Agostino Salmi 48

SUL SALMO 48

48 Ps 48

ESPOSIZIONE

Discorso 1

Spesso i cattivi godono, mentre i buoni sono in angustie.

1. Ogni parola divina è salutare per coloro che la intendono rettamente, pericolosa per quelli che, seguendo la perversità del loro cuore, pretendono piegarla a loro modo anziché raddrizzare il loro cuore conforme alla rettitudine di tale parola. Questa di fatto è la grande e comune perversità degli uomini: mentre dovrebbero vivere secondo la volontà di Dio, vogliono che Dio viva secondo la loro volontà; e poiché non vogliono correggersi, pretendono di corrompere Dio, considerando retto non ciò che egli vuole, ma ciò che essi vogliono. Si sentono gli uomini che mormorano contro Dio, perché ai cattivi in questa vita le cose vanno bene mentre i buoni soffrono; come se Dio fosse perverso, non sapesse ciò che fa, o avesse distolto gli occhi dalle cose umane; o, meglio, non volesse turbare la sua tranquillità occupandosi di queste faccende terrene, come se a Dio costasse fatica guardare e correggere tali cose. Gli uomini, che adorano Dio per trarne dei vantaggi, mormorano quando vedono che quelli che non lo adorano vivono nell’abbondanza e prosperano nella felicità terrena, mentre essi che adorano Dio, sono presi dalle angustie, dalle ristrettezze, dalle calamità e da tutte le altre difficoltà caratteristiche dell’umana condizione mortale. Contro questa voce e contro queste bestemmie dei mormoratori suona continuamente la parola divina, che guarisce dal morso del serpente. Questa infezione è propria di un cuore avvelenato che esala il fetore della bestemmia contro Dio e, ciò che è peggio, respinge la mano di chi lo cura, e non evita affatto il morso del serpente. Ho detto che il cuore dell’uomo respinge la severità della parola di Dio, ma lascia penetrare in sé le blandizie del serpente che persuade a compiere il male. Contro costoro si pronuncia dunque la parola divina, e già in questo salmo ci previene contro di loro. Verso questo salmo io vorrei attirare l’attenzione della vostra Santità, se già egli non ci avesse fatto tutti attenti; e non noi soli, ma il mondo intero. Ascoltate dunque in qual modo comincia.

Entri nel cuore ciò che si ascolta.

2. [v 2.] Udite questo, popoli tutti. Dunque non solo voi che siete qui. Che potere ha la nostra voce per gridare in modo tale che la odano tutti i popoli? Gridò per mezzo degli Apostoli il nostro Signore Gesù Cristo, gridò in tante lingue quanti furono quelli che aveva mandato come predicatori; e vediamo questo salmo, il quale prima era recitato da un solo popolo, nella sinagoga dei Giudei, è recitato ora in tutto il mondo, da tutte le chiese, e quindi si è adempiuto ciò che qui è detto: Udite questo, popoli tutti. Mi sono proposto di rendere attenti i vostri spiriti a questo solo, perché per la stanchezza fisica non vi perdiate di coraggio, per lo spavento della lunghezza di questo salmo. Se sarà possibile lo finiremo oggi; se non sarà possibile, ne rimarrà un po’ per domani; ma voi siate sempre attenti. Ascolterete unicamente, se questa sarà la volontà del Signore, ciò che non vi deprimerà, ma vi innalzerà. Udite questo, popoli tutti; tra questi popoli ci siete anche voi. Con le orecchie ascoltate tutti voi che abitate il mondo. Sembra che si ripeta la stessa cosa; come se poco fosse stato aver detto: Udite. Ciò che dico, egli ripete: udite, porgete le vostre orecchie, cioè, non ascoltate distrattamente. Che significa: Porgete le vostre orecchie? Il Signore diceva: Chi ha orecchie per intendere, intenda (Mt 11,25); ebbene, siccome coloro che erano al suo cospetto avevano certamente le orecchie, quali orecchie egli cercava se non quelle del cuore, dicendo: Chi ha orecchie per intendere, intenda? Anche questo salmo si rivolge a tali orecchie. Porgete le vostre orecchie tutti voi che abitate il mondo. Forse qui c’è da fare anche qualche distinzione. Certamente noi non dobbiamo forzare il significato delle parole, ma non c’è niente di male se cerchiamo di spiegarle. Probabilmente c’è una certa differenza tra: Popoli tutti, e: Tutti voi che abitate il mondo. Forse ha voluto che noi più precisamente, attraverso le parole “che abitate”, intendessimo per “popoli” tutti gli iniqui e per abitatori del mondo tutti i giusti. Perché abita colui che non è costretto; infatti colui che è costretto è forzato a rimanere, ma non abita. Allo stesso modo possiede ciò che ha, colui che è padrone delle sue cose; ma è padrone colui che non è prigioniero della cupidigia; chi invece è prigioniero della cupidigia, è posseduto, non è possessore. Abbiamo infatti nella Scrittura di Dio alcune parole riguardo all’abitazione, laddove è detto: Ho scelto di essere soggetto nella casa del Signore, piuttosto che abitare nelle tende dei peccatori (Ps 83,11). Ma come, se sarai soggetto nella casa del Signore, non abiterai in essa? Ha voluto qui intendere l’abitazione soltanto in riferimento a coloro che reggono, che posseggono, che dominano, che governano; quelli invece che sono disprezzati, non abitano, ma sono soggetti. Perciò ha detto: Voglio essere soggetto nella casa del Signore piuttosto che regnare nelle tende dei peccatori. Orbene se c’è qualche distinzione tra popoli tutti e voi abitanti del mondo, come c’è una distinzione tra le parole udite e con le orecchie ascoltate, sebbene sembri trattarsi di una ripetizione, tuttavia c’è una differenza e certamente ha voluto indicarla; perché queste parole dovevano essere udite non soltanto dai peccatori e dagli empi, ma anche dai giusti. Ora le odono, mescolati fra loro; ma quando sarà venuto il tempo di rendere ragione, saranno separati coloro che senza causa le hanno udite, da coloro che hanno ascoltato con le orecchie. Ascoltino dunque anche i peccatori: Udite queste cose, popoli tutti. Le ascoltino anche i giusti, i quali non senza motivo le hanno udite, e governano la terra anziché essere da essa governati: Con le orecchie ascoltate tutti voi che abitate il mondo.

Solo il povero di spirito va sinceramento a Dio.

3. [v 3.] E di nuovo dice: Tutti voi nati dalla terra e i figli degli uomini. Dicendo: nati dalla terra, allude ai peccatori; dicendo invece: i figli degli uomini, allude ai fedeli e ai giusti. Vedete dunque che si conserva questa distinzione. Orbene, chi sono i nati dalla terra? Sono i figli della terra. Chi sono i figli della terra? Coloro che cercano le eredità terrene. Chi sono invece i figli degli uomini? Coloro che appartengono al Figlio dell’uomo. Già una volta abbiamo sottolineato alla vostra Santità questa distinzione, e abbiamo trovato che Adamo era uomo, ma non era figlio dell’uomo; mentre Cristo era Figlio dell’uomo ed era Dio. Ne consegue che tutti coloro che appartengono ad Adamo, sono nati dalla terra; tutti coloro che appartengono a Cristo sono figli degli uomini.Tuttavia tutti ascoltino, io non impedisco a nessuno di udire le mie parole. Chi è terrestre, le oda per il giudizio, chi è figlio dell’uomo, le oda per il Regno. Ascoltino insieme il ricco e il povero. Di nuovo sono ripetute le stesse cose. Dicendo: ricco, allude ai terrestri; dicendo: povero, ai figli degli uomini. Intendi nei ricchi i superbi, e nei poveri gli umili. Chi ha grande abbondanza di denaro, se in esso non si inorgoglisce, è povero; chi non possiede denaro, ma lo brami perdendosi dietro ad esso, è annoverato da Dio tra i ricchi e i reprobi. Dio interroga i ricchi e i poveri nel cuore, non nel forziere e nella dimora. Non sono forse poveri coloro che accettano il comandamento dell’Apostolo che dice a Timoteo: Ordina ai ricchi di questo secolo di non insuperbirsi? In qual modo fece poveri coloro che erano ricchi? Mostrò loro perché si cercano le ricchezze. Nessuno infatti vuole essere ricco, se non per inorgoglirsi di fronte a coloro tra i quali vive, ed apparire ad essi superiore. Dicendo dunque ai ricchi di non insuperbirsi, li ha fatti uguali a coloro che non posseggono nulla; per cui il mendicante forse si inorgoglisce per i suoi pochi soldi più di quel ricco che ascolta l’Apostolo che dice: Ordina ai ricchi di questo secolo di non insuperbirsi. E come possono non insuperbirsi? Se fanno quanto segue: E non sperino nelle incerte ricchezze, ma nel Dio vivo, che dona a noi ogni cosa con abbondanza perché ne godiamo (1Tm 6,17). Non ha detto: che dona a loro, ma ha detto: Che dona a noi. Forse che Paolo stesso non possedeva ricchezze? Certo che ne possedeva. Quali ricchezze? Quelle delle quali la Scrittura così dice altrove: Il mondo intero è ricchezza per l’uomo fedele (Pr 17,6 sec. LXX). Ascolta ancora l’Apostolo che dice: Come coloro che non hanno niente e posseggono ogni cosa (2Co 6,10). Chi vuole dunque essere ricco, non si attacchi ad una parte, e allora possederà tutto; si unisca a Colui che tutto ha creato. Insieme il ricco e il povero. Sta scritto in un altro salmo: Mangeranno i poveri, e saranno saziati. In qual modo ha descritto i poveri? Mangeranno i poveri, e saranno saziati. Che cosa mangiano? Ciò che sanno i fedeli. In qual modo saranno saziati? Imitando la Passione del loro Signore e ricevendo non senza motivo il suo riscatto. Mangeranno i poveri, e saranno saziati, e loderanno il Signore coloro che Lo cercano. E i ricchi che cosa fanno? Anche essi mangiano. Ma in qual modo mangiano? Hanno mangiato, e hanno adorato tutti i ricchi della terra (Ps 21,27 Ps 30). Non ha detto: hanno mangiato e sono stati saziati, ma ha detto: Hanno mangiato e hanno adorato. Adorano certamente Dio, ma non vogliono manifestare una fraterna umanità. Mangiano quelli, e adorano; mangiano questi e sono saziati; tuttavia tutti mangiano. Da colui che mangia si esige ciò che mangia: chi dispensa non proibisce di mangiare, ma invita a temere l’esattore. Ascoltino dunque queste cose i peccatori e i giusti, i Gentili e coloro che abitano il mondo, i nati dalla terra e i figli degli uomini, insieme il ricco e il povero, non divisi, non separati. Questo accadrà al tempo della mietitura, ciò potrà farlo la mano del vagliatore (Cf. Mt 3,12). Ora, insieme uniti, ascoltino il ricco e il povero, insieme pascolino i caproni e gli agnelli, finché verrà Colui che porrà gli uni a destra e gli altri a sinistra (Cf. Mt 25,32 Mt 33). Insieme ascoltino Colui che insegna, affinché non odano, divisi gli uni dagli altri, Colui che giudica.

164 4. [v 4.] E che cos’è ciò che ora udranno? La mia bocca parla sapienza, e la meditazione del mio cuore intelligenza. Ha preferito ripetere il concetto per evitare che, dicendo la mia bocca, tu intendessi che colui che ti parla ha la sapienza sulle labbra. Molti infatti l’hanno sulle labbra e non l’hanno nel cuore. Di costoro la Scrittura dice: Questo popolo con le labbra mi onora, ma il loro cuore è lontano da me (Is 29,13). Che dice dunque colui che ti parla? Dopo aver detto: La mia bocca parla sapienza, affinché tu intenda che ciò che scorre dalla sua bocca emana dall’intimo del cuore, aggiunge: E la meditazione del mio cuore intelligenza.

Ai soli giusti è riservata la visione di Dio.

5. [v 5.] Piegherò il mio orecchio alla parabola, esporrò sul salterio la mia parola. Chi è questi la cui meditazione del cuore parla intelligenza, tanto che essa non è soltanto sulla superficie delle labbra, ma possiede l’intimo dell’uomo? Chi è questi che ascolta e così parla? Perché molti dicono ciò che non ascoltano. E chi sono costoro? Sono coloro che non fanno le cose che dicono, come quei Farisei che il Signore dice che siedono sulla cattedra di Mosè. Ti ha parlato dalla cattedra di Mosè per mezzo di coloro che non fanno le cose che dicono; e il Signore ti ha così voluto dare un motivo di sicurezza. Non temete, ha detto: Fate le cose che dicono, ma non fate le cose che fanno; perché dicono e non fanno (Mt 23,2 Mt 3), cioè non ascoltano le cose che dicono. Coloro che fanno e così dicono, ascoltano ciò che dicono, e perciò fruttuosamente dicono perché ascoltano. Colui che parla e non ascolta, giova agli altri, ma non giova a se stesso. Orbene, questi che voleva ascoltare e dire, questi che ti parla, prima di dire: Esporrò sul salterio la mia parola, il che significa parlare in termini corporali, in quanto l’anima si serve del corpo come il suonatore di cetra si serve del salterio, ha detto: Piegherò il mio orecchio alla parabola. Cioè prima di parlarti per mezzo del corpo, prima di suonare il salterio, per prima cosa io piegherò il mio orecchio alla parabola, ossia ascolterò ciò che ti devo dire. E perché alla parabola? Perché ora vediamo attraverso uno specchio, in enigma (1Co 13,12), come dice l’Apostolo. Finché siamo in questo corpo siamo pellegrini lungi dal Signore (2Co 5,6). Perché non c’è ancora quella nostra visione faccia a faccia, dove non vi sono più parabole, dove non vi sono più enigmi e somiglianze. Tutto quel che ora comprendiamo lo scorgiamo in enigma. L’enigma è una parabola oscura che difficilmente si intende. Per quanto l’uomo purifichi il suo cuore, e si volga all’intelligenza delle cose interiori, finché vediamo per mezzo di questa corruttibile carne, vediamo solo in parte. Ma quando avremo rivestito l’incorruttibilità nella risurrezione dei morti, quando sarà apparso il Figlio dell’uomo per giudicare i vivi e i morti, allora vedremo il Figlio dell’uomo, colui che per primo è stato giudicato, distinguere come giudice i malvagi dai buoni, e porre i malvagi a sinistra e i buoni a destra. Lo vedranno sia i buoni che i malvagi, ma ai malvagi dirà: Andate nel fuoco eterno; mentre dirà ai buoni: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete il Regno. I malvagi andranno nella combustione eterna, i giusti invece nella vita eterna (Mt 25,33 Mt 34 Mt 41 Mt 46); ed ivi sarà quella visione faccia a faccia, della quale gli altri non sono degni. State attenti a ciò che dico. Qui, sia i malvagi che i buoni hanno visto il Figlio dell’uomo quando ancora doveva essere giudicato; lo hanno visto gli Apostoli che lo hanno seguito, lo hanno visto i Giudei che lo hanno crocifisso; ebbene, quando verrà per giudicare, anche allora lo vedranno i buoni e i malvagi: i buoni per ricevere la mercede perché lo hanno seguito, i malvagi per subire la pena perché lo hanno crocifisso. Saranno dunque condannati soltanto coloro che lo hanno crocifisso? Oso dire di sì. Allora noi, dicono i peccatori di questo tempo, possiamo stare tranquilli. Siete tranquilli, se Dio non interroga l’anima. Che significa questo? Lo intenda la Carità vostra, per non trovarvi a dire nel Giudizio di Dio che non avete capito. I Giudei videro Cristo e lo crocifissero; tu non vedi Cristo, ma ti opponi alla sua parola. Se ti opponi alla parola, forse non crocifiggeresti la carne, se tu la vedessi? Il Giudeo disprezzò Cristo in croce, tu lo disprezzi mentre siede in Cielo. Lo videro dunque gli uni e gli altri, mentre era in terra: lo vedranno gli uni e gli altri quando verrà. Il Figlio dell’uomo verrà per giudicare; poiché il Figlio dell’uomo è venuto per essere giudicato. Poiché il Padre non si è incarnato, e non ha subito la Passione, giudica per mezzo del Figlio dell’uomo, come egli stesso ha detto nel Vangelo: Il Padre non giudica nessuno, ma ha dato al Figlio ogni giudizio; e poco dopo aggiunge: E gli ha dato il potere di fare il giudizio perché è il Figlio dell’uomo (Jn 5,22 Jn 27). In quanto è Figlio di Dio, è sempre Verbo con il Padre; e poiché è sempre con il Padre, con il Padre sempre giudica; ma in quanto è Figlio dell’uomo, è stato giudicato e giudicherà. Pertanto, allo stesso modo in cui quando è stato giudicato fu visto da coloro che credevano in lui e da coloro che lo crocifissero, così sarà visto, quando comincerà ad esser Giudice, da coloro che condannerà come da coloro che coronerà. Ma quella visione della divinità, che promise a quanti lo amano dicendo: Chi mi ama sarà amato dal Padre mio; e chi mi ama osserva i miei comandamenti e io lo amerò, e mi mostrerò a lui (Jn 14,21), gli empi non potranno goderla. Questa visione in certo modo familiare la riserba per i suoi, non la espone anche agli empi. Quale è questa visione? Quale Cristo? L’uguale del Padre. E chi è Cristo? In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e Dio era il Verbo (Jn 1,1). A questa visione ora aneliamo, e gemiamo nel nostro peregrinare; alla fine saremo condotti ad essa, ma ora questa visione la vediamo in enigma; e se dunque la vediamo in enigma, pieghiamo il nostro orecchio alla parabola, e in questo modo esponiamo sul salterio la nostra parola; ascoltiamo ciò che diciamo, facciamo ciò che insegnano.

Combattere la tentazione al suo inizio.

6. [v 6.] E che cosa ha detto? Perché avrò timore nel giorno del male? L’iniquità del mio calcagno mi circonderà. Comincia ad essere più oscuro: Perché avrò timore - dice - nel giorno del male? L’iniquità del mio calcagno mi circonderà. Più che mai deve temere, se l’iniquità del suo calcagno lo circonderà. Non tema - egli dice - l’uomo ciò che non ha il potere di evitare. Ad esempio: colui che teme la morte che cosa potrà fare per non morire? Chi è nato dalla stirpe di Adamo mi dica in qual modo può evitare di pagare il debito di Adamo. Pensi invece che è nato da Adamo e ha seguito Cristo, ed è necessario che paghi il debito di Adamo e che ottenga ciò che Cristo ha promesso. Chi dunque teme la morte, non ha modo di sfuggirle; chi invece teme la dannazione che gli empi udranno: Andate nel fuoco eterno, ha modo di sfuggirvi. Non deve dunque temerla? E perché lo dovrebbe? L’iniquità del suo calcagno lo circonderà? Ma se evita l’iniquità del suo calcagno e camminerà per le vie del Signore, non giungerà al giorno del male; il giorno del male, l’ultimo giorno, non sarà male per lui. Infatti, l’ultimo giorno sarà male per alcuni, e bene per altri. Sarà forse male per coloro ai quali sarà detto: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete il Regno? Sarà invece male per gli altri, cui sarà detto: Andate nel fuoco eterno (Mt 25,34 Mt 41). Perché mai, se l’iniquità del suo calcagno lo circonderà, deve temere nel giorno del male? Ora, mentre vivono, gli uomini provvedano a se stessi, strappino l’iniquità dal loro calcagno, camminino per quella via, camminino per la via della quale egli stesso ha detto: Io sono la via, la verità e la vita (Jn 14,6); e non abbiano timore nel giorno del male, perché Colui che si è fatto via dà ad essi tranquillità. Perché avrò timore nel giorno del male? L’iniquità del mio calcagno mi circonderà. Evitino dunque l’iniquità del loro calcagno. È nel calcagno che si cade. Intenda bene la Carità vostra. Che cosa disse Dio al serpente? Essa osserverà il tuo capo, e tu osserverai il suo calcagno (Gn 3,15). Il diavolo spia il tuo calcagno, quando tu vacilli, per farti precipitare. Egli spia il tuo calcagno, e tu stai attento al suo capo. Che cos’è il suo capo? È l’inizio della cattiva suggestione. Quando comincia a suggerire il male, allora scaccialo, prima che sorga il piacere e ne segua il consenso; allora eviterai il suo capo ed egli non morderà il tuo calcagno. Ma perché disse questo a Eva? Perché è per mezzo della carne che l’uomo cade. Eva è per noi la nostra carne interiore. Chi ama la sua sposa - sta scritto - ama se stesso. Che significa: se stesso? Così continua: Nessuno infatti ha mai avuto in odio la sua carne (Ep 5,28 Ep 29). Orbene, allo stesso modo in cui per mezzo di Eva ha fatto cadere l’uomo Adamo (Cf. Gn 3,6), così il diavolo, per mezzo della carne, vuol far cadere noi; ed è stato ordinato a Eva di stare attenta al capo del diavolo, poiché il diavolo sta attento al suo calcagno. Anche se l’iniquità del calcagno ci circonderà, non avremo da temere nel giorno del male, se, convertiti a Cristo, avremo in nostro potere il non commettere iniquità; niente allora ci circonderà e nel giorno ultimo ci rallegreremo, non piangeremo.

7. [v 7.] Ma chi sono coloro che saranno circondati dall’iniquità del calcagno? Coloro che confidano nella loro forza e si gloriano nell’abbondanza delle loro ricchezze. Ebbene, eviterò tutto questo e l’iniquità del mio calcagno non mi circonderà. Come si evita tutto questo? Non confidando nella nostra virtù, non gloriandoci nell’abbondanza delle nostre ricchezze. Gloriamoci in colui che ha promesso il sublime a noi umili, ed ha minacciato la dannazione ai superbi, e allora l’iniquità del calcagno non ci circonderà. Coloro che confidano nella loro forza e si gloriano nell’abbondanza delle loro ricchezze.

Siamo redenti da Cristo, nostro fratello.

8. [v 8.] Alcuni si fidano dei loro amici; altri si fidano della loro forza, altri ancora delle ricchezze. Questa è la presunzione del genere umano che non si fida di Dio. Ha parlato della forza, ha parlato delle ricchezze, ora parla degli amici: Non riscatta il fratello, riscatterà l’uomo? Speri che l’uomo ti riscatti dall’ira che verrà? Se il fratello non ti riscatta, ti riscatterà l’uomo? Chi è il fratello che, se non riscatterà, nessun uomo sarà riscattato? È colui che dopo la resurrezione dice: Va’, di’ ai miei fratelli (Mt 28,10). Ha voluto essere nostro fratello, e quando diciamo a Dio: Padre nostro, ciò si manifesta in noi. Chi dice infatti a Dio: Padre nostro, dice a Cristo: fratello. Dunque chi ha Dio per Padre e per fratello ha Cristo, non abbia timore nel giorno dell’ira. Non lo circonderà infatti l’iniquità del suo calcagno, perché non confida nella sua virtù, né si gloria nell’abbondanza delle sue ricchezze, e neppure si vanta dei suoi potenti amici. Confidi dunque in Colui che è morto per lui, affinché egli non morisse in eterno; che per lui si è umiliato affinché egli fosse esaltato; che ha cercato l’empio, per essere cercato dal fedele. Orbene, se egli non riscatta, riscatterà forse l’uomo? Quale uomo riscatterà, se il Figlio dell’uomo non riscatta? Se Cristo non redime, redimerà Adamo? Non riscatta il fratello, riscatterà l’uomo?

Usiamo delle ricchezze per farci un tesoro in cielo.

9. [vv 8.9.] Non darà a Dio la sua espiazione e il prezzo del riscatto dell’anima sua. Confida nella sua forza e si gloria nell’abbondanza delle sue ricchezze chi non darà a Dio la sua espiazione, cioè di che placarlo rendendo benigno Dio verso i suoi peccati; e neppure darà il prezzo del riscatto dell’anima sua colui che confida nella sua forza, negli amici, nelle sue ricchezze. Ma chi sono coloro che danno il prezzo del riscatto della loro anima? Coloro cui il Signore dice: Fatevi degli amici con la ricchezza dell’ingiustizia, affinché essi vi accolgano negli eterni tabernacoli (Lc 16,9). Pagano il prezzo del riscatto della loro anima se non cessano mai di compiere elemosine. Perciò l’Apostolo ha invitato a non essere superbi quanti ammonisce per mezzo di Timoteo, affinché non si glorino nell’abbondanza delle loro ricchezze; ha voluto insomma che non invecchiasse in loro ciò che essi possedevano, ma che essi ne facessero qualcosa, in modo che divenisse il prezzo del riscatto della loro anima. Dice infatti: Ordina ai ricchi di questo secolo di non insuperbirsi, e di non sperare nelle incerte ricchezze, ma nel Dio vivo, che ci dona ogni cosa con abbondanza perché ne godiamo. E, come se essi gli avessero chiesto: Che faremo dunque delle nostre ricchezze? l’Apostolo risponde: Siano ricchi nelle opere buone, con facilità donino, ne facciano parte ad altri, e così non perderanno i loro beni. Come facciamo a saperlo? Ascolta quanto segue: Accumulino per sé un buon capitale per il futuro, onde acquisire la vera vita (1Tm 6,17-19). È così che daranno il prezzo del riscatto della loro anima. E così ci ammonisce il nostro Signore: Fatevi delle borse che non invecchiano, un tesoro che non viene meno nei Cieli, dove il ladro non si avvicina, né la tignola corrompe (Lc 12,33). Dio non vuole che tu perda le tue ricchezze e perciò ti ha dato il consiglio di mutare il luogo dove le riponi. Intenda la Carità vostra: se ora entrasse nella tua casa, e trovasse che tu hai riposto il grano in un luogo umido, un tuo amico che conosce la causa per cui si corrompe il grano mentre tu non lo sai, ti darebbe certamente questo consiglio, dicendo: Fratello, tu perdi ciò che con gran fatica hai raccolto; lo hai riposto in un luogo umido, e in pochi giorni imputridirà. Tu risponderesti: E che debbo fare, fratello? Ponilo in alto, ribatte l’amico. Presteresti dunque ascolto all’amico che ti suggerisce di sollevare il grano dal basso per riporlo in alto, e non presti ascolto a Cristo che ti esorta a sollevare il tuo tesoro dalla terra al Cielo, dove non ti sarà restituito ciò che conservi, ma conservi la terra e riceverai il Cielo, conservi i beni mortali e riceverai quelli eterni! Presta a Cristo; Egli riceve poche cose in terra, per rendertene molte in Cielo. Invece, coloro che saranno circondati dall’iniquità del loro calcagno, perché confidano nella loro virtù e si gloriano nell’abbondanza delle loro ricchezze, e sperano negli amici che non sono in grado di donare niente agli uomini, non daranno a Dio la loro espiazione e il prezzo del riscatto dell’anima loro.

Non è qui dove soffriamo la nostra vera vita.

165 10. [vv 9.10.] E che cosa ha detto di un tale uomo? E si travaglierà in eterno e vivrà fino alla fine. Il suo tormento sarà senza fine, la sua vita avrà invece fine. Perché ha detto: Vivrà fino alla fine? Costoro non considerano della vita se non i quotidiani piaceri. Per questo molti nostri poveri e bisognosi, poco saldi e incapaci di vedere che cosa promette loro Dio in cambio di queste fatiche, scorgendo i ricchi immersi in quotidiani conviti, nello splendore e nel fulgore dell’oro e dell’argento, che cosa dicono? Dicono che soltanto questi veramente vivono. Lo si dice: non lo si dica più. Noi esortiamo, eppure lo si dirà; ma almeno lo dicano molti meno di quelli che lo direbbero se noi non ammonissimo. Neppure noi, infatti, presumiamo di essere in grado d’insegnare in modo che non lo si dica affatto, ma almeno siano pochi a dirlo; lo si dirà infatti fino alla fine del secolo. È poco dire che quello vive; aggiunge ed esclama: tu credi che quello solo viva. Viva pure; finirà la sua vita; poiché non dà il prezzo del riscatto dell’anima sua, la vita finirà, mentre non finirà il tormento. Si travaglierà in eterno e vivrà fino alla fine. In qual modo vivrà fino alla fine? Nel modo in cui viveva quello che si vestiva di porpora e di bisso, e banchettava splendidamente ogni giorno; e nel contempo, superbo e gonfio, disprezzava quello che giaceva piagato dinanzi alla porta, e le cui ferite erano leccate dai cani, che anelava le briciole che cadevano dalla sua mensa. A che cosa gli hanno giovato quelle ricchezze? Si sono scambiate le parti: quello, dalla porta del ricco, è stato innalzato al seno di Abramo; questo, dalle splendide mense, è stato gettato nel fuoco; quello riposava, questo bruciava; quello era saziato, questo assetato; quello aveva sofferto fino alla fine e viveva in eterno; questi aveva vissuto sino alla fine e soffriva per l’eternità. Che anno giovato i tesori al ricco, il quale mentre era in mezzo ai tormenti dell’inferno chiese che una goccia cadesse sulla sua lingua dal dito di Lazzaro, dicendo: Brucio qui in questa fiamma e non gli fu concesso (Lc 16,19-26)? Desiderò una goccia dal dito, come il misero aveva desiderato una briciola dalla mensa del ricco; ma le sofferenze dell’uno sono finite, e finita è la vita dell’altro; la fatica di quest’ultimo è eterna, la vita dell’altro è eterna. Non è qui che abbiamo la vita anche se qui nella terra tanto siamo travagliati; e non così saremo dopo, perché Cristo sarà nostra vita in eterno; coloro invece che vogliono avere qui la vita, soffriranno in eterno e vivranno fino alla fine.

11. [v 11.] Poiché non vedrà la morte, quando vedrà morire i sapienti. Costui che si è affaticato in eterno e vivrà fino alla fine, non vedrà la morte, quando vedrà morire i sapienti. Che significano queste parole? Non comprenderà che cosa sia la morte, quando vedrà morire i sapienti. Dice infatti a se stesso: non è forse morto colui che era tanto saggio, che era intimo della Sapienza, e adorava Dio con grande pietà? Farò dunque come mi pare, finché vivo; infatti, se potessero fare qualcosa coloro che hanno sapienza, non morirebbero. Vede che quello muore, e non vede che cosa sia la morte. Non vedrà la morte quando vedrà morire i sapienti. Allo stesso modo i Giudei videro Cristo pendente dalla croce e lo disprezzarono dicendo: Se fosse figlio di Dio, discenderebbe dalla croce (Cf. Mt 27,42). Non vedevano insomma che cosa è la morte. Oh, se avessero visto che cosa è la morte, se l’avessero compresa! Quegli moriva nel tempo, per rivivere in eterno; essi vivevano nel tempo per morire in eterno. Ma poiché lo vedevano morire, non vedevano la morte, cioè non capivano che cosa sia la vera morte. Che cosa dicono infatti nella Sapienza? Condanniamolo ad una morte oltraggiosa, perché, a suo dire, c’è Chi si piglierà cura di lui; se infatti è davvero il Figlio di Dio, egli lo libererà dalle mani degli avversari (Sg 2,20 Sg 18), cioè non permetterà che muoia il suo Figlio se veramente è il Figlio di lui. Ma quando lo videro sulla croce mentre subiva gli insulti e non discendeva dalla croce, dissero: Era veramente un uomo. Già si è detto che certamente poteva discendere dalla croce Colui che poté risorgere dal sepolcro; ma ci ha insegnato a sopportare gli insulti, ci ha insegnato ad essere pazienti di fronte alle lingue degli uomini, a bere ora il calice dell’amarezza e a ricevere poi la salvezza eterna. Bevi, ammalato, il calice amaro, se vuoi essere sano, poiché ora non lo sono le tue viscere; non tremare, perché, affinché tu non tremi, per primo lo ha bevuto il medico; cioè per primo il Signore ha bevuto l’amarezza della Passione. Ha bevuto Colui che non aveva peccato, che non aveva di che essere risanato. Bevi dunque finché non passa l’amarezza di questo secolo, finché non verrà il secolo ove non ci sarà alcuno scandalo, alcuna ira, alcuna malattia, alcuna amarezza, alcuna febbre, alcun inganno, alcuna inimicizia, alcuna vecchiaia, alcuna morte, alcuna lite. Soffri qui, giungerai alla fine; soffri se non vuoi, rifiutandoti di soffrire qui, giungere alla fine della vita, senza giungere mai alla fine delle sofferenze. Perché non vedrà la morte, quando vedrà morire i sapienti.

Prudenti come la formica, raccogliamo per l'eternità.

12. Insieme l’imprudente e lo stolto moriranno. Chi è l’imprudente? Colui che non fa attenzione per sé nel futuro. E chi è lo stolto? Colui che non capisce in quali mali si trova. Quanto a te, comprendi in quali mali sei ora, e poni attenzione affinché possa trovarti fra i beni nel futuro. Comprendendo in quali mali sei, non sarai stolto; rendendoti conto del futuro, non sarai imprudente. Chi è colui che si prepara per il futuro? È quel servo cui il suo Signore dette i suoi beni da amministrare e poscia gli disse: Non puoi più essere al mio servizio, rendimi ragione della tua amministrazione. E il servo replicò: Che farò? Non posso zappare, e mi vergogno a mendicare. Ma con le ricchezze del suo padrone si fece degli amici, che lo accogliessero quando sarebbe stato scacciato dall’amministrazione. Così ingannò il suo padrone, per prepararsi degli amici che lo accogliessero; tu non temere di fare tali inganni, lo stesso Signore ti esorta a farne, egli stesso ti dice: Fatti degli amici con la ricchezza dell’iniquità (Lc 16,1 Lc 2). Forse le cose che hai acquistato le hai ottenute con l’ingiustizia, oppure, forse, esse stesse sono l’ingiustizia, in quanto tu hai ed un altro non ha, tu sei nell’abbondanza ed un altro nel bisogno. Da questa ricchezza dell’ingiustizia, da queste ricchezze che gli iniqui chiamano beni, fatti degli amici e sarai prudente; te le procuri, non ti defraudi. Perché ora tu sembri perdere i tuoi beni. Li perdi forse se li poni nel salvadanaio? I fanciulli infatti, fratelli, per comprarsi non so che cosa, ripongono nel salvadanaio i soldi che trovano e solo più tardi lo aprono. Ebbene, perdono forse ciò che hanno perché non vedono ciò che hanno raccolto? Non temere; ripongono i soldi i fanciulli nel salvadanaio e stanno tranquilli; tu li poni in mano a Cristo, e hai paura! Sii prudente, e pensa a te stesso per il futuro in Cielo. Sii dunque prudente, imita la formica, come dice la Scrittura (Cf. Pr 6,6 Pr 30,25); metti da parte in estate per non aver fame in inverno: l’inverno è l’ultimo giorno, il giorno della tribolazione; l’inverno è il giorno degli scandali e dell’amarezza; raccogli ora ciò che ti servirà per il futuro; ma se così non fai, morirai essendo insieme imprudente e stolto.

13. Ma morto è quel ricco, e gli è stato fatto un grande funerale. Ecco a che cosa volgono lo sguardo gli uomini: non stanno attenti alla malvagia vita che ha condotto mentre viveva, ma alla pompa con cui è morto. Oh, felice colui che tanti piangono! Ma costui è vissuto in tal modo che sono pochi quelli che lo piangono. Tutti infatti dovrebbero piangere chi è vissuto così male! Ma ricco è il suo funerale, viene deposto in un sepolcro prezioso, avvolto in preziose vesti, e seppellito con profumi e aromi. E poi, quale lapide ha! Quanto ricca di marmi! Vive dunque in tale lapide? In essa egli è morto. Ebbene gli uomini, reputando buone queste cose, si sono allontanati da Dio, non hanno cercato i veri beni e sono stati ingannati dai falsi; vedi pertanto quanto segue: colui che non ha dato il prezzo del riscatto della sua anima, che non ha capito la morte, che ha visto morire i sapienti, è divenuto imprudente e stolto tanto da morire insieme con loro. E come periranno coloro che abbandoneranno agli estranei le loro ricchezze? Insieme l’imprudente e lo stolto periranno.

È tuo prossimo chi ti può aiutare per la vita eterna.

14. State attenti, fratelli: E abbandoneranno agli estranei le loro ricchezze. Sembra aver fatto oggetto di maledizione coloro che, morendo, abbandonano ad estranei le loro ricchezze. Se ne conclude che sono felici coloro che lasciano i figli nei loro possessi, coloro cui succedono i loro discendenti. Chi ha avuto figli, non è morto. E che fanno i suoi figli? A loro volta conservano ciò che hanno loro lasciato i genitori; e non solo conservano, ma accrescono. E per chi essi conservano? Per i loro figli, e quelli per i figli e quelli a loro volta per i figli. Che cosa riserbano a Cristo? Che cosa alla loro anima? Riserbano tutto per i figli. Ebbene, tra i figli che hanno in terra, annoverino anche un fratello che hanno in Cielo, al quale dovrebbero dare tutto, e con il quale almeno dividano qualcosa. Ma ecco che qualcuno mi dice: Ecco quelli che la Scrittura chiama maledetti, che ha detto che muoiono e abbandonano agli estranei le loro ricchezze; è felice invece chi lascia ai suoi. Quanto a me, esamino questa interpretazione, piego il mio orecchio alla parabola, e vedo che non invano la Scrittura così si esprime. Vedo infatti che molti ingiusti muoiono, e i figli sono loro successori; e la Scrittura non poteva esprimersi in modo da esentare dalla miseria coloro la cui vita disapprova; ebbene, che cosa credete si debba intendere, fratelli, se non che tutti costoro abbandonano agli estranei le loro ricchezze? In qual modo sono estranei i figli? I figli degli iniqui sono estranei; troviamo infatti che qualche estraneo è divenuto nostro parente, perché ci ha aiutato. Se qualcuno dei tuoi a niente ti giova, ti è estraneo. Dove troviamo qualche estraneo divenuto parente, per il fatto di averci giovato? Nel Vangelo. Un tale infatti giaceva per la strada ferito dai ladroni. Ma il Signore a uno aveva detto: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Ed egli aveva risposto: e chi è il mio prossimo? E il Signore raccontò: un certo uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e si imbatté nei ladroni che lo ferirono e lo abbandonarono sulla strada mezzo morto. Dei parenti lo videro e passarono oltre: era infatti Giudeo, in quanto da Gerusalemme discendeva a Gerico. Passò il sacerdote e lo abbandonò; passò il levita e lo abbandonò anche lui; passò un Samaritano (non so quale Samaritano, ma era un estraneo) e si avvicinò a lui, guardò il suo miserevole stato, con misericordia curò le sue ferite, lo mise sulla cavalcatura, e lo condusse all’albergo, affidandolo all’albergatore. Tutte queste cose sono dette nel mistero, e mi sembra troppo lungo starne a discutere ora, tuttavia, per quanto concerne ciò che vi ho detto, fratelli, il Signore dice: Chi di costoro è prossimo per quel ferito? Quello rispose: credo che sia quello che ebbe misericordia di lui. Va’ - ribatté il Signore - e fa’ anche tu altrettanto (Lc 10,27-37). Colui cui tu fai misericordia è dunque tuo prossimo. Se l’estraneo Samaritano, manifestando misericordia e soccorrendo, è divenuto prossimo, chiunque non ti soccorre nelle tribolazioni diventa tuo estraneo. Poniamo ora attenzione a quei ricchi che hanno vissuto male, che si sono comportati superbamente, e sono morti ed hanno lasciato, non dico agli estranei, ma ai loro figli le ricchezze. Ebbene, i loro figli seguono la via dei genitori; sono superbi come loro, rapaci come loro, avari come loro: cioè sono estranei nel loro confronti. Perché comprendiate che sono estranei, vi domando: aiutarono forse quel ricco che ardeva nel fuoco dell’inferno coloro che erano succeduti nelle sue ricchezze? Oppure quel ricco non aveva chi gli succedesse, e gli estranei entrarono in possesso dei suoi beni? Nello stesso Vangelo leggiamo che aveva successori; dice infatti: Ho cinque fratelli (Lc 16,28). E i suoi fratelli non poterono soccorrerlo mentre bruciava nel fuoco. Che ti direbbe quel ricco? Direbbe: Ho cinque fratelli; e un fratello non mi sono fatto amico, colui che giaceva davanti alla porta; non possono aiutarmi quei miei fratelli che posseggono le mie ricchezze; mi sono diventati estranei. Vedete dunque che tutti coloro che vivono male, abbandonano agli estranei le loro ricchezze.

15. [v 12.] Ma certamente li aiutano quegli estranei che sono detti loro intimi? Ascoltate in che modo li aiutano, state attenti al modo in cui li deridono: Insieme l’imprudente e lo stolto moriranno; e abbandoneranno agli estranei le loro ricchezze. Perché ha detto agli estranei? Perché non possono giovare loro in niente. E tuttavia sembrano in qualche cosa giovare ad essi: E i loro sepolcri sono la loro dimora in eterno. Poiché i sepolcri sono costruiti, sono quindi delle dimore. Spesso tu odi infatti il ricco che dice: Posseggo una casa di marmo che abbandonerò, e non penso per me alla dimora eterna dove sempre starò. Quando pensa di farsi fare una lapide di marmo scolpita, è come se pensasse alla sua casa eterna; come se in essa fosse rimasto quel ricco. Se fosse rimasto in essa, non brucerebbe nel fuoco dell’inferno. Dobbiamo pensare a dove rimarrà lo spirito di colui che è vissuto male, non a dove è posto il suo corpo mortale; ma le loro dimore sono i loro sepolcri in eterno. Le loro tende di generazione in generazione. Le tende, sono i luoghi in cui per qualche tempo sono rimasti; le dimore, sono i luoghi in cui come in eterno resteranno, cioè i sepolcri. Abbandonano dunque ai loro parenti le tende, dove sono stati finché vivevano, e passano ai sepolcri, che sono come dimore eterne. Che giovamento traggono dunque dalle loro tende di generazione in generazione? Ormai le generazioni e le generazioni sono i figli, saranno i nipoti e i pronipoti; che cosa fanno, che cosa giovano le loro tende? Che dunque? Ascolta: Invocheranno i loro nomi nelle loro terre. Che significa questo? Porteranno il pane e il vino puro ai sepolcri, e invocheranno quivi i nomi dei morti. Pensi tu che, per quanto sia stato invocato più tardi il nome di quel ricco, quando gli uomini si ubriacavano alla sua memoria, sia discesa una sola goccia sulla sua lingua ardente (Cf. Lc 16,24)? Gli uomini servono il loro ventre, non gli spiriti dei loro parenti. Allo spirito dei morti giunge soltanto ciò che essi hanno fatto da vivi; ma se da vivi non hanno fatto niente, ai morti niente giunge. Che cosa fanno dunque i loro successori? Non fanno altro che invocare i loro nomi nelle loro terre.

Lavoriamo efficacemente per una dimora eterna.

16. [v 13.] E l’uomo, essendo in onore, non ha capito: si è messo alla pari dei giumenti insensati e si è fatto simile ad essi. Ecco come si è insultato agli uomini, i quali non hanno capito che cosa fare delle ricchezze mentre vivevano, e hanno creduto di essere beati nel futuro se fossero stati ricordati su una lapide di marmo, quasi fosse una dimora eterna, e se i loro parenti, ai quali avrebbero lasciato le loro sostanze, avessero invocato i loro nomi nelle loro terre. Avrebbero dovuto invece prepararsi una casa eterna nelle buone opere, prepararsi una vita immortale, mandare innanzi il prezzo e far seguire le loro opere, aver cura del compagno bisognoso, dare a colui con il quale camminavano, non disprezzare il Cristo che giaceva piagato dinanzi alla porta, il Cristo che ha detto: Ciò che avete fatto a uno dei miei piccoli, lo avete fatto a me (Mt 25,40). Ecco perché non ha capito l’uomo posto in onore. Che significa posto in onore? Fatto a immagine e somiglianza di Dio, uomo posto al di sopra dei giumenti (Cf. Gn 1,26). Perché Dio non ha fatto l’uomo nello stesso modo in cui ha fatto l’animale; Dio ha fatto l’uomo in modo che gli animali lo servissero; ma forse [perché lo servissero] per le sue forze, e non per la sua intelligenza? Ma egli non ha capito; e colui che era stato fatto a immagine di Dio, si è messo alla pari dei giumenti insensati e si è fatto simile ad essi. Per questo altrove è detto: Non siate come il cavallo e il mulo, nei quali non c’è intelletto (Ps 31,9).

17. [v 14.] Tale la loro via, un inciampo per loro. Sia inciampo per loro, non per te. Ma quando lo sarà anche per te? Se crederai che tali uomini siano felici. Se comprendi invece che non lo sono, la loro via sarà inciampo per loro, non per Cristo, non per il suo corpo, non per le sue membra. E poi con la loro bocca loderanno. Che significano le parole: Poi con la loro bocca loderanno? Quando saranno ridotti in tali condizioni da non cercare altro che i beni temporali, diverranno ipocriti; e quando benedicono Dio, lo benedicono con le labbra, non con il cuore. Così sono diventati i cristiani, quando, mentre si loda loro la vita eterna e si dice loro che occorre disprezzare le ricchezze nel nome di Cristo, torcono la bocca nel loro cuore; e, se non osano farlo apertamente per non vergognarsi o per non essere rimproverati dagli uomini, lo fanno nel cuore e disprezzano; e la benedizione resta sulla loro bocca, mentre nel cuore resta la maledizione. E poi con la loro bocca loderanno. Sarebbe lungo finire il salmo; basti alla vostra Carità ciò che intanto avete udito oggi: domani udrete ciò che al Signore piacerà.


Agostino Salmi 48