Agostino Salmi 702

SULLO STESSO SALMO 70

702 Ps 70

ESPOSIZIONE

DISCORSO 2

La liberazione dal male è dono gratuito del Signore.

1. Ieri abbiamo mostrato alla vostra Carità come in questo salmo è contenuto un elogio della grazia di Dio, per la quale noi siamo salvati gratuitamente, cioè senza alcun nostro merito, poiché ad ogni nostra opera non era dovuto altro se non il castigo. Siccome nell'esame di questo salmo non eravamo riusciti ad arrivare alla fine, ne avevamo rimandato ad oggi la sua ultima parte, ripromettendoci di pagare il debito nel nome del Signore. Ecco giunto ormai il tempo di pagare questo debito! Voi state attenti e aprite l'anima come un campo fertile ove il seme può moltiplicarsi; e non siate ingrati alla pioggia. Il titolo del salmo lo abbiamo spiegato ieri; ma, per ridestare la vostra attenzione e per esporlo anche a coloro che ieri erano assenti, brevemente ne riparleremo. Così lo ricorderanno meglio coloro che ci hanno ascoltato e potranno udirlo coloro che ne sono all'oscuro. Il salmo è dei figli di Gionadab: nome che significa “ spontaneo nel Signore ”. Noi pertanto dobbiamo servire il Signore spontaneamente, cioè con buona, pura, sincera e perfetta volontà; non con il cuore coperto da finzione. La qual cosa ci viene ingiunta anche là dove è detto: Volontariamente sacrificherò a te (Ps 53,8 Ps 53,2). Si canta dunque, questo salmo, per i figli di Gionadab, cioè per i figli dell'obbedienza, e per coloro che per primi furono portati prigionieri; di modo che nelle sue parole si riconosca il nostro gemito, e... basti ad ogni giorno il suo affanno (Cf. Mt 6,34). Infatti, se nella nostra superbia abbandonammo Dio, ritorniamo a lui almeno ora nella nostra prostrazione. Ma ritornare non si può se non per mezzo della grazia. E la grazia è data gratuitamente: non sarebbe infatti grazia se non fosse data gratuitamente. È quindi evidente che, se è grazia proprio perché ti è stata data gratuitamente, niente di tuo l'ha preceduta perché tu la ricevessi. Se l'avesse preceduta qualche tua opera buona, la grazia sarebbe stata come un compenso che ti spettava, e non l'avresti ricevuta gratuitamente. Mentre, in realtà, la ricompensa che ci era dovuta era la morte. L'essere dunque liberati lo dobbiamo non ai nostri meriti ma alla grazia di Dio. Lui dunque lodiamo; a lui attribuiamo tutto: e la nostra esistenza e la nostra salvezza. Conclusione alla quale era giunto anche il salmista, il quale, dopo aver detto molte altre cose, esclamava: Signore, io mi ricorderò della giustizia che tu solo possiedi. La spiegazione di ieri era giunta fino a questo versetto. Noi siamo i “ primi prigionieri ”, cioè apparteniamo al primo uomo in cui tutti moriamo. Difatti non è prima ciò che è spirituale ma ciò che è animale, e poi ciò che è spirituale (1Co 15,46). A causa del primo uomo, siamo prigionieri fin dal principio; ad opera del secondo uomo, in seguito, siamo stati riscattati. La redenzione stessa reclama una nostra prigionia. Come infatti saremmo stati redenti se prima non fossimo stati prigionieri? E questa stessa prigionia è descritta più dettagliatamente dall'Apostolo nella sua lettera, dalla quale noi abbiamo preso le parole per inculcarvi e ripetervi questa dottrina. Vedo - dice - un'altra legge nelle mie membra, che si oppone alla legge del mio spirito e che mi trascina prigioniero della legge del peccato che è nelle mie membra (Rm 7,23). Questa è la nostra prima prigionia: che la carne abbia desideri opposti allo spirito (Cf. Ga 5,17). È un castigo del peccato se l'uomo, il quale non ha voluto assoggettarsi all'Uno, esperimenta una divisione e una lotta entro se stesso. Niente infatti tanto giova all'anima quanto l'obbedire. E se conviene all'anima [d'ogni suddito] l'obbedire (che, ad esempio, il servo obbedisca al padrone, il figlio al padre, la moglie al marito), quanto più dovrà esser giusto che ogni uomo obbedisca a Dio! Adamo invece volle esperimentare il male; ma ogni uomo è Adamo, come, in coloro che hanno creduto, ogni uomo è Cristo, in quanto tutti sono membra di Cristo. Adamo volle assaporare il male che non avrebbe esperimentato se avesse creduto a colui che gli diceva: Non ne toccare (Gn 2,17). Esperimentato il male, obbedisca almeno ora alle prescrizioni del medico che gli indica come rimettersi, se non ha voluto credergli prima quando gli mostrava come non ammalarsi. Il medico buono e fedele dà prescrizioni anche a colui che è sano, perché non abbia a ricorrere a lui una volta malato. Non occorre infatti il medico ai sani, ma a chi è ammalato (Cf. Mt 9,12). Peraltro, i medici buoni e affezionati, coloro che non mercanteggiano con la loro arte, si rallegrano di più dei sani che non degli ammalati, e danno prescrizioni anche ai sani, affinché, eseguendole, non cadano nella malattia. È fuori di dubbio, infatti, che quanti non avranno tenuto conto delle prescrizioni del medico, si buscheranno delle malattie e dovranno per forza ricorrere al medico, invocando da malati colui che hanno disprezzato da sani. E voglia il cielo che almeno allora lo invochino e non lo maltrattino, come capita a chi ha perduto la ragione a causa della febbre. Avete ascoltato ora, quando è stato letto il Vangelo, la parabola detta dal Signore a loro riguardo. Erano forse sani di mente coloro che dissero: Ecco l'erede! Venite, uccidiamolo, e nostra sarà l'eredità (Mt 21,38)? Certamente no. Difatti per avere l'eredità, dopo aver ucciso il figlio, avrebbero dovuto uccidere anche il padre. Non era quindi, il loro, un ragionamento da persone sane. Comunque, alla fine essi riuscirono a uccidere il figlio. Ma questo figlio è risorto, e la pietra respinta dai costruttori è divenuta la pietra d'angolo (Cf. Ps 117,22). Essi però inciamparono in questa pietra e furono schiacciati. La pietra cadrà su di loro e li stritolerà. Non si comporta così colui che canta nel salmo e dice: Entrerò nella potenza del Signore. Non nella mia potenza ma in quella del Signore. Signore, mi ricorderò della giustizia che tu solo possiedi. Non conosco alcuna mia giustizia; mi ricorderò soltanto della tua. Tutto quel che di buono è in me, lo ricevo da te; tutto quel che c'è di male, è mio. Non hai castigato noi che pur ce lo meritavamo; gratuitamente ci hai donato la grazia: della tua giustizia mi ricorderò.

Dio autore della nostra giustizia.

2. [v 17.] O Dio, tu mi hai istruito fin dalla mia giovinezza. Che cosa mi hai insegnato? Che debbo ricordarmi dell'unica giustizia, la tua. Considerando infatti la mia vita passata, vedo che cosa mi era dovuto e che cosa ho invece ricevuto al posto di ciò che mi si doveva. Mi era dovuta la condanna; mi è stata data la grazia. Mi era dovuto l'inferno; mi è stata data la vita eterna. O Dio, tu mi hai istruito fin dalla mia giovinezza. Dall'inizio stesso della mia fede, con la quale mi hai rinnovato, mi hai insegnato che nessun mio merito l'ha preceduta, per cui io potessi dire che mi era dovuto quanto mi hai dato. Chi si converte a Dio, non si converte forse da uno stato di colpa? Chi è riscattato, non si trovava forse nella prigionia? E chi può dire che era ingiusta la sua prigionia, se lui stesso ha abbandonato l'imperatore ed è passato dalla parte del disertore? L'imperatore è Dio; disertore è il diavolo. L'imperatore aveva dato un comando; il disertore venne a suggerire l'inganno (Cf. Gn 2,17 Gn 3,1). Chi hai ascoltato, posto nella scelta tra il comando e l'inganno? Era forse il diavolo migliore di Dio? Il fedifrago decaduto, migliore di colui che ti aveva creato? Eppure tu credesti a ciò che ti prometteva il diavolo, incontrando in effetti ciò che ti aveva minacciato Dio. Ebbene, liberato ormai dalla prigionia (per quanto ancora nella speranza, non nella realtà: cammina infatti nella fede e non nella visione) il salmista dice: O Dio, tu mi hai istruito fin dalla mia giovinezza. Da quando mi sono convertito a te e sono stato rinnovato da te che mi avevi dato l'essere, ricreato da te che mi avevi creato, riplasmato da te che mi avevi plasmato; da quando mi sono convertito, io ho appreso che nessun mio merito ha preceduto la tua azione ma la tua grazia è venuta a me gratuitamente, in modo che mi ricordi solamente della tua giustizia.

Dio ci risuscita spiritualmente. Dio luce delle anime nostre.

3. E che cosa accadrà dopo la giovinezza? Mi hai ammaestrato - dice - fin dalla mia giovinezza; ma dopo la giovinezza che sarà di me? Riguardo alla stessa tua prima conversione tu ti sei reso conto che, prima di convertirti, non eri giusto ma immerso nella colpa. Cacciata la colpa, subentrò la carità; e tu, rinnovato nell'uomo nuovo (nella speranza, non ancora nella realtà) ti convincesti che nessuna tua buona azione aveva preceduto l'azione divina e che, se ti convertisti a Dio, fu per la grazia di lui. Ma forse che, da quando ti sei convertito, hai qualcosa di tuo sicché possa confidare nelle tue forze? Così sono soliti dire gli uomini: “ Ormai lasciami pure. Mi era, sì, necessario che tu mi mostrassi la via; ma ora mi basta: camminerò da solo ”. Colui che ti ha mostrato la via ti dice: “ Ma non vuoi davvero che io ti guidi? ” E tu, se sei superbo, ribatti: “ Ma per carità! Basta, basta! Camminerò da solo ”. Lasciato solo, toccherai con mano la tua fragilità e di nuovo sbaglierai strada. Quant'era meglio che ti avesse ancora guidato colui che prima ti aveva posto sulla via! Poiché veramente, se egli non ti guida, andrai di nuovo fuori strada. Digli dunque: Guidami, Signore, sulla tua via, e camminerò nella tua verità (Ps 85,11). L'essere stato condotto sulla via della salute è la giovinezza, è il rinnovamento, è l'inizio della fede. Prima infatti andavi vagabondando per le tue vie. Erravi attraverso luoghi selvaggi, per vie disagiate; eri piagato in tutte le membra. Cercavi la patria, cioè la stabilità del tuo spirito, un posto dove poter dire: Qui sto bene, ma dirlo con in cuore la tranquillità e la pace, al sicuro da ogni molestia e tentazione e, per dirla in breve, da ogni schiavitù. Cercavi questo luogo e non lo trovavi. Che dirò? Che è venuto a te uno che ti indicasse la via? Ancor più: è venuta a te la stessa via, e tu sei stato posto su di essa senza alcun tuo merito precedente, dato che eri un fuorviato. E allora? Entrato che sei nella via camminerai da solo, e colui che ti ha insegnato la via ti dovrà abbandonare? No! Dice infatti: Tu mi hai istruito fin dalla mia giovinezza; e fino ad ora annunzierò le tue meraviglie. Quali credi che siano le meraviglie di Dio? Che cosa c'è di più mirabile, tra le meraviglie di Dio, che non il risuscitare i morti? Tu dici: Forse che io sono morto? Se tu non fossi morto non ti direbbe l'Apostolo: Alzati, tu che dormi! risorgi da morte; e Cristo ti illuminerà (Ep 5,14). Tutti gli infedeli, tutti i peccatori sono morti. Vivono nel corpo ma nel cuore sono morti. Orbene, colui che risuscita uno che è morto fisicamente gli fa di nuovo vedere la luce del sole e respirare l'aria dell'atmosfera; ma colui che lo risuscita non si rende per lui né luce né aria; il risuscitato comincia a vedere come vedeva prima. Non così viene risuscitata l'anima. L'anima è risuscitata da Dio così come il corpo è risuscitato da Dio; ma, quando Dio risuscita il corpo, lo restituisce al mondo; quando risuscita l'anima, la ricupera per se stesso. Se viene meno l'aria di questo mondo, il corpo muore; se Dio si allontana dall'anima, questa muore. Ebbene, quando Dio risuscita un'anima, se egli non seguitasse ad esserle presente, l'anima, sebbene risuscitata, non vivrebbe. Ma egli non la risuscita per poi abbandonarla e farla vivere da sola. Lazzaro, quando venne risuscitato quattro giorni dopo che era morto, venne risuscitato nel corpo grazie alla presenza corporale del Signore. Il Signore si avvicinò di persona al sepolcro e gridò: Lazzaro, vieni fuori, e Lazzaro risuscitò; uscì dal sepolcro ancora avvolto nelle bende; poi, sciolto dalle bende, se ne andò (Cf. Jn 11,41-44). Fu risuscitato dunque alla presenza del Signore, ma seguitò a vivere anche quando il Signore era assente. Per l'esattezza, anche la resurrezione del corpo di Lazzaro compiuta dal Signore, pur essendo un fatto visibile, fu opera della maestà divina presente in Cristo, il quale, in tale maestà, non passa mai da luogo a luogo. Tuttavia fu recandosi visibilmente al suo sepolcro che il Signore risuscitò Lazzaro. E se il Signore poi se ne andò da quella città, o almeno da quel luogo, forse che Lazzaro, per questo, cessò di vivere? Non così viene risuscitata l'anima! La risuscita Dio; ma, se Dio se ne va, lei muore. Dirò, fratelli, una cosa che vi sembrerà azzardata ma che tuttavia è proprio vera. Due sono le vite dell'uomo: la vita del corpo e la vita dell'anima. Vita del corpo è l'anima; vita dell'anima è Dio. Come muore il corpo se l'anima lo abbandona, così muore l'anima se Dio la abbandona. Ecco dunque qual è la sua grazia: averci risuscitati e rimanere con noi. Perché ci risuscita dalla morte in cui ci trovavamo e così rinnova, per così dire, la nostra vita, diciamo a lui: O Dio, tu mi hai istruito fin dalla mia giovinezza. Per il fatto poi che non si allontana da coloro che ha risuscitati (se si allontanasse, infatti, essi morrebbero) per questo diciamo a lui: Io annunzierò le meraviglie compiute da te fino ad ora. Difatti, se tu sei con me, io vivo, poiché tu sei la vita della mia anima, mentre questa morrebbe se fosse abbandonata da te. Ebbene, in me è presente la mia vita, cioè il mio Dio. Tale è il senso delle parole: Fino ad ora. Ma, dopo, che cosa accadrà?

La indefettibilità della Chiesa.

249 4. [v 18.] E fino alla vecchiaia e alla canizie. Questi due nomi si riferiscono alla vecchiaia, e i greci li distinguono. Infatti l'età matura che succede alla giovinezza ha presso i greci un nome, e un altro nome ha l'ultimo periodo della vita che succede alla maturità. Maturo si dice presbuvth?, mentre vecchio si dice . Ma, poiché nella lingua latina manca questa distinzione tra i due nomi, ambedue sono riferiti alla vecchiaia, e si è avuto senecta et senium, cioè vecchiaia e canizie. Voi però sapete che si tratta di due età. Mi hai insegnato la tua grazia fin dalla mia giovinezza; e fino ad ora, cioè dopo la mia giovinezza, io annunzierò le tue meraviglie, perché tu sei con me affinché non muoia, tu che sei venuto a me perché io risorgessi. E fino alla vecchiaia e alla canizie, cioè fino all'ultimo mio istante, se tu non sarai con me, io non avrò alcun mio merito. Dunque resti sempre con me la tua grazia! Questo lo potrebbe dire chiunque: tu, lui, io; ma, poiché questa voce è di quell'unico grande uomo, cioè dell'unità stessa, perché è la voce della Chiesa, cerchiamo quale sia la giovinezza della Chiesa. Quando Cristo comparve sulla terra, fu crocifisso, morì, risuscitò, chiamò le genti e queste cominciarono a convertirsi, e vi furono i martiri forti in Cristo, e dal sangue versato dai fedeli si moltiplicò la messe della Chiesa: questa è la sua giovinezza. Ma col procedere dei tempi la Chiesa proclami e dica: Fino ad ora annunzierò le tue meraviglie. Non soltanto nella giovinezza, quando Paolo, Pietro o i primi apostoli annunziarono il Vangelo. Anche andando avanti nell'età io, cioè la tua unità, le tue membra, il tuo corpo, annunzierò le tue meraviglie. E dopo che succederà? E fino alla vecchiaia e alla canizie annunzierò le tue meraviglie. Sino alla fine del mondo vivrà sulla terra la Chiesa. Se infatti non sarà qui sino alla fine del mondo, a chi diceva il Signore: Ecco io sono con voi ogni giorno, sino alla fine del mondo (Mt 28,20)? Perché era necessario che la Scrittura riportasse queste parole? Perché ci sarebbero stati dei nemici della fede cristiana (Cf. Mt 10,22 Mt 23) i quali avrebbero detto: “ Ancora per poco tempo sopravvivranno i cristiani, poi scompariranno; e torneranno gli idoli, tornerà ciò che c'era prima ”. Fino a quando ci saranno i cristiani? Fino alla vecchiaia e alla canizie; cioè sino alla fine del mondo. Mentre tu aspetti, o misero infedele, che i cristiani passino, passi tu, non i cristiani. I cristiani resteranno sino alla fine del mondo, mentre tu, quando avrai terminato la tua breve vita persistendo nella tua infedeltà, con quale fronte ti mostrerai al giudice che hai bestemmiato da vivo? Orbene, fin dalla mia giovinezza, e fino ad ora, e fino alla vecchiaia e alla canizie, o Signore, non mi abbandonare. Non sia soltanto per qualche tempo, come dicono i miei nemici. Non mi abbandonare finché non avrò annunziato il tuo braccio ad ogni generazione che verrà. A chi è stato manifestato il braccio (= la potenza) di Dio? (Cf. Is 53,1) Braccio del Signore è Cristo. Non abbandonarmi dunque! Non si rallegrino coloro che dicono: Solo per qualche tempo rimarranno i cristiani. Ci siano sempre coloro che annunziano il tuo braccio. A chi? Ad ogni generazione che verrà. Se è ad ogni generazione che verrà, è dunque sino alla fine del mondo, perché, finito il mondo, ormai non verrà più alcuna generazione.

I doni che Dio ha conferiti all’uomo e all’angelo.

5. [v 19.] La tua potenza e la tua giustizia. Ecco spiegato cosa sia il braccio di Dio che io annunzierò ad ogni generazione ventura. Che cosa in realtà ci ha apportato il tuo braccio? La nostra liberazione gratuita. Che io dunque annunzi questa grazia ad ogni generazione che verrà. Che io dica a ogni uomo che nasce: Da te stesso non sei niente. Invoca Dio! Tuoi sono i peccati; i meriti sono di Dio. A te è dovuto il castigo e, quando ti verrà dato il premio, con questo il Signore coronerà i suoi doni, non i meriti tuoi. Che io sappia dire a ogni generazione che verrà: Tu provieni da uno stato di schiavitù; appartenevi ad Adamo. Che io ripeta questo ad ogni generazione che verrà: Non dispongo di forze mie, non ho una mia giustizia; e riconosca la tua potenza e la tua giustizia, o Dio, e tutte le sublimi meraviglie che hai compiute. La tua potenza e la tua giustizia, fino a dove? Fino alla carne e al sangue? Tutt'altro Fino alle più sublimi meraviglie che hai compiute. In alto stanno i cieli; in alto stanno gli Angeli, i Troni, le Dominazioni, i Principati, le Potestà: a te debbono l'esistenza, a te debbono la vita, a te debbono il vivere nella giustizia e nella felicità. La tua potenza e la tua giustizia, fino a dove? Fino alle più sublimi meraviglie che hai compiute. Non credere che soltanto all'uomo sia stata conferita la grazia di Dio. Che cosa era l'angelo prima di essere? Che cosa è l'angelo se lo abbandona colui che lo ha creato? Ebbene, la tua potenza e la tua giustizia, fino alle più sublimi meraviglie che hai compiute.

L’uomo immagine di Dio.

6. E l'uomo si insuperbisce! E per restare incatenato alla prima prigionia ascolta il serpente che gli dice: Gustate, e sarete come dèi (Gn 13,5). Gli uomini come dèi! O Dio, chi è simile a te? Nessuno: né nell'abisso né nell'inferno né in terra né in cielo. Tutte queste cose infatti le hai create tu. E come farà l'opera a contendere con il suo artefice? O Dio, chi è simile a te? Dica il misero Adamo e in Adamo ogni uomo: Quando disordinatamente voglio essere simile a te, ecco che cosa divengo! Che almeno gridi a te dalla mia prigionia! Io, che potevo vivere tanto bene sotto il buon re, sono divenuto prigioniero e schiavo del mio seduttore. Grido a te perché sono caduto lontano da te. E perché sono caduto lontano da te? Perché disordinatamente aspiravo ad essere simile a te. Ma come? Non è forse Dio che ci invita ad essere simili a lui? Non è forse lui che dice: Amate i vostri nemici; pregate per coloro che vi perseguitano; beneficate coloro che vi odiano? Dicendo queste cose, ci esorta a somigliare a Dio. Che cosa aggiunge infatti? Dice: Affinché siate figli del Padre vostro che sta nei cieli. E che cosa fa Dio? Questo: Fa sorgere il suo sole sui buoni e sui malvagi, e manda la pioggia sui giusti e sugli ingiusti (Mt 5,44 Mt 45). Chi dunque vuol bene al suo nemico è simile a Dio; e questa non è superbia, ma obbedienza. Perché? Perché siamo fatti a immagine di Dio. Dice: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza (Gn 1,26). Non è quindi alcun disordine se noi conserviamo l'immagine di Dio. Voglia il cielo che non la perdiamo per colpa della superbia! Ma che significa voler essere simile a Dio per superbia? Cosa avrà mai fatto gridare a quel prigioniero: O Dio, chi è simile a te? E quale è questa indecorosa somiglianza? Ascoltate e intendete, se potete, poiché ho fiducia che chi mi ispirò a dirvi queste cose darà a voi la capacità di intenderle. Dio non ha bisogno di alcun bene; egli stesso è il sommo bene, e da lui ogni bene deriva. Noi per essere buoni abbiamo bisogno di Dio; ma Dio per essere buono non ha bisogno di noi. E non solo Dio di noi ma nemmeno di alcuna di quelle sublimi meraviglie che ha compiute, cioè neppure degli spiriti celesti né di quelli al di là dei celesti e nemmeno di ciò che è chiamato cielo del cielo. Nulla gli occorre, né per essere migliore né per essere più potente né per essere più beato. Quanto invece alle cose distinte da lui, sarebbero forse esistite se egli stesso non le avesse create? E di quale cosa di tua appartenenza potrà aver bisogno colui che era prima di te, ed era tanto potente da crearti, mentre tu non eri? Poiché, ti ha forse Dio creato allo stesso modo come i genitori generano i figli? I genitori generano stimolati da concupiscenza carnale; essi generano, non creano; e mentre essi generano, Dio crea. Che se tu ti credessi capace di creare come fa Dio, suvvia! dimmi che cosa partorirà la tua sposa. Ma perché lo chiedo a te? Me lo dica la tua sposa stessa: la quale però non sa che cosa porti nel seno. Comunque, gli uomini generano figli: per loro consolazione e per averne un aiuto quando saranno vecchi. Forse che Dio ha creato tutte le cose per avere da esse un aiuto nella sua vecchiaia? Dio dunque conosce ciò che crea; e sa come sia ogni creatura per i doni della sua bontà e sa ancora che cosa diventerà per l'esercizio della propria volontà. Dio conosce e ordina tutte le cose. L'uomo, se vuol essere qualcosa, si deve volgere a colui dal quale è stato creato. Allontanandosene, infatti, si raggela; avvicinandosi si riscalda. Allontanandosi si ottenebra; avvicinandosi si illumina. Perché solo presso colui dal quale ha avuto l'essere, potrà trovare anche il suo bene. Infatti, quel figlio minore che volle disporre a suo talento del proprio patrimonio, così ben conservato per lui negli scrigni del padre, una volta impadronitosene, partì per una regione lontana, si associò ad un cattivo principe e dovette pascolare i porci. Meno male che, affamato, rinsavì, lui che nella sazietà si era allontanato per superbia (Cf. Lc 15,12-16). Ebbene, chiunque vuole essere simile a Dio, rimanga al suo fianco. Affidi a lui, come sta scritto, la sua forza (Cf. Ps 58,10). Non si allontani da lui! Unendosi a lui, sia contrassegnato dalla sua impronta come la cera è segnata dall'anello: abbia l'immagine di lui fissa in sé. Esegua quanto sta scritto: Per me è veramente cosa buona l'essere unito a Dio (Ps 72,28). Così davvero custodirà la somiglianza e l'immagine secondo la quale è stato creato. Ma se l'uomo vorrà imitare Dio in maniera perversa, e cioè pretendendo che, come Dio non ha chi lo ha creato né chi lo governa, così anch'egli voglia vivere a suo arbitrio, senza avere, come Dio, nessuno che lo crei e nessuno che lo regga, non gli resterà altro, o fratelli, che sentirsi paralizzato, lontano com'è dalla fonte del suo calore vitale. Vaneggerà lontano dalla verità e, mutato in peggio e allontanatosi da ciò che è sommo ed immutabile, verrà meno nella sua propria miseria.

Il peccato dei progenitori: interpretazione agostiniana di Gen 3.

7. Questo volle fare il diavolo: imitare Dio, ma in modo perverso. Si rifiutò di essere sotto il dominio del Signore e volle levarsi contro di lui. Dal canto suo, l'uomo era sottoposto a un comandamento; aveva udito dal Signore Dio le parole: Non toccare. Che cosa? Quest'albero (Cf. Gn 2,17). Ma che cosa è quest'albero? Se è buono perché non debbo toccarlo? Se è cattivo, che cosa ci fa qui in paradiso? Senza dubbio è in paradiso perché è buono; ma non voglio che tu lo tocchi. Ma perché non debbo toccarlo? Perché voglio che tu sia un obbediente, non un contestatore ribelle. Sottomettiti a questo precetto, o servo; e non comportarti male, o servo. Da' prima ascolto all'ordine del Signore, o servo; e poi imparerai cosa egli intenda coll'impartirtelo. Buono è l'albero; ma io non voglio che tu lo tocchi. Perché? Perché io sono il Signore e tu il servo. Qui è tutta la questione. Ti parrà forse cosa da poco; ma ti rifiuterai per questo d'essere servo? Ovvero: ci sarà mai cosa a te utile senza la tua sottomissione al Signore? Ma come potrai sottometterti al Signore, se non rispettandone il precetto? Orbene, se è per te vantaggioso essere sotto il Signore e quindi sotto il suo precetto, che cosa ti avrebbe dovuto comandare Dio? Chiederti forse qualcosa? Dirti: offrimi un sacrificio? Ma non ha forse fatto egli stesso ogni cosa? Non ha fatto anche te? Ti avrebbe potuto dire: Prestami i tuoi servizi a letto quando riposo, alla mensa quando mi ristoro, oppure al bagno quando mi lavo? Ma Dio non ha bisogno di niente da te. E allora non doveva ordinarti niente? Che se doveva darti un precetto affinché tu - come è nel tuo interesse - ti rendessi conto d'aver sopra di te un Signore, doveva proibirti qualcosa; e di fatto così fece. Non perché quell'albero fosse cattivo ma perché voleva un segno della tua obbedienza. Non poteva, Dio, mostrare in modo più perfetto quanto sia grande il bene dell'obbedienza, che proibendo qualcosa che non era cattiva. Lì si dà il premio solo all'obbedienza, e solo la disobbedienza viene punita. È buono; ma io non voglio che tu lo tocchi. Solo non toccandolo eviterai la morte. E poi, quando ti vietava il frutto di quell'albero, forse che ti toglieva le altre cose? Non era forse il paradiso pieno di alberi da frutto? Che cosa ti mancava? Questo albero non voglio che tu lo tocchi; non voglio che tu assapori questi frutti. È buono l'albero ma l'obbedienza è migliore. E quando lo avrai toccato, sarà forse quell'albero diventato così cattivo da farti morire? È la disobbedienza che ti ha sottoposto alla morte, poiché tu hai toccato una cosa proibita. Per questo quell'albero fu chiamato albero della conoscenza del bene e del male (Ibid). Non perché il bene e il male pendessero dai suoi rami come pomi; ma, qualunque fosse quell'albero, di qualsiasi genere fossero i suoi frutti, esso venne chiamato così perché l'uomo, che non aveva voluto discernere il bene dal male obbedendo al precetto divino, avrebbe dovuto discernerlo per sua esperienza personale. Toccando cioè quello che gli era stato proibito, si sarebbe procurato il supplizio. Ma perché lo toccò, fratelli miei? Che cosa gli mancava? Mi si dica: che cosa gli mancava? Era nel paradiso, in mezzo all'abbondanza, in mezzo alle gioie: e la sua gioia più grande era poi la visione stessa di Dio, del cui volto, come se fosse quello di un nemico, ebbe paura dopo il peccato. Che cosa gli mancava? Perché volle toccare l'albero, se non perché volle approfittare al massimo della sua libertà e perché gli sembrò gustoso infrangere l'ordine ricevuto? Volle scuotere ogni potere a lui superiore e diventare come Dio, poiché a Dio non comanda nessuno. Errabondo per vie disgraziate, stupidamente presuntuoso, egli allontanandosi dalla giustizia si condannava a morte. Ecco: trasgredì il precetto, scosse dal suo collo il giogo della disciplina, spezzò nel suo ardire sfrenato le briglie che lo reggevano. Dove è ora? È sicuramente prigioniero, se grida: O Signore, chi è simile a te? Io ho voluto rendermi simile a te in una maniera errata e, in realtà, sono diventato simile a un bruto. Se fossi rimasto sotto il tuo dominio e il tuo precetto, davvero sarei stato simile a te. Ma l'uomo posto in mezzo agli onori non ha capito; lo si è paragonato agli animali irragionevoli e di fatto è divenuto simile a loro (Cf. Ps 48,13). Ma almeno ora che è tardi, ora che assomigli all'animale, grida e di': O Dio, chi è simile a te?

Dio nostro sommo bene.

8. [v 20.] Quante tribolazioni e quanti mali mi hai mostrato! Giustamente, o servo superbo! Tu hai voluto, in modo perverso, essere simile al tuo Signore, tu che eri stato fatto ad immagine del tuo Signore. Vorresti star bene, ora che sei lontano dal sommo bene? Giustamente ti dice Dio: Se allontanandoti da me tu ti trovassi bene, ne seguirebbe che io non sono il tuo bene. Ma, se Dio è il bene, il sommo bene, colui che è buono per se stesso e non per una bontà mutuata da altri; se ancora è lui, Dio, il nostro sommo bene, cosa potrai essere tu quando ti allontani da lui? che cosa, se non un malvagio? E ancora: se egli è la nostra beatitudine, che cosa troverà chi se ne allontana, se non la miseria? Torna dunque indietro, dalla miseria in cui ti trovi, e di': O Signore, chi è simile a te? Quante tribolazioni e quanti mali mi hai mostrato!

Dio ci ha tratti dall’abisso del peccato.

9. [vv 20.21.] Ma tutto questo è stato una misura disciplinare: un monito, non l'abbandono definitivo. E allora, ringraziando, che cosa dice? Volgendoti a me, tu mi hai vivificato; e dagli abissi della terra di nuovo mi hai tratto. Prima, quando ti aveva tratto da tali abissi? E che vuol dire: Di nuovo? Sei caduto dalla tua altezza, o uomo, servo indocile e superbo contro il Signore; sei caduto! Si sono compiute in te le parole: Chiunque si esalta sarà umiliato. Si compiano in te anche le altre: Chiunque si umilia sarà esaltato (Lc 14,11). Tirati su dal profondo. Ritorno, dice, ritorno, riconosco: O Dio, chi è simile a te? Quante tribolazioni e quanti mali mi hai mostrati! E volgendoti a me tu mi hai vivificato, e dagli abissi della terra di nuovo mi hai tratto. Comprendiamo! Io ascolto. Mi hai tratto dagli abissi della terra: mi hai tratto dalle profondità e dal pantano del peccato. Ma perché: Di nuovo? Quando era già accaduto una prima volta tutto questo? Andiamo avanti, augurandoci che l'ultima parte del salmo ci spieghi ciò che qui ancora non comprendiamo, cioè perché ha detto: Di nuovo. Ascoltiamo dunque: Quante tribolazioni e quanti mali mi hai mostrato! E volgendoti a me, tu mi hai vivificato, e dagli abissi della terra di nuovo mi hai tratto. Che dice dopo? Hai moltiplicato la tua giustizia, e volgendoti mi hai consolato, e dagli abissi della terra di nuovo mi hai tratto. Ecco un altro Di nuovo. Se troviamo difficoltà a interpretare il significato dell'avverbio di nuovo quando lo troviamo una sola volta, chi potrà interpretarlo se ricorre due volte? Già l'espressione “ di nuovo ” indica di per se stessa una ripetizione; e qui la troviamo ripetuta a breve distanza. Ci assista colui dal quale deriva la grazia! Ci assista ancora il braccio che noi annunziamo ad ogni generazione che verrà! Ci assista il Signore stesso e con la chiave della croce - per così dire - ci schiuda il mistero a noi impervio! Non invano infatti, appena egli fu crocifisso, il velo del tempio si squarciò nel mezzo (Cf. Mt 27,55). Ciò avvenne, anzi, proprio per dimostrare che, grazie alla sua passione, i segreti di tutti i misteri sono divenuti manifesti. Assista dunque coloro che passano a lui! Strappi il velo (Cf. 2Co 3,16) e ci dica, il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, perché dal profeta furono proferite tanti anni prima queste parole: Mi hai mostrato molte tribolazioni e molti mali; e, volgendoti a me, mi hai vivificato, e dagli abissi della terra di nuovo mi hai tratto. Qui per la prima volta leggiamo Di nuovo. Vediamo che cosa significhi, e troveremo perché più avanti leggiamo il secondo Di nuovo.

250 In Cristo siamo risorti anche noi. Risorti nella speranza, risorgeremo nella realtà.

10. Che cosa è Cristo? In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Questo era in principio presso Dio. Tutte le cose sono state fatte per suo mezzo, e senza di lui niente è stato fatto (
Jn 1,1-3). Grande, immenso è tutto questo! Ma tu, o prigioniero, che cosa sei? Dove giaci? Nella carne, soggetto alla morte. Chi è, dunque, lui? E chi sei tu? Che cosa divenne lui in un secondo momento? E per chi? Che cosa è lui, se non ciò che è stato detto, cioè il Verbo, la parola? E quale parola? Come quella che risuona e passa? No! Egli è il Verbo Dio presso Dio; è il Verbo per cui mezzo tutte le cose sono state fatte. Che cosa è divenuto per te? E il Verbo si è fatto carne, e ha abitato tra noi (Jn 1,14). Dio infatti non ha risparmiato il suo proprio Figlio ma per noi tutti lo ha dato. E come allora non ci avrà donato ogni cosa insieme con lui? (Rm 8,32) Ecco che cosa; ecco chi; ecco per chi. Il Figlio di Dio divenuto carne per il peccatore, per l'ingiusto, per il disertore, per il superbo, per colui che volle con intenzioni perverse rassomigliarsi al suo Dio! Egli si è fatto ciò che tu sei, cioè figlio dell'uomo, affinché noi diventassimo figli di Dio! Si è fatto carne. E donde ha tratto la carne? Da Maria vergine (Cf. Lc 2,7). E da chi discende Maria vergine? Da Adamo. Dunque discende da quel primo prigioniero; e la carne di Cristo deriva anch'essa dalla massa dei prigionieri. Perché tutto questo? Per darci un esempio. Prese da te ciò in cui doveva morire per te; prese da te ciò che doveva offrire per te, per ammaestrarti con questo esempio. Per insegnarti che cosa? Che dovrai risorgere. Come potresti infatti credere alla resurrezione, se non ti avesse preceduto l'esempio di una carne tratta dalla massa della tua stessa mortalità? Dunque, in lui siamo risorti una prima volta; infatti, quando Cristo è risorto, anche noi siamo risorti. Non che il Verbo sia morto e sia risorto, ma è morta la carne unita al Verbo, e questa è risorta. Cristo è morto in quell'elemento nel quale anche tu morrai; ed è risuscitato in ciò in cui anche tu risorgerai. Con il suo esempio ti ha insegnato che cosa non devi temere e che cosa devi sperare. Temevi la morte: è morto. Disperavi della resurrezione: è risorto. Ma tu mi dici: Egli è risorto, ma io sono forse risorto? Egli è risorto in ciò che aveva preso da te, ed è risorto per te; dunque la tua natura ti ha in lui preceduto; e ciò che egli aveva preso da te è asceso in cielo prima di te. Anche tu dunque sei già salito lassù. Sale egli per primo, e noi in lui, perché la sua carne appartiene al genere umano. E veramente, quando egli risuscitò da morte, anche noi fummo tratti dagli abissi della terra. Quando Cristo risorgeva, allora tu dagli abissi della terra mi hai tratto. Quando poi noi abbiamo creduto in Cristo, tu mi hai tratto di nuovo dagli abissi della terra. Ecco il primo Di nuovo. Ascolta le parole dell'Apostolo: Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose che stanno in alto, dove è Cristo assiso alla destra di Dio; desiderate le cose che stanno in alto, non quelle che stanno sulla terra (Col 3,1 Col 2). Egli ci ha preceduti: ormai anche noi siamo risorti, per quanto ancora nella speranza. L'apostolo Paolo dice proprio questo: In noi stessi gemiamo aspettando l'adozione, cioè la redenzione del nostro corpo. Ancora gemi, ancora aspetti. Che cosa è, allora, ciò che ti ha dato Cristo? Ascolta quanto segue: Noi siamo stati salvati, sebbene nella speranza; ma la speranza di ciò che si vede non è speranza. Che cosa spera infatti colui che vede? Ma, se speriamo ciò che non vediamo, con pazienza lo aspettiamo (Rm 8,23 Rm 25). In tal modo siamo stati tratti di nuovo dagli abissi con la speranza. Perché Di nuovo? Perché già Cristo ci aveva preceduti. Ma noi risorgeremo anche nella realtà; e per questo ora viviamo nella speranza e camminiamo nella fede. Siamo stati tratti dagli abissi della terra quando abbiamo creduto in colui che prima di noi è risorto dagli abissi della terra; la nostra anima è stata risuscitata dalla colpa e dall'incredulità, e si è compiuta in noi come una prima resurrezione per mezzo della fede. Ma se ci fosse questa sola resurrezione, come farebbe l'Apostolo a dire: Aspettando l'adozione e la redenzione del nostro corpo? E perché direbbe: Il corpo è morto per il peccato; lo spirito è vita per la giustizia? E ancora: Se colui che ha risuscitato Cristo dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti vivificherà anche i vostri corpi mortali, per mezzo del suo Spirito che abita in voi (Rm 8,10 Rm 11). Siamo dunque già risorti nello spirito, con la fede, con la speranza, con la carità; ma ci resta da risorgere nel corpo. Avete ascoltato il primo Di nuovo, e avete ascoltato anche il secondo Di nuovo. Il primo Di nuovo è perché Cristo risorgendo ci ha preceduti, il secondo perché la nostra resurrezione è per ora solo nella speranza, restandoci di risorgere nella realtà. Hai moltiplicato la tua giustizia; cioè, nei credenti, in coloro che già sono risorti una prima volta nella speranza. Hai moltiplicato la tua giustizia. In tale giustizia rientra anche il castigo: Perché è tempo che il giudizio cominci dalla casa di Dio (1P 4,17) (dice Pietro) cioè dai suoi santi. Dio infatti castiga ogni figlio che accoglie (Pr 3,12). Hai moltiplicato la tua giustizia, perché non hai risparmiato neppure i figli né hai lasciato senza correzione coloro ai quali hai riservato l'eredità eterna. Hai moltiplicato la tua giustizia e volgendoti mi hai consolato. E, a cagione del corpo che alla fine risorgerà, dagli abissi della terra di nuovo mi hai tratto.

11. [v 22.] Io ti confesserò con gli strumenti del salmo la tua verità. Lo strumento del salmo è il salterio. Ma che cosa è il salterio? È uno strumento di legno con corde. E cosa significa? C'è una certa differenza tra il salterio e la cetra. Gli esperti dicono che il salterio ha nella parte superiore quel legno concavo su cui sono tese le corde e fa da cassa di risonanza, mentre la cetra lo ha nella parte inferiore. E poiché lo spirito sta in alto mentre la carne appartiene alla terra, mi sembra che con il salterio si voglia intendere lo spirito e con la cetra la carne. E siccome aveva detto che noi veniamo tratti due volte dagli abissi della terra (una volta secondo lo spirito nella speranza, l'altra secondo il corpo nella realtà), ascolta come esprime queste due volte. Io ti confesserò con gli strumenti del salmo la tua verità. Questo, secondo lo spirito. E secondo il corpo? Te io canterò con la cetra, o Santo d'Israele.

La sorte dei buoni e dei cattivi, nel giorno del giudizio

12. [vv 23.24.] Ascolta ancora le sue parole, e ricordati di quel di nuovo e di nuovo. Esulteranno le mie labbra quando inneggerò a te. Ma siccome si suole parlare di labbra dell'uomo interiore e di labbra dell'uomo esteriore ed è incerto a quali si riferiscano le sue parole, aggiunge: E l'anima mia che hai riscattata. Ebbene, salvati nella speranza quanto alle labbra interiori, tratti cioè dagli abissi della terra per la fede e la carità, e tuttavia aspettando ancora la redenzione del nostro corpo, che cosa diciamo? Già ha detto: E l'anima mia che hai riscattata. Ma non credere che sia stata riscattata soltanto l'anima, in relazione alla quale ora hai udito il primo Di nuovo. Dice: Ma anche. Perché anche? Ma anche la mia lingua (ora perciò si tratta della lingua del corpo) per tutto il giorno mediterà la tua giustizia, cioè per l'eternità senza fine. Ma quando accadrà questo? Alla fine del mondo, nella resurrezione del corpo, quando saremo mutati nello stato angelico. Come provare che ci si riferisce alla fine? Vi si dice: Ma anche la mia lingua tutto il giorno mediterà la tua giustizia. E lo spiega: Quando saranno confusi e coperti di vergogna coloro che cercano il mio male. Quando saranno confusi, quando saranno coperti di vergogna, se non alla fine del mondo? In due modi infatti essi possono essere confusi: o credendo in Cristo o quando verrà Cristo. Perché, finché la Chiesa è qui, finché geme il grano in mezzo alla paglia, finché gemono le spighe in mezzo alla zizzania (Cf. Mt 3,12 Mt 13,30), finché gemono i vasi di misericordia tra i vasi dell'ira fatti per la confusione (Cf. 2Tm 2,20), finché geme il giglio tra le spine, non mancheranno i nemici che dicono: Quando morirà e perirà il suo nome? (Ps 40,6) Cioè: Ecco che verrà il tempo in cui finiranno e non ci saranno più cristiani. Come hanno cominciato ad esistere da un certo tempo, così vivranno per un tempo limitato. Ma, mentre così dicono e muoiono senza fine, la Chiesa resta e seguita ad annunziare il braccio del Signore a tutte le generazioni che verranno. Per ultimo verrà anche lui nella sua gloria. Risorgeranno tutti i morti, ciascuno con i suoi meriti: i buoni saranno separati alla destra, i malvagi alla sinistra (Cf. Mt 25,33); e saranno confusi quelli che insultavano, saranno coperti di vergogna quelli che dileggiavano. E così la mia lingua, dopo la resurrezione, mediterà la tua giustizia e per tutto il giorno la tua lode, quando saranno confusi e coperti di vergogna coloro che cercano il mio male.


Agostino Salmi 702