Agostino Salmi 51

SUL SALMO 51

51 Ps 51

ESPOSIZIONE

DISCORSO AL POPOLO

178 David figura di Cristo.

1. Il salmo di cui abbiamo cominciato a parlare alla vostra Carità è breve; ma il titolo presenta alcune difficoltà. Sopportateci dunque con pazienza, finché non lo avremo spiegato come possiamo, con l’aiuto del Signore. Non si tratta di cose su cui si possa tranquillamente sorvolare. E siccome ai fratelli è piaciuto non soltanto raccogliere le nostre parole con l’udito e col cuore, ma gradiscono pure metterle in iscritto, dobbiamo pensare non solo a chi ci ascolta, ma anche a chi ci leggerà. Lo spunto per questo salmo lo si ebbe in quell’episodio che vi abbiamo fatto leggere dal libro dei Re. Il re Saul non era stato eletto dal Signore perché avesse una dinastia duratura, ma era stato dato al popolo a causa della durezza e della malvagità del suo cuore: era stato dato come punizione e non perché ne traessero dei vantaggi (Cf.
1S 8,7), secondo la sentenza della Sacra Scrittura ove si dice che Dio fa regnare l’uomo ipocrita per i peccati del popolo (Jb 34,30). Orbene, Saul, che era così come si è detto, perseguitava David (Cf. 1S 18-24), in cui si prefigurava il regno dell’eterna salvezza e che Dio aveva scelto perché, attraverso la sua discendenza, sopravvivesse senza fine. Dalla stirpe di David doveva infatti venire, secondo la carne (Cf. Rm 1,3), il nostro re, il re dei secoli con il quale regneremo in eterno. Dio dunque aveva scelto (o, meglio, prescelto) David e lo aveva predestinato al regno; tuttavia non volle che si impadronisse di questo regno prima che fosse liberato dai persecutori: affinché in un tal modo di procedere potessimo essere raffigurati anche noi, cioè il suo corpo, del quale Cristo è il capo (Cf. Col 1,18). Ebbene, se lo stesso nostro capo non ha voluto regnare in cielo senza avere prima sofferto in terra, né ha voluto innalzare alla gloria il corpo che aveva assunto quaggiù se non attraverso la via della tribolazione, come oseranno sperare le membra di poter essere più felici del loro capo? Se hanno chiamato Beelzebub il padrone di casa, quanto più i suoi familiari? (Mt 10,5) Non speriamo per noi una via meno aspra: andiamo per quella che egli ha battuta; seguiamolo ove egli ci ha preceduti. Se ci allontaniamo dalle sue orme, siamo perduti. Vedete dunque che cosa era prefigurato in David e che cosa era prefigurato in Saul: in Saul il regno del male, in David il regno del bene; in Saul la morte, la vita in David. Infatti è soltanto dalla morte che noi siamo perseguitati; ma di essa alla fine trionferemo, quando potremo dire: Dove è, o morte, la tua prepotenza? Dove è, morte, il tuo aculeo? (1Co 15,55) Che significa ciò che dico, e cioè che siamo perseguitati solo dalla morte? Significa che, se noi non fossimo mortali, in nulla il nemico ci potrebbe nuocere. Può forse qualcosa contro gli angeli? Dunque anche la morte, dalla quale soprattutto siamo perseguitati e la cui ostilità cesserà alla fine quando saremo risorti dai morti, come ha perso vigore nel nostro capo, così avrà fine anche per noi se saremo trovati giusti. Infatti egli morendo ha ucciso la morte, ed è più vero che la morte fu debellata ad opera di lui, che non lui ad opera della morte.

Saul re di morte.

2. Infine se prestiamo attenzione al nome stesso, vediamo che non è privo di significato misterioso: Saul infatti significa “ domanda ”, cioè “ desiderio ”. E potremo forse dubitare di esserci procurati questa morte da noi stessi? Di fatto la morte ha avuto origine dal peccato dell’uomo; per cui giustamente diciamo che l’uomo stesso ha desiderato per sé la morte, e perciò “desiderio” è un nome di morte. Infatti sta scritto: Dio non fece la morte, né gode della rovina dei viventi. Dio infatti creò ogni cosa perché fosse; e fece salutari le stirpi dell’universo. E, come se tu le avessi chiesto donde venga la morte, aggiunge la Scrittura: Ma gli empi con gli atti e con le parole l’hanno chiamata su di sé e credendola amica ne sono stati consunti (Sg 1,13 Sg 14 Sg 16). Dunque le corsero incontro desiderandola, e precipitarono nella morte credendola amica, così come il popolo, ritenendolo a sé giovevole, richiese un sovrano che gli doveva poi risultare nocivo. Il popolo pretese dal Signore di avere un re e gli fu dato Saul, nelle cui mani essi furono, per così dire, consegnati: così essi con le opere e le parole chiamarono la morte, raffigurata nello stesso Saul. Ecco perché il salmo diciassettesimo ha questo titolo: Nel giorno in cui il Signore lo strappò dalle mani di tutti i suoi nemici e dalle mani di Saul (Ps 17,1). Prima son menzionati tutti i suoi nemici e poi è detto: Dalle mani di Saul, perché l’ultimo nemico che sarà distrutto sarà la morte (Cf. 1Co 15,26). Che significano dunque le parole: E dalle mani di Saul?Significano che Cristo ci ha strappati dall’abisso e liberati dal potere della morte.

Doec e David, individui e collettività.

3. Orbene, quando Saul perseguitava il giusto David, questi si rifugiò dove ritenne di essere al sicuro; e, incontratosi con il sacerdote Achimelec, accettò da lui i pani. In questo episodio è prefigurata la persona non solo di un re ma anche di un sacerdote, perché David mangiò i pani di proposizione, che, come dice il Signore nel Vangelo, potevano essere mangiati solo dai sacerdoti (Mt 12,4). Poi Saul cominciò a cercarlo, e si adirò con i suoi perché nessuno gli voleva rivelare ove fosse. Lo abbiamo appena letto nel libro dei Re. C'era però un certo Doec idumeo, capo dei pastori di Saul, quando David venne dal sacerdote Achimelec. Costui era presente quando Saul si adirava con i suoi perché nessuno voleva svelargli il nascondiglio di David, e gli rivelò dove lo aveva visto. Subito Saul mandò i suoi uomini, fece venire il sacerdote e tutti i suoi, e ordinò che fossero uccisi. Nessuno degli uomini del re Saul, neppure per ordine del sovrano, osava mettere la mano sui sacerdoti del Signore; ma colui che aveva tradito come Giuda, il quale non desistette dal suo proposito e sino alla fine continuò a dar frutto da quella radice di tradimento (e quale frutto, se non quello che porta l’albero cattivo?), quel tal Doec, insomma, per ordine del re, uccise di sua mano il sacerdote e tutti i suoi uomini. In seguito fu distrutta anche la città dei sacerdoti (Cf. 1S 21 1S 22). Troviamo dunque che questo Doec è nemico del re David e del sacerdote Achimelec. Doec è una singola persona, ma rappresenta una categoria di uomini; così come David è insieme figura di re e di sacerdote, quasi individuo con duplice personalità, ma sempre nell’ambito dell’unico genere umano. Orbene, anche in questo tempo e nella vita presente sappiamo riconoscere queste due categorie di uomini, in modo che torni a nostra utilità sia ciò che cantiamo sia ciò che ascoltiamo cantare. Sappiamo dunque riconoscere dove oggi sia Doec: dove sia la persona del re e del sacerdote, e dove sia la genia degli uomini che si oppongono al re e al sacerdote.

I cittadini dei due regni vivono ora mescolati.

4. Badate, anzitutto, ai nomi e notate quanto siano misteriosi. Doec significa “ movimento ”; idumeo significa “ terreno ”. Vedete già quale stirpe di uomini rappresenti questo Doec o “ movimento ”: non quella che persevera per l’eternità, ma quella che è soggetta a migrazioni. “ Terreno ”. Come potete attendervi dei frutti dall’uomo terreno? L'uomo celeste vivrà in eterno. Per dirla in breve e per spiegarmi subito, c'è, dunque, ora in questo mondo un regno terreno e c'è anche un regno celeste. Ambedue i regni, quello terreno e quello celeste, quello che dovrà essere sradicato e quello che dovrà essere piantato per l’eternità, hanno dei cittadini che sono di passaggio. Ora in questo mondo i cittadini di ambedue i regni sono mischiati; le compagini dei due regni sono intrecciate. Il regno celeste geme in mezzo ai cittadini del regno terreno e talvolta - non dobbiamo tacerlo - in certo modo il regno terreno tenta di schiacciare i cittadini del regno celeste, come anche, a sua volta, il regno celeste fa violenza sui cittadini del regno terreno. Ve lo dimostreremo con la Scrittura di Dio. Daniele e i tre fanciulli di Babilonia furono preposti agli affari del re (Cf. Da 2,49); in Egitto Giuseppe fu nominato dal re suo sostituto per amministrare lo Stato (Cf. Gn 41,40): proprio quello Stato da cui il popolo di Dio doveva essere liberato. In certo qual modo Giuseppe pesava su quello Stato, come quei tre fanciulli e come Daniele. È manifesto dunque che il regno terreno si serviva per delle sue opere, cioè per opere di dominio (non però per quelle malvagie), di cittadini del regno dei cieli. E in che senso anche il regno dei cieli si serve temporaneamente, finché è su questo mondo, di cittadini del regno terreno? Non parla di costoro l’Apostolo, quando dice che certuni annunziavano il Vangelo senza rettitudine, cioè predicavano il regno dei cieli desiderando le cose terrene e, cercando il proprio interesse, annunziavano Cristo? E affinché sappiate che anche costoro erano assunti, sia pure in qualità di mercenari, per la predicazione del regno dei cieli, l’Apostolo, lieto per essi, dice: Ve ne sono alcuni che per invidia e spirito di rivalità annunziano Cristo, non per retti motivi, ma credendo di suscitare tribolazioni alle mie catene. E che importa? Purché in ogni caso - sia rettamente che per secondi fini - Cristo venga annunziato, di questo io godo e godrò (Ph 1,17 Ph 18). Di tali uomini parla anche Cristo, quando dice: I farisei e gli scribi sono seduti sulla cattedra di Mosè. Fate ciò che dicono, ma non fate ciò che fanno; perché dicono e non fanno (Mt 23,2 Mt 3). Ciò che essi dicono si riferisce a David; ciò che fanno riguarda Doec. In loro, cioè in quel che essi dicono, ascoltate me, ma non imitate le loro azioni. Queste due categorie di uomini esistono oggi sulla terra. E proprio di questi due generi di uomini canta il nostro salmo.

Achimelec o Abimelec?

5. [vv 1. 2.] Il titolo del salmo reca: Per la fine, intelligenza di David, quando venne l’idumeo Doec e annunziò a Saul: David è andato in casa di Abimelec. Leggiamo invece che David era andato in casa di Achimelec. Può darsi che questo titolo sia stato alterato, come possiamo ben ritenere data la somiglianza dei due nomi, e dato che la differenza consiste in una sola sillaba, o meglio in una sola lettera. In effetti, stando ai codici che abbiamo consultati, nel nostro salmo abbiamo trovato più spesso Abimelec che Achimelec; altrove però si trova un caso più vistoso: quello di un salmo che presenta non una variante nel nome, ma proprio un nome diverso. In detto salmo ci si riferisce a David quando mutò il suo volto dinanzi al re Achis (non dinanzi al re Abimelec!) e poté sfuggirlo e andarsene. Eppure il titolo del salmo è così scritto: Quando mutò il suo volto al cospetto di Abimelec (Ps 33,1). Tale mutamento dei nomi ci fa più attenti e ci invita a considerare il significato nascosto, perché non ci avvenga di attendere solo ai fatti trascurando la sostanza velata. In quel salmo discutemmo sul nome Abimelec, e riscontrammo che esso significa: Il regno del padre mio. Ma in qual modo David abbandonò il regno del padre suo, e se ne andò, se non allo stesso modo in cui Cristo abbandonò il regno dei giudei e se ne andò ai gentili? Probabilmente, anche nel nostro caso, lo Spirito profetico, nel porre sulla testata del nostro salmo questo titolo, ha voluto che si dicesse non Achimelec, ma Abimelec, perché fu proprio quando venne al regno del padre suo che David fu consegnato al suo nemico. Cioè: il Signore nostro Gesù Cristo venne tradito, quando venne nel regno dei giudei istituito dal Padre suo, del quale regno sta scritto: A voi sarà tolto il regno di Dio, e sarà dato a gente che faccia i suoi frutti nella giustizia (Mt 21,43). Allora infatti fu consegnato alla morte, simboleggiata in Saul. David tuttavia non fu ucciso, come non lo fu nemmeno Isacco, che pure raffigurava la passione del Signore; e, tuttavia, l’immagine non fu senza sangue, tanto nel primo caso con l’uccisione dell’ariete (Cf. Gn 22,12), come nel secondo con l’assassinio del sacerdote Achimelec. Non era infatti conveniente che fossero uccisi coloro che allora non sarebbero potuti risorgere; ma Gesù, liberando la loro vita dal pericolo di morte - non senza spargimento di sangue - indicava la resurrezione, che in costoro era solo prefigurata, mentre nella realtà era riservata al vero Signore. Molte altre cose potrebbero essere dette a questo proposito, se il compito che ci fossimo proposti per questo discorso fosse l’esame dettagliato dei misteri contenuti in quelle antiche vicende.

Mescolati nel tempo, divisi alla fine.

179 6. Soffermiamoci ora un istante su queste due categorie di uomini, che abbiamo ricavato dall’esame del titolo, portato a termine, anche se con molta fatica e forse con troppe parole, ma tuttavia così come il Signore ci ha concesso. Osservate queste due categorie: una, di coloro che soffrono; l’altra, di coloro in mezzo ai quali si soffre. Gli uni pensano alla terra, gli altri pensano al cielo; i primi abbandonano il cuore alle cose basse e terrene; gli altri lo tengono unito agli angeli. Gli uni ripongono la loro speranza nelle cose della terra, su cui esercita il suo dominio il mondo presente; gli altri si ripromettono i beni celesti che sono stati loro promessi da Dio che non mentisce. Ma queste due specie di uomini son mischiate tra loro. S'incontra talvolta un cittadino di Gerusalemme, un cittadino del regno dei cieli, collocato in terra in posti di governo. Eccolo indossare la porpora: è magistrato, edile, proconsole, imperatore; ha il governo della società terrena. S'egli è cristiano, se è fedele, se è pio, se disprezza le cose fra le quali si ritrova implicato e spera quelle che ancora non possiede, il suo cuore è volto verso il cielo. A questo genere di uomini appartenne quella santa donna che fu Ester: la quale, essendo la moglie del re, si espose al pericolo intercedendo per i suoi concittadini e, mentre pregava al cospetto di Dio dinanzi al quale non si può mentire, nella sua orazione disse che reputava tutti i suoi ornamenti regali come il panno di una donna immonda (Cf. Est 14,16). Non disperiamo dunque dei cittadini del regno dei cieli, quando li vediamo occupati in affari di Babilonia, quando cioè li vediamo dediti a qualcosa di temporale nella società terrena; come, viceversa, non siamo troppo frettolosi nel rallegrarci con tutti gli uomini che vediamo occuparsi delle cose che riguardano il regno dei cieli. Infatti anche uomini pestilenziali seggono talvolta sulla cattedra di Mosè, e di costoro è detto: Fate quello che dicono, ma non fate quello che fanno; perché dicono e non fanno (Mt 23,3). I primi, pur negli affari terreni, custodiscono il loro cuore rivolto verso il cielo; i secondi, pur vivendo a contatto con parole celesti, trascinano il cuore sulla terra. Ma verrà il tempo della vagliatura, e allora le due categorie saranno nettamente distinte: neppure un chicco di grano passerà nel mucchio della paglia che dovrà essere bruciata, e neppure un filo di paglia passerà nel mucchio di grano che dovrà essere serbato nel granaio (Cf. Mt 3,12). Adesso però, finché le cose sono mischiate, sappiamo ascoltare nelle parole del salmo la nostra stessa voce, cioè la voce dei cittadini del regno dei cieli (dato che a questo dobbiamo tendere, cioè sopportare i malvagi piuttosto che farci sopportare dai buoni), e uniamoci a questa voce con l’orecchio, con la lingua, con il cuore e con le opere. Se così faremo, saremo noi stessi a parlare con le parole che abbiamo udite. Ci si parli dunque, per prima cosa, dell’empia compagine del regno terrestre.

Inanità della potenza dei malvagi.

7. [v 3.] Perché si gloria nella malizia colui che è potente? Osservate, fratelli miei, la gloria della malizia, la gloria degli uomini malvagi. Che cosa è questa gloria? Perché si gloria nella malvagità il potente? Più precisamente: perché si gloria colui che è potente nella malvagità? Conviene essere potenti, ma nella bontà, non nella malizia. Gran cosa menar vanto del male! Costruire la casa è di pochi, ma qualsiasi ignorante può distruggerla. Seminare il grano, coltivare la messe, aspettare finché maturi, rallegrarsi del frutto per il quale si è lavorato, è di pochi; incendiare tutta la messe con una sola scintilla può, invece, farlo chiunque. Avere un figlio, una volta nato nutrirlo, educarlo, condurlo all’età giovanile, è una grande impresa; mentre invece basta un solo istante per ucciderlo e un qualsiasi demente può farlo. Poiché, quando si tratta di distruggere, la cosa è ben facile. Chi si gloria, dunque, nel Signore si glori (1Co 1,31): chi si gloria, si glori nella bontà. Tu invece ti glori perché sei potente nel male. Che cosa farai, o potente, che cosa farai per vantarti così? Ucciderai un uomo? Ma questo può farlo anche uno scorpione, la febbre, un fungo velenoso. A questo si riduce dunque tutta la tua potenza: ad essere come quella di un fungo velenoso? Ecco al contrario ciò che realizzano i buoni, i cittadini di Gerusalemme, i quali si gloriano non della malizia, ma della bontà. Prima di tutto essi si gloriano non in sé, ma nel Signore. Inoltre quel che essi compiono a scopo di edificazione, lo compiono con diligenza interessandosi di cose che abbiano valore duraturo. Che se compiono qualcosa in cui ci sia della distruzione, ciò essi fanno a edificazione degli imperfetti, non per opprimere gli innocenti. Se dunque a un potere malefico viene rapportata quella compagine terrena, perché non vorrà ascoltare quelle parole: Perché si gloria nella malizia colui che è potente?

Il peccatore si porta in cuore la propria punizione.

8. [v 4.] Nella iniquità tutto il giorno la tua lingua ha tramato ingiustizia. Nella iniquità tutto il giorno: cioè per tutto il tempo, senza mai stancarsi, senza intervallo, senza pausa. Anche quando non commetti l’ingiustizia, la trami; per cui, anche quando l’azione malvagia è assente dalle tue mani, non è assente dal tuo cuore. Tu o fai il male, oppure, quando non puoi farlo, lo dici, cioè maledici; e, quando neppure questo puoi, desideri e pensi il male. Per tutto il giorno dunque: cioè senza smettere mai. A questo punto è ovvio attendersi il castigo per un uomo siffatto. Ma forse che è piccola pena egli a se stesso? Tu puoi minacciarlo, e, mentre lo minacci in quale sciagura lo vorresti sprofondare? Abbandonalo a se stesso. Per incrudelire fortemente con lui, tu lo vorresti gettare alle belve; ma abbandonarlo a se stesso è peggio che darlo alle bestie. La belva, infatti, può dilaniare il suo corpo, ma egli non riuscirà a lasciare senza ferite il suo cuore. Nel suo intimo egli infierisce contro se stesso, e tu vorresti procurargli delle piaghe esterne? Prega piuttosto Dio per lui, affinché sia liberato da se stesso. Peraltro in questo salmo, fratelli miei, non c'è una preghiera per i malvagi, e neppure contro i malvagi; esso è una profezia di ciò che capiterà ai malvagi. Non crediate perciò che il salmo nelle sue parole sia ispirato a cattiveria; ogni sua espressione è infatti pronunziata in spirito di profezia.

Retto uso delle cose superflue.

9. Che cosa segue? Tutta la tua potenza, tutto il tuo tramare ingiustizia per l’intero giorno, l’esercizio di malignità a cui ti dedichi senza tregua con la tua lingua, che cosa opera? che cosa fa? Come rasoio affilato hai compiuto l’inganno. Ecco che cosa fanno i malvagi ai santi: radono loro i capelli. Che significano queste parole? Se i cittadini di Gerusalemme sanno udire la voce del loro Signore, del loro re che dice: Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima (Mt 10,28); se sanno prestare ascolto alla voce che ora è stata letta dal Vangelo: Che cosa giova all’uomo guadagnare tutto il mondo, se danneggia se stesso? (Mt 16,26) essi allora disprezzano tutte le ricchezze terrene, anzi la vita stessa. E che cosa farà il rasoio di Doec all’uomo che in questa terra pensa al regno dei cieli e che in questo regno è destinato a vivere, che ha Dio con sé e che resterà in eterno insieme con Dio? Che cosa gli farà quel rasoio? Gli raderà i capelli, lo renderà calvo. E questo gioverà a metterlo in relazione con Cristo, il quale fu appunto crocifisso nel luogo del Calvario. Lo renderà pure figlio di Core, che significa “ calvizie ”. I capelli infatti raffigurano il superfluo delle cose temporali. Certamente i capelli non sono stati posti inutilmente da Dio nel corpo degli uomini, ma perché gli fossero in qualche modo di ornamento; tuttavia, siccome essi vengono tagliati senza che ce se ne accorga, coloro che con il cuore aderiscono al Signore considerano le cose terrene come se fossero capelli. Ma talvolta anche con i capelli si può compiere il bene: come quando tu spezzi il pane all’affamato, conduci in casa tua il misero senza tetto, e vesti colui che trovi nudo (Cf. Is 58,7). Infine anche i martiri, quando, imitando il Signore, versarono il sangue per la Chiesa e misero in pratica quella parola: Come Cristo dette la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli (1Jn 3,16), in un certo qual modo fecero del bene a noi mediante i loro capelli: servendosi cioè di cose che si potevano tagliare o radere col rasoio. E che anche con i capelli si possa compiere del bene, lo dimostrò quella donna peccatrice, la quale, piangendo ai piedi del Signore, li asciugò con i suoi capelli, dopo averli lavati con le lacrime (Cf. Lc 7,38). Che si vuol significare con questo? Significa che, se hai davvero nel cuore la compassione per qualcuno, devi anche soccorrerlo, se puoi. Quando infatti manifesti compassione, è come se tu piangessi; quando soccorri, asciughi con i capelli. E se questo puoi farlo con chiunque, quanto più con i piedi del Signore? Che cosa sono i piedi del Signore? Sono i santi evangelizzatori, dei quali è detto: Quanto sono belli i piedi di coloro che annunziano la pace, che annunziano il bene! (Is 52,7 Rm 10,15) Affili dunque Doec la sua lingua come un rasoio, prepari l’inganno con tutto l’acume che può: ci toglierà i beni superflui e temporali, mai però quelli necessari ed eterni.

Il malvagio con suo danno preferisce il male al bene.

10. [v 5.] Hai amato la malizia più della bontà. Dinanzi a te era la bontà: quella avresti dovuto amare. Non dovevi pagare per ottenerla, né dovevi intraprendere una lunga navigazione per procurarti l’oggetto del tuo amore. Stanno dinanzi a te la bontà e l’iniquità: confrontale e scegli. Ma, forse, tu hai occhi che vedono la malizia, e non hai occhi per vedere la bontà. Guai a chi ha iniquo il cuore! Egli - cosa ancora più detestabile - distoglie il suo sguardo per non vedere ciò che potrebbe vedere. Che cosa è detto, infatti, di costoro in un altro passo? Non ha voluto intendere per agire bene. Non è detto: Non ha potuto; ma: Non ha voluto intendere per agire bene. Ha chiuso gli occhi alla luce che l’avvolgeva. E che cosa dice dopo? Ha meditato l’ingiustizia nel suo giaciglio (Ps 35,4 Ps 5), cioè nell’intimo segreto del suo cuore. Ecco ciò che si rinfaccia a questo Doec idumeo, a questa categoria di uomini malvagi, a questo “movimento terreno” che non rimarrà in eterno né appartiene al cielo. Hai amato la malizia più della bontà. Vuoi sapere come il malvagio veda l’una cosa e l’altra e come scelga la malignità voltando le spalle alla bontà? Non grida egli, forse, quando soffre qualcosa ingiustamente? Non è forse vero che in questo caso egli esagera quanto può l’ingiustizia subita e loda la bontà, rimproverando colui che l’ha trattato con malevolenza e non con benevolenza? Sia lui stesso la norma su cui specchiare la propria condotta! Egli verrà giudicato dal suo stesso comportamento. Senza dubbio, se facesse ciò che è scritto: Amerai il tuo prossimo come te stesso (Mt 22,39), e: Il bene che volete che gli uomini facciano a voi, fatelo anche voi a loro (Mt 7,12), comprenderebbe immediatamente da solo perché non deve fare agli altri le cose che non vuole siano fatte a sé (Cf. Tb 4,16). Hai amato la malizia più della bontà. Con la violenza, disordinatamente, contro natura tu vuoi sollevar l’acqua al di sopra dell’olio; l’acqua andrà per forza sotto e l’olio verrà a galla. Vuoi porre la luce sotto le tenebre; le tenebre saranno fugate, e la luce resterà. Vuoi collocare la terra al disopra del cielo; per la sua gravità la terra ricadrà al suo posto. Tu dunque, se amerai la malizia più che non la bontà, sprofonderai, poiché mai la malizia riuscirà a stare sopra la bontà. Hai amato la malizia più della bontà: l’iniquità più che il parlare secondo equità. Ecco: dinanzi a te stanno l’equità e l’iniquità. Hai una sola lingua e tu la puoi volgere dove vuoi. Perché usarla per l’ingiustizia invece che per la giustizia? Al tuo stomaco non dai cibi amari, e vuoi dare alla tua lingua maligna il cibo dell’iniquità? Come scegli di che nutrirti, così scegli ciò che devi dire. Ti vedo accordare la preferenza all’ingiustizia anziché alla giustizia, alla malizia anziché alla bontà. Tu preferisci le prime, ma, in realtà, chi potrà avere il sopravvento se non la bontà e la giustizia? E, quanto a te stesso, mettendoti, per così dire, in groppa a cose che necessariamente tendono al basso, non otterrai che esse salgano al di sopra delle cose buone, ma, insieme con esse, sprofonderai nel male anche tu.

11. [v 6.] Ecco perché il salmo continua così: Hai amato ogni parola di affondamento. Liberati dunque, se puoi, dallo sprofondare. Vuoi scampare al naufragio, e ti aggrappi al piombo? Se non vuoi essere sommerso abbraccia la tavola, lasciati portare dal legno: ti sia condottiera la croce. Ma ora che tu sei Doec l’idumeo, cioè movimento e uomo terreno, che cosa fai? Hai amato ogni parola che porta a sprofondare, la lingua ingannatrice. La lingua ingannatrice precede le parole che portano a sprofondare. Queste la seguono. Che cosa è una lingua ingannatrice? La lingua ingannatrice è dispensatrice di menzogna; e di essa si servono coloro che una cosa hanno nel cuore e un'altra manifestano con le parole. Ma in costoro, come c'è sovvertimento, così ci sarà anche sprofondamento.

Radice delle opere buone è la carità.

180 12. [v 7.] Per questo Dio ti distruggerà alla fine, anche se ora tu sembri verdeggiare come erba nel campo prima che sopraggiunga la calura del sole. Perché ogni essere di carne è erba, e lo splendore dell’uomo è come il fiore dell’erba: l’erba inaridisce e il fiore cade; ma le parole del Signore restano in eterno. Ecco a che cosa devi aggrapparti: a ciò che resta in eterno (Cf. Is 40,6-8). Se infatti ti attaccherai all’erba e al fiore dell’erba, siccome l’erba si secca e il fiore inaridisce ti distruggerà Dio alla fine. Anche se non ora, certamente alla fine ti distruggerà: quando verrà la vagliatura e il cumulo della paglia sarà separato dalla massa del grano. Forse che il buon frumento non andrà nel granaio, mentre la paglia nel fuoco (Cf. Mt 3,12 Mt 13,40)? E questo Doec non andrà tutto intero a finire alla sinistra, quando il Signore dirà: Andate nel fuoco eterno che è stato preparato per il diavolo e gli angeli suoi (Mt 25,41)? Ti distruggerà - dunque - Dio alla fine; ti sradicherà e ti farà migrare dalla tua tenda. Ora infatti questo Doec idumeo è nella tenda; ma il servo non resta per sempre nella casa (Cf. Jn 8,35). Anche se egli compie qualcosa di buono (non certo per le sue opere, ma per la parola di Dio) quando nella Chiesa, sia pur in vista dei suoi interessi (Cf. Ph 2, 2l), dice le cose che sono di Cristo; tuttavia valgono per lui le parole: Dio ti strapperà dalla tua tenda (In verità vi dico che hanno già ricevuto la loro mercede (Mt 6,2)!), e la tua radice dalla terra dei viventi. Noi dobbiamo dunque avere la radice nella terra dei viventi. Ivi sia la nostra radice. La radice rimane nascosta; si vedono i frutti, ma la radice no. La nostra radice è la nostra carità, i nostri frutti sono le nostre opere. È necessario che le tue opere provengano dalla carità, e allora la tua radice sarà nella terra dei viventi. Di qui sarà sradicato questo Doec. Non potrà in alcun modo rimanervi, perché le sue radici non sono gettate in profondità, ma è come quei semi caduti sulla roccia: anche se emettono un po' di radice, tuttavia, non avendo linfa, inaridiscono non appena si leva il sole (Cf. Mt 13,5). Ma coloro che mettono radici profonde, cosa odono dalla bocca dell’Apostolo? Piego le mie ginocchia per voi dinanzi al Padre del nostro Signore Gesù Cristo, affinché siate radicati e fondati nella carità. E poiché la radice è già ivi piantata, aggiunge: Affinché possiate comprendere quale sia l’altezza, la larghezza, la lunghezza e la profondità; e conoscere anche la superiore scienza della carità di Cristo, affinché siate ricolmati in ogni pienezza di Dio (Ep 3,14 Ep 16-19). Di tali frutti è degna una radice così grande: così semplice e insieme così feconda e che si spinge così in profondità nelle sue varie ramificazioni. La radice di Doec, invece, sarà sradicata dalla terra dei viventi.

Temi oggi per godere domani.

13. [v 8.] E i giusti vedranno, e avranno timore, e su di lui rideranno. Quando avranno timore? Quando rideranno? Comprendiamo e distinguiamo questi due tempi, nei quali si debba temere e rallegrarsi con profitto. Finché siamo in questo mondo, non è tempo di ridere, se non vogliamo piangere dopo. Noi leggiamo che cosa è riserbato per la fine a questo Doec; lo leggiamo e, poiché comprendiamo e crediamo, mentre lo vediamo ne abbiamo timore. Proprio questo è detto: I giusti vedranno, e avranno timore. Perché abbiamo timore quando vediamo ciò che alla fine accadrà ai malvagi? Perché l’Apostolo ha detto: Nel timore e nel tremore operate la salvezza di voi stessi (Ph 2,12). E in un salmo è ancora detto: Servite il Signore nel timore, e inneggiate a lui con tremore (Ps 2,11). Perché “ nel timore ”? Perché chi crede di stare in piedi, stia attento a non cadere (1Co 10,12). Perché “ con tremore ”? Perché altrove l’Apostolo dice: Fratelli, se un uomo incorrerà in qualche colpa, voi che siete spirituali correggetelo in spirito di dolcezza: badando però a te stesso, affinché non abbia a essere tentato anche tu (Ga 6,1). Orbene, coloro che ora sono giusti e che vivono nella fede, quando considerano quello che accadrà a questo Doec han da temere anche per se stessi: perché sanno che cosa sono oggi, ma non sanno che cosa saranno domani. Adesso, quindi, i giusti vedranno e avranno timore. Ma, quando rideranno? Quando se ne sarà andata l’iniquità, quando sarà volato via il tempo dell’incertezza (che peraltro è già trascorso in gran parte!), quando saranno poste in fuga le tenebre di questo secolo nelle quali ora camminiamo, rischiarati soltanto dalla fioca luce delle Scritture, tanto che abbiamo timore come se camminassimo nella notte. Camminiamo alla luce della profezia, della quale dice l’apostolo Pietro: Abbiamo la parola dei profeti, sommamente certa: alla quale fate bene ad attenervi come a fiaccola che risplenda in luogo oscuro, finché non brillerà il giorno e la stella del mattino non sorgerà nei vostri cuori (2P 1,19). Finché, dunque, camminiamo seguendo questa fiaccola, è necessario che viviamo con timore. Ma quando sarà spuntato il nostro giorno, cioè alla manifestazione di Cristo, della quale Paolo apostolo dice: Quando apparirà Cristo vita vostra, allora anche voi vi manifesterete con lui nella gloria (Col 3,4); ebbene è allora che i giusti rideranno di questo Doec. Allora infatti non ci sarà più l’obbligo né la possibilità di soccorrere il prossimo. Non sarà più come adesso che, quando vedi un uomo vivere nell’ingiustizia, vorresti subito compiere ogni sforzo perché si corregga. Adesso, infatti, chi è ingiusto può convertirsi e diventare giusto, così come chi è giusto può volgersi indietro e divenire ingiusto. Quindi, non presumere troppo di te stesso e non disperare di lui. E, se sei buono, se non ami la malizia più della bontà, datti da fare, per quanto puoi, al fine di correggere e condurre sulla retta via l’uomo che erra e cammina nella via del male. Quando invece sarà venuto il tempo del giudizio, non vi sarà più posto per la correzione; ci sarà solo la dannazione. Ci sarà, è vero, anche il pentimento, ma non servirà a nulla, perché tardivo. Vuoi che ti giovi il pentimento? Non differirlo; correggiti oggi stesso. Tu sei il colpevole, egli è il giudice: correggi la tua colpa e ti rallegrerai davanti al giudice. Ti esorta oggi per non avere un giorno di che giudicarti; e colui che sarà il tuo giudice, oggi è il tuo avvocato. Allora sarà, o fratelli, il tempo di ridere. Il libro della Sapienza menziona appunto la futura irrisione degli empi da parte dei giusti. Per mezzo di coloro che le appartengono e nelle cui anime lei stessa si trasferisce, la sapienza dice: Io rimproveravo e voi non mi ascoltavate; parlavo e voi non badavate alle mie parole; e io mi farò beffe della vostra perdizione (Pr 1,24-26). Così faranno i giusti nei confronti di quel Doec. Ma, ora, stiamo attenti e abbiamo timore per non essere noi stessi ciò che rimproveriamo a lui. Se lo siamo stati, cessiamo di esserlo, affinché, temendo ora, possiamo ridere dopo.

Povertà e distacco.

14. [v 9.] Ma che cosa diranno allora quelli che rideranno? E su di lui rideranno e diranno: Ecco l’uomo che non ha eletto Dio come suo protettore. Osservate la genìa degli, uomini terreni. Tanto vali, quanto possiedi. È il proverbio degli avari, dei rapaci, di coloro che opprimono gli innocenti, di coloro che invadono le proprietà altrui, che non vogliono restituire ciò che è stato loro affidato. Quale il senso di questo proverbio:, Tanto vali, quanto possiedi? Significa: quanto più denaro avrai, quanto più ne acquisterai, tanto più sarai potente. Ecco l’uomo che non ha eletto Dio come suo protettore, ma ha sperato nella moltitudine delle sue ricchezze. Non dica il povero che, per ipotesi, sia malvagio: Io non sono di questa categoria. Sentendo queste parole del profeta: Ha sperato nella moltitudine delle sue ricchezze, il povero si dà uno sguardo ai propri cenci, e poi ecco che lì vicino ti nota un ricco cristiano elegantemente vestito. Subito dice in cuor suo: “ Il salmo è fatto per costui; come potrebbe riferirsi a me? ”. Non ti escludere, non ti mettere dall’altra parte, se non quando avrai visto e avrai avuto timore, per poter ridere più tardi. Che ti giova, infatti, essere privo di ricchezze se ardi di cupidigia? Nostro Signore Gesù Cristo, dopo aver detto a quel ricco che poi se ne andò via rattristato: Va', vendi tutto quello che hai e dàllo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni e seguimi, aggiunse una sentenza che avrebbe dovuto ingenerare nei ricchi una grande disperazione, quando affermò che sarebbe stato più facile per un cammello passare per la cruna di un ago, anziché per un ricco entrare nel regno dei cieli. Di questo i discepoli furono molto sbigottiti, e dicevano tra sé: Chi potrà mai essere salvato? (Mt 19,21 Mt 24 Mt 25) Pensavano forse solo al ristretto numero dei ricchi, e non tenevano presente quanto grande fosse la moltitudine dei poveri? Non avrebbero potuto ragionare in questa maniera? E cioè: “ Se è difficile, anzi impossibile, che i ricchi entrino nel regno dei cieli come è impossibile che un cammello passi per la cruna d'un ago, vi entrino pure, nel regno dei cieli, tutti i poveri; e che i ricchi ne restino esclusi! Non è, forse, irrilevante il numero dei ricchi? I poveri, invece, sono veramente innumerevoli. Nel regno dei cieli, infatti, non si terrà conto delle tuniche indossate, ma farà da veste, a ciascuno, lo splendore della sua giustizia. E i poveri saranno uguali agli angeli di Dio: rivestiti con la stola dell’immortalità, splenderanno come il sole nel regno del Padre loro (Cf. Mt 13,43). Perché dovremmo dunque preoccuparci o stare in pena per i pochi ricchi? “. Non così pensarono gli Apostoli. Ma, dopo aver sentito le parole del Signore: È più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno dei cieli, che cosa intendevano chiedersi con le parole che si dicevano fra loro: Chi mai potrà esser salvato? Non pensavano alle ricchezze, ma alla cupidigia. Sapevano infatti che anche i poveri, pur non possedendo denaro, sono talvolta pieni di avarizia. E perché vi rendiate conto che nel ricco non è condannato il denaro ma l’avarizia, state attenti a quanto vi dico. Tu stai incantato a guardare quel ricco che è in piedi vicino a te. Eppure può darsi che in lui ci sia il denaro e non ci sia l’avarizia, mentre in te non c'è il denaro ma c'è l’avarizia. Quel povero coperto di piaghe, bersagliato dalla sfortuna, leccato dai cani, senza mezzi, senza cibo, e privo forse dello stesso vestito, fu condotto dagli angeli nel seno di Abramo (Cf. Lc 16,22). Benissimo! e tu che sei povero ora ti rallegri (ma forse che desidereresti anche essere coperto di piaghe? Non è la salute un gran patrimonio?). Nota però che il merito di questo Lazzaro non fu quello della povertà, ma quello della pietà. Tu infatti ti fermi forse a guardare chi sia stato portato in alto, ma non osservi dove fu trasportato. Chi fu trasportato dagli angeli? Un povero, vittima di disgrazie, coperto di piaghe. Dove fu portato? Nel seno di Abramo. Ma leggi la Scrittura e troverai che Abramo era ricco (Cf. Gn 13,2). Perché tu intenda che non sono colpa le ricchezze, ti si fa sapere che Abramo possedeva molto oro, molto argento, molto bestiame una numerosa famiglia. Era ricco, eppure fu nel suo seno che il povero Lazzaro venne trasportato. Il povero nel seno del ricco; o, meglio, tutt'e due ricchi: ricchi ambedue in Dio, e ambedue poveri quanto a cupidigia!

Non la ricchezza ma il presumere della ricchezza è riprovevole.

15. Orbene, di che cosa la Scrittura accusa Doec? Non dice: Ecco l’uomo che fu ricco, ma: Ecco l’uomo che non ha eletto Dio come suo protettore, ma ha sperato nella moltitudine delle sue ricchezze. Non perché abbia posseduto ricchezze, ma perché in esse ha sperato e non ha sperato in Dio, è condannato, è punito, è strappato dalla sua tenda: come quel tale “ movimento terreno ” come la polvere che il vento spazza dalla faccia della terra (Cf. Ps 1,4). Per questo la sua radice è divelta dalla terra dei viventi. Ma che son davvero simili a costui quei ricchi dei quali così dice l’apostolo Paolo: Ordina ai ricchi di questo mondo di non essere alteri, come lo fu Doec, e di non sperare nelle incerte ricchezze? Sperino invece nel Dio vivente! Non come Doec, che non scelse Dio come suo protettore. E che cosa in definitiva ordina a costoro? Siano ricchi in opere buone; donino con facilità, facciano parte agli altri (1Tm 6,17 1Tm 18). E che accadrà se con facilità avranno donato, se avranno fatto parte delle loro ricchezze a chi non ne possiede? Entreranno per la cruna dell’ago? Certo che vi entreranno; infatti proprio per loro vi è già passato il grande cammello. È lui che vi è entrato per primo, lui che, come il cammello, nessuno avrebbe potuto gravare del carico dei patimenti, se prima egli non si fosse spontaneamente adagiato a terra. Ed è lui stesso che ha detto: Ciò che è impossibile agli uomini è facile a Dio (Mt 19,26). Sia dunque riprovato questo Doec; e della sua sorte temano ora i giusti per poi riderne in futuro. Egli è riprovato giustamente poiché non si è scelto Dio come suo protettore. Ben diversamente da ciò che fai tu, il quale, se possiedi del denaro, riponi la tua fiducia in Dio, non nel denaro. E ha sperato nella moltitudine delle sue ricchezze. È divenuto come coloro ai quali, allorché dicevano: Beato il popolo cui appartengono tali cose, cioè le cose terrene, subito replicò colui che reagisce vigorosamente contro questo Doec, dicendo: Beato il popolo il cui Dio è il Signore. Il salmo elenca le cose per le quali costoro chiamavano beato il popolo. Essi parlavano come figli stranieri, come questo Doec idumeo, cioè terreno. La loro bocca, vi è detto, pronunzia vanità; la loro destra è la destra dell’ingiustizia. I loro figli sono come novelle piante rigogliose nella loro giovinezza; le loro figlie sono agghindate e adorne come un tempio; le loro dispense sono piene, e traboccano di questo e di quello; le loro pecore sono feconde, e moltiplicano i loro parti; i loro bovi sono grassi; non c'è breccia nel muro di cinta né passaggio, e neppure strepito nelle loro piazze (Ps 143,11-15). Sembra insomma che godano la grande felicità della pace terrena. Ma colui che è “ terreno ”, è anche “ movimento ”: è come la polvere, che il vento spazza via dalla faccia della terra. Che cosa si rimprovera pertanto a costoro? Non il fatto di possedere tutte queste cose; anche i buoni le posseggono. Che cosa si rimprovera loro? State bene attenti, se non volete rimproverare con leggerezza i ricchi, e se non volete, per contro, presumere troppo della povertà e della miseria. Se non si deve presumere della ricchezza, molto meno si deve presumere della povertà. Soltanto nel Dio vivente si ha da sperare. Da che cosa, dunque, costoro si contraddistinguono? Dal fatto che dicono beato il popolo cui appartengono queste cose. Perciò sono figli estranei, perciò la loro bocca parla di vanità, e la loro destra è la destra dell’ingiustizia Tu, invece, che cosa ritieni per vero? Beato il popolo che ha per suo Dio il Signore!

Il buono serve Dio disinteressatamente.

16. [v 10.] Fu dunque riprovato colui che sperava nella moltitudine delle sue ricchezze, e nella sua vanità agì da prepotente. Cosa c'è infatti di più vacuo di colui che crede il denaro superiore in pregio a Dio stesso? È stato riprovato colui che diceva: Beato il popolo che possiede tutto questo. Ma tu, che consideri beato il popolo il cui Dio è il Signore, come giudichi te stesso? Che cosa speri per te? Io invece - ascolta ora l’altra categoria di uomini - io, invece, sono come olivo fruttifero nella casa di Dio. Non è un uomo solo che parla, ma quell’olivo fruttifero cui sono stati amputati i rami superbi e su cui è stato innestato l’umile olivo selvatico (Cf. Rm 11,17). Come olivo fruttifero nella casa di Dio, ho sperato nella misericordia di Dio. Che cosa avevano fatto, invece, gli altri? Avevano sperato nella moltitudine delle loro ricchezze; perciò la loro radice fu divelta dalla terra dei viventi. Io invece, poiché sono come olivo fruttifero nella casa di Dio, la cui radice viene nutrita, non sbarbicata, ho sperato nella misericordia di Dio. Ma forse che per il tempo presente vi ha confidato? Infatti anche da questo lato talvolta gli uomini sbagliano. Adorano, sì, Dio (e in questo già differiscono da quel tal Doec), ma confidano in Dio per ottenere beni temporali. Dicono, su per giù, dentro se stessi: “Adoro il mio Dio, affinché mi faccia diventare ricco sulla terra o mi dia figli o mi faccia trovare una sposa ”. È Dio sicuramente che dà queste cose, ma Dio non vuole essere amato in vista di tali cose. Perciò spesso dona questi beni anche ai malvagi, affinché i buoni imparino a domandargliene altri. In che senso, dunque, tu dici: Ho sperato nella misericordia di Dio? Forse per ottenere beni temporali? No! Occorre sperare in lui in eterno e nei secoli dei secoli. Dopo aver detto: In eterno, ripete il concetto aggiungendo: Nei secoli dei secoli onde ribadire, con tale ripetizione, come egli sia radicato nell’amore del regno dei cieli e nella speranza dell’eterna felicità.

Dio ci salva perché è misericordioso.

17. [v 11.] Ti loderò per sempre perché così hai fatto. Che cosa hai fatto? Hai dannato Doec, hai incoronato David. Ti loderò per sempre perché così hai fatto. Grande lode, riconoscere che tu l’hai fatto! Che cosa hai fatto, se non quelle cose che sono state dette prima, e per le quali io, come olivo fruttifero nella casa di Dio, spero nella misericordia di Dio in eterno e nei secoli dei secoli? Tu l’hai fatto: l’empio non può giustificare se stesso. Ma chi è colui che giustifica? Sta scritto: A colui che crede in chi giustifica l’empio (Rm 4,5). E ancora: Che cosa hai tu che non l’abbia ricevuto? E, se l’hai ricevuto, perché ti glori come se non l’avessi ricevuto (1Co 4,7), come se tu l’avessi da te stesso? “ Lungi da me il gloriarmi in tal modo! ”, dice questo tale che viene contrapposto a Doec, questo tale che sopporta Doec in terra, finché non sia scacciato dalla tenda e sradicato dalla terra dei viventi. Non mi glorio dimenticando che l’ho ricevuto, ma mi glorio in Dio. E ti loderò, perché così hai fatto. Cioè, perché sei stato tu a farlo: non per i miei meriti ma per la tua misericordia. Che cosa ho fatto io? Se ricordi, antecedentemente io fui bestemmiatore e persecutore e prepotente. Tu invece che cosa hai fatto? Ma ho ottenuto la misericordia perché peccavo senza saperlo (1Tm 1,13). Ti loderò in eterno perché tu hai fatto questo.

181 Dolcezza del nome del Signore.

18. E vivrò nell’attesa del tuo nome, perché è delizioso. È amaro il mondo, mentre il tuo nome è dolce. E se nel mondo ci sono cose dolci, tuttavia è con amarezza che si digeriscono. Il tuo nome supera ogni cosa, non soltanto in grandezza, ma anche in soavità. Infatti, gli iniqui mi hanno raccontato i loro piaceri, ma non erano pari alla tua legge, o Signore (Cf.
Ps 118,85). E guardiamo ai martiri: se nei loro patimenti non avessero sperimentato una qualche dolcezza, non avrebbero potuto reggere con animo sereno a tanta amarezza. Chiunque avrebbe potuto sentire l’amarezza delle pene, ma difficilmente avrebbe potuto gustarne la dolcezza. Il nome di Dio, dunque, è dolce per chi ama Dio al di sopra di ogni piacere. Vivrò nell’attesa del tuo nome, perché è delizioso. E a chi potrai dimostrare che esso è davvero dolce? Occorre un palato capace di gustare una tale dolcezza. Loda pure il miele per quanto puoi, esagerane la dolcezza con tutte le parole che riesci a trovare: chi non sa che cosa sia il miele, se prima non lo avrà assaggiato non potrà comprendere cosa dici. Perciò un salmo, al fine di invitarti a gustare tale dolcezza, dice: Gustate e vedete quanto è dolce il Signore (Ps 33,9). Senza gustarlo, tu pretendi di affermare che è dolce! Che cosa, poi, dovrà essere dolce? Se tu hai gustato questa dolcezza, essa deve palesarsi nei frutti che produci; non deve limitarsi soltanto alle parole, quasi che possa risiedere soltanto nelle foglie, perché non ti succeda di inaridire per la maledizione che ti lancerà il Signore come a quel fico (Cf. Mt 21,19). Dice: Gustate e vedete quanto è dolce il Signore. Gustate e vedete. Solo, se avrete gustato potrete vedere. Ma come potrai farlo capire a chi non ha gusto? Puoi parlare finché vuoi della dolcezza del nome del Signore: saranno solo parole. Assaporarla è tutt'altra cosa. Anche gli empi ascoltano parole a lode del Signore, ma solo i santi assaporano quanto è dolce il suo nome. Il salmista, pertanto, veramente sentiva tutta la dolcezza del nome di Dio e voleva spiegarla, quasi mostrarla a dito, ma non trovava a chi dirlo. Difatti, ai santi non è necessario parlarne, dal momento che essi già la gustano e la conoscono; quanto invece agli empi, essi non possono percepire ciò che non vogliono assaporare. Che farà dunque costui della dolcezza del nome di Dio? Ecco, si solleva prontamente al di sopra della folla degli empi. Vivrò, dice nell’attesa del tuo nome, perché è delizioso al cospetto dei tuoi santi. È dolce il tuo nome, ma non al cospetto degli empi. Io so quanto sia dolce, ma per coloro che lo hanno gustato.


Agostino Salmi 51