Agostino Salmi 277

La liberazione interiore dal male.

31. [vv 52.53.] Dopo aver menzionato le piaghe degli egiziani, il salmo continua e dice: Portò via, come pecore, il suo popolo e li condusse come gregge nel deserto. E li condusse fuori nella speranza, e non ebbero timore, e i loro nemici coperse il mare. È questo un fatto del quale possiamo dire che è tanto più notevole quanto più si compie nell'intimo: là dove, liberati dal potere delle tenebre, siamo trasportati con lo spirito nel regno di Dio e, adeguandoci ai pascoli spirituali, diventiamo pecore di Dio. Camminiamo, allora, in questo secolo come fossimo nel deserto, perché nessuno vede la nostra fede, proprio come dice l'Apostolo: La vostra vita è nascosta con Cristo in Dio (Col 3,3). Ma ne siamo tratti fuori nella speranza, perché è nella speranza che siamo salvati, e non dobbiamo aver timore. Infatti, se Dio è con noi, chi è contro di noi? (Rm 8,24 Rm 31) E il mare ha coperto i nostri nemici: li ha sterminati nel battesimo con la remissione dei peccati.

32. [v 54.] Continua poi: Li condusse sul monte della sua santificazione. Ma quanto è meglio essere stati condotti nella santa Chiesa! Il monte che la sua destra aveva conquistato. Quanto è più sublime la Chiesa che Cristo ha conquistata! quel Cristo del quale è detto: E il braccio del Signore a chi è stato rivelato? (Is 53,1) E scacciò di fronte a loro le genti, come fa oggi di fronte ai suoi fedeli; infatti in un certo senso possono chiamarsi “ genti ” anche gli spiriti maligni che causano gli errori del paganesimo. E in sorte distribuì loro la terra secondo la misura della ripartizione. Intendi: in noi ogni cosa compie l'unico e medesimo Spirito dividendo i propri doni a ciascuno come egli vuole (1Co 12,11).

L’uomo occuperà il posto degli angeli decaduti.

33. [vv 55-58.] E fece abitare nelle loro tende le tribù d'Israele. Nelle tende, dice, delle genti ha fatto abitare le tribù d'Israele. Credo che queste parole vadano interpretate spiritualmente: nel senso che noi, per mezzo della grazia di Cristo, siamo sollevati alla gloria celeste, donde gli angeli peccatori sono stati scacciati e rigettati. Infatti i membri di quella generazione perversa e provocatrice, che, pur di avere questi benefici temporali, non deponevano l'abito della vecchiaia, tentarono e disgustarono ancora Dio eccelso, e non osservarono le sue testimonianze; e si allontanarono da lui, e non rispettarono il patto, come i padri loro. Avevano accettato le clausole del patto con le parole: Tutte le cose che ha detto il Signore Dio nostro, noi faremo e ascolteremo (Ex 19,8). C'è da notare che dice: Come i padri loro.Sembrerebbe che tutto il testo del salmo stesse parlando sempre degli stessi uomini; qui tuttavia sembra rivolgersi a coloro che già erano nella terra della promessa, mentre sono detti “ loro padri ” quelli che nel deserto provocarono il Signore.

34. Dice: Si sono tramutati in arco difettoso, oppure, come recano altri codici: in arco che fallisce [il bersaglio]. Che cosa questo significhi appare chiaro nelle parole che seguono, là dove dice: E lo provocarono all'ira dalle loro alture.Cioè caddero nell'idolatria. E arco che fallisce il bersaglio è schierarsi non per il nome del Signore, ma contro il nome del Signore: il quale a quel popolo aveva detto: Non ci saranno per te altri dèi all'infuori di me (Ex 20,3). Per arco, infatti, ben si intende l'intenzione dell'animo. Esprimendo infine più chiaramente questo concetto, dice: Con i loro idoli ne eccitarono la gelosia.

278 35. [vv 59.60.] Dio udì e li rigettò. Cioè vide e si prese la vendetta. E annientò totalmente Israele. Quando Dio prese a rigettarli, che cosa poteva rimanere di coloro che, quel che erano, lo erano per l'aiuto di Dio? Ma qui senza dubbio allude a quella vicenda nella quale furono sconfitti dai filistei, al tempo del sacerdote Eli, quando fu catturata l'arca del Signore ed essi furono sterminati in una grande strage (Cf. 1S 4,10-11). Questo vuol dire con le parole: Ripudiò la tenda di Silo, la sua tenda ove abitava tra gli uomini. Elegantemente spiega perché abbia abbandonato la sua tenda, quando dice: Dove abitava tra gli uomini. Dato che essi non erano più degni che egli abitasse tra loro, perché non abbandonare la tenda, che certamente aveva stabilito non per sé ma per loro, che ormai giudicava indegni di ospitarlo?

36. [v 61.] E abbandonò alla prigionia la toro potenza, e la loro bellezza nelle mani del nemico. Chiama “ loro potenza ” e “ loro bellezza ” l'arca stessa per la quale essi si credevano invincibili e della quale tanto erano orgogliosi. Infatti, anche più tardi, quando essi vivevano nel male e menavano vanto per il tempio del Signore, li spaventa per bocca del profeta, dicendo: Guardate che cosa ho fatto a Silo, dove c'era la mia tenda (Jr 7,12).

37. [vv 62.63.] E finì con la spada il suo popolo e disprezzò la sua eredità. I loro giovani divorò il fuoco, cioè, furono divorati dall'ira [divina]. E le loro vergini non si lamentarono: perché non c'era tempo neppure per lamentarsi, nel terrore del nemico.

38. [v 64.]I loro sacerdoti caddero sotto la spada e le loro vedove non erano compiante.Caddero infatti sotto la spada i figli di Eli; e la sposa di uno di costoro, la quale poco dopo doveva morire nel dare alla luce un figlio, a causa del turbamento generale non poté essere compianta né ricevere gli onori del funerale (Cf. 1S 4,19 1S 20).

39. [v 65.]E il Signore si svegliò come dal sonno. Sembra infatti dormire quando consegna il suo popolo in mano a coloro che esso odia, e dai quali si sentono ripetere: Dov’è il tuo Dio? (Ps 41,11) Si svegliò, in seguito, come dal sonno, come un forte inebriato dal vino. Nessuno oserebbe dire questo di Dio, se non il suo Spirito. Ha detto infatti - come è opinione degli empi che lo insultano - che Dio dorme a lungo come un ubriaco, in quanto egli talvolta non interviene così presto come gli uomini crederebbero opportuno.

Spogliarsi dell’uomo vecchio.

40. [v 66.]E colpì i suoi nemici alle spalle, cioè coloro che certamente si rallegravano perché erano riusciti a catturare la sua arca. Essi furono colpiti nel di dietro (Cf. 1S 5,6). Questo mi sembra essere il simbolo della pena che subirà ogni uomo che abbia volto lo sguardo alle cose che ha alle sue spalle: cose che, a detta dell'Apostolo, debbono tutte considerarsi come letame (Cf. Ph 3,5). Coloro infatti che accolgono il testamento di Dio senza spogliarsi dell'antica vanità sono simili a quei popoli nemici i quali, catturata l'arca del testamento, la collocarono presso i loro idoli. Quel vecchiume, anche se gli uomini non vogliono, certamente cadrà perché ogni carne è erba, e la gloria dell'uomo è come il fiore dell'erba. L'erba inaridisce, e il fiore avvizzisce; ma l'arca del Signore resta in eterno (Is 40,6 Is 7): e quest'arca è il mistero del testamento dei regno del cieli, dove è l'eterno Verbo di Dio. Coloro pertanto che hanno amato quanto sta loro alle spalle, da ciò stesso giustamente saranno tormentati: perché diede loro eterna vergogna.

Il popolo del N. Testamento preferito a quello del Vecchio.

41. [vv 67.68.]Dice: E abbandonò la tenda di Giuseppe, e non scelse la tribù di Efraim; scelse invece la tribù di Giuda. Non dice: “ Abbandonò la tenda di Ruben ”, che era il primogenito di Giacobbe, né che abbandonò coloro che vengono dopo e che per nascita precedono Giuda, per così scegliere la tribù di Giuda scartando ed escludendo costoro dall'elezione. Si poteva infatti dire che essi erano stati respinti giustamente, perché anche nella benedizione che Giacobbe impartì ai suoi figli, si ricordano i loro peccati e li si condanna severamente (Cf. Gn 49,1-7), nonostante che fra costoro rientri la tribù sacerdotale di Levi, alla quale appartenne Mosè (Ex 2,1). Neppure dice: “ Abbandonò la tenda di Beniamino ”, ovvero “ Non scelse la tribù di Beniamino ”, dalla quale avevano cominciato ad essere scelti i re. Da essi, infatti, fu prescelto Saul (Cf. 1S 9,1 1S 2), e per la stessa vicinanza di tempo fra quando Saul fu scacciato e condannato e David eletto (Cf. 1S 16,1-13), ciò si sarebbe potuto dire molto convenientemente. Eppure niente. Nomina piuttosto coloro che sembravano eccellere per i loro meriti insigni. Giuseppe infatti nutrì in Egitto il padre e i fratelli e, sebbene fosse stato empiamente venduto, tuttavia si immortalò, a buon diritto, per merito della sua pietà, della sua castità e della sua sapienza (Cf. Gn 41,40). Dal canto suo Efraim, nella benedizione del suo avo Giacobbe, fu anteposto al fratello maggiore (Cf. Gn 48,19). Tuttavia Dio abbandonò la tenda di Giuseppe e non scelse la tribù di Efraim. Ebbene, da tutti questi nomi, grandi e famosi, che cos'altro dovremo comprendere se non che quell'intero popolo, che nella sua cupidigia cercava dal Signore ricompense terrene, fu abbandonato e condannato, mentre invece fu scelta la tribù di Giuda, e questo non per i meriti di Giuda stesso? Di gran lunga maggiori erano, infatti, i meriti di Giuseppe; ma, dando la preferenza alla tribù di Giuda, da cui è disceso Cristo secondo la carne, la Scrittura - ove il Signore ha aperto la sua bocca in parabole - attesta che il nuovo popolo di Cristo è anteposto a quel popolo antico. Ne consegue che anche nelle altre parole: Il monte Sion che egli ha amato, meglio comprendiamo la Chiesa di Cristo, che non rende culto a Dio per i benefici carnali di questo tempo, ma contempla con gli occhi della fede e da lontano i premi futuri ed eterni. Sion infatti significa “ contemplazione ”.

La perennità della Chiesa.

42. [v 69.] Continua poi: E ha elevato la sua santificazione come quella degli unicorni, oppure, come hanno scritto alcuni interpreti usando un neologismo, il suo santuario.Per “ unicorni” intendiamo coloro la cui fiducia si eleva incrollabile verso quella sola cosa di cui dice un altro salmo: Una cosa ho chiesto al Signore; e questa ricercherò (Ps 26,4). Nel “ santuario ” di Dio ci piace scorgere coloro che l'apostolo Pietro chiama la stirpe santa e il regale sacerdozio (1P 2,9). Quanto al seguito: Nella terra che ha fondato in eterno, le parole che riportano i codici greci,  gli interpreti latini possono tradurle con in eterno, oppure con nel secolo, perché ambedue le espressioni significano la stessa cosa; e perciò troviamo la prima in alcuni codici latini, e la seconda in altri. Altri ancora scrivono al plurale nei secoli, espressione che non abbiamo trovato nei codici greci in nostro possesso. Ma chi fra i fedeli dubiterà che la Chiesa, mentre alcuni se ne vanno ed altri vengono ed essa stessa ha una fase transitoria in questa vita mortale, è tuttavia fondata per durare in eterno?

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Cristo discendente di David.

43. [vv 70.71.]Elesse David suo servo. Scelse, dunque, la tribù di Giuda in vista di David, e David in ordine a Cristo. Ne consegue che la tribù di Giuda fu scelta in vista del Cristo, al cui passaggio gridavano i ciechi: Abbi pietà di noi, figlio di David; e subito, per la sua misericordia, ricevevano la luce (Mt 20,30 Mt 34), poiché era vero ciò che avevano gridato. Di questa realtà l'Apostolo parla, non di passaggio ma con insistenza, quando scrive a Timoteo: Ricordati che Gesù Cristo, risorto dai morti, è della stirpe di David, secondo il mio Vangelo, per il quale soffro sino ad essere stretto in catene come un malfattore; ma la parola di Dio non è incatenata (2Tm 2,8-9). Perciò il Salvatore stesso, nato secondo la carne dalla stirpe di David, è in questo passo raffigurato nella persona di David, dato che il Signore apre qui in parabole la sua bocca. Né ci stupisca il fatto che dopo aver detto: Elesse David, nome con il quale intende rappresentare Cristo, abbia aggiunto: Suo servo, e non “ suo figlio ”. Da questo, anzi, riconosciamo che dalla discendenza di David è stata assunta da Cristo non la sostanza dell'Unigenito, coeterna con il Padre, ma la natura del servo.

La Chiesa e le chiese.

44. E lo tolse dai greggi delle pecore; dal seguito delle partorienti egli lo prese, per pascolare Giacobbe suo servo e Israele sua eredità. È un fatto storico che quel David, alla cui discendenza appartiene la carne di Cristo, fu trasferito dall'ufficio di pascere le pecore a quello di governare gli uomini. Per quanto riguarda invece il nostro David, cioè Gesù stesso, egli fu trasferito dagli uomini ad altri uomini, dai giudei ai gentili. Tuttavia, rimanendo nei termini della parabola, anch'egli fu tolto e trasportato da pecore ad altre pecore. Non ci sono più ora, in quella terra, le chiese cristiane, che furono costituite in Giudea dai circoncisi subito dopo la passione e la resurrezione di nostro Signore: quelle chiese di cui l'Apostolo dice: Io ero sconosciuto di fronte alle chiese di Giudea che sono in Cristo; essi avevano soltanto sentito dire che quel tale che un tempo ci perseguitava ora annunzia la fede che un tempo osteggiava; e in me magnificavano il Signore (Ga 1,22-24). Ormai da quella regione sono scomparse le chiese costituite dal popolo dei circoncisi; e per questo nella Giudea, intesa come regione geografica, ora non c'è Cristo. Egli è stato tolto via di là e pascola ora il gregge delle genti. Giustamente è stato preso di là d'appresso alle pecore che hanno partorito. Infatti quelle chiese primitive furono tali che per loro vale quel che nel Cantico dei cantici è detto all'unica Chiesa che consta di molte, cioè all'unico gregge le cui membra sono molti greggi. Di tali chiese dunque è detto: I tuoi denti... (cioè i denti per mezzo dei quali parli, oppure i denti con cui, come mangiando, assumi gli altri nel tuo corpo). I tuoi denti, dice riferendosi a questo fatto, [sono] come gregge di pecore tosate che risale dal lavacro, le quali partoriscono tutte gemelli, e non c'è sterile tra esse (Ct 4,2). Deposero infatti come un vello i fardelli del secolo, quando deposero avanti ai piedi degli Apostoli il ricavato della vendita delle loro cose (Cf. Ac 2,45 Ac 4,34), e risalirono da quel lavacro, del quale l'apostolo Pietro parla a coloro che erano preoccupati per aver versato il sangue di Cristo, dicendo: Fate penitenza, e ciascuno di voi sia battezzato nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, e vi saranno rimessi i vostri peccati (Ac 2,38). Partorirono gemelli, cioè compirono le opere dei due precetti della carità, dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo. Per questo nessuno era sterile tra loro. Il nostro David, preso di fra mezzo a queste pecore che avevano prole appena nata, ora pascola tra le genti altri greggi, che sono, anch'essi, Giacobbe e Israele. Così infatti è detto: Per pascolare Giacobbe suo servo e Israele sua eredità. Per il fatto di trarre origine dalle genti, queste pecore non sono divenute estranee a quella discendenza che è quella di Giacobbe e di Israele. Questa infatti è la stirpe di Abramo, come pure la stirpe della promessa; della quale il Signore così diceva ad Abramo: In Isacco sarà chiamata per te la discendenza (Gn 21,12). Spiegando questa predizione, l'Apostolo dice: Non i figli della carne, ma i figli della promessa sono annoverati nella discendenza (Rm 9,8). Appartenevano infatti alle genti quei fedeli ai quali diceva: Ma se voi siete di Cristo, dunque voi siete la discendenza di Abramo, gli credi secondo la promessa (Ga 3,29). Quanto alle parole: Giacobbe suo servo e Israele sua eredità, si tratta di una ripetizione comune alla Scrittura. A meno che, forse, non ci si voglia vedere una distinzione, nel senso che Giacobbe sia il servo che lavora in questo tempo; diventando poi eredità eterna di Dio quando vedrà Dio faccia a faccia, visione da cui Israele prese il nome (Cf. Gn 32,28).

Rettitudine interiore ed esercizio di opere buone.

45. [v 72.] E li nutrì, dice, nell'innocenza del suo cuore. Chi più innocente di colui che non conosceva alcun peccato? che non solo non fu vinto dal peccato ma che, in sé, non aveva neppure peccati da vincere? E nell'intelletto delle sue mani li guidò, oppure, come recano alcuni codici, negli intelletti delle sue mani. Qualcuno osserverà che sarebbe stato più logico dire: “ Nell'innocenza delle mani ” e “ Nell'intelletto del cuore ”; ma colui che sapeva parlare meglio di chiunque altro, ha qui preferito unire l'innocenza al cuore e l'intelligenza alle mani. Ha fatto così, suppongo, perché molti si ritengono innocenti quando non fanno il male per timore di doverlo scontare se lo fanno, mentre invece vorrebbero farlo se potessero farlo impunemente. Costoro possono sembrare gente che possegga l'innocenza delle mani, ma non possiede certo l'innocenza del cuore. Che cosa poi è questa innocenza, che sorta d'innocenza è mai, se non è innocenza del cuore, dove l'uomo è fatto ad immagine di Dio? Dicendo poi: Nell'intelletto (oppure, nell'intelligenza) delle sue mani li guidò, mi sembra che si sia voluto riferire a quella stessa intelligenza che egli suscita nei credenti. Dice infatti: Delle sue mani, in quanto il fare è compito delle mani. Ma “mani” occorre intenderle in una maniera degna di Dio, parlandosi qui di Cristo, il quale è, sì, un uomo ma insieme è anche Dio. Certamente David, alla cui discendenza Cristo appartiene, non poteva fare tutto questo nei confronti del popolo sul quale regnava come uomo; ma lo fa colui al quale giustamente l'anima fedele può dire: Fammi intendere, e scruterò la tua legge (Ps 118,34). Ebbene, per non allontanarci da lui e non fidarci della nostra intelligenza come se derivasse da noi stessi, assoggettiamoci alle sue mani. Egli stesso susciti in noi l'intelligenza per guidarci, dopo averci liberati dall'errore, nell'intelligenza delle sue mani, e condurci là dove non possiamo più errare. Questo è il frutto del popolo di Dio, che ascolta la legge del Signore e china il suo orecchio alle parole della bocca di lui: elevare il cuore, rendere a lui docile lo spirito e non mutarsi in una generazione perversa e provocatrice (Cf. Ps 77,8). Di fronte all'annunzio di tutte queste meraviglie, riporrà in Dio la sua speranza, e non soltanto per la vita presente ma anche per quella eterna, non soltanto per ottenere i premi delle opere buone ma anche per poter compiere tali buone opere.

SUL SALMO 78

78 Ps 78

ESPOSIZIONE

Profezia e realizzazione.

1. [v 1.] Non credo occorra dedicare molto tempo alla spiegazione del titolo di questo salmo, tanto breve e semplice. È, intatti, sotto i nostri occhi l'adempimento della profezia che qui leggiamo, mentre ai tempi di David, quando queste vicende venivano cantate, ancora niente di tal genere era accaduto alla città di Gerusalemme per colpa dei gentili, e nemmeno al tempio di Dio, che ancora non era stato costruito. Chi non sa che dopo la morte di David, fu il suo figlio Salomone a costruire il tempio a Dio? Qui dunque il profeta racconta come già accaduto ciò che in spirito vedeva doversi realizzare in futuro. O Dio, le genti sono entrate nella tua eredità. Con espressione analoga fu detto in quella profezia che si riferisce alla passione del Signore: Mi hanno dato il fiele per cibo, e nella mia sete mi hanno dissetato con l'aceto (Ps 68,22); e tanti altri sono gli esempi offertici dallo stesso salmo, nei quali cose future vengono descritte come se già fossero accadute. Né c'è da stupirsi che il racconto venga fatto a Dio. Non si tratta, ovviamente, di elencare delle cose a uno che non le conosce, mentre è per sua rivelazione che le si conoscono in anticipo. È un colloquio che l'anima stabilisce con Dio, spinta da un sentimento di pietà anch'esso noto a Dio. Così anche gli angeli. Quando annunziano qualcosa agli uomini, l'annunziano a persone che ne sono all'oscuro; ma quando annunziano qualcosa a Dio, l'annunziano a chi ne è a conoscenza, come quando offrono a lui le nostre preghiere, o quando, per consigliarsi sulle proprie azioni, ricorrono in modo ineffabile all'eterna verità come a norma immutabile. E così anche l'uomo di Dio autore del salmo. Egli ricorda a Dio ciò che da Dio ha imparato, come quando un discepolo si rivolge al maestro non per istruirlo ma per averne un giudizio, affinché cioè questi approvi quanto ha insegnato, disapprovi ciò che non ha insegnato. E questo vale tanto più per il profeta, il quale, come orante, trasfigura in sé coloro che vivranno al tempo in cui i fatti accadranno. Nella preghiera si è soliti elencare a Dio le cose che egli ha permesse nel suo sdegno, aggiungendo poi la supplica affinché abbia misericordia e perdoni. In questo modo parla nel nostro salmo il profeta: sembrerebbero suppliche elevate a Dio da persone che già le abbiano vissute. Certamente, però, tanto la deplorazione quanto la supplica costituiscono una profezia.

L’eredità di Dio è costituita dai fedeli del giudaismo...

2. [vv 1-3.] O Dio, le genti sono entrate nella tua eredità; hanno profanato il tuo santo tempio; hanno reso Gerusalemme come capanna ove si raccolgono frutti. Hanno gettato i cadaveri dei tuoi servi in pasto agli uccelli del cielo e le carni dei tuoi santi alle belve della terra. Hanno versato il loro sangue come fosse acqua intorno a Gerusalemme, e non c'era chi desse sepoltura. In questa profezia potremmo, penso, scorgere la devastazione di Gerusalemme ad opera di Tito imperatore romano, avvenuta quando il Signore Gesù Cristo, dopo la resurrezione e l'ascensione, era ormai annunziato tra le genti. Non vedo però come in tal caso il popolo ebreo possa essere chiamato eredità di Dio, dato che non possiede Cristo, anzi, avendolo rigettato e ucciso, è divenuto reprobo esso stesso, non avendo voluto credere in Cristo nemmeno dopo la sua resurrezione. Per di più ne ha tramandato a morte i testimoni. Tuttavia, di fra mezzo al popolo d'Israele, diverse persone hanno creduto in Cristo e accettato la sua presenza salvifica, realizzandosi in tal modo e in maniera salutare e feconda la promessa divina. È poi di loro che diceva il Signore: Sono stato mandato soltanto per le pecore che si sono perdute della casa d'Israele (Mt 15,24). Ebbene, costoro sono, fra tutti gli israeliti, i figli della promessa; costoro sono considerati come discendenza (Rm 9,8) e appartengono all’eredità di Dio. Fra questi annoveriamo Giuseppe, uomo giusto, e la Vergine Maria, che partorì Cristo (Cf. Mt 1,16); Giovanni Battista, l'amico dello sposo, e i suoi genitori Zaccaria ed Elisabetta (Cf. Lc 1,5); il vecchio Simeone e la vedova Anna, i quali, per quanto non abbiano potuto udire con i sensi del corpo le parole di Cristo, tuttavia, guidati dallo Spirito, lo seppero riconoscere in quel bambino che ancora non parlava (Cf. Lc 2,25 Lc 36). Vi annoveriamo ancora i beati Apostoli; Natanaele, in cui non c'era inganno (Cf. Jn 1,47); l'altro Giuseppe che attendeva anche lui il regno di Dio (Cf. Jn 19,38 Lc 23,51). E poi quella grande moltitudine che precedeva e seguiva la cavalcatura di Gesù acclamando: Benedetto colui che viene nel nome del Signore! (Mt 21,9), tra cui si distinguevano tanti fanciulli nei quali, a detta del Signore, si realizzavano le parole: Dalla bocca dei fanciulli e dei lattanti hai espresso una lode perfetta (Ps 8,3). Di tal numero fan parte anche coloro che, dopo la sua resurrezione, furono battezzati in un giorno tremila e in un altro cinquemila (Cf. Ac 2,41 Ac 4,4), e che il fuoco della carità fondeva in una sola anima ed in un sol cuore. Fra loro nessuno considerava come proprietà privata i beni che possedeva, ma li poneva tutti in comune (Cf. Ac 4,32). E vi fan parte ancora i santi diaconi, uno dei quali, Stefano, fu coronato dal martirio prima degli Apostoli (Cf. Ac 7,58); e così pure tutte le comunità della Giudea che credevano in Cristo, alle quali Paolo era sconosciuto per non averlo mai visto (Cf. Ga 1,22), ma lo conoscevano per la sua ben nota crudeltà e ancor più per la grazia che Cristo nella sua infinita misericordia gli aveva accordata. Era infatti, l'Apostolo, quel tale a cui si riferiva l'antica profezia: Lupo rapace, che di mattino ruba e di sera divide il cibo (Gn 49,27). Cioè: dapprima persecutore che trascina a morte e poi predicatore che pasce per la vita. Tutti costoro erano l'eredità che Dio s'era costituita in quel popolo. Ecco perché anche il più piccolo degli Apostoli (Cf. 1Co 15,9), il dottore delle genti, scrive: Ebbene io dico: Forse che Dio ha rigettato il suo popolo? No certamente! Infatti, anch'io sono un israelita, della stirpe di Israele, della tribù di Beniamino. Dio non ha rigettato il suo popolo che in anticipo ha conosciuto (Rm 11,1 Rm 2). Questo popolo che, originario dalla gente giudea, si è incorporato al Cristo, è l'eredità di Dio. Infatti, quanto dice l'Apostolo: Dio non ha rigettato il suo popolo che in anticipo ha conosciuto corrisponde alle parole di quel salmo ove sta scritto: Il Signore non scaccerà il suo popolo.Ma siccome poi aggiunge: E non abbandonerà la sua eredità (Ps 93,14), risulta con evidenza che quel popolo è l'eredità di Dio. Per asserire questo, l'Apostolo prima ricorda, è vero, la testimonianza profetica ove si preannunzia la futura incredulità del popolo di Israele e cioè: Per tutto il giorno ho teso le mie mani a un popolo che non crede e contraddice (Rm 10,21 Is 65,2). Però affinché nessuno, comprendendo male, avesse a pensare che tutto intero quel popolo sia stato condannato per la sua incredulità e il suo spirito di contraddizione, subito aggiunge: Ebbene io dico: Forse che Dio ha rigettato il suo popolo? Non sia mai! Infatti, anch'io sono un israelita, della stirpe d'Israele, della tribù di Beniamino. Mostra insomma di qual popolo abbia inteso parlare, e cioè del popolo ebraico del Vecchio Testamento; e dice che se Dio lo avesse riprovato e condannato tutto intero egli non sarebbe potuto essere certamente un apostolo di Cristo, essendo un israelita della discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino. Cita ancora un'altra testimonianza, e decisiva, quando dice: Ma non sapete che cosa dice la Scrittura per bocca di Elia, e in qual modo si rivolge a Dio contro Israele? Signore, hanno ucciso i tuoi profeti, hanno rovesciato i tuoi altari, e io sono stato lasciato solo, ed essi cercano la mia anima. Ma che cosa dice a lui la risposta divina? Ho lasciato per me settemila uomini che non hanno piegato le ginocchia davanti a Baal. Così dunque anche in questa epoca un resto è stato salvato per mezzo dell'elezione della grazia. Questo resto preso in seno a quella gente costituisce l'eredità di Dio; non quelli di cui poco dopo dice: Quanto agli altri, essi sono stati accecati (Rm 11,2-7). Aggiunge infatti: E che, dunque? Ciò che Israele cercava non l'ha ottenuto; gli eletti però lo hanno ottenuto. Quanto agli altri, essi sono stati accecati. Orbene questi eletti, questo resto, questo popolo di Dio che Dio non ha rigettato, è chiamato sua eredità. Quanto a quella parte d'Israele che non ha ottenuto l'elezione, cioè quegli altri che rimasero accecati, non è in questi che bisogna cercare l'eredità di Dio, per cui si possano dire di loro riferendosi al tempo dell'imperatore Tito, dopo la glorificazione di Cristo in cielo, le parole del salmo: O Dio, le genti sono entrate nella tua eredità, e tutte le altre cose che in questo salmo sembrano preannunziare la distruzione di quel popolo, del tempio e della città.

e dai convertiti dal paganesimo.

280 3. Il salmo, quindi, potrebbe essere riferito alle persecuzioni che furono causate agli ebrei da parte di altri nemici, prima che Cristo venisse nella carne. Allora, cioè al tempo dei santi profeti, non c'era altra eredità di Dio: quando, ad esempio, ebbe luogo l'esilio in Babilonia e quel popolo venne gravemente decimato (Cf. Re 2R 24,14); oppure sotto Antioco, quando i Maccabei, sottoposti a orribili tormenti, furono gloriosamente coronati (Cf. Mac 2M 7). Sono narrate, infatti, in questo salmo cose che di solito accadono in guerre sanguinose. Oppure se per l'eredità di Dio che il salmo celebra è da intendersi la comunità dei tempi dopo la resurrezione e l'ascensione dei Signore, allora le parole del sacro testo si riferiscono alle persecuzioni che la Chiesa ha subite a non finire nella persona dei suoi martiri, ad opera degli adoratori degli idoli e dei nemici del nome di Cristo. Sebbene infatti Asaf significhi “ sinagoga ” (cioè assemblea) e questo nome sia di solito riferito al popolo dei giudei, tuttavia in un altro salmo abbiamo già chiaramente dimostrato che anche la Chiesa cristiana può essere detta “ assemblea ”, allo stesso modo come l'antico popolo venne denominato “ chiesa ”. Orbene questa Chiesa, questa eredità di Dio è stata adunata attraverso la fusione di quelli della circoncisione con quei del prepuzio, cioè con la riunione del popolo di Israele con le altre genti: unione effettuatasi ad opera della pietra che i costruttori hanno respinta e che è divenuta testata d'angolo (Ps 117,22). In questo angolo i due popoli si sono riuniti come due pareti provenienti da diverse direzioni, perché egli è la nostra pace, colui che ha fatto di due uno, per riunire in sé i due in un solo uomo nuovo, ristabilendo la pace, e per raccoglierli in un sol corpo riconciliandoli con Dio (Ep 2,14-16). In questo corpo noi siamo figli di Dio e gridiamo: Abba, Padre (Rm 8,15 Ga 4,6). “Abba” parlando nella loro lingua; “Padre” nella nostra. Difatti Abba è la stessa cosa di Padre. Ecco perché il Signore, che pure aveva detto: Io sono stato mandato soltanto per le pecore perdute della casa d'Israele (Mt 15,24), e aveva mostrato a quel popolo con la sua venuta corporale che era stata mantenuta la promessa fatta, dice tuttavia altrove: Ho altre pecore che non appartengono a questo ovile; è necessario che io guidi anch'esse, affinché vi sia un solo gregge e un solo pastore (Jn 10,16). Parole queste che si riferiscono alle genti, alle quali sarebbe andato non con la sua presenza corporale (confermando così le parole: Io sono stato mandato soltanto alle pecore perdute della casa di Israele), ma per mezzo del suo Vangelo, che avrebbero diffuso i bei piedi di coloro che annunziano la pace, che annunziano il bene (Rm 10,15). Infatti, in tutta la terra è echeggiata la loro voce e lino ai confini della terra le loro parole (Ps 18,5). A questo riguardo dice ancora l'Apostolo: Affermo che Cristo Gesù è stato ministro della circoncisione per manifestare la verità di Dio, per confermare le promesse latte ai padri. È come se ribadisse le parole: Sono stato mandato soltanto alle pecore perdute della casa di Israele. Ma l'Apostolo soggiunge: Quanto alle genti, esse glorificano Dio per la sua misericordia, confermando così le parole: Ho altre pecore che non appartengono a questo ovile; è necessario che io guidi anch'esse affinché vi sia un solo gregge e un solo pastore. L'una e l'altra sentenza sono brevemente riassunte nel testo profetico citato dall'Apostolo: Rallegratevi, genti, insieme con il suo popolo (Rm 15,8 Rm 10). Orbene quest'unico gregge sotto un unico pastore è l'eredità di Dio: non soltanto del Padre, ma anche del Figlio. Sono, infatti, voce del Figlio le parole: Le mie corde sono cadute in posti eccellenti; sì, la mia eredità mi è squisita (Ps 15,6); come, viceversa, sono voce della sua eredità le parole riferite dal profeta: Signore, Dio nostro, possiedici (Is 26,13). Il Padre, che certo non può morire, ha lasciato questa eredità al Figlio; e il Figlio con la sua morte l'ha conquistata in una maniera ineffabile e ne ha preso possesso con la resurrezione.

Le persecuzioni subite dalla Chiesa.

4. Riferiamo dunque a questa eredità le parole che profeticamente canta il nostro salmo, e cioè: O Dio, le genti sono entrate nella tua eredità. Vediamo descritto in tali parole l'avvicinarsi delle genti alla Chiesa, non credendo ma perseguitando; l'averla cioè invasa con l'intento di distruggerla e di perderla, come hanno dimostrato tanti esempi di persecuzioni. In tal caso però è necessario che le parole che seguono: Hanno profanato il tuo santo tempio non siano riferite al legno e alle pietre, ma agli uomini stessi, con i quali come pietre vive, a quanto afferma l'apostolo Pietro (Cf. 1P 2,5), è costruita la dimora di Dio. Apertamente anche l'apostolo Paolo dice: Il tempio di Dio è santo, e questo siete voi (1Co 3,17). I persecutori hanno profanato questo tempio in coloro che essi con il terrore e le torture costrinsero a rinnegare Cristo e con ostinata violenza indussero ad adorare gli idoli: dei quali molti si sono ravveduti e han fatto penitenza, purificandosi così della loro contaminazione. Sono, infatti, di uno che si pente le parole: Dalla mia colpa purificami; e le altre: Un cuore puro crea in me, o Dio, e rinnova nelle mie viscere lo spirito retto (Ps 50,4 Ps 50,12). Nel verso che segue: Hanno abbandonato Gerusalemme come una capanna da frutti, nel nome “Gerusalemme” si ha da intendere ancora la Chiesa, quella Gerusalemme libera che è la nostra madre, della quale sta scritto: Rallegrati, o sterile che non generi; esclama e grida, tu che non partorisci; perché molti sono i figli della solinga, più di quelli di colei che ha marito (Ga 4,26 Ga 27 Is 54,1). Nelle parole: Come una capanna per frutti, credo si debba intendere lo spopolamento che ha provocato l'enormità delle persecuzioni. E se si menziona la capanna dei frutti è perché questa viene lasciata nell'abbandono quando non ci sono più frutti. In effetti, quando per le persecuzioni dei gentili la Chiesa sembrò rimanere abbandonata, allora gli spiriti dei martiri passarono alla mensa celeste, come frutti dolcissimi che in gran copia erano maturati nell'orto del Signore.

5. [v 2.] Dice: Hanno gettato i cadaveri dei tuoi servi in pasto agli uccelli del cielo, e le carni dei tuoi santi alle belve della terra. Quanto dice prima con la parola cadaveri, poi ripete dicendo carni. E come prima dice dei tuoi servi poi con una ripetizione dice dei tuoi santi. L'unico cambiamento consiste nel fatto che, mentre prima diceva agli uccelli del cielo, la seconda volta dice alle belve della terra. Meglio hanno tradotto coloro che hanno reso il testo con cadaveri, che non coloro che hanno preferito cose mortali. Sono detti “ cadaveri ”, infatti, soltanto i corpi dei morti; mentre “ cosa mortale ” designa anche il corpo vivente. Orbene, quando gli spiriti dei martiri tornarono, come ho detto, al loro agricoltore quasi fossero frutti, i loro cadaveri e le loro carni furono dai persecutori gettate in pasto agli uccelli del cielo e alle belve della terra. Si voleva far scomparire tutto quanto sarebbe potuto risorgere, senza considerare che colui il quale tiene contati tutti i nostri capelli (Cf. Mt 10,30) avrebbe restaurato ogni cosa intervenendo fin negli occulti recessi della natura.

Universalità delle persecuzioni.

6. [v 3.] Hanno versato il loro sangue come fosse acqua, cioè in gran copia e senza farne alcun conto, intorno a Gerusalemme. Se riteniamo si tratti della città terrena di Gerusalemme, riferiremo il testo al sangue versato dagli ebrei che i nemici scovarono fuori le mura. Ma se ci si deve riferire a quella Gerusalemme della quale è detto: Molti sono i figli della solinga più di quelli di colei che ha marito, intorno a lei significa in tutta la terra. Infatti, in quella profezia dove sta scritto: Molti sono i figli della solinga, più di quelli di colei che ha marito, poco dopo le si dice: E colui che ti ha liberato sarà chiamato Dio di Israele e di tutta la terra (Is 54,1 Is 5). Di conseguenza quando nel nostro salmo si menzionano i confini di questa Gerusalemme, si devono intendere tutti i paesi in cui si estendeva la Chiesa, fruttificando e crescendo in tutto il mondo, allorquando in ogni sua parte infieriva la persecuzione e veniva compiuta la strage dei martiri, il cui sangue era, sì, versato come acqua ma procurava ad essi grandi tesori nel cielo. Le parole che seguono: E non c'era chi desse sepoltura mostrano come non sia affatto inverosimile quanto dovette accadere in certe regioni, che cioè così grande era il terrore che non si trovava più nessuno disposto a seppellire i corpi dei santi; e che in molti luoghi i cadaveri giacquero a lungo insepolti prima di essere, per così dire, rubati da pietosi fedeli e così sepolti.

7. [v 4.] Dice: Siamo divenuti vituperio per i nostri vicini. Era certamente preziosa la morte dei santi, ma al cospetto del Signore, non al cospetto degli uomini, per i quali costituiva una vergogna (Cf. Ps 115 Sal Ps 15). Scherno e derisione, oppure, come hanno tradotto alcuni, zimbello per coloro che ci stanno intorno.Si tratta di una ripetizione di quanto detto prima. Ripete, infatti, la parola vituperio sostituendovi scherno e derisione; e con la perifrasi per coloro che ci stanno intorno ripete quanto detto prima: Per i nostri vicini. Orbene se ci riferiamo alla Gerusalemme che è libera ed è nostra madre, i suoi vicini e coloro che le stanno intorno sono i nemici in mezzo ai quali abita la Chiesa che ne è circondata in tutto il mondo.

I flagelli del Signore.

8. [v 5.] Ormai comincia a recitare manifestamente la sua preghiera, indicando così che il ricordo delle sciagure passate non era una semplice reminiscenza ma un lamento. Dice: Fino a quando, Signore? Sarai adirato per sempre? Avvamperà come fuoco la tua indignazione? Prega Dio perché non si adiri per sempre, cioè perché quella grave angustia, quella tribolazione, quella strage non continui sino alla fine. Prega Dio perché temperi il suo castigo, come si dice in un altro salmo: Tu ci nutrirai con il pane delle lacrime e ci disseterai nelle lacrime a misura (Ps 79,6). Infatti Fino a quando, Signore? sarai sempre adirato? è come dire: Signore, non ti adirare per sempre! E alle parole che seguono: Avvamperà come fuoco la tua indignazione? dobbiamo sottintendere: Fino a quando? e per sempre? Come se dicesse: Fino a quando avvamperà per sempre come fuoco la tua indignazione? Queste parole debbono essere sottintese come sopra debbono essere sottintese le altre: Hanno gettato in pasto. Infatti, mentre prima diceva: Hanno gettato i cadaveri dei tuoi servi in pasto agli uccelli del cielo, poi non ripete questo verbo ma semplicemente: E le carni dei tuoi santi alle belve della terra (Ps 78,2). Ovviamente però il verbo che leggiamo prima vi deve essere sottinteso e cioè: Hanno gettato in pasto. Quanto all'ira e alla gelosia di Dio, non sono turbamenti di Dio come credono alcuni che non comprendono queste Scritture; ma col termine di “ ira ” si intende la vendetta che egli si prende delle colpe, e col nome di “ gelosia ” una esigenza di purezza, per la quale l'anima non disprezzi la legge del suo Signore e non se ne allontani tradendo il suo Dio. Quando riguardano l'uomo, questi sentimenti producono come effetto il turbamento e l'uomo se ne affligge; se invece toccano Dio, sono perfettamente tranquilli, tanto è vero che a lui è detto: Ma tu, Signore degli eserciti, con tranquillità giudichi (Sg 12,18). Con queste parole, poi, è dimostrato a sufficienza che le tribolazioni colpiscono gli uomini a causa dei loro peccati, e queste ci sono per tutti, anche per i fedeli. Da tali tribolazioni fiorisce la gloria del martirio mediante il dono della pazienza, quando cioè con il dominio ordinato della virtù si sa sopportare amorevolmente il flagello del Signore. Lo attestano i Maccabei in mezzo ai crudeli tormenti (Cf. Mac 2M 7), lo attestano i tre giovani risparmiati dalle fiamme (Cf. Da 3,21), lo attestano i santi profeti in prigionia. Essi sopportavano con fortezza e con amore la punizione che Dio qual padre infliggeva; tuttavia non han mancato di dire che tutto questo capitava loro per i peccati. E anche nei salmi si ode la loro voce che dice: Correggendomi mi ha punito il Signore, e non mi ha abbandonato alla morte (Ps 117,18). Egli infatti flagella ogni figlio che accoglie; e qual è il figlio al quale suo padre non impone una disciplina (Cf. He 12,6 He 7)?

Castighi divini e responsabilità umana.

9. [v 6.] Prosegue: Sfoga la tua ira contro le genti che non ti conoscono e contro i regni che non hanno invocato il tuo nome. Si tratta anche qui di una profezia, non di un augurio. Non sono dette, queste cose, con desiderio di male; le si predicano come sono rivelate dallo spirito profetico. Così a proposito del traditore Giuda, le sciagure che dovevano colpirlo per le sue colpe sono profetate in modo che potrebbero sembrare quasi dei desideri. E così quando il profeta rivolge a Cristo le parole: Cingiti la spada al fianco, o potentissimo: nella tua bellezza e nella tua leggiadria avanza, maestoso procedi e regna (Ps 44,4 Ps 5). Anche se dette all'imperativo non sono certo un comando. Allo stesso modo quando si dice: Sfoga la tua ira contro le genti che non ti conoscono, la frase non contiene un desiderio ma una predizione. Come è suo costume poi il salmista ripete il concetto dicendo: E contro i regni che non hanno invocato il nome tuo. Dicendo “ regni ” ripete l'idea di “ genti ”; e l'idea che non conoscono Dio è ripetuta con le parole: Non hanno invocato il suo nome. In questo contesto, se cioè l'ira di Dio è più grande contro le genti che non hanno conosciuto il Signore, come spiegheremo le parole che il Signore dice nel Vangelo: Il servo che senza conoscere la volontà del suo padrone fa cose degne di castigo, sarà punito poco; invece il servo che fa cose degne di castigo conoscendo la volontà del suo padrone, sarà punito molto (Lc 12,48 Lc 47)? Dicendo: Sfoga la tua ira, con questa parola mostra a sufficienza che deve trattarsi di una grande ira; tanto che andando avanti dice: Rendi ai nostri vicini sette volte tanto (Ps 78,12). Vuol dire forse che c'è molta differenza tra i servi, i quali anche se non conoscono la volontà del loro Signore tuttavia ne invocano il nome, e coloro che sono estranei alla famiglia di un così grande padrone di casa e si trovano in una tale ignoranza di Dio da non invocarlo neppure? Al suo posto, infatti, essi adorano gli idoli oppure i demoni oppure una qualsiasi creatura, non il Creatore che è benedetto nei secoli il profeta nella sua predizione non si riferisce a coloro che non conoscendo la volontà del loro Signore tuttavia lo temono. Al contrario parla di quei tali che sono talmente ignari del Signore da non invocarlo neppure, anzi da ergersi a nemici del suo nome. C'è insomma molta differenza tra i servi che, pur ignorando la volontà del loro padrone, tuttavia vivono nella sua famiglia e nella sua casa, e i nemici che non solo non vogliono conoscere il loro padrone ma neppure invocano il suo nome, e per di più combattono contro i suoi servi.


Agostino Salmi 277