Agostino - Commento Gv 111

111

OMELIA 111

(Jn 17,24-26)

Jn 17,24-26


Che anch'essi in noi siano una cosa sola.

Allo stesso modo che prega per noi, colui che è morto per noi, così vive per noi affinché siamo in essi una cosa sola.

(Gioire nella speranza.)

1. Il Signore solleva i suoi discepoli ad una speranza, che più grande non si potrebbe concepire. Ascoltate ed esultate in questa speranza; perché questa vita terrena non merita di essere amata, ma soltanto tollerata, per esercitare la pazienza nella tribolazione (Rm 12,12). Ascoltate, dico, e considerate a quale altezza il Signore solleva la nostra speranza. Parla Gesù Cristo, parla il Figlio unigenito di Dio, coeterno e uguale al Padre; parla colui che per noi si è fatto uomo, ma non è diventato, come ogni uomo, menzognero (Ps 115,11); parla la Via, la Vita, la Verità (Jn 14,6); parla colui che ha vinto il mondo (Jn 16,33), e parla di coloro per i quali ha riportato la vittoria sul mondo. Ascoltate, credete, sperate, desiderate quanto egli dice: Padre, quelli che mi hai dato, voglio che siano anch'essi con me dove sono io (Jn 17,24). Chi sono questi che dice gli sono stati dati dal Padre? Non sono forse quelli di cui altrove dice: Nessuno viene a me, se il Padre che mi ha mandato non lo attrae (Jn 6,44)? Ormai, se qualche profitto abbiamo tratto da questo Vangelo, sappiamo come anche il Figlio compie insieme al Padre le opere che attribuisce solo al Padre. Coloro dunque che egli ha ricevuto dal Padre, sono quelli stessi che egli ha scelti dal mondo, e che ha scelti affinché non siano più del mondo, come egli stesso non è del mondo. E li ha scelti affinché siano anch'essi il mondo che crede e sa che Cristo è stato mandato da Dio Padre, affinché il mondo sia liberato dal mondo, e il mondo che viene riconciliato con Dio non venga condannato insieme al mondo irriducibilmente ostile a Dio. così infatti si è espresso all'inizio di questa orazione: Hai dato a lui potestà sopra ogni carne -cioè sopra ogni uomo -affinché dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato (Jn 17,2). Con queste parole egli dimostra di aver ricevuto si la potestà sopra ogni uomo, potestà che gli consente di liberare chi vuole e di condannare chi vuole, dato che sarà lui a giudicare i vivi e i morti; ma dimostra altresi che gli sono stati dati tutti coloro a cui avrebbe procurato la vita eterna. Così infatti egli dice: affinché dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questo significa che non gli sono stati dati coloro ai quali non darà la vita eterna, quantunque gli sia stata data la potestà anche sopra di essi, in quanto gli è stata data la potestà sopra ogni carne, cioè sopra ogni uomo. In questa maniera il mondo riconciliato con Dio sarà liberato dal mondo ostile a Dio, in quanto sopra di questo egli eserciterà il suo potere mandandolo alla morte eterna, mentre, sull'altro, eserciterà il suo potere facendolo suo e comunicandogli la vita eterna. Il buon pastore ha fatto questa promessa a tutte le sue pecore, l'augusto capo ha assicurato questo premio a tutte le sue membra: che dove è lui saremo anche noi con lui. E' impossibile che non si compia la volontà che il Figlio onnipotente ha espresso al Padre onnipotente. Con essi infatti è anche lo Spirito Santo, ugualmente eterno, ugualmente Dio, unico Spirito di ambedue e volontà sostanziale dell'uno e dell'altro. E' vero che, come ci riferisce il Vangelo, nell'imminenza della passione il Signore ha detto: Non quello che io voglio, ma quello che vuoi tu, Padre, (Mt 26,39) come se una cosa sia o fosse stata la volontà del Padre e un'altra cosa la volontà del Figlio; ma quella era la voce della nostra infermità, anche quando rimaniamo fedeli, che il nostro Capo ha fatto sua allorché si è caricato del peso dei nostri peccati. Anche se la umana debolezza non ci consente di comprendere, sia pronta la nostra pietà a credere che una sola è la volontà del Padre e del Figlio, e che uno solo è anche il loro Spirito; e nell'unità dei tre riconosciamo la Trinità.

2. Abbiamo già detto, come ce lo ha permesso la brevità imposta al nostro discorso, quanto sicura sia questa promessa e a chi è stata fatta. Cerchiamo ora di vedere, per quanto ci è possibile, qual è il contenuto della promessa che egli ha fatto. Quelli che mi hai dato - dice -voglio che siano anch'essi dove sono io. Tenendo conto della sua origine come creatura umana dalla stirpe di David secondo la carne (Rm 1,3), neppure lui era ancora dove poi sarebbe stato. Ma egli ha potuto dire: dove sono io, perché ci rendessimo conto che era talmente prossima la sua ascensione in cielo, da poter dire di essere già dove presto sarebbe asceso. Nello stesso modo si era espresso parlando con Nicodemo: Nessuno è salito in cielo, se non chi dal cielo è disceso, il Figlio dell'uomo che è in cielo (Jn 3,13). Neppure allora disse: che sarà in cielo, ma disse: che è in cielo, in quanto nell'unità della persona Dio è uomo e l'uomo è Dio. Egli ci ha dunque promesso che saremo in cielo, poiché in cielo ha elevato la forma di servo che prese dalla Vergine, e l'ha collocata alla destra del Padre. E' la speranza di un così grande bene che fa dire all'Apostolo: Iddio, ricco in misericordia, a motivo del grande amore con cui ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere in Cristo - per grazia siete stati salvati! - e con lui ci ha risuscitati e fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù (Ep 2,4-6). Ecco in qual senso si possono intendere le parole del Signore: Voglio che siano anch'essi dove sono io. Parlando di sé egli dice di essere già lassù in cielo, mentre per noi esprime la volontà che siamo lassù con lui, ma non dice che vi siamo già. L'Apostolo, invece, presenta la volontà del Signore come un fatto compiuto. Egli infatti non dice: Ci risusciterà e ci farà sedere nei cieli, ma con lui ci ha risuscitati e fatti sedere nei cieli, considerando già compiuto ciò di cui con tanta certezza attende il compimento. Tenendo conto invece della forma di Dio, nella quale il Figlio è uguale al Padre, se secondo tale natura vogliamo intendere l'espressione: siano anch'essi con me dove sono io, si deve allontanare dall'anima ogni idea di immagini corporali, ogni cosa che rappresenti alla mente l'idea di lunghezza, di larghezza, di spessore, qualsiasi cosa che abbia un colore dovuto alla luce materiale, o che sia estesa nello spazio, finito o infinito che sia. Da tutte queste cose, per quanto è possibile, bisogna distogliere lo sguardo e l'attenzione della mente. E non bisogna mettersi a cercare dove sia il Figlio uguale al Padre, perché nessuno può trovare un luogo dove non sia. Chi vuole cercare, cerchi piuttosto di essere con lui; non potrà essere ovunque come lui, ma ovunque potrà essere con lui. Gesù disse al ladrone che pendeva dalla croce espiando la sua pena, e che in grazia della sua confessione ottenne salvezza: Oggi sarai con me in paradiso (Lc 23,43). In quanto uomo la sua anima sarebbe discesa quel giorno agli inferi e la sua carne sarebbe stata deposta nel sepolcro; ma in quanto Dio era certamente anche in paradiso. E quindi l'anima del ladrone, assolta dai suoi delitti e già resa beata per la sua grazia, anche se non poteva essere ovunque come Cristo, tuttavia, in quello stesso giorno poteva essere con lui in paradiso, da dove colui che è sempre ovunque non si era mai allontanato. Per questo il Signore non si accontento di dire: Voglio che siano anch'essi dove sono io, ma ha aggiunto: con me. Essere con lui, questo è il massimo bene. Anche gli infelici possono essere dove egli è, dato che ovunque uno si trovi c'è sempre anche lui, ma soltanto i beati sono con lui, perché soltanto da lui essi possono attingere la loro beatitudine. Non è forse con tutta verità che si dice a Dio: Se salgo in cielo, tu ci sei; se scendo nell'abisso, li ti trovo (Ps 138,8)? Cristo non è forse la Sapienza di Dio, che per la sua purezza penetra e riempie ogni cosa (Sg 7 Sg 24)? Ma la luce risplende nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno compresa (Jn 1,5). Prendiamo un esempio qualsiasi dalla realtà visibile, anche se questa appartiene ad un ordine diverso: un cieco, anche se c'è la luce dov'egli si trova, non è tuttavia con la luce, ma è assente alla luce che è presente; altrettanto si può dire di uno senza fede o empio, o anche di chi è fedele e pio, che pero non sia ancora in grado di contemplare la luce della sapienza; pur essendo per lui impossibile trovarsi in alcun luogo dove non sia anche Cristo, tuttavia non è con Cristo, almeno per quanto riguarda la visione. Non c'è dubbio infatti che l'uomo religioso e fedele è con Cristo per mezzo della fede. E' in questo senso che Cristo dice: Chi non è con me, è contro di me (Mt 5,8), mentre rivolgendosi al Padre dice: Quelli che mi hai dati, voglio che siano anch'essi con me dove sono io. Qui certamente intendeva parlare di quella visione, nella quale lo vedremo così come egli è (1Jn 3,2).

1. 3. Nessuno voglia offuscare il senso di queste parole, che è tanto chiaro, con le nubi della contraddizione. Le parole che seguono, del resto, vengono a confermarle. Infatti, dopo aver detto: Voglio che siano anch'essi con me dove sono io proseguendo subito aggiunge: affinché vedano la mia gloria, quella che mi hai dato, perché tu mi hai amato prima della fondazione del mondo (Jn 17,24). Dice: affinché vedano, non dice: affinché credano. Tratta del premio della fede, non della fede in se stessa. Se la fede è definita con tanta esattezza nella lettera agli Ebrei: prova delle realtà che non si vedono (He 11,1), perché non si potrà definire il premio della fede come la visione delle realtà che si sono credute e sperate? Quando vedremo la gloria che il Padre ha dato al Figlio (anche se in questo passo intende parlare non della gloria che il Padre ha dato al Figlio generandolo uguale a sé, ma della gloria che il Padre ha dato al Figlio, diventato Figlio dell'uomo, dopo la sua morte in croce), quando, dunque, vedremo questa gloria del Figlio, è allora che avrà luogo il giudizio dei vivi e dei morti, è allora che sarà tolto di mezzo l'empio perché non veda la gloria del Signore (Is 26,10). Quale gloria, se non quella per cui egli è Dio? Beati infatti i puri di cuore, perché essi vedranno Dio (Mt 5,8); gli empi non sono puri di cuore, e perciò non lo vedranno. Essi andranno allora al supplizio eterno; così sarà tolto di mezzo l'empio, affinché non veda la gloria del Signore. I giusti, invece, andranno alla vita eterna (Mt 25,46). E in che consiste la vita eterna? La vita eterna consiste in questo - dice il Signore -che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo (Jn 17,3); non come lo conoscono coloro che non sono puri di cuore, i quali tuttavia potranno vederlo nella forma di servo glorificato quando verrà a giudicare; ma come sarà conosciuto dai puri di cuore, quale solo vero Dio, Figlio in unità col Padre e lo Spirito Santo, essendo la Trinità il solo vero Dio. Se dunque prendiamo questa frase: Voglio che siano anch'essi con me dove sono io, nel senso che il Figlio di Dio è Dio coeterno e uguale al Padre, vuol dire che noi saremo con Cristo nel Padre: lui a modo suo, noi a modo nostro, dovunque si trovi il nostro corpo. Dato che il luogo è il posto occupato da ciascuna cosa, se si potesse chiamare luogo anche quello che contiene realtà non materiali, si potrebbe dire che il luogo eterno dove sempre Cristo risiede è il Padre stesso, e il luogo del Padre è il Figlio. Io - dice infatti il Signore -sono nel Padre e il Padre è in me (Jn 14,10) e in questa orazione: Come tu, Padre, sei in me ed io in te. E il nostro luogo sono essi stessi, poiché così continua: affinché anch'essi siano una sola cosa in noi (Jn 17,21). E noi, a nostra volta, siamo il luogo di Dio, perché siamo il suo tempio: proprio per questo prega colui che è morto per noi, e che per noi vive, affinché, cioè, noi siamo una cosa sola in loro, dato che è stato costruito nella pace il suo luogo, e la sua abitazione in Sion (Ps 75,3); e Sion siamo noi. Ma chi è capace di immaginare questi luoghi e ciò che essi contengono, astraendo da dimensioni di spazio o da estensioni corporee? E' già un fatto positivo negare, respingere e scartare ogni immagine di tal genere che si affacci alla mente, perché vuol dire che si ha già, per quanto è possibile, l'idea di una certa luce nella quale queste immagini appaiono negative, da rifiutare, da scartare; e vuol dire che di questa luce si è ormai certi e si è cominciato ad amarla, per cui ci si mette in cammino e si tende verso le realtà interiori. E se l'anima, ancora debole e non sufficientemente pura per penetrare quelle realtà, si sente respinta, non senza gemiti d'amore e lacrime di desiderio, attenda pazientemente di venir purificata dalla fede, e con una vita santa si prepari ad abitare nel luogo dove Cristo abita.

2. 4. In che modo, dunque, potremo non essere con Cristo dove egli è, dal momento che saremo con lui nel Padre, in cui egli è? L'Apostolo non ce l'ha nascosto, anche se abbiamo solo la speranza e non siamo ancora in possesso della realtà. Egli infatti dice: Se siete risuscitati con Cristo, cercate le cose che stanno in alto, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; abbiate la mente alle cose dell'alto, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti - dice -e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio (Col 3,1-3). Ecco che frattanto la nostra vita, mediante la fede e la speranza, si trova dove si trova Cristo, è con lui perché è con Cristo in Dio. Ecco che è già come un fatto compiuto quanto egli ha chiesto rivolgendosi al Padre: Voglio che siano anch'essi con me dove sono io (Jn 17,24). Ora questo è vero mediante la fede. Quando lo sarà mediante la visione? Quando Cristo, vita vostra, apparirà, anche voi allora apparirete con lui nella gloria (Col 3,4). Allora appariremo quello che allora saremo; allora apparirà che non invano l'abbiamo creduto e sperato, prima di esserlo. Realizzerà tutto questo colui al quale il Figlio, dopo aver detto: affinché vedano la mia gloria, quella che mi hai dato, dice subito dopo: perché tu mi hai amato prima della fondazione del mondo. In lui il Padre ha amato anche noi prima della fondazione del mondo, perché è allora che ha predestinato ciò che realizzerà alla fine del mondo.

5. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto (Jn 17,25). E' perché sei giusto che il mondo non ti ha conosciuto. Che se il mondo predestinato alla dannazione non l'ha conosciuto, è stato per colpa sua; mentre il mondo, che Dio per mezzo di Cristo ha riconciliato a sé, lo ha conosciuto, non per merito proprio ma per la sua grazia. E conoscere il Padre, che altro è se non la vita eterna? Quella conoscenza che non ha dato al mondo dannato, l'ha data invece al mondo riconciliato. E' per questo che il mondo non ti ha conosciuto, perché sei giusto, e a causa dei suoi demeriti non gli hai concesso di conoscerti. Invece il mondo che ti sei riconciliato, ti ha conosciuto, perché sei misericordioso, e gli hai concesso perciò di conoscerti, non per suo merito ma per la grazia con cui lo hai soccorso. Prosegue: Io, pero, ti ho conosciuto. Egli stesso è la fonte della grazia perché, Dio per natura, è anche, per grazia ineffabile, uomo nato dalla Vergine per opera dello Spirito Santo. E' dunque per lui (poiché la grazia di Dio ci viene per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore) che anche questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato (Jn 17,25). Questi, sono il mondo riconciliato con Dio. E' perché tu mi hai mandato che essi ti hanno conosciuto, e quindi è per effetto della grazia che ti hanno conosciuto.

(Finita l'orazione del Salvatore, comincia la passione.)

2. 6. E ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo faro conoscere. L'ho fatto conoscere per mezzo della fede, lo faro conoscere per mezzo della visione; l'ho fatto conoscere in modo limitato mentre sono ancora peregrinanti in terra, lo faro conoscere in modo perfetto quando regneranno in cielo. Affinché l'amore che mi hai amato sia in loro, e io in loro. (Jn 17,26). E' un'espressione insolita: l'amore che mi hai amato sia in loro e io in loro; si dovrebbe dire infatti: l'amore con cui mi hai amato. Questa versione dal greco trova analoghe espressioni in latino. Noi diciamo ad esempio: Ha servito un fedele servizio, ha militato una dura milizia, quando sarebbe più logico dire: Ha servito con un fedele servizio, ha militato con una dura milizia. Simile espressione ha usato l'Apostolo quando ha detto: Ho combattuto un buon combattimento (2Tm 4,7), mentre più correttamente e secondo l'uso comune avrebbe dovuto dire: ho combattuto in un buon combattimento. Ma in che modo l'amore che il Padre ha per il Figlio, può essere anche in noi, se non perché noi siamo le sue membra ed è in lui che noi siamo amati, dato che egli è amato tutto intero, Capo e corpo? perciò soggiunge: e io in essi, come a dire: perché io stesso sono in loro. Da una parte, infatti, egli è in noi come nel suo tempio, dall'altra anche noi siamo lui, in quanto, essendosi egli fatto uomo per essere il nostro Capo, noi siamo il suo corpo. L'orazione del Salvatore è finita: ora comincia la sua passione. E noi porremo fine a questo discorso, col proposito, se il Signore ci aiuterà, di commentare nei prossimi discorsi la sua passione.

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OMELIA 112

(Jn 18,1-12)

Jn 18,1-12


Gesù arrestato.

Basto la sua voce che disse "Sono io!", a colpire, respingere e abbattere si numerosa turba armata e furente d'odio.

. 1. Dopo aver riferito il grande e lungo discorso che il Signore, prossimo ormai a versare il sangue per noi, tenne dopo la cena ai discepoli che erano allora con lui, e dopo aver riportato l'orazione che rivolse al Padre, l'evangelista Giovanni così comincia il racconto della Passione: Detto questo, Gesù ando con i suoi discepoli di là del torrente Cedron, dove c'era un giardino nel quale entro con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel posto, perché spesso Gesù si ritirava là con i suoi discepoli (Jn 18,1-2). L'ingresso del Signore e dei suoi discepoli nel giardino, di cui parla l'evangelista, non avvenne subito appena finita l'orazione, a proposito della quale dice: Appena Gesù ebbe pronunciato queste parole. Nel frattempo accaddero altri fatti, che, se sono omessi da questo evangelista, sono pero ricordati dagli altri, così come, del resto, si trovano nella narrazione di Giovanni molti particolari di cui tacciono gli altri evangelisti. Se uno poi vuole rendersi conto come concordino tra loro, e come uno non contraddica la verità annunciata dall'altro, non deve cercare le prove in questi nostri discorsi, ma in altri nostri studi specifici. E non è stando in piedi e ascoltando un discorso che si possono approfondire le cose, ma stando comodamente seduti, leggendo o ascoltando con molta attenzione e serio impegno chi legge. Tuttavia, sia che si giunga a tale accertamento in questa vita, sia che non vi si possa giungere per qualche impedimento, prima ancora di conoscere si deve credere che il racconto di un evangelista, che gode presso la Chiesa di autorità canonica, non può essere in contraddizione con se stesso né con quanto altrettanto veracemente un altro evangelista riferisce. Vediamo dunque ora la narrazione del nostro san Giovanni, che abbiamo preso a commentare, senza confrontarla con quella degli altri, e senza soffermarci sui punti che sono chiari, per poterlo fare dove il testo lo richieda. Le parole dell'evangelista: Detto questo, Gesù ando con i suoi discepoli di là dal torrente Cedron, dove c'era un giardino nel quale entro con i suoi discepoli, non dobbiamo intenderle come se subito dopo il discorso e l'orazione Gesù sia entrato nel giardino; ma le parole: Dette Gesù queste cose, vogliono dire semplicemente che Gesù entro nel giardino non prima di aver concluso il suo discorso e completata la sua orazione.

2. 2. Conosceva anche Giuda, il traditore, quel posto. L'ordine logico delle parole è questo: Quel posto era ben noto al traditore perché - nota l'evangelista -spesso Gesù si ritirava là con i suoi discepoli. Il lupo, coperto di pelle di pecora, e, per misteriosa disposizione del padre di famiglia, tollerato in mezzo alle pecore, studio il luogo, dove per un po' di tempo potesse disperdere il piccolo gregge, insidiando il pastore. Giuda, dunque, conducendo la coorte e guardie fornite dai gran sacerdoti, arriva là con lanterne, torce e armi (Jn 18,3). La coorte non era formata di Giudei ma di soldati romani. Ciò significa che era stata inviata dal governatore romano, come se si trattasse di arrestare un colpevole, in difesa dell'ordine costituito, cosicché nessuno osasse impedire l'arresto; quantunque quel dispiegamento di forze fosse sufficiente a spaventare, nonché a mettere in fuga chiunque avesse osato difendere Cristo. Talmente era nascosta la sua potenza, e talmente era palese la sua debolezza, che ai nemici erano parse sufficienti queste misure nei confronti di Cristo, contro il quale niente sarebbe servito se egli non avesse voluto. Ma egli, che era buono, si serviva dei malvagi come strumenti per compiere il bene, traendo così il bene dal male per far diventare buoni i malvagi e discernere i buoni dai malvagi.

3. 3. Allora Gesù, - prosegue l'evangelista -, che sapeva tutto ciò che stava per accadergli, si avanzo e disse loro: Chi cercate? Gli risposero: Gesù il Nazareno. Dice loro Gesù: Sono io! Anche Giuda, il traditore, stava con loro. Come, dunque, ebbe detto loro: Sono io, indietreggiarono e caddero in terra (Jn 18,4-6). Dove sono ora la coorte dei soldati, e le guardie dei grandi sacerdoti e dei farisei? Dov'è il terrore che doveva essere prodotto da tutto quel dispiegamento di forze? E' bastata una voce che ha detto: Sono io! a colpire, senza alcun dardo, a respingere e ad atterrare tutta quella folla, inferocita dall'odio e terribilmente armata. Nella carne infatti si nascondeva Dio, e il giorno eterno era talmente occultato dalle membra umane che le tenebre, per ucciderlo, dovettero cercarlo con lanterne e torce. Sono io, egli dice, e atterra gli empi. Che cosa farà quando verrà a giudicare, colui che ha fatto questo quando doveva essere giudicato? Quale sarà la sua potenza quando verrà per regnare, se era tanta quando stava per morire? Anche adesso, per mezzo del Vangelo, Cristo fa sentire ovunque la sua voce: Sono io, e i Giudei aspettano l'Anticristo per indietreggiare e cadere in terra, perché, disertando le cose celesti, aspirano a quelle terrene. E' certo che i persecutori andarono, guidati dal traditore, per arrestare Gesù; trovarono colui che cercavano e udirono la sua voce: Sono io: perché non lo presero, ma indietreggiarono e caddero in terra, se non perché così volle colui che poteva tutto ciò che voleva? Ma in verità, se egli non si fosse mai lasciato prendere, essi certamente non avrebbero potuto compiere ciò per cui erano andati, ma nemmeno lui avrebbe potuto effettuare ciò per cui era venuto. Essi lo cercavano, nella loro crudeltà, per metterlo a morte; egli cercava noi per salvarci con la sua morte. Egli ha dato una prova della sua potenza a coloro che invano hanno tentato di arrestarlo; lo prendano ormai, affinché egli possa compiere la sua volontà per mezzo di essi che lo ignorano.

. 4. Di nuovo egli domando: Chi cercate? Essi dissero: Gesù il Nazareno. Rispose Gesù: Vi ho detto che sono io! Se dunque cercate me, lasciate che costoro se ne vadano. Così si adempiva la parola da lui detta: Di coloro che mi hai dato, non ho perduto nessuno (Jn 18,7-9). Disse: Se cercate me, lasciate che costoro se ne vadano. Egli ha di fronte a sé dei nemici che obbediscono ai suoi ordini: lasciano andare quelli che Gesù volle sottrarre alla morte. Ma non sarebbero forse morti più tardi? E perché egli li avrebbe perduti, se fossero morti allora? E' perché essi allora non credevano ancora in lui nel modo che credono tutti quelli che non si perdono.

. (Colui che beve il calice ne è anche l'autore.)

4. 5. Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la sguaino e colpi il servo del sommo sacerdote mozzandogli l'orecchio destro. Il servo si chiamava Malco (Jn 18,10). Solo Giovanni riferisce il nome di questo servo, così come soltanto Luca riferisce che il Signore gli tocco l'orecchio e lo guari (Lc 22,51). Malco vuol dire "colui che regnerà". Che significa quindi questo orecchio mozzato per difendere il Signore e dal Signore guarito, se non l'orecchio rinnovato mediante la rimozione di quanto fa parte dell'uomo vecchio, affinché si ascolti in novità di spirito e non in vetustà di lettera (Rm 7,6)? Se uno ha ricevuto da Cristo un tale beneficio, potrà dubitare che regnerà con Cristo? Il fatto poi che a ottenere questo beneficio sia stato un servo, è simbolo dell'antica Alleanza che non generava che schiavi, come Agar (Ga 4,24). Nella guarigione ottenuta c'era anche l'annuncio della libertà. Il Signore tuttavia disapprovo il gesto di Pietro, e gli proibi di procedere oltre, dicendo: Rimetti la spada nel fodero. Non berro il calice che il Padre mi ha dato? (Jn 18,11). E' certo che quel discepolo, con il suo gesto, aveva voluto soltanto difendere il maestro, senza riflettere sul significato che esso poteva assumere. Era quindi opportuno che Pietro ricevesse una lezione di pazienza e che l'episodio fosse riferito a nostro ammaestramento. Quanto al calice della passione, che dice offertogli dal Padre, trova conferma nelle parole dell'Apostolo: Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato alla morte per tutti noi (Rm 8,31-32). In verità, anche colui che lo beve è l'autore di questo calice, come appunto dice il medesimo Apostolo: Cristo ci ha amato e ha offerto se stesso per noi come oblazione e sacrificio a Dio in odore di soavità (Ep 5,2).

6. Allora la coorte, il tribuno e le guardie dei Giudei si impadronirono di Gesù e lo legarono (Jn 18,12). Si impadronirono di colui al quale prima neppure avevano potuto avvicinarsi. Egli era il giorno, ed essi le tenebre, e tenebre rimasero perché non ascoltarono l'invito: Avvicinatevi a lui e sarete illuminati (Ps 33,6). Se si fossero avvicinati a lui in questo modo, lo avrebbero preso non per ucciderlo ma per accoglierlo nel loro cuore. Ma siccome lo presero in ben altro modo, si allontanarono da lui ancora di più; e legarono colui dal quale piuttosto avrebbero dovuto essere sciolti. E forse, tra coloro che caricarono Cristo di catene, vi era qualcuno che più tardi, da lui liberato, disse: Tu hai spezzato le mie catene (Ps 115,16). Per oggi basta cosi. Il seguito, se Dio vorrà, ad un altro discorso.

113

OMELIA 113

(Jn 18,43-27)

Jn 18,43-27


Gesù percosso.

Non era certo impotente colui che creo il mondo, ma preferi insegnarci la pazienza con cui si vince il mondo.

1. Dopo che i persecutori, valendosi del tradimento di Giuda, ebbero preso e legato il Signore, che ci amo e offri se stesso per noi (cf. Ep 5,2), e che il Padre non risparmio ma consegno a morte per tutti noi (Rm 8,32); affinché ci rendessimo conto che Giuda non è da lodare per l'utilità del suo tradimento, ma da condannare per la sua volontà criminale, lo condussero -stando al racconto dell'evangelista Giovanni -prima da Anna, - e dice il motivo -: poiché costui era suocero di Caifa, il quale era sommo sacerdote in quell'anno. Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: Conviene che un sol uomo muoia per il popolo (Jn 18,13-14). Matteo, volendo abbreviare la narrazione, si limita a dire che Gesù fu condotto da Caifa (Mt 26,57), in quanto egli fu condotto prima da Anna solo perché questi era suocero di Caifa, il che fa pensare che ciò sia avvenuto per volere di Caifa stesso.

(Pietro rinnego Cristo dicendo di non essere suo discepolo.)

2. 2. Seguivano Gesù Simon Pietro e un altro discepolo (Jn 18,15). Non è facile identificare quest'altro discepolo, dato che l'evangelista tace il suo nome. Giovanni è solito indicare se stesso in questo modo, aggiungendo: quello che Gesù amava (Jn 13,23 Jn 19,26). Sicché è probabile che anche qui si tratti di lui. Chiunque egli sia, andiamo avanti: Ora quel discepolo, che era conosciuto dal sommo sacerdote, entro con Gesù nel cortile del sommo sacerdote; Pietro, invece, rimase fuori, alla porta. Usci dunque l'altro discepolo che era conosciuto dal sommo sacerdote, parlo alla portinaia e fece entrare Pietro. La serva portinaia disse a Pietro: Non saresti anche tu dei discepoli di quest'uomo? Egli rispose: Non lo sono (Jn 18,15-17). Ecco che la colonna solidissima trema tutta al primo colpo di vento. Dove sono quelle audaci promesse e quella grande sicurezza di sé? Dove sono finite quelle parole: Perché non posso seguirti adesso? Daro la mia vita per te? (Jn 13,37). E' così che si segue il maestro, negando di essere suo discepolo? E' così che si dà la vita per il Signore, tirandosi indietro per paura della voce di una serva? Ma c'è da meravigliarsi che Dio abbia predetto la verità e che l'uomo si sia ingannato sul proprio conto? Pero, davanti all'apostolo Pietro che ormai comincia a rinnegare Cristo, dobbiamo osservare che rinnega Cristo non solo chi dice che lui non è Cristo, ma anche chi, essendo cristiano, dice di non esserlo. Il Signore infatti non disse a Pietro: Tu negherai di essere mio discepolo; ma semplicemente: Mi rinnegherai (Mt 26,34). Pietro dunque ha rinnegato Cristo, negando di essere suo discepolo. Ma in questo modo che altro ha fatto, se non rinnegare di essere cristiano? Quantunque infatti i discepoli di Cristo non si chiamassero ancora cristiani, in quanto cominciarono a chiamarsi così per la prima volta ad Antiochia dopo l'Ascensione (cf. Ac 11,26), tuttavia esisteva già la realtà che poi sarebbe stata denominata cosi, ed esistevano già i discepoli che poi sarebbero stati chiamati cristiani, e che ai posteri assieme al nome trasmisero anche la loro comune fede. Chi dunque nego di essere discepolo di Cristo, nego la realtà che va sotto il nome di cristiano. Quanti, in seguito, e non dico vecchi o donne avanzate negli anni, che la stanchezza di questa vita poteva facilmente portare a disprezzare la morte per la confessione di Cristo; quanti in seguito, e non soltanto giovani d'ambo i sessi, dai quali pare legittimo attendersi forza d'animo, ma anche fanciulli e fanciulle e una schiera incalcolabile di santi martiri, con fortezza e violenza entrarono nel regno dei cieli, dimostrando di saper fare ciò che non seppe colui che dal Signore aveva ricevuto le chiavi del regno dei cieli (Mt 16,19). Ecco perché ha detto: Lasciate che costoro se ne vadano, quando si offri per noi colui che ci redense col suo sangue, in modo che si adempisse quanto aveva detto: Di coloro che mi hai dato, non ho perduto nessuno (Jn 18,8-9 Jn 17,12). Se Pietro fosse uscito da questa vita dopo aver rinnegato Cristo, certamente si sarebbe perduto.

3. Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché era freddo, e si scaldavano (Jn 18,18), Non si era d'inverno, e tuttavia faceva freddo, come spesso accade durante l'equinozio di primavera. Anche Pietro stava con loro e si scaldava. Allora il sommo sacerdote interrogo Gesù circa i suoi discepoli e la sua dottrina. Gesù gli rispose: Io ho parlato apertamente al mondo; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si radunano, e non ho mai detto nulla in segreto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto (Jn 18,18-21). Sorge qui una questione non trascurabile: in che senso il Signore Gesù afferma: Io ho parlato apertamente al mondo, e soprattutto in qual senso dice: Non ho mai detto nulla in segreto? Non ha detto forse in quest'ultimo discorso, rivolto ai discepoli dopo la cena: Vi ho parlato di queste cose in parabole: viene l'ora in cui non vi parlero più in parabole, ma vi intratterro apertamente sul Padre mio (Jn 16,25)? Se, dunque, agli stessi suoi più intimi discepoli non aveva parlato apertamente, ma aveva annunziato loro il momento in cui avrebbe parlato apertamente, in che senso dice di aver parlato apertamente al mondo? Inoltre, anche secondo la testimonianza degli altri evangelisti, egli parlo certo più apertamente con i suoi discepoli, quando si trovava solo con loro lontano dalla folla, che con quanti non erano suoi discepoli; è ad essi infatti che spiego il significato delle parabole che agli altri invece esponeva, senza spiegarle. Che significa dunque: Non ho mai detto nulla in segreto? E' da intendere che abbia detto: Io ho parlato apertamente al mondo, come per dire: Molti mi hanno ascoltato. E si può dire che in un senso ha parlato apertamente, in un altro senso no: ha parlato apertamente nel senso che molti ascoltavano, e non apertamente nel senso che molti non intendevano le sue parole. E, d'altra parte, quando si rivolgeva in disparte ai discepoli, non per questo si può dire che parlasse in segreto. Non parla in segreto chi parla davanti a tante persone, dal momento che sta scritto che sulla bocca di due o tre testimoni è garantita la verità d'ogni cosa (Dt 19,15), E questo vale soprattutto per chi, parlando a poche persone, vuole, per loro mezzo, far conoscere a molti quello che dice. E non è proprio questa l'intenzione del Signore, quando parla ai discepoli che erano ancora pochi, e dice loro: ciò che vi dico nella tenebra ditelo nella luce, e quel che udite all'orecchio predicatelo sui tetti (Mt 10,27)? perciò, anche quanto egli sembrava dire in segreto, in un certo senso non era detto in segreto; egli non insegnava con l'intento d'imporre, a quelli che ascoltavano, il segreto di quanto apprendevano, ma, al contrario, perché lo predicassero ovunque. Si può dunque dire una cosa apertamente e insieme non apertamente, in segreto e insieme non in segreto, secondo quanto fu detto: anche quanti vedono, guardino ma non vedano (Mc 4,12), Essi vedono perché parla apertamente, non in segreto; e insieme non vedono perché parla non apertamente, ma in segreto. Ora, quelle cose, che avevano udito e non avevano inteso, erano tali che ragionevolmente e sinceramente non potevano essere incriminate. Difatti ogniqualvolta gli avevano posto delle domande insidiose, per trovare in lui qualche motivo d'accusa, egli rispose loro sventando tutte le loro insidie e polverizzando ogni calunnia. perciò dice al gran sacerdote: Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto.

4. A queste parole, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù dicendo: così rispondi al sommo sacerdote? Gesù gli rispose: Se ho parlato male, mostrami dov'è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti (Jn 18,22-23)? Si poteva dare una risposta più vera, più dolce, più giusta? E' la risposta di colui del quale il profeta aveva predetto: Tendi l'arco, maestoso t'avanza, e regna; per mezzo della verità, della mansuetudine e della giustizia (Ps 44,5). Se riflettiamo chi era colui che è stato schiaffeggiato, chi di noi non vorrebbe che il servo che lo ha percosso, fosse consumato dal fuoco del cielo o inghiottito dalla terra, o fosse dato in balia del diavolo o colpito da altra simile pena, magari anche più grave? Che cosa non avrebbe potuto ordinare con la sua potenza colui per mezzo del quale fu creato il mondo, se non avesse preferito insegnarci la pazienza con la quale si vince il mondo? Qualcuno qui potrebbe obiettare: Perché il Signore non fece ciò che egli stesso ha comandato (Mt 5,39)? Avrebbe dovuto non rispondere cosi, ma presentare l'altra guancia. Ma che c'è da ridire sulla risposta, se fu così vera, dolce e giusta; tanto più che non solo egli presento l'altra guancia per essere percosso, ma offri tutto il suo corpo perché lo inchiodassero alla croce? In questo modo egli ha voluto insegnarci ciò che più importa, che cioè bisogna attuare i suoi grandi precetti di pazienza non con ostentazioni corporali, ma con gli atteggiamenti del cuore. Puo accadere infatti che anche un uomo adirato presenti materialmente l'altra guancia: quanto meglio non è, dunque, rispondere con franchezza e tono pacato, disposti a sopportare con animo tranquillo oltraggi anche più gravi! Beato infatti chi in ogni cosa che ingiustamente deve patire per la giustizia, può dire con verità: Il mio cuore è preparato, Dio, il mio cuore è preparato: e può anche aggiungere: Ti cantero e ti lodero (Ps 56,8), come appunto seppero fare Paolo e Sila quando furono gettati in un tenebroso carcere (cf. Ac 16,25).

1. 5. Ma ritorniamo al racconto evangelico. Ed Anna lo mando legato a Caifa, sommo sacerdote (Jn 18,24 Mt 26,57). Secondo Matteo, il Signore fu condotto direttamente da Caifa, perché questi era il sommo sacerdote in quell'anno. Si deve intendere che era uso che due pontefici, o sommi sacerdoti, esercitassero l'ufficio un anno per ciascuno, e che a quell'epoca erano sommi sacerdoti Anna e Caifa, come ricorda l'evangelista Luca, riferendosi al tempo in cui Giovanni, precursore del Signore, comincio a predicare il regno dei cieli e a raccogliere discepoli. Dice Luca: Sotto il sommo sacerdozio di Anna e Caifa, la parola di Dio fu indirizzata a Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto (Lc 9,2). Da allora questi due si erano alternati nell'esercizio delle loro funzioni di pontefici; ed era l'anno di Caifa quando avvenne la passione di Cristo. Ora, secondo Matteo, Cristo, quando fu arrestato, venne condotto direttamente a lui, mentre secondo Giovanni prima lo condussero ad Anna, ma non perché questi era collega di Caifa, ma perché era il suo suocero. E' da credere che ciò sia avvenuto per volontà di Caifa, oppure perché le loro abitazioni erano situate in modo tale che, per andare da Caifa, non si poteva evitare la casa di Anna.

2. 6. Dopo averci detto che Anna mando il Signore legato a Caifa, l'evangelista riprende il suo racconto al punto dove aveva lasciato Pietro per spiegarci come avvenne che egli per tre volte, mentre si trovava nella casa di Anna, rinnego Cristo. Intanto Simon Pietro stava a scaldarsi. Così l'evangelista ricapitola quanto aveva detto prima; e aggiunge ciò che avvenne dopo: Gli dissero: Non sei anche tu dei suoi discepoli? Egli lo nego dicendo: Non lo sono. Aveva già negato una volta: questa è la seconda. Ed ecco la terza: Uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva mozzato l'orecchio, disse: Non ti ho visto io nel giardino con lui? E di nuovo Pietro nego, e subito un gallo canto (Jn 18,25-27). Ecco compiuta la predizione del medico e dimostrata la presunzione del malato. Non è avvenuto quanto Pietro aveva detto, e cioè: Daro la mia vita per te; si è verificato, invece, quanto il Signore aveva predetto: Mi rinnegherai tre volte (Jn 13,38). Con la triplice negazione di Pietro, poniamo fine a questo discorso, per riprendere poi la narrazione di ciò che avvenne del Signore presso il procuratore Ponzio Pilato.


Agostino - Commento Gv 111