal modo di narrare ci si inculca una norma, quella cioè che, se un evangelista dice una cosa e un altro un'altra, le si deve intendere come avvenute tutt'e due (Mc 14,3). Di conseguenza nel nostro caso dobbiamo ritenere che la donna cosparse d'unguento non solo la testa ma anche i piedi.

Che se Marco annota che, rotto il vaso di alabastro, fu unta la testa del Signore, bisogna essere proprio accaniti nel calunniare lo scrivente per asserire che nel vaso rotto non ci poté restare una qualche goccia per ungere i piedi. Ora, se uno, lottando contro la verità del Vangelo, si intestardisse nel ritenere che la rottura del vaso fu tale da non consentire che vi restasse una qualsiasi goccia, quanto non fa meglio quell'altro che, lottando con animo pio per sostenere la verità del Vangelo, afferma coraggiosamente che quel vaso non si dové rompere al segno che tutto il liquido ebbe a versarsi? Ma supponiamo che quell'accanito avversario del Vangelo sia talmente cieco che, prendendo lo spunto dalla rottura del vaso, voglia infrangere l'accordo che regna tra i Vangeli. Costui si convinca che l'unzione dei piedi avvenne prima della rottura del vaso, il quale pertanto rimase intatto finché non fu unto anche il capo, quando lo si ruppe e tutto il liquido si verso. Se infatti l'esperienza ci dice che normalmente si inizia con la cura del capo, non è anormale - a quel che ci consta - risalire dalla cura dei piedi a quella della testa.

156. Per il resto penso che l'episodio di cui ci occupiamo non presenti alcun problema. Ci sarebbe, è vero, il particolare della mormorazione sull'unguento prezioso che gli evangelisti attribuiscono ai discepoli mentre Giovanni al solo Giuda, aggiungendovi anche il motivo, e cioè che egli era un ladro (Mt 26,8-9 Mc 14,4-5 Jn 12,4-6). A quanto mi è dato supporre, ritengo con certezza che col nome " discepoli " si sia voluto indicare il solo Giuda, per quella figura grammaticale che consente l'uso del plurale in luogo del singolare, come accennammo nell'episodio dei cinque pani dove Giovanni menziona solamente Filippo (Jn 6,7). Il testo si potrebbe anche intendere nel senso che la stessa cosa pensarono o dissero anche gli altri discepoli o magari che tutti si lasciarono convincere dalle parole di Giuda, e questa convinzione, comune a tutti, secondo Matteo e Marco l'avrebbero espressa tutti anche a parole: solo che Giuda ne parlo perché era ladro, mentre gli altri perché avevano a cuore i bisogni dei poveri. Quanto a Giovanni, se egli volle ricordare il solo Giuda, lo fece perché, approfittando di quanto allora accaduto, si credette in dovere di segnalarci che egli a rubare c'era abituato.

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CAPITOLO 80

I preparativi per la Pasqua.

157. Matteo prosegue: Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, ando dai sommi sacerdoti e disse: " Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni? ". E quelli gli fissarono trenta monete d'argento (Mt 26,14-16)ecc. , fino alle parole: I discepoli fecero come aveva ordinato Gesù e prepararono la Pasqua (Mt 26,19). In questo brano nulla è da ritenersi contrario al racconto di Marco e di Luca, che narrano le stesse cose e in maniera su per giù uguale (Mc 14,10-16 Lc 22,3-13). Se infatti dice Matteo:"Andate in città da un tale e ditegli: " Il Maestro dice: Il mio tempo si avvicina, presso di te celebro la Pasqua con i miei discepoli " (Mt 26,18), si riferisce a quell'uomo che Marco e Luca qualificano come padre di famiglia o padrone della casa in cui, stando alle indicazioni ricevute, era il cenacolo dove avrebbero dovuto preparare la Pasqua. Che se Matteo ce lo presenta come un tale, cio fa come parlando in persona propria e volendo menzionarlo in maniera brachilogica, come cioè chi si preoccupa della brevità.

Se infatti avesse scritto che il Signore disse ai discepoli di recarsi in città e di dire non si sa a chi: " Ecco cosa ti dice il Maestro: Il mio tempo è vicino, io voglio fare da te la mia Pasqua ", tali parole qualcuno le avrebbe potute intendere come rivolte alla città stessa. Per evitare cio l'evangelista sottolinea che il Signore comando ai discepoli di recarsi da un tale, non mette pero il nome con cui venne designato in bocca al Signore, del quale riferisce il comando, ma come parlando lui personalmente. In tal modo lo scrivente non ha bisogno di raccontare ogni cosa, ritenendo l'espressione usata sufficiente perché si comprenda il pensiero di colui che aveva impartito il comando.

Chi infatti non sa che nessuno, avendo voglia di farsi capire, dice: Andate da vattelappesca? Se invece si dicesse: Andate da uno qualunque, o: Andate da chi vi pare, la frase in se stessa sarebbe completa, pur rimanendo imprecisata la persona dalla quale li si manda. Nel nostro caso tuttavia non esiste imprecisione poiché Marco e Luca, pur tacendone il nome, dicono trattarsi di una persona ben determinata (Mc 14,13 Lc 22,10). Il Signore infatti sapeva da chi li mandava e, affinché anche gli inviati lo potessero identificare li preavverti d'un segno dal quale l'avrebbero dovuto riconoscere. Si trattava di un uomo che portava una brocca, o anfora, d'acqua. Costui avrebbero dovuto seguire per giungere alla casa prescelta dal Maestro.

Non si poteva pertanto, nel nostro caso, dire: " Andate da chi vi pare ", che sarebbe stata un frase in sé completa ma non in grado d'esprimere la verità del comando loro impartito; e tanto meno: " Andate da un tale comechessia ", espressione che il parlare corretto assolutamente non ammette. E pertanto da ritenersi come scontato che il Signore non invio i discepoli a una persona qualunque ma a quel tale uomo, cioè a un uomo ben determinato. Parlando di quest'uomo in prima persona l'evangelista puo senza alcun dubbio presentarlo a noi, che leggiamo il suo racconto, dicendoci semplicemente: [Il Signore] li mando da un tale con l'incarico di comunicargli che avrebbe fatto la Pasqua in casa sua. Ovvero: Li mando da un tale dicendo loro: Andate e ditegli: In casa tua mangero la Pasqua. Riferito, insomma, l'ordine del Signore di andare in città, di sua iniziativa l'evangelista scrive: Da un tale, non perché il Signore s'era espresso proprio cosi ma perché allo scrivente stava a cuore farci sapere che nella città ci fu un tizio, di cui tace il nome, dal quale furono inviati i discepoli del Signore per preparare la Pasqua.

Dopo questa interruzione di due sole parole, che l'evangelista conia personalmente, egli riprende la narrazione ordinata delle parole dette dal Signore e cioè: Andate a dirgli: Il Maestro dice. Se mi chiedi: A chi dovevano dire quelle parole?, con buone ragioni ti rispondo: A quell'uomo nella cui casa il Signore li aveva mandati e al quale accenna l'evangelista designandolo di sua iniziativa come un tale. E, questo, un modo d'esprimersi non molto frequente ma, inteso cosi, più che corretto. Che se poi l'ebraico - lingua nella quale, a quanto ci si tramanda, Matteo scrisse il Vangelo - ha delle licenze per cui la frase, anche se proferita tutta intera dal Signore non è priva di completezza, lo lasciamo valutare agli esperti. Anche in latino sarebbe ammessa un'espressione simile, letta pero in questa maniera: Andate in città presso un tale che vi verrà mostrato da un uomo il quale vi verrà incontro portando in testa una brocca d'acqua. A un simile comando si sarebbe potuto obbedire senza possibilità di confusioni.

Cosi, se la frase fosse stata specificata ancora con un: "Andate in città presso un tale che risiede in tale o talaltro posto, o in tale o talaltra casa ". Con la precisazione del posto o l'indicazione della casa, la frase era comprensibile e il precetto fattibile. Uno che dice: Andate da un tale e ditegli, ma non precisa queste o altre simili note indicative, non si esprime in modo incomprensibile, perché, se è vero che dicendo: Andate da un tale si riferisce a una persona determinata, a noi mancano gli elementi per identificarla. Preferiamo quindi ritenere quelle parole come espressione personale dell'evangelista che ha voluto collocarle in quel contesto. Con questa interpretazione otteniamo, è vero, una frase piuttosto oscura - e cio lo si deve alla sua brevità - ma in se stessa completa. Quanto finalmente alla menzione che Marco fa di una brocca, mentre Luca di un'anfora, ci sembra che l'uno abbia voluto sottolineare che si trattava di un vaso, l'altro ne ha descritto la forma, ma l'uno e l'altro raccontano la sostanza della verità.

158. Continua Matteo: Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. Mentre mangiavano disse: " In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà ". Ed essi, addolorati profondamente, cominciarono ciascuno a domandargli: " Sono forse io, Signore? " (Mt 26,20-22)ecc. , fino alle parole: Giuda il traditore disse: " Rabbi, sono forse io? ". Gli rispose: " Tu l'hai detto " (Mt 26,25). Nel racconto che ora prendiamo in esame non ci sono problemi, in quanto anche gli altri evangelisti riferiscono le stesse cose (Mc 14,17-21 Lc 22,14-23 Jn 13,21-27).


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:LIBRO TERZO

Prologo.

1. Da qui in avanti sino alla fine, il racconto dei quattro evangelisti si occupa di cose nelle quali debbono necessariamente procedere insieme e, se uno riferisce fatti omessi dagli altri, la digressione non puo protrarsi a lungo. Mi sembra pertanto più sbrigativo se, nel mostrare l'accordo di tutti gli evangelisti, d'ora in poi avviciniamo fra loro le cose narrate da tutti e le disponiamo in forma di racconto unitario nello schema e nella struttura. Questo intento penso che lo si possa conseguire con maggiore agio e facilità se analizziamo la narrazione, riportando tutti i particolari segnalati dagli evangelisti, ricordando sempre che essi, di tutti i fatti, ci hanno tramandato quello che hanno potuto o voluto tramandare; e in quello che hanno tutti riferito occorrerà dimostrare che non esiste alcuna contrapposizione.


Agostino, Consenso Evang. 276