Agostino Salmi 77

SUL SALMO 77

77 Ps 77

ESPOSIZIONE

La parabola e le proposte.

1. [v 1.] Questo salmo tratta delle vicende del popolo antico, conforme racconta la Scrittura. Insieme però ammonisce il popolo successivo e più giovane a stare in guardia e a non mostrare ingratitudine verso i benefici di Dio, così da provocare contro di sé l'ira di colui dal quale deve ricevere la grazia in atteggiamento di obbedienza e di fedeltà. Essi non debbono diventare, è detto, come i loro padri, una generazione perversa e irritante; una generazione che non ha indirizzato a dovere il suo cuore, e il cui spirito non è stato fedele a Dio (Ps 77,8). Questo è dunque lo scopo del nostro salmo, questa la sua utilità, questo il suo frutto abbondante. Ma mentre tutto ci appare esposto e narrato in modo chiaro e aperto, in principio, nello stesso titolo, c'è un richiamo toccante per la nostra attenzione. Non invano infatti esso reca: Dell'intelligenza di Asaf; ma è, forse, perché le sue parole richiederanno un lettore che afferri non ciò che appare alla superficie ma qualcosa che sta in profondità. Narrerà e ricorderà, è vero, tutto un insieme di cose che sembrerebbero aver più bisogno di ascolto che di spiegazione. Eppure prosegue: Aprirò in parabole la mia bocca, enunzierò proposte dall'inizio (Ps 77,2). Chi a questo punto non si sveglierà dal sonno? Chi oserà leggere di sfuggita (quasi che si tratti di cose palesi) le parabole e le proposte, le quali, con gli stessi loro nomi, indicano che è necessaria un'indagine approfondita? La parabola infatti contiene in sé la similitudine di qualche cosa; e, anche se è un vocabolo greco, ormai tuttavia lo si usa come latino. Ed è noto che nelle parabole le cose che fungono da immagini sono riferite, mediante un confronto, alle cose di cui realmente si tratta. E le proposte, che in greco sono dette , sono questioni che racchiudono in sé qualcosa che deve essere risolto attraverso la discussione. Chi dunque vorrà leggere le parabole e le proposte in modo superficiale? Chi, ascoltando queste cose, non raddoppierà la vigilanza del suo spirito per coglierne il frutto con la comprensione?

Il Vecchio Testamento racchiude il Nuovo: il Nuovo svela il Vecchio. I sacramenti e la loro efficacia.

2. Dice: Considerate, popolo mio, la mia legge. Chi crediamo che parli qui se non Dio? Egli stesso infatti diede la legge al suo popolo: a quel popolo che egli radunò dopo averlo liberato dall'Egitto, riunione che propriamente si chiama “ sinagoga ”, che è la traduzione di Asaf. Ora chiedo: Intelligenza di Asaf è stato detto nel senso che fu la persona di Asaf a comprendere, oppure, in senso figurato, dobbiamo intendere che a capire fu la sinagoga, cioè quel popolo al quale si dice: Considerate, popolo mio, la mia legge? Ma perché allora rimprovera, per bocca del profeta, questo stesso popolo dicendo: Israele non mi ha conosciuto, e il popolo mio non ha capito (Is 1,3)? Certamente c'erano anche in quel popolo alcuni che capivano, possedendo quella fede che, come fu poi rivelato, era connessa non con la lettera della legge ma con la grazia dello Spirito. Non erano infatti senza fede coloro che furono in grado di prevederne e di preannunziarne la futura rivelazione in Cristo, dato che gli antichi sacramenti rappresentavano i futuri. O forse avevano la fede soltanto i profeti, e il popolo non l'aveva? Al contrario, anche coloro che ascoltavano con fede i profeti erano aiutati dalla stessa grazia onde capire ciò che ascoltavano. Ma certamente il mistero del regno dei cieli era velato nel Vecchio Testamento per essere svelato soltanto, alla pienezza dei tempi, nel Nuovo. Dice l'Apostolo: Non voglio che voi ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube e tutti attraversarono il mare e tutti furono battezzati da Mosè nella nube e nel mare e tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale e bevvero la stessa bevanda spirituale; bevevano infatti dalla pietra spirituale che li accompagnava, e la pietra era Cristo (1Co 10,14). Nel mistero dunque essi ebbero lo stesso nostro cibo e la stessa nostra bevanda: identici però quanto al significato, non quanto alla forma, perché lo stesso identico Cristo per loro era semplicemente raffigurato nella pietra, mentre per noi è apparso nella carne. Aggiunge l'Apostolo: Ma non in tutti costoro Dio si è compiaciuto (1Co 10,5). Certamente tutti hanno mangiato lo stesso cibo spirituale e hanno bevuto la stessa bevanda spirituale, cioè un cibo e una bevanda che significavano qualcosa di spirituale; ma non in tutti costoro Dio sì è compiaciuto. Dicendo: Non in tutti costoro, è chiaro che tra loro c'erano alcuni che piacevano a Dio. Cioè: pur essendo tutti i sacramenti comuni, non era comune a tutti la grazia, che è il vigore efficace dei sacramenti. Così anche ora, quando ormai è stata rivelata la fede che allora era velata, a tutti coloro che sono stati battezzati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (Cf. Mt 28,19) è comune il lavacro della rigenerazione, ma la grazia significata dai sacramenti, con la quale le membra del corpo di Cristo sono rigenerate e unite al loro capo, non è comune a tutti. Infatti anche gli eretici hanno il nostro stesso battesimo, come pure i falsi fratelli che vivono nella comunione del nome cattolico. Giustamente dunque è detto: Ma non in tutti costoro Dio

La sinagoga dei giudei e la Chiesa dei cristiani. Le figure del V.T. e la loro realtà nel Nuovo.

3. Tuttavia né allora né ora è senza frutto la voce di colui che dice: Considerate, popolo mio, la mia legge. Questa espressione è scritta così in tutti i codici. Non dice: Considera; ma: Considerate. Il popolo infatti consta di molti uomini; e a questi molti è detto, al plurale, anche quanto segue: Chinate il vostro orecchio alle parole della mia bocca. Come ha detto: Ascoltate, così ora dice: Chinate il vostro orecchio; e come prima ha detto: La mia legge, così qui dice: Le parole della mia bocca. Ascolta piamente la legge di Dio e le parole della sua bocca colui che tende l'orecchio in umiltà, non colui la cui fronte si innalza per superbia. Infatti, quando viene versata una cosa, questa viene raccolta nel concavo dell'umiltà, mentre invece è respinta dal gonfiore della superbia. Per questo altrove è detto: China il tuo orecchio e accogli le parole dell'intelligenza (Pr 22,17). Siamo dunque a sufficienza avvertiti di intendere il salmo di questa intelligenza di Asaf (perché il titolo è al caso genitivo, cioè “ di questa intelligenza ”, non “ questa intelligenza ”) con orecchio chinato, cioè con umile pietà. Neppure è detto “ di Asaf stesso ”, ma, letteralmente, “ per Asaf stesso ”, come appare dall'articolo greco conservato anche in alcuni codici latini. Queste parole dunque sono dell'intelletto (ovvero dell'intelligenza) che è stato dato ad Asaf stesso. Tuttavia, non dobbiamo riferirci ad un uomo solo, ma all'assemblea del popolo di Dio, dal quale mai ci dobbiamo distaccare. Difatti anche se, a parlare con proprietà, è l'accolta dei giudei che è chiamata “ sinagoga ”, mentre quella dei cristiani “ Chiesa ” (poiché il radunare, da cui sinagoga, conviene piuttosto agli animali, mentre il convocare, da cui deriva chiesa, conviene meglio agli uomini), tuttavia troviamo il termine “ chiesa ” usato anche per i giudei, mentre conviene forse proprio a noi dire: Salvaci, Signore Dio nostro, e radunaci di fra mezzo alle nazioni, affinché confessiamo il tuo santo nome (Ps 105,47). Non dobbiamo dunque indignarci, ma dobbiamo rendere ineffabili grazie a Dio per il fatto di essere le pecore delle sue mani, quelle che egli preannunziava dicendo: Ha altre pecore che non sono di questo ovile; è necessario che io le guidi, affinché ci sia un solo gregge e un solo pastore (Jn 10,16), riunendo cioè il popolo credente dei gentili al popolo credente degli israeliti, del quale prima aveva detto: Non sono stato mandato se non alle pecore che si sono perdute della casa di Israele (Mt 15,24). Infatti dinanzi a lui saranno radunate tutte le genti, ed egli le separerà come fa il pastore che separa le pecore dai capri (Cf. Mt 25,32). Udiamo dunque ciò che qui è detto: Ascoltate, popolo mio la mia legge, chinate il vostro orecchio alle parole della mia bocca, non come se esse si riferissero ai giudei, ma piuttosto come se si riferissero a noi, o almeno come se si riferissero altrettanto validamente anche a noi. L'Apostolo infatti, dopo aver detto: Ma non in tutti costoro Dio si è compiaciuto, mostrando che ci furono anche tra loro alcuni che piacquero a Dio, subito aggiunge: Furono prostrati nel deserto; e poi continua: Ma tutte queste cose sono divenute immagini per noi, affinché noi non desideriamo il male, come essi lo desiderarono; né ci facciamo servi degli idoli, come alcuni di loro se ne fecero. Come sta scritto: Si sedette il popolo a mangiare e a bere, e si levò per danzare. Non fornichiamo come alcuni di loro fornicarono, e ne caddero in un sol giorno ventitremila. Non tentiamo Cristo, come fecero alcuni di loro, i quali furono uccisi dai serpenti. Né vogliate mormorare come alcuni di loro mormorarono e furono uccisi dallo sterminatore. Tutte queste cose accadevano loro in immagine; esse sono state scritte per nostra correzione, di noi cioè cui è toccato vivere alla fine dei tempi (1Co 10,5-11). È piuttosto per noi che tutte queste cose sono state cantate. Per questo nel salmo, tra l'altro, è detto: Affinché conosca l'altra generazione, i figli che nasceranno e sorgeranno. Ebbene, se quella strage operata dai serpenti, se quello sterminio compiuto dal vendicatore, se quella violenta uccisione compiuta dalla spada furono immagini, come chiaramente dice l'Apostolo, essendo manifesto come tutte quelle cose si sono realmente compiute (non dice infatti: In immagine erano dette; oppure: In immagine sono state scritte; ma: In immagine accadevano loro), con quanto maggior timore e diligenza dobbiamo guardarci dall'incorrere in quelle pene di cui le altre furono immagine! Senza dubbio, come nelle cose buone il bene rappresentato dall'immagine è assai più grande di come appare nell'immagine stessa, così anche nelle cose cattive ciò che è raffigurato dall'immagine è molto peggio che non le immagini che lo raffigurano, anche se le immagini stesse sono già tanto brutte. Infatti come la terra della promessa, alla quale era condotto quel popolo, è un niente a paragone del regno dei cieli, al quale è guidato il popolo cristiano, così anche quelle sofferenze, che avevano valore di immagine, in se stesse non sono niente a paragone delle pene che esse raffigurano, pur essendo già tanto atroci. Ciò che l'Apostolo ha chiamato “ immagini ”, questo salmo, a quanto possiamo ritenere, chiama “ parabole e proposte ”, ed esse non hanno il significato completo nel loro accadimento ma soltanto in quelle realtà a cui con un raffronto razionale si riferiscono. Ascoltiamo, dunque, la legge di Dio, noi che siamo il suo popolo, e chiniamo il nostro orecchio alle parole della sua bocca.

Laborioso il pane dell’investigazione scritturistica.

273 4. [v 2.]Aprirò, è detto, in parabole la mia bocca; enunzierò proposte dall'inizio. A quale inizio si riferisca appare chiaro dalle parole che seguono. Non si tratta infatti dell'inizio nel quale sono stati creati il cielo e la terra e neppure di quello in cui è stato creato col primo uomo il genere umano, ma di quell'inizio da cui trasse origine l'assemblea del popolo liberato dall'Egitto, per conservare il riferimento ad Asaf, che appunto significa “ assemblea ”. Volesse il cielo che chi ha detto: Aprirò in parabole la mia bocca, si degnasse di aprire a tali parabole anche la nostra intelligenza! Se infatti egli chiarisse il significato delle parabole così come in esse ha aperto la sua bocca e, come ha enunziato delle proposte, così ne suggerisse anche la spiegazione, non saremmo qui così perplessi. Invece, ora ogni cosa è tanto velata e chiusa che, sebbene col suo aiuto possiamo attingere qualcosa come nutrimento salutare, tuttavia ci troviamo a mangiare il nostro pane col sudore della nostra fronte (Cf. Gn 3,19); e paghiamo il prezzo dell'antica sentenza non soltanto con la fatica dei corpo ma anche con quella dell'animo. Egli dunque ci parli e noi ascolteremo le parabole e le proposte.

Dio si rivela anche tramite la creatura.

5. [v 3.]Quante cose abbiamo udite e conosciute, che i nostri padri ci hanno raccontate. Prima era il Signore che parlava. A chi altro infatti possiamo attribuire le parole: Ascoltate, popolo mio, la mia legge? Perché ora così d'improvviso parla l'uomo? Certamente, infatti, sono dell'uomo le parole: Quante cose abbiamo udite e conosciute, che i nostri padri ci hanno raccontate. Senza dubbio Dio, volendo ormai parlare per il tramite dell'uomo (come dice l'Apostolo: Volete forse avere la prova che colui che parla in me è Cristo? (2Co 13,3)), ha voluto dapprima che le parole ci pervenissero direttamente dalla sua persona affinché, riferendo poi un uomo le sue parole, non fosse disprezzato come uomo. Tali sono infatti le comunicazioni divine che pervengono a noi attraverso i sensi del nostro corpo. Il Creatore agisce con azione invisibile nella creatura a lui soggetta; non è che la sua sostanza si muti in qualcosa di corporale e di temporale, per farci conoscere la sua volontà (nella misura in cui l'uomo è capace di comprendere) attraverso segni corporali e temporali che colpiscano o i nostri occhi o le nostre orecchie. Infatti l'angelo può servirsi dell'etere, dell'aria, delle nubi, del fuoco e di ogni altra qualsiasi sostanza o figura corporea; e l'uomo può servirsi del volto, della lingua, della mano, della penna, dei libri e di altri mezzi significativi per mostrare i segreti del suo spirito, e infine, pur essendo uomo, manda altri uomini come messaggeri e ad uno dice: Va, e quello va, e a un altro: Vieni, e quello viene; e al suo servo: Fa' questo, e quello lo fa (Lc 7,8). Ebbene, con quanto maggiore e più valido potere Dio, al quale come Signore sono soggette tutte le cose, potrà servirsi dell'angelo stesso e dell'uomo, per annunziare ciò che desidera! Perciò anche se è l'uomo che ci dice: Quante cose abbiamo udite e conosciute, che i nostri padri ci hanno raccontate, tuttavia ascoltiamone il racconto come parola di Dio, non come vane chiacchiere umane. È per questo infatti che aveva premesso: Ascoltate, popolo mio, la mia legge; chinate il vostro orecchio alle parole della mia bocca. Aprirò in parabole la mia bocca; enunzierò proposte dall'inizio. Per cui può proseguire: Quante cose abbiamo udite e conosciute, che i nostri padri ci hanno raccontate. Le parole: Abbiamo udito e conosciuto corrispondono a queste altre: Ascolta, figlia, e guarda (Ps 44,11). Sono state ascoltate, infatti, nel Vecchio Testamento cose che si conoscono pienamente solo nel Nuovo; sono state ascoltate quando venivano profetate, sono conosciute nel loro adempimento. Quando la promessa è mantenuta, non è deluso chi l'ha ascoltata. E i nostri padri, cioè Mosè e i profeti, ci hanno raccontato.

6. [v 4.]Non sono state celate ai loro figli, nell'altra generazione. È questa la nostra generazione, nella quale ci viene donata la rigenerazione. Annunziando le lodi del Signore e le sue opere grandi e i suoi miracoli che ha fatto. L'ordine delle parole è questo: E i nostri padri ci hanno raccontato, annunziando le lodi del Signore. Si loda il Signore per amarlo; che cosa, infatti, si può amare in modo più salutare?

Il compito dell’antica legge.

7. [v 5.] E ha suscitato la testimonianza in Giacobbe, e la legge ha posto in Israele. Questo è l'inizio del quale prima ha parlato: Enunzierò proposte dall'inizio. L'inizio è dunque il Vecchio Testamento, la fine il Nuovo. Nella legge, infatti, prevale il timore; e inizio della sapienza è il timore del Signore (Ps 110,10). Ma fine della legge è Cristo, a giustificazione di ogni credente: quel Cristo per dono del quale si diffonde la carità nei nostri cuori, ad opera dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rm 5,5); e la perfetta carità scaccia fuori il timore (1Jn 4,18), perché ora senza la legge la giustizia di Dio si è manifestata. Ma poiché essa riceve testimonianza dalla legge e dai profeti (Rm 3,21), per questo ha suscitato la testimonianza in Giacobbe e ha posto la legge in Israele. Infatti, anche quella tenda che fu allestita con una tecnica tanto perfetta e tanto carica di significati era chiamata “ tabernacolo della testimonianza ” (Cf. Ex 40,2), e in esso si trovava il velo, posto di fronte all'arca della legge, come c'era anche un velo dinanzi al volto dei ministri della legge. E tutto questo, perché in quella economia ogni cosa era parabola e proposta. Perciò le cose che in quel tempo erano annunziate e accadevano erano nascoste nel velo del loro significato occulto, e non era dato scorgerle nella loro chiara rivelazione. Ma, dice l'Apostolo, quando sarai passato a Cristo, il velo sarà tolto (2Co 3,13 2Co 16). Perché tutte le promesse di Dio si sono realizzate in lui che è il sì e l'amen (2Co 1,20). Chiunque pertanto è unito a Cristo possiede tutto il bene, anche quello che non intende nella lettera della legge. Chiunque invece è lontano da Cristo, non lo intende né lo possiede. Ha suscitato dunque la testimonianza in Giacobbe e ha posto la legge in Israele (Ps 77,5). Secondo il suo costume ripete il concetto. Infatti, ciò che significano le parole: Ha suscitato la testimonianza, significano anche le altre: Ha posto la legge; come pure: in Giacobbe, corrisponde a: In Israele. Infatti, come questi due nomi designano un solo uomo, così la legge e la testimonianza sono due nomi che indicano una stessa cosa. Qualcuno potrà obiettare che c'è differenza tra ha suscitato e ha posto. Certamente! Ma ve n'è anche tra Giacobbe e Israele: i quali non sono due uomini diversi, ma nomi distinti, imposti per motivi diversi a uno stesso uomo. Lo si chiamò Giacobbe per aver soppiantato nel nascere il fratello, prendendogli il calcagno; Israele, a motivo della visione di Dio (Cf. Gn 25,25 Gn 32,28). Del pari una cosa è ha suscitato e un'altra ha posto. Infatti, a quanto credo, è detto: Ha suscitato la testimonianza, perché per essa qualcosa si è fatto vivo. Dice l'Apostolo: Senza la legge il peccato è morto, mentre io ero vivo un tempo senza la legge; venuto però il comandamento, il peccato è tornato ad essere vivo (Rm 7,8 Rm 9). Ecco che cosa ha ripreso vita per mezzo della testimonianza che è la legge. Prima era nascosto, dopo si è reso manifesto, come poco dopo dice l'Apostolo: Ma il peccato, per mostrarsi peccato, per mezzo di una cosa buona ha operato in me la morte (Rm 7,13). È detto invece: Ha posto la legge, in quanto essa è come un giogo per i peccatori; per questo si dice che la legge non è data per il giusto (1Tm 1,9). È dunque “ testimonianza ” in quanto prova qualche cosa; è “ legge ” in quanto ordina. Ma sono la stessa identica cosa. Come quando, di Cristo, si dice che è pietra. Per i credenti è pietra angolare (Cf. Ps 117,22), mentre per i non credenti è pietra d'inciampo e pietra di scandalo. Allo stesso modo la testimonianza della legge. Per coloro che non usano della legge in modo legittimo, è testimonianza attraverso la quale i peccatori sono convinti che debbono essere puniti. Mentre invece per coloro che della legge usano legittimamente, è testimonianza che mostra in chi debbono rifugiarsi i peccatori per essere liberati. Nella grazia di lui infatti si trova la giustizia di Dio, che riceve testimonianza dalla legge e dai profeti (Rm 3,21) e per la quale l'empio viene giustificato. Quella giustizia che alcuni hanno ignorato e, volendo stabilire la loro, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio (Rm 10,3).

Il popolo del V. Testamento e il popolo del N. Fede e legge.

8. [vv 5-8.] Leggiamo: Quante cose ha comandato ai nostri padri di render note ai loro figli, affinché le conosca l'altra generazione, i figli che nasceranno e sorgeranno, e le narrino ai loro figli, onde pongano in Dio la loro speranza, non dimentichino le opere di Dio e ricerchino i suoi comandamenti. Non diventino come i loro padri, una generazione perversa e provocatrice: una generazione che non ha indirizzato al bene il suo cuore e il cui spirito non è stato fedele a Dio. Queste parole indicano in un certo senso due popoli: quello del Vecchio e l'altro del Nuovo Testamento. Infatti dicendo: Quante cose ha comandato ai nostri padri di rendere note ai loro figli, afferma che essi hanno ricevuto i comandamenti da rendere noti ai loro figli, senza tuttavia che essi abbiano riconosciuto o fatto ciò che era loro ordinato. Ma, per questo essi li avevano ricevuti: affinché l'altra generazione conosca ciò che la loro non ha conosciuto. I figli che nasceranno e sorgeranno. Infatti coloro che erano già nati non sono risorti, perché non vollero avere il cuore in alto ma sulla terra. È con Cristo, infatti, che si risorge; e per questo ci si dice: Se siete risorti con Cristo, gustate le cose che stanno in alto (Col 3,1). E narreranno, è detto, ai loro figli, onde pongano in Dio la loro speranza. Infatti i giusti non vogliono stabilire la loro giustizia, ma manifestano a Dio la loro condotta e sperano in lui, perché egli operi (Cf. Ps 36,5). E non dimentichino le opere di Dio col magnificare e vantare le proprie opere, quasi le avessero fatte essi stessi, mentre è Dio che nella sua benevolenza produce, in chi fa il bene, il volere e l'agire (Cf. Ph 2,13). E ricerchino i suoi comandamenti. In qual modo li ricercano se li hanno già appresi? Dice infatti: Tutte quelle cose che ha comandato ai nostri padri di rendere note ai loro figli, affinché le conosca l'altra generazione. Affinché conosca che cosa? Certamente i comandamenti che ha imposti. Essi li ricercano ancora nel senso che, riponendo in Dio la loro speranza, cercano con il suo aiuto di realizzare questi comandamenti. Non diventino come i loro padri una generazione perversa e provocatrice: una generazione che non ha indirizzato al bene il suo cuore. E spiega il perché, aggiungendo subito dopo: E il suo spirito non è stato fedele a Dio. Cioè: sono stati così perché non avevano la fede che ottiene ciò che la legge prescrive. Quando infatti lo spirito dell'uomo coopera con lo Spirito di Dio che opera, allora viene compiuto ciò che Dio ordina; e questa non accade se non credendo in colui che giustifica l'empio (Cf. Rm 4,5). Tale fede non aveva la generazione perversa e provocatrice e per questo di essa è detto: Il suo spirito non è stato fedele a Dio. È un'espressione in cui vien posto molto in rilievo l'apporto della grazia di Dio, la quale non soltanto opera la remissione dei peccati ma fa anche sì che lo spirito dell'uomo cooperi con lei nell'adempiere le buone azioni. È come se dicesse: Il suo spirito non ha creduto a Dio. Questo è infatti avere lo spirito fedele a Dio: credere che il proprio spirito non può compiere la giustizia senza Dio, ma solo con Dio. E questo è anche credere in Dio, che è certamente più che credere a Dio. Infatti generalmente si deve credere anche a qualsiasi uomo, tuttavia non si deve credere in lui. Credere dunque in Dio significa essere uniti a Dio mediante la fede, per ben collaborare con lui che in noi opera il bene, come è detto: Senza di me niente potete fare (Jn 15,5). E che cosa poteva l'Apostolo dire di più al riguardo che non le parole: Ma chi è unito al Signore è un solo spirito con lui? In caso contrario quella legge è testimonianza con la quale si condanna, non si assolve, il reo. È infatti una lettera minacciosa che palesa la colpevolezza dei prevaricatori; non è lo spirito soccorritore che libera e giustifica i peccatori. Orbene quella generazione, dal cui esempio dobbiamo guardarci, per questo fu perversa e provocatrice, perché il suo spirito non è stato fedele a Dio. Infatti anche se in qualche cosa ha creduto a Dio, tuttavia non ha creduto in Dio; non si è unita con la fede a Dio onde, risanata da Dio, cooperare nel bene con Dio che operava in lei.

Giudaismo e cristianesimo.

9. [v 9.] E prosegue [il salmista]: I figli di Efraim, che tendevano e scagliavano gli archi, si sono voltati indietro nel giorno della guerra. Perseguendo una legge di giustizia, non sono giunti a questa legge (Cf. Rm 9,31). Perché? Perché non procedevano con fede. Era infatti una generazione il cui spirito non era fedele a Dio. Essa contava sulle opere. Né come ha teso e ha scagliato l'arco (un attrezzo esterno che richiama le opere della legge) allo stesso modo ha diretto il suo cuore là dove il giusto vive di fede (Rm 1,17). È infatti la fede che opera in noi per mezzo dell'amore (Cf. Ga 5,6); e con essa ci si unisce a Dio, che opera nell'uomo e il volere e l'operare, secondo la sua, benevolenza (Cf. Ph 2,13). Che altro è infatti tendere l'arco e scagliarlo e volgersi indietro nel giorno della guerra, se non prestare attenzione e promettere nel giorno in, cui sì ascolta, e disertare poi nel giorno della tentazione, quasi esercitandosi prima con le armi, e non voler poi combattere nell'ora della battaglia? Troviamo scritto: Tendendo e scagliando gli archi, mentre sembrerebbe si dovesse dire che tendevano gli archi e scagliavano le frecce (non l'arco è scagliato, ma qualcosa è scagliato dall'arco). Orbene, o si tratta di un'espressione analoga a quella della quale prima abbiamo discusso, e in cui è detto: Ha suscitato la, testimonianza, mentre con la testimonianza ha suscitato qualche altra cosa. (così qui l'espressione che scagliavano gli archi vorrebbe dire che essi hanno scagliato qualcosa, con gli archi); oppure è oscuro l'ordine delle parole e ne è stata omessa una, che, seppure taciuta, deve essere sottintesa. L’ordine sarebbe questo: I figli di Efraim che tendevano l'arco e scagliavano, sottintendendo “ le frecce ”. La frase completa sarebbe dunque: Che tendevano gli archi, e scagliavano le frecce. Infatti, anche se avesse detto: Che tendevano, e scagliavano le frecce, non dovremmo certo intendere che tendevano le frecce; ma, udendo la parola “ tendevano ”, dobbiamo sottintendere “ l'arco ”, anche se l'arco non è menzionato. Si dice, che alcuni codici greci abbiano: Tendevano e scagliavano con gli archi, per cui, senza esitazione, si deve sottintendere “ le frecce ”. Come poi con l'espressione “ figli di Efraim ” abbia potuto designare tutta intera quella generazione provocatrice, dipende da quella figura per cui con la parte si designa il tutto. E tale parte forse per questo è stata scelta ad indicare tutto il popolo, perché soprattutto da essa ci si sarebbe dovuto attendere qualcosa di buono. Gli efraimiti infatti traggono origine da quel suo nipote che Giacobbe benedisse con la mano destra e antepose al fratello maggiore nella sua arcana benedizione (Cf. Gn 48,14), sebbene dal padre fosse stato posto a sinistra in quanto era il minore. Per cui, dato che in questo passo si accusa quella tribù e si mostra che non si è manifestato in essa ciò che quella benedizione prometteva, dobbiamo ragionevolmente concludere che anche nelle parole del patriarca Giacobbe era prefigurato qualcosa di gran lunga diverso da ciò che la saggezza carnale avrebbe potuto supporre. Vi era infatti raffigurato che alla venuta del Salvatore sarebbero stati ultimi quelli che erano i primi e sarebbero stati primi quelli che erano gli ultimi (Cf. Mt 20,16). Proprio come fu detto: Colui che viene dopo di me è da prima di me (Jn 1,27). Così il giusto Abele ebbe la precedenza sul fratello maggiore (Cf. Gn 4,4 Gn 5); così Isacco su Ismaele (Cf. Gn 21,12); così Giacobbe stesso nei riguardi del suo gemello Esaù, sebbene questi fosse nato prima (Cf. Gn 25,23); così Fares nascendo precedette il suo gemello, che pure per primo aveva messo fuori la mano dal seno materno e aveva cominciato a nascere (Cf. Gn 38,27-29); e così, ancora, David fu preferito ai fratelli maggiori (1 Sam 1S 16,12). E poiché non per altro erano precedute tutte queste immagini, risultanti di parole e di fatti, per questo ai nostri giorni al popolo dei giudei è stato anteposto il popolo cristiano, per redimere il quale Cristo fu ucciso dai giudei, come Abele era stato ucciso da Caino (Cf. Gn 4,8). Tutto questo fu prefigurato anche nel fatto che Giacobbe, tenendo incrociate le mani, con la destra toccò Efraim che si trovava alla sua sinistra e lo antepose così a Manasse, che si trovava a destra e che toccò con la mano sinistra. Resta dunque dimostrato che i figli di Efraim, figli secondo la carne, che tendevano e scagliavano gli archi, si sono voltati indietro nel giorno della guerra.

Il timore della pena e l’amore della giustizia. Lo Spirito di Dio trasforma il cuore.

274 10. [v 10.] Cosa vogliano significare le parole: Si sono voltati indietro nel giorno della guerra, è spiegato dal seguito, ove è detto molto apertamente: Non hanno osservato il patto di Dio, e nella sua legge non hanno voluto camminare. Ecco che cosa significa: Si sono voltati indietro nel giorno della guerra. Significa che non hanno osservato il patto di Dio. Tendendo gli archi e scagliando [frecce], essi avevano pronunziato parole di prontissima disponibilità, dicendo: Qualunque, cosa dica il Signore Dio nostro, noi la faremo e l’ascolteremo (Ex 19,8). Si voltarono però indietro nel giorno della guerra, perché la promessa di obbedienza risulta provata non nell'ascolto della parola ma nelle tentazioni. Al contrario, colui il cui spirito è sincero con Dio, ritiene Dio così fedele che non permetterà che egli venga tentato al di sopra delle sue capacità ma darà con la tentazione anche una via di scampo, affinché possa reggere e non si volti indietro nel giorno della guerra (Cf. 1Co 10,13). Chi invece si gloria di sé e non in Dio (Cf. 1Co 1,31), sbandieri pure quanto vuole le sue promesse di virtù come tendendo e scagliando l'arco; egli è destinato a volgersi indietro nel giorno della guerra. Il suo spirito non è fedele a Dio e perciò neppure lo Spirito di Dio è con lui e, come sta scritto, siccome non ha creduto, per questo non sarà protetto (Si 2,15). Ma dopo aver detto: Non hanno osservato il patto di Dio, il salmista aggiunge: E nella sua legge non hanno voluto camminare. Si tratta di una ripetizione delle parole precedenti, con in più una spiegazione. Chiama infatti la sua legge ciò che prima aveva chiamato patto di Dio; in modo che le parole: Non hanno osservato, si intendono ripetute nelle altre: Non hanno voluto camminare. Ma siccome più brevemente si sarebbe potuto dire: “ E nella sua legge non hanno camminato ”, ho il sospetto che voglia indurci a ricercare qualcosa di più profondo nella frase che ha preferita: Non hanno voluto camminare, invece di “ non hanno camminato ” poteva, infatti, aversi l'impressione che la legge delle opere fosse in qualche modo sufficiente per la giustificazione, una volta che gli uomini avessero praticato all'esterno le cose comandate dalla legge. Dico di quegli uomini che preferirebbero non avere di tali precetti, che essi non se la sentano d'eseguire col cuore, anche se al di fuori li osservano. In questo modo, costoro sembrano quasi camminare nella legge di Dio ma in realtà non vi vogliono camminare: non vi camminano infatti col cuore. E in nessun modo può dirsi compiuto col cuore ciò che si compie per paura della pena, non per amore della giustizia. Del resto, se ci si limita a ciò che si compie esteriormente, non rubano né quelli che temono la pena né coloro che amano la giustizia; e perciò sono uguali quanto alla mano ma non quanto al cuore: simili nell'agire esteriore, diversi quanto alla volontà. Per questo costoro sono contrassegnati con queste parole: Generazione che non ha indirizzato al bene il suo cuore. Non è detto: “ Le opere ”, ma il cuore. Se infatti il cuore è retto, rette sono le opere; ma quando il cuore non è retto, non sono rette le opere, anche se sembrano tali. E sufficientemente spiega perché la generazione perversa non aveva indirizzato al bene il suo cuore, quando dice: E non è stato fedele a Dio il suo spirito. Retto è Dio; perciò, unendosi a chi è retto come a norma assoluta, può diventare retto anche il cuore dell'uomo che in sé era perverso. Ma perché ci si possa, unire a Dio con il cuore in modo che il cuore ne risulti rettificato, ci si deve avvicinare a lui, non con i piedi, ma con la fede. Non per altro infatti dice la lettera agli Ebrei, a proposito di quella stessa generazione perversa e provocatrice: Non ha giovato la parola ascoltata a coloro che non si sono adeguati alla fede di quelli che hanno ubbidito (He 4,2). Orbene, la volontà che è nel cuore retto è preparata dal Signore grazie alla fede che deve precedere e che assicura l'accesso a Dio, il quale è retto e può rettificare il cuore. Questa fede, preceduta dalla misericordia di Dio che chiama, sboccia in noi attraverso una docile sottomissione. Appena sbocciata, comincia ad accostare il cuore a Dio affinché egli lo faccia retto; e quanto più il cuore diviene retto, tanto maggiormente vede ciò che non vedeva e riesce a compiere ciò che prima non gli riusciva. Così non si comportò Simone, al quale l'apostolo Pietro disse: Non c'è per te parte e neppure sorte in questa fede; perché il tuo cuore non è retto con Dio (Ac 8,21). Mostra con queste parole che il cuore non può essere retto senza Dio e che solo in Dio gli uomini cessano di camminare sotto la legge mossi da timore, come servi, e cominciano a camminare volenterosi, come figli, in conformità della legge: quella legge nella quale gli ebrei non hanno voluto camminare, restando sotto di essa con le loro colpe. Anima di questa volontà non è più il timore ma la carità che si diffonde nei cuori dei credenti per mezzo dello Spirito Santo (Cf. Rm 5,5). A costoro è detto: Dalla grazia siete stati salvati per mezzo della fede, e questo non per vostra iniziativa ma è un dono di Dio. Non deriva dalle opere, affinché nessuno si insuperbisca. Noi siamo infatti plasmati da lui, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato affinché camminiamo in esse (Ep 2,8-10). Non come questi, che nella sua legge non hanno voluto camminare. Costoro infatti non hanno creduto in lui, né gli hanno palesato la loro condotta, né hanno sperato in lui, sì che egli fosse libero d'agire.

Paternità umana e paternità divina.

11. [vv 11.12.]E si sono dimenticati dei suoi benefici e delle sue meraviglie che ha loro mostrate: dei prodigi che ha compiuti al cospetto dei padri loro. Che cosa significhi tutto questo, non è cosa da trascurare. A proposito di tali stessi padri diceva poco prima che erano una generazione perversa e provocatrice. Perché non diventino, leggiamo, come i padri loro, una generazione perversa e provocatrice: una generazione che non ha indirizzato al bene il suo cuore (Ps 77,8), e tutte le altre cose che aggiunge a proposito di tale generazione, dal cui esempio l'altra generazione è invitata a guardarsi, in modo che pongano in Dio la loro speranza e non dimentichino le opere di Dio ma ricerchino i suoi comandamenti (Ps 77,7). Di tutto questo già a sufficienza abbiamo discusso, secondo quanto ci sembrava opportuno. Di quella generazione malvagia il salmista dice che si sono dimenticati dei benefici di Dio e delle sue meraviglie che ha loro mostrate. Ma cosa vuol dire quando prosegue dicendo: I prodigi che ha compiuti al cospetto dei padri loro? Di quali padri, quando essi stessi sono i padri, ai quali non vuole che i posteri somiglino? Se intenderemo coloro dai quali questi sono nati, cioè Abramo, Isacco, e Giacobbe, essi già da tempo s'erano addormentati nella pace quando Dio mostrò le sue meraviglie in Egitto. Continua infatti: Nella terra di Egitto, nel campo di Tani. Lì dice che Dio ha mostrato loro le sue meraviglie al cospetto dei loro padri. Erano forse presenti in spirito, dato che di essi il Signore dice nel Vangelo: Tutti costoro infatti vivono (Lc 20,38)? Oppure, in maniera più appropriata, intenderemo come padri Mosè, Aronne e gli altri anziani che, come ricorda la stessa Scrittura, ricevettero anch'essi lo spirito che aveva ricevuto Mosè per reggere e guidare il popolo (Cf. Nb 11,16 Nb 17)? Perché non dovrebbero, costoro, essere chiamati padri? Non nel senso in cui è padre - unico padre - Dio, il quale rigenera con il suo Spirito coloro che fa diventare suoi figli per l'eredità eterna; ma padri come titolo onorifico, per la loro età e per lo zelo della loro religiosità. Così Paolo, già anziano, può dire: Non per confondervi scrivo queste cose, ma per avvertirvi come figli miei carissimi (1Co 4,14), pur sapendo benissimo che il Signore dichiara: Non date a nessuno sulla terra il nome di padre; uno infatti è il Padre vostro, Dio (Mt 23,9). Questo, infatti, non è detto perché sia cancellato dal comune linguaggio questo nome così pieno di dignità, ma perché la grazia di Dio, per la quale siamo rigenerati alla vita eterna, non venga attribuita alla natura o al potere o alla santità di un qualsiasi uomo. Per questo l'Apostolo, dicendo: Io vi ho generati, premette: In Cristo e per mezzo del Vangelo (1Co 4,15), affinché nessuno creda che appartenga a sé ciò che invece è di Dio.

Attraverso gli esempi dei padri imparare il timore di Dio.

12. Orbene, i membri di quella generazione perversa e provocatrice si sono dimenticati dei benefici di Dio e delle meraviglie che loro aveva mostrate: dei prodigi che aveva compiuti al cospetto dei padri loro in terra d'Egitto e nel campo di Tani.E ricordando comincia ad elencare tali meraviglie. Poiché si tratta di parabole e di proposte, certamente debbono essere riferite, per via di paragone, a qualche altra cosa. Non dobbiamo infatti distogliere l'occhio della nostra attenzione da ciò che il salmo vuol mostrare. Ora il frutto di tutto quanto ci si dice (e in vista del quale ci si rivolge l'esortazione di ascoltare con la massima attenzione, dato che Dio dice: Ascoltate, mio popolo, la mia legge; chinate il vostro orecchio alle parole della mia bocca) (Ps 77,1) è proprio questo: che noi poniamo in Dio la nostra speranza, non dimentichiamo le opere di Dio ma ricerchiamo i suoi comandamenti; e non diventiamo, come quei padri, una generazione perversa e provocatrice, una generazione che non diresse al bene il suo cuore e il cui spirito non fu fedele a Dio. A questo dunque ogni cosa è da riferire, tenendo presente che tutte le cose allegoricamente rappresentate dalle parabole possono spiritualmente accadere nell'uomo: o per la grazia di Dio, se sono buone, o per un giudizio di Dio, se sono cattive, come quegli eventi di bontà accadevano a vantaggio degli israeliti, mentre le opere cattive si volgevano a loro svantaggio o a svantaggio dei loro nemici. Se non dimentichiamo tutte queste cose ma riponiamo in Dio la nostra speranza, non saremo ingrati di fronte alla sua grazia e temeremo il Signore: non con timore servile (per il quale si temono soltanto i mali corporali) ma con il timore casto che resta nei secoli dei secoli (Cf. Ps 18,10): con quel timore che giudica massima pena l'esser privati della luce della giustizia. Così non diventeremo, come quei padri, una generazione perversa e provocatrice. Poiché nell'immagine la terra d'Egitto significa questo secolo e il campo di Tani è la pianura del comandamento umile - Tani significa infatti “ comandamento umile ”, - accogliamo in questo secolo il comandamento dell'umiltà, per meritarci di ricevere nell'altro secolo la esaltazione che ci ha promessa colui che per noi qui si è fatto umile.

Il battesimo e il dono dello Spirito Santo.

13. [vv 13-16.] Infatti colui che ha diviso il mare e li ha tragittati e ha, per così dire, raccolto le acque in otri, affinché il mare stesse fermo come se fosse rinchiuso, può per mezzo della sua grazia bloccare il flusso delle concupiscenze carnali che tende ognora al basso. Ciò avviene quando si rinunzia a questo secolo e il popolo dei fedeli, distrutti tutti i suoi peccati come fossero nemici, viene tragittato dall'altra sponda attraverso il sacramento del battesimo. Colui che li ha guidati con la nube di giorno e per tutta la notte con la luce del fuoco, può anche dirigere spiritualmente il cammino degli uomini, se a lui la fede grida: Dirigi il mio cammino secondo la tua parola (Ps 118,133). Di lui altrove è detto: Egli stesso farà retti i tuoi passi e porrà nella pace il tuo cammino (Pr 4,27) per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, il cui mistero si è manifestato in questo secolo, come di giorno, e nella carne, come nella nube; mentre nel giudizio si manifesterà come nel terrore notturno, perché allora ci sarà la grande tribolazione del secolo, la quale sarà come fuoco splendente per i giusti e bruciante per gli ingiusti. Colui che ha spezzato nel deserto la pietra e li ha inondati come in un gorgo profondissimo e ha tratto l'acqua dalla pietra e ha fatto scaturire acqua a fiumi può certamente infondere sulla fede sitibonda dell'uomo il dono dello Spirito Santo (poiché questo significava spiritualmente tale vicenda), prendendolo dalla pietra spirituale che ci accompagna e che è Cristo (Cf. 1Co 10,4). Il quale, un giorno, stando in piedi gridava: Se qualcuno ha sete, venga a me, e: Chi avrà bevuto dell'acqua che io gli darò, scorreranno dal suo ventre fiumi di acqua viva. Questo diceva, come si legge nel Vangelo, dello Spirito che avrebbero ricevuto coloro che in lui avrebbero creduto (Jn 7 Jn 37-39). A questa pietra, [cioè a Cristo], si è accostata, come verga, la croce perché ne scaturisse la grazia per i credenti.

14. [v 17.] E tuttavia essi, come una generazione perversa e provocatrice, hanno continuato ancora a peccare contro di lui (Ps 77,8), cioè a non credere. Infatti questo è il peccato che lo Spirito rimprovera al mondo, come dice il Signore: Del peccato, in quanto non hanno creduto in me (Jn 16,9). E hanno irritato l'Altissimo nella siccità. Quanto recano altri codici, cioè nell'arido, è una traduzione più esatta del greco e non significa altro se non “ siccità ”. Ma si riferisce alla siccità del deserto o non piuttosto alla loro? Infatti, anche dopo aver bevuto dalla pietra, avevano arido non il ventre ma lo spirito, né si vedevano verdeggiare in essi i germogli fecondi della giustizia. In questa siccità dovevano supplicare Dio con fede ancora più intensa, onde colui che aveva donato la sazietà al loro palato, donasse anche la giustizia ai loro costumi. A lui infatti grida l'anima fedele: Vedano i miei occhi la giustizia (Ps 16,2).

Non tentare Dio.

15. [vv 18-20.] E hanno tentato Dio nei loro cuori, chiedendo cibo per le loro anime. Una cosa è chiedere credendo, un'altra chiedere tentando. Continua infatti: E hanno sparlato di Dio e hanno detto: Forse potrà Dio imbandire una mensa nel deserto? Dato che ha percosso la pietra e le acque ne sono scaturite e i torrenti sono straripati, forse anche il pane potrà dare o imbandire la mensa per il suo popolo? Chiedevano dunque cibo per le loro anime senza aver fede. Non così l'apostolo Giacomo ordina di chiedere il cibo dello spirito; ma egli insegna a chiederlo credendo, non tentando e schernendo Dio. Dice: Se qualcuno di voi manca di sapienza, la chieda a Dio che dà a tutti con abbondanza e non rinfaccia; e gli sarà data. Ma chieda nella fede senza esitare (Jc 1,5 Jc 6). Questa fede non aveva la generazione che non aveva indirizzato al bene il suo cuore e il cui spirito non era stato fedele a Dio.

16. [v 21.] Per questo motivo il Signore ascoltò e differì; e il fuoco si accese contro Giacobbe e l'ira si levò contro Israele. Spiega che cosa abbia chiamato “ fuoco ”: egli chiama fuoco l'ira di Dio, sebbene molti fossero stati uccisi dal fuoco in senso proprio. Che significano dunque le parole: Ascoltò il Signore e differì? Forse che differì il loro ingresso nella terra promessa dove erano condotti, cosa che poteva compiersi in pochi giorni mentre a causa dei loro peccati essi furono costretti a languire nel deserto, dove soffrirono per quaranta anni? Se fosse così, egli differì l'ingresso di tutto il popolo, non quello di coloro che tentandolo sparlavano di Dio. Infatti tutti perirono nel deserto e soltanto i loro figli entrarono nella terra della promessa. Oppure differì la condanna, dando al popolo il tempo di saziare prima anche la cupidigia e l'infedeltà, affinché non lo si credesse adirato perché gli avevano chiesto, sia pure tentandolo e denigrandolo, una cosa che egli non era capace di fare? Orbene, ascoltò e differì la vendetta; e dopo aver fatto ciò che essi credevano non potesse fare, allora l'ira si levò contro Israele.

275 Il cibo degli angeli comunicato ai credenti.

17. [vv 22-31.] Spiegati brevemente questi due significati, prosegue chiaramente l'ordine del racconto. Perché non credettero in Dio, né sperarono nel suo soccorso. Dopo aver detto perché il fuoco si accese contro Giacobbe e l'ira si levò contro Israele, cioè, perché non credettero in Dio né sperarono nel suo soccorso, subito aggiunge quanto siano stati ingrati di fronte a così evidenti benefici. Dice: E comandò alle nubi lassù e aperse le porte del cielo. E fece piovere per loro la manna da mangiare e diede loro il pane del cielo: l'uomo mangiò il pane degli angeli. Mandò loro cibo in abbondanza. Fece levare l'austro dal cielo e diresse con la sua potenza l'africo. E fece piovere su di loro la carne come polvere, e come sabbia del mare uccelli pennuti. E caddero in mezzo al loro accampamento, attorno alle loro tende. E mangiarono e si saziarono anche troppo. Egli soddisfece il loro desiderio e non li privò di quello che desideravano. Ecco perché aveva differito. Ma ascoltiamo che cosa aveva differito: Ancora c'era cibo nella loro bocca e l'ira di Dio si levò su di essi. Ecco che cosa aveva differito. Dapprima infatti egli aveva differito; ma poi il fuoco si accese contro Giacobbe e l'ira si levò contro Israele. Aveva dunque differito, per fare prima ciò che essi credevano non potesse fare e poi infliggere loro ciò che essi dovevano soffrire. Se avessero infatti riposto in Dio la loro speranza, sarebbero stati soddisfatti non soltanto nei loro desideri carnali ma anche in quelli dello spirito. Perché colui che comandò alle nubi lassù e aprì le porte del cielo e fece piovere per loro la manna da mangiare e diede loro il pane del cielo, affinché mangiasse l'uomo il pane degli angeli; colui che mandò loro cibo in abbondanza, per saziare gli increduli, non è certo incapace di dare ai credenti nella sua stessa realtà il vero pane del cielo, che la manna raffigurava. Questo pane è veramente il cibo degli angeli, i quali, essendo incorruttibili, sono in modo incorruttibile nutriti dal Verbo di Dio; e perché anche l'uomo ne mangiasse, il Verbo si è fatto carne e ha abitato tra noi (Cf. 1, 14). Questo stesso pane piove su tutto il mondo per mezzo delle nubi evangeliche; infatti attraverso i cuori dei predicatori, aperti come fossero porte celesti, esso è annunziato non alla sinagoga che mormora e tenta, ma alla Chiesa che crede e in lui ripone la sua speranza. Egli fece levare l'austro dal cielo e diresse con la sua potenza l'africo; e fece piovere su di loro carne come polvere, e come sabbia del mare uccelli pennuti; e caddero in mezzo al loro accampamento, attorno alle loro tende. Mangiarono e si saziarono anche troppo, e il loro desiderio egli volle soddisfare né li privò di ciò che essi desideravano. Ebbene, chi fa questo può anche nutrire la fede, ovviamente limitata, di coloro che non lo tentano ma credono, con segni materiali fatti di parole, segni che corrono per l'aria come uccelli. Questi segni però non provengono da settentrione dove dominano il freddo e la nebbia, dove cioè regna l'eloquenza che piace a questo secolo; egli li invia spostando l'austro dal cielo. Per andare dove, se non verso la terra? In modo che coloro che sono piccoli nella fede, ascoltando cose terrestri, si nutrano al fine di poter capire quelle celesti. Si dice nel Vangelo: Se vi ho detto cose terrestri e non credete, in qual modo crederete quando vi avrò detto cose celesti? (
Jn 3,12) Altrettanto l'Apostolo. Egli si spostava in certo qual modo dal cielo, dove rapito nello spirito aveva raggiunto Dio, per essere accessibile a coloro ai quali diceva: Non vi ho potuto parlare come a uomini spirituali, ma come a uomini carnali (1Co 3,11). Lassù infatti aveva udito cose ineffabili (Cf. 2Co 12,4), che in terra non gli era consentito dire con parole sonanti, ossia per mezzo di uccelli pennuti. Dio in questa maniera muove nella sua potenza l'africo: muove cioè lo spirito fervido e luminoso del predicatore per mezzo dei venti meridiani. E questo fa nella sua potenza, in modo che l'africo non attribuisca a se stesso ciò che riceve da Dio. Questi venti vengono spontaneamente agli uomini e portano loro le parole divinamente proferite, onde nelle loro dimore e attorno alle loro tende si raccolgano degli uccelli, e tutte le isole delle genti adorino, ciascuna dal suo posto, il Signore (Cf. So 2,11).

Né gli eletti né i malvagi esenti dal soffrire.

18. Quanto agli increduli, generazione perversa e provocatrice, mentre il cibo era ancora nella loro bocca, l'ira di Dio si levò contro di essi e uccise in molti di loro, cioè “ molti di loro ” oppure, come alcuni codici recano, i grassi tra loro (lezione che non siamo riusciti a trovare nei codici greci che noi possediamo). Ma se questa è la versione più vera, che cosa altro si deve vedere nei grassi tra loro, se non coloro che emergono per la superbia e dei quali è detto: Uscirà come dal grasso la loro iniquità (Ps 72,7). Egli mise in ceppi gli eletti d'Israele. C'erano fra loro anche degli eletti, alla fede dei quali non si era adeguata la generazione perversa e provocatrice. Essi furono impediti di aiutare in qualsiasi maniera coloro che essi con paterno affetto avrebbero desiderato aiutare. Che aiuto infatti può arrecare la compassione dell'uomo a coloro con i quali Dio è adirato? O non vorrà, piuttosto, il salmo farci capire che, insieme con i cattivi, anche gli eletti furono (per così dire) messi in ceppi, sicché quegli stessi che si distinguevano dagli altri per la bontà dei propositi e della condotta sopportassero le stesse loro sofferenze, a esempio non soltanto di giustizia ma anche di pazienza? Difatti, che i santi siano stati fatti prigionieri con i peccatori (e ciò, forse, proprio per questa causa) ci risulta in quanto nei codici greci non troviamo , che significa li mise in ceppi, ma , che significa piuttosto li unì ai ceppi [ov'erano gli altri].

19. [vv 32.33.] Ma i membri della generazione perversa e provocatrice, in mezzo a tutte queste vicende, peccarono ancora e non credettero ai prodigi di lui. E vennero meno nella vanità i loro giorni; mentre, se avessero creduto, avrebbero potuto possedere nella verità i giorni che non han fine, presso colui al quale è detto: I tuoi anni non verranno meno (Ps 101,28). Invece vennero meno nella vanità i loro giorni, e i loro anni con rapidità. Corre rapida infatti tutta la vita dei mortali e, anche quando sembra essere molto lunga, è come un fumo che stenta a svanire.

Timore servile e amore filiale.

20. [vv 34.35.] Tuttavia, mentre li uccideva, essi lo cercavano: non per la vita eterna ma temendo che il loro fumo finisse troppo presto. Lo cercavano dunque, non coloro che egli aveva uccisi, ma coloro che temevano d'essere uccisi sull'esempio dei primi. Ma la Scrittura parla di costoro come se a cercare Dio fossero quelli che venivano uccisi. Ciò perché si tratta di un unico Popolo, che pertanto viene presentato come un corpo solo. E si volgevano indietro e sul far del giorno venivano a Dio. E si ricordarono che Dio è il loro soccorso e che Dio eccelso è il loro redentore. Tutto questo essi facevano per poter acquistare beni temporali ed evitare sciagure terrene. Ma cercando Dio in vista di tali benefici, non cercavano, evidentemente, Dio ma i suoi benefici, come anche adesso quando si rende culto a Dio con timore servile, non con amore filiale. Con un tal culto non si adora Dio; difatti si adora quello che si ama e, poiché Dio è più grande e più buono di ogni cosa, egli deve essere amato più di ogni altra cosa, perché sia adorato.

Dio è il solo bene che ambiscono i santi.

21. [vv 36.37.] Vediamo infine le parole che seguono: Lo amarono, dice, nella loro bocca, e nella loro lingua a lui mentirono. Il loro cuore non era retto con lui né si mantennero fedeli al suo testamento. Una cosa nella loro lingua e un'altra nel loro cuore trovava colui al quale sono, scoperti i segreti degli uomini, e che senza alcun ostacolo vedeva che cosa essi preferivano. Insomma, il cuore è retto con Dio, quando cerca Dio per amore di Dio. Una sola cosa desiderava quel tale dal Signore, e questa ricercherà: abitare per sempre nella casa del Signore e contemplare la beatitudine che egli procura (Cf. Ps 26,4). A lui dice il cuore dei fedeli: Mi sazierò non con i piatti di carne degli egiziani, non con i meloni e i poponi, non con l'aglio e la cipolla, cose che quella generazione perversa e provocatrice preferiva anche al pane celeste (Cf. Ex 16,3), e neppure con la manna visibile o con gli uccelli pennuti; ma mi sazierò quando si manifesterà la tua gloria (Ps 16,15). Questa è l'eredità del Nuovo Testamento, in rapporto al quale quell'antico popolo non fu trovato fedele. Era tuttavia la fede che anche allora, quando era velata, operava negli eletti, mentre ora, pur essendo già svelata, non è in molti dei chiamati: perché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti (Mt 20,16). Tale era dunque la generazione perversa e provocatrice che, anche quando sembrava cercare Dio, lo amava con la bocca e gli mentiva con la lingua. Nel cuore non era retta con Dio, dato che lo amava solo per il conseguimento di quelle cose per le quali ricorreva all'aiuto di Dio.

Dio sopporta i cattivi ma alla fine li punirà.

22. [vv 38.39.]Ma egli è misericordioso e userà misericordia verso i loro peccati e non li disperderà. E spesso distoglierà la sua ira, e tutta la sua ira non accenderà. Si è ricordato che sono carne: un soffio che va e non ritorna. In forza di queste parole molti si ripromettono dalla divina misericordia l'impunità per la loro colpevolezza, anche continuando ad essere nella colpa, come si narra abbia fatto quella generazione perversa e provocatrice che non indirizzò al bene il suo cuore e il cui spirito non fu fedele Dio. Non è un esempio che convenga certo seguire. Se infatti, tanto per usare le loro parole, Dio, forse, non manderà in perdizione i malvagi, senza alcun dubbio egli non farà perire i buoni. Perché dunque non scegliere la condizione sulla cui sorte non c'è dubbio? Infatti, coloro che mentono a lui nella loro lingua, mentre opposti pensieri covano in fondo al cuore, ovviamente credono e desiderano che anche Dio sia bugiardo quando minaccia la pena eterna ai peccatori. Ma, come essi mentendo non lo ingannano, così egli dicendo il vero non inganna. Non fa bene quindi, la generazione perversa, a falsare le parole dei testi sacri per ripromettersi l'impunità, trattando la Scrittura come tratta il proprio cuore; poiché, anche quando questo è divenuto perverso, le parole di Dio rimangono giuste. Prima di tutto quindi le parole del salmo possono essere intese nel senso precisato dal Vangelo: Affinché siate come il Padre vostro che è nei cieli: il quale fa sorgere il suo sole sopra i buoni e i cattivi, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (Mt 5,45). Chi non vede infatti con quanta pazienza e misericordia Dio risparmia i malvagi? Ma così accade prima del giudizio. Così risparmiò quel popolo, non accendendo tutta la sua ira sì da sradicarlo e sterminarlo completamente; come appare evidente dalle parole del salmo e dalle suppliche che Mosè interpose per i loro peccati. A Mosè, servo di Dio, Dio diceva: Li distruggerò e farò di te un grande popolo (Ex 32,10); Mosè intercede, pronto ad essere annientato per il popolo anziché vedere annientato il popolo stesso. Egli sapeva che la sua intercessione era rivolta a chi è misericordioso: il quale, non volendo in alcun modo annientare lui, certo avrebbe risparmiato anche loro per amore di lui. Vediamo ancora quanto abbia loro perdonato e quanto ancora perdoni. Introdusse quel popolo nella terra promessa e lo salvò fino a quando essi, uccidendo Cristo, non furono avviluppati nel più grande di tutti i delitti. Pur avendoli poi disseminati fra tutti i regni delle genti (dopo averli sradicati dal loro regno), non per questo li ha distrutti: restano ancora lo stesso popolo, perpetuatosi attraverso il succedersi delle generazioni, come se avesse ricevuto il segno di Caino, in modo che nessuno lo uccida, cioè lo distrugga radicalmente (Cf. Gn 4,15). Ecco in qual modo si adempiono le parole: Ma egli è misericordioso, e sarà propizio verso i loro peccati e non li disperderà; e spesso distoglierà la sua ira e tutta la sua ira non accenderà. Perché, se contro di loro si accendesse tutta la sua ira, cioè l'ira di cui sono degni, niente resterebbe di quel popolo. In questa maniera Dio, di cui si canta la misericordia e il giudizio (Cf. Ps 100,1), fa sorgere in questo mondo per mezzo della sua misericordia il suo sole sopra i buoni e i cattivi, e alla fine del mondo, per mezzo del giudizio, punirà i malvagi nelle tenebre eterne, dopo averli separati dalla sua eterna luce.

276 Gli ebrei si salveranno in un loro misterioso “ resto ”.

23. Siccome poi non dobbiamo nemmeno apparentemente far violenza alle parole divine, né quanto è detto: Non li perderà, piace interpretarlo nel senso che li perderà più tardi, notiamo come anche in questo salmo esista l'uso d'una espressione frequentissima nella Scrittura, che permette di risolvere la questione con molta maggior cura e verità. Parlando di costoro un poco più avanti e ricordando le cose che, per cagion loro, gli egiziani avevano sopportate, specialmente l'ultima piaga, dice: Egli colpì tutti i primogeniti in terra d'Egitto, le primizie della loro fatica nei padiglioni di Cam. E levò via come pecore il suo popolo e li condusse come gregge nel deserto. E li guidò nella speranza ed essi non ebbero timore; i loro nemici invece furono coperti dal mare. Li condusse sul monte della sua santificazione: il monte che la sua destra ha conquistato. E scacciò di fronte a loro le nazioni e in sorte distribuì loro la terra secondo la misura della ripartizione (
Ps 77,51-54). Se qualcuno, ponendoci una domanda sulla base di queste parole, volesse chiederci: Come fa a dire che tutte queste cose furono loro concesse, quando essi personalmente non giunsero nella terra della promessa, quelli che furono liberati dall'Egitto, poiché erano morti prima? Che cosa risponderemo, se non che egli tratta di loro nel senso che quanti vi entrarono facevano effettivamente parte dello stesso popolo attraverso il succedersi dei figli? Così dunque, quando ascoltiamo le parole che più di tutte si riferiscono al tempo futuro e cioè: Egli diverrà benevolo verso i loro peccati e non li perderà; e spesso distoglierà la sua ira, e tutta la sua ira non accenderà, comprendiamo che ciò si è compiuto in coloro dei quali l'Apostolo dice: Così dunque in questo tempo per mezzo dell'elezione della grazia gli avanzi sono salvati (Rm 11,5 l). Per questo dice anche: Forse che Dio ha respinto il suo popolo? Non sia mai! Infatti anche io sono israelita, della stirpe di Israele, della tribù di Beniamino, ebreo nato da ebrei (Ph 3,5). La Scrittura dunque ha previsto coloro che, pur appartenendo a quel popolo, avrebbero creduto in Cristo e avrebbero ricevuto il perdono dei peccati, ivi compreso quel massimo fra tutti i peccati per il quale gli ebrei, impazziti, uccisero il loro stesso medico. Certamente a questo si riferiscono le parole: Ma egli è misericordioso, e sarà benevolo verso i loro peccati e non li perderà; e spesso distoglierà la sua ira. Ha infatti perdonato ad essi anche il peccato d'aver ucciso il suo unico Figlio. E tutta la sua ira non accenderà; nel senso che gli avanzi sono salvati (Jud 5,13).

La conversione è mera grazia del Signore.

24. E ricordò che sono carne: un soffio che va e non ritorna. Chiamandoli e usando loro misericordia, egli per mezzo della sua grazia, li ha invitati a tornare indietro, perché da soli non potevano più tornare. In qual modo infatti potrebbe tornar indietro la carne, soffio che va e non ritorna, quando la spinge verso l'abisso profondo e sterminato il peso delle colpe, se non vi fosse l'elezione della grazia? E la grazia non è data per i meriti, come fosse una mercede, ma, essendo un dono, è data gratuitamente: affinché l'empio sia giustificato, e la pecora che si è perduta ritorni, non con le sue forze ma riportata indietro sulle spalle del pastore (Cf. Lc 15,5). Essa infatti poteva perdersi, mettendosi spontaneamente per sentieri fuori mano, ma non era in grado di ritrovarsi; e non sarebbe stata certamente trovata, se non fosse stata cercata dalla misericordia del pastore. Come questa pecora è poi anche quel figlio che, tornato in se stesso, disse: Mi alzerò e andrò dal padre mio.Anche lui infatti fu cercato con un segreto richiamo e con un'occulta ispirazione, come pure fu risuscitato da colui che tutto vivifica. E chi fu a ritrovarlo, se non colui che è venuto a salvare e a cercare ciò che era perduto (Cf. Lc 19,10)? Perché, era morto ed è risuscitato; si era perduto ed è stato trovato (Lc 15,18 Lc 24). Si risolve così anche quella non piccola questione relativa a quanto sta scritto nei Proverbi, quando la Scrittura parla della via dell'iniquità: Tutti coloro che camminano in essa non ritorneranno (Pr 2,19). Così è detto, come se si dovesse disperare di tutti i peccatori; ma la Scrittura ha voluto solamente sottolineare l'apporto della grazia: poiché l'uomo, per se stesso, può sì camminare per quella via, ma non può tornare indietro da solo se non è richiamato dalla grazia.

Le piaghe d’Egitto.

25. [vv 40-51.] Orbene questi perversi e provocatori quante volte lo irritarono nel deserto e lo spinsero all'ira nella solitudine! Si voltarono indietro e tentarono Dio, e disgustarono il Santo d'Israele. Parla ancora della loro infedeltà di cui già prima ha parlato; ma la ripetizione è giustificata, perché dà modo di ricordare anche le piaghe che Dio inflisse agli egiziani a causa del popolo eletto, il quale avrebbe dovuto ricordare ogni cosa e non mostrarsi ingrato. Che cosa segue infatti? Non si ricordarono della sua mano, del giorno nel quale li riscattò dalla mano del persecutore. E comincia a raccontare che cosa fece agli egiziani: Manifestò in Egitto i suoi prodigi, e i suoi miracoli nel campo di Tani. E convertì in sangue i loro fiumi e le loro piogge, affinché non bevessero, o piuttosto, invece di “ piogge ”, le fonti delle acque, come meglio intendono alcuni il greco  che in latino chiamiamo sorgenti sotterranee o acque che ribollono dal profondo. Infatti, gli egiziani scavarono e trovarono sangue al posto delle acque. Mandò contro di loro il tafano che li morsicò; e la rana che li infestò. Abbandonò alla ruggine il loro raccolto e le loro fatiche alla cavalletta. Sterminò con grandine le loro vigne e i loro sicomori con la brina. Abbandonò alla grandine i loro giumenti, al fuoco gli oggetti che possedevano. Scatenò contro di loro l'ira della sua indignazione: lo sdegno, la collera, la tribolazione, l'invio di angeli cattivi. Aperse la via al progredire de la sua ira, e non risparmiò la morte ai loro esseri viventi, e i loro animali uccise di morte. Colpì tutti i primogeniti in terra d'Egitto, le primizie della loro fatica nei padiglioni di Cam.

La S. Scrittura più volte esige una interpretazione allegorica.

26. Tutte queste sciagure che colpirono gli egiziani possono essere spiegate con interpretazione allegorica, a seconda di come ciascuno vorrà intenderle e del rapporto che vorrà stabilire fra loro le cose cui sono da riferirsi. Anche noi tenteremo di far questo; tanto meglio lo faremo, quanto più saremo aiutati da Dio. A questa interpretazione ci obbligano, infatti, le parole del salmo ove si dice: Aprirò in parabole la mia bocca; enunzierò delle proposte dall'inizio (Ps 77,2). Per questa ragione qui sono riportate anche alcune cose che assolutamente non leggiamo essere accadute agli egiziani, per quanto tutte le loro piaghe siano state elencate con gran cura e nel loro ordine nel libro dell'Esodo. Per cui, siccome ciò che nell'Esodo è stato omesso siamo certi che nel salmo non è stato detto invano, non potremo accettare degli eventi altra interpretazione che non sia quella allegorica. Ciò vale per tutte le cose che ci consta essere accadute: di esse dobbiamo convincerci che si sono compiute e sono state scritte proprio perché ne ricavassimo un ulteriore significato. In molti passi di contenuto profetico così si comporta la Scrittura. Dice cose che non si trovano nella vicenda cui sembra alludere; anzi si riscontra che quella vicenda è accaduta in maniera del tutto diversa. Da ciò si deve arguire che oggetto delle sue parole non è ciò che a prima vista sembrerebbe ma piuttosto ciò su cui maggiormente vuol richiamare la nostra attenzione. Così, ad esempio, nelle parole: Dominerà dal mare fino al mare, e dal fiume fino ai confini della terra (Ps 71,8). Sappiamo che questo non è affatto accaduto per il regno di quel Salomone di cui si potrebbe credere che questo salmo parli, mentre in realtà parla di Cristo Signore. Ebbene, nel racconto delle piaghe d'Egitto che si legge nel libro chiamato Esodo, pur essendosi la Scrittura preoccupata di elencare a puntino e secondo il loro ordine tutte le sciagure dalle quali quel popolo fu colpito, non si trova ciò che si legge in questo salmo: Abbandonò alla ruggine il loro raccolto. E nemmeno le parole: Abbandonò alla grandine i loro giumenti, a cui aggiunge: Al fuoco, le cose che possedevano (Cf. Ex 9,25). Nell'Esodo si legge dei giumenti uccisi dalla grandine, ma non si legge affatto che i loro averi furono bruciati dal fuoco. Anche se fragore e fuoco si accompagnano alla grandine, in quanto con essa vengono di solito tuoni e lampi, tuttavia non sta scritto che qualcosa fu abbandonato al fuoco perché bruciasse. Infine, riguardo alle cose tenere che la grandine non aveva potuto rovinare, si dice che non furono battute, cioè ferite con colpi violenti; esse furono divorate in seguito dalle locuste (Cf. Ex 10,1-15). Ancora, quanto qui è detto: Sterminò i loro sicomori con la brina, non lo troviamo nell'Esodo; molto diversa dalla grandine è infatti la brina, se la terra si imbianca di brina nelle serene notti invernali.

Interpretazione allegorica delle dieci piaghe.

27. Che cosa tutto questo significhi lo dica l'interprete come meglio può; il lettore e l'ascoltatore ne giudichi poi con retto sentire. L'acqua mutata in sangue mi sembra indicare certe convinzioni carnali circa l'origine delle cose; i tafani, cioè le mosche canine, sono le nature depravate di coloro che non han riguardo neppure per i genitori da cui nascono. La rana è la vanità linguacciuta. La ruggine, che nuoce di nascosto e che alcuni hanno tradotto con verderame, altri con canicola, a quale tra tutti i vizi si può convenientemente paragonare se non a quello che assai difficilmente si palesa al di fuori, cioè al presumere molto di se stessi? È infatti un venticello micidiale che opera di nascosto nei raccolti, come nei costumi di nascosto opera la superbia, quando qualcuno crede di essere qualcosa mentre non è niente (Cf. Ga 6,3). La cavalletta è la malizia che ferisce con la bocca, cioè la testimonianza infedele. La grandine è l'ingiustizia che porta via le cose altrui, e da cui derivano i furti, le rapine, i saccheggi: ma da tale vizio è maggiormente devastato colui che lo compie. La brina rappresenta la colpa per cui si raggela l'amore del prossimo: sono le tenebre della stoltezza che nuocciono come il freddo notturno. Il fuoco invece, se non si tratta di quello che si accompagna alla grandine quando i fulmini saettano dalle nubi (dato che qui dice: Abbandonò al fuoco i loro poderi e, mentre si legge che il patrimonio risultò incendiato, non si legge che cosa abbia prodotto quel fuoco), mi sembra che rappresenti la violenza dell'ira, con la quale si può compiere anche l'omicidio. La morte degli animali rappresenta, a quanto credo, la perdita della pudicizia. Abbiamo infatti in comune con gli animali la concupiscenza con cui si dà origine alla prole, e la virtù della pudicizia consiste proprio nel tenere doma e ordinata la concupiscenza. La morte dei primogeniti è la perdita della stessa giustizia, per la quale si è solidali col resto del genere umano. Ma, sia che si accettino questi significati allegorici delle cose sopra descritte, sia che le si preferisca intendere in altro modo più consono alla lettera, come non riflettere sul fatto che gli egiziani furono colpiti da dieci piaghe, come da dieci precetti sono composte le tavole con cui è governato il popolo di Dio? Non è il caso di appesantire la spiegazione di questo salmo paragonando tra loro le piaghe e i precetti, perché altrove già ne abbiamo parlato. Sottolineiamo soltanto il fatto che anche qui, sebbene non nello stesso ordine, sono menzionate le dieci piaghe degli egiziani e che, al posto delle tre piaghe che troviamo nell'Esodo (Cf. Ex 8,17 Ex 9,10 Ex 10,22) e qui non leggiamo, cioè le zanzare, le ulceri, le tenebre, ne sono ricordate altre tre che nell'Esodo non troviamo: cioè la ruggine, la brina e il fuoco, non quello delle folgori, ma quello al quale ci dice furono abbandonati i loro possedimenti e del quale nell'Esodo non si parla.

Dio delimita il potere dei cattivi.

277 28. Chiaramente è detto nel salmo che queste cose venivano compiute contro di loro, in conformità a un giudizio di Dio, per mezzo degli angeli cattivi: come, del resto, avviene normalmente in questo secolo malvagio, per molti aspetti simile all'Egitto e al campo di Tani, dove noi dobbiamo essere umili, finché non verrà il secolo ove per questa umiltà meriteremo di essere esaltati. Infatti Egitto nella lingua ebraica significa “ tenebre ” o “ tribolazioni ”, mentre nella stessa lingua Tani significa, come ho già ricordato, “ umile comandamento ”. La menzione degli angeli cattivi, in questo salmo, quando si parla delle piaghe, è sottolineata in modo che non possiamo passarlo sotto silenzio. Dice: Scatenò contro di loro l'ira della sua indignazione; lo sdegno, la collera, la tribolazione, l'invio di angeli cattivi. Nessun fedele ignora che il diavolo e gli angeli suoi sono tanto malvagi che per loro è preparato il fuoco eterno; ma che per loro tramite venga dal Signore Dio inviato il fuoco su chi egli giudica degno di tale pena, appare duro a quanti non sono in grado di comprendere come mai la somma giustizia di Dio possa servirsi a fin di bene anche dei malvagi. Ma chi altro, se non il Signore, ha fatto questi spiriti del male, per quanto si riferisce alla loro sostanza? Egli non li ha fatti malvagi ma si serve di loro, in quanto è buono, a fin di bene, cioè in modo conveniente e giusto: come, viceversa gli ingiusti si servono a fin di male delle creature di Dio che sono buone. Dio dunque si serve degli angeli cattivi per punire i malvagi, come fece nei confronti di quelli di cui parla il salmo e come ancora fece nei confronti del re Acab, che lo spirito ingannatore suscitato dalla volontà di Dio trasse in inganno, tanto da farlo cadere in guerra (Cf. Re 1R 22,22). Non solo, ma egli se ne serve anche per mettere alla prova e fare emergere i buoni, come fece nei confronti di Giobbe. Per quanto poi concerne la materia corporea, risultante di elementi visibili, credo che di essa possano usare tanto gli angeli buoni quanto quelli cattivi, secondo la potestà di ciascuno. Allo stesso modo come di tali elementi si servono, per quanto possono, gli uomini, tanto buoni che cattivi, nei limiti della debolezza umana. Noi infatti usiamo della terra, dell'acqua, dell'aria, del fuoco, non soltanto per il nostro sostentamento, ma anche per molte altre cose superflue e dilettevoli, come sono le mirabili opere dell'arte. Così innumerevoli oggetti, detti , sono fatti con questi elementi trattati ad arte. Ma su tali elementi più grande è il potere degli angeli, siano buoni che cattivi, anche se certamente è più grande il potere degli angeli buoni. Tale potere, comunque, resta nell'ambito in cui è loro concesso o comandato dal cenno e dall'ordine di Dio, come accade per noi, i quali nei confronti di queste cose non possiamo compiere tutto ciò che vogliamo. Nel libro che merita ogni nostra fede leggiamo, peraltro, che il diavolo poté anche scagliare il fuoco dal cielo, per bruciare con mirabile e orribile violenza un gran numero di animali appartenenti a un santo uomo: cosa che nessun fedele forse oserebbe attribuire al diavolo, se non lo affermasse l'autorità della santa Scrittura. Ma quell'uomo, che per dono di Dio era giusto e forte e formato alla pietà, non disse: Il Signore ha dato, il diavolo ha tolto; ma: Il Signore ha dato, il Signore ha tolto (Jb 1,16 Jb 21), ben sapendo che il diavolo poteva servirsi di questi elementi per fare ciò che desiderava ma nessun danno poteva causare al servo di Dio, se il Signore non avesse voluto né permesso. Così rendeva vana la malvagità del diavolo, perché sapeva chi era colui che si serviva di tale malvagità per metterlo alla prova. Nei figli dell'incredulità, invece, il diavolo opera come in suoi schiavi (Cf. Ep 2,2), proprio come gli uomini fanno ciò che credono con i loro animali; e tuttavia anche qui può tanto quanto gli è concesso dal giusto giudizio di Dio. Comunque, una cosa è quando il suo potere è trattenuto da un potere maggiore perché non operi come vorrebbe anche sopra i suoi; altra cosa è quando il potere di operare gli viene concesso nei riguardi di coloro che gli sono estranei. Così l'uomo fa ciò che vuole con il suo animale, a seconda delle possibilità umane, ma non può fargli niente se è impedito da forza maggiore; per poter fare qualcosa su un animale altrui, deve però ad ogni costo attendere che gli sia concesso il potere da colui cui tale animale appartiene. Nel primo caso, ha il potere, ma gli è proibito di usarlo; nel secondo dev'essergli concesso un potere che non ha.

Gli angeli al servizio della giustizia divina.

29. Se le cose stanno davvero così, e se Dio inflisse quelle piaghe agli egiziani per mezzo di angeli cattivi, oseremo dire che l'acqua fu mutata in sangue ad opera di questi stessi angeli e che per loro mezzo furono prodotte le rane, dato che simili prodigi anche i maghi del Faraone furono in grado di compiere con i loro sortilegi? Per cui gli angeli malvagi avrebbero operato da ambedue le parti, da un lato tormentando gli egiziani e dall'altro ingannandoli, secondo il giudizio e la disposizione di Dio, giustissimo e onnipotente, che usa giustamente anche la malizia degli ingiusti? Non oso dir tanto. Perché, infatti, i maghi del Faraone non riuscirono a produrre le zanzare (Cf. Ex 7,20 Ex 22 Ex 8,6 Ex 7 Ex 17 Ex 18)? Forse perché gli stessi angeli malvagi non ebbero il permesso di compiere tale prodigio? Oppure, e questo mi sembra più vero, la causa è celata e va al di là delle nostre capacità di ricerca? Se crederemo infatti che Dio abbia compiuto tutte quelle cose per mezzo degli angeli malvagi, per il fatto che agli egiziani erano inflitti tormenti e non erano dati loro benefici, ne risulterebbe che Dio non possa infliggere delle pene anche a mezzo degli angeli buoni, ma soltanto per mezzo degli angeli che nell'esercito celeste fanno da carnefici. Da una tale supposizione, peraltro, seguirebbe che anche Sodoma sia stata distrutta dagli angeli cattivi e che Abramo e Lot abbiano dato ospitalità ad angeli cattivi: cose che non possiamo pensare senza porci in contrasto con le Scritture che sono su questo punto molto esplicite (Cf. Gn 18 Gn 19). Sia chiaro dunque che cose del genere possono essere fatte agli uomini sia per mezzo degli angeli buoni sia per mezzo degli angeli cattivi: il perché o il quando debba così accadere, mi è celato; ma non è celato a colui che le compie e a chi egli avrà voluto rivelarlo. Leggiamo tuttavia quanto la divina Scrittura suggerisce al nostro zelo, cioè che le pene sono inflitte ai malvagi sia per mezzo degli angeli buoni, come nel caso dei sodomiti, sia per mezzo degli angeli cattivi, come nel caso degli egiziani. Non mi risulta invece che i giusti siano stati tentati e messi alla prova con pene corporali per mezzo di angeli buoni.

La giustizia di Dio nel punire il peccatore.

30. Ma per quanto si riferisce a questo passo del nostro salmo, se non osiamo attribuire agli angeli cattivi le cose strabilianti che furono compiute sulle creature, c'è qualcosa che possiamo attribuire ad essi senza alcuna esitazione: la morte degli animali, la morte dei primogeniti, e soprattutto l'atteggiamento spirituale da cui dipendono tutte le piaghe, cioè l'indurirsi del cuore di coloro che non volevano lasciare libero il popolo di Dio. È detto infatti che Dio suscitò questa iniqua e malvagia ostinazione (Cf. Ex 4,21), non istigando o invitando ma abbandonandoli sicché gli angeli cattivi operassero nei figli dell'incredulità (Cf. Ep 2,2). La quale cosa Dio permette in una maniera legittima e giusta. Infatti, anche quanto dice il profeta Isaia: Signore, ecco tu ti sei adirato, e noi abbiamo peccato; per questo abbiamo deviato e siamo divenuti tutti impuri (Is 64,5-6), si deve intendere nel senso che prima è accaduto qualcosa per cui Dio, giustamente adirato, ha tolto loro la sua luce, e così la cecità dello spirito umano, deviando ed allontanandosi dalla via della giustizia, inciampasse in peccati che nessuna argomentazione può difendere quasi non fossero peccati. E quanto in un altro salmo è scritto a proposito di questi egiziani, cioè che Dio indusse il loro cuore a odiare il suo popolo e a ingannare i suoi servi (Cf. Ps 104,25), ragionevolmente si crede che Dio lo abbia compiuto per mezzo degli angeli malvagi. Egli avrebbe spinto all'odio contro il popolo di Dio i già colpevoli spiriti dei figli dell'infedeltà appunto per mezzo di tali angeli, cui quelle colpe sono gradite; mentre il manifestarsi dei prodigi serviva nel contempo a spaventare e a correggere i buoni. Anche la malvagità dei costumi, che abbiamo detto essere raffigurata in queste piaghe corporali (dato che il salmista ha premesso le parole: Aprirò in parabole la mia bocca (Ps 77,2)), è molto conveniente ritenerla fomentata dagli angeli malvagi in coloro che, secondo la divina giustizia, sono lasciati in potere di tali angeli. Infatti, quando si compie ciò che l'Apostolo dice: Dio li ha abbandonati alle concupiscenze del loro cuore (Rm 1,24), allora gli angeli malvagi si trovano come nel campo della loro propria attività e si rallegrano vedendo loro soggetta (per un giustissimo decreto) la tendenza che hanno gli uomini al vizio, fatta eccezione per coloro che vengono liberati dalla grazia. Ma chi è capace di comprendere tutto questo (Cf. 2Co 2,16)? Chi è tanto acuto da penetrare in questo mistero e capire pienamente la verità nascosta in tanta profondità per cui, dopo aver detto: Scatenò contro di loro l'ira della sua indignazione, lo sdegno, la collera, la tribolazione, l'invio degli angeli malvagi, aggiunge: Diede libero corso al diffondersi della sua ira? L'ira divina aveva già la via per punire con occulta giustizia l'empietà degli egiziani; ma Dio diede alla sua ira via libera quando trasse, per così dire, gli egiziani fuori dai loro nascondigli e per mezzo degli angeli malvagi li indusse a commettere delitti manifesti, onde punire apertamente coloro che apertamente erano divenuti empi. Da questo potere degli angeli malvagi l'uomo è liberato soltanto dalla grazia di Dio, della quale così dice l'Apostolo: Ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del Figlio del suo amore (Col 1,13). Di questa liberazione quel popolo era simbolo quando fu liberato dal potere degli egiziani e trasportato nel regno della terra promessa, ove scorrevano il latte e il miele, la cui dolcezza raffigura la dolcezza della grazia.


Agostino Salmi 77