Agostino Salmi 1132

SULLO STESSO SALMO 113

1132 Ps 113

ESPOSIZIONE

DISCORSO 2

Trascendenza di Dio e vanità degli idoli.

1. [vv 9-12] A chi è in grado di scrutarli accuratamente, tutti i salmi presentano forse fra di loro una connessione così stretta che il seguente si potrebbe attaccare al precedente. A maggior ragione sia lecito considerare questo salmo (sebbene diviso in due parti, quella di oggi e la precedente) come un unico salmo. Infatti nella parte antecedente si diceva : Non a noi, o Signore, non a noi ma al tuo nome dà gloria. Per la tua misericordia e la tua verità che mai abbiano a dire le genti : Dov’è il loro Dio ? Questo perché noi veneriamo un Dio invisibile che sfugge a ogni occhio corporeo e si fa conoscere solo al cuore estremamente puro di pochi privilegiati. Del nostro Dio i pagani potrebbero quindi chiederci veramente : Dov’è il loro Dio ?, poiché essi hanno la possibilità di farci vedere le loro divinità. A questo riguardo il salmo ci ha ricordato nella sua prima parte che la presenza del nostro Dio si percepisce attraverso le sue opere, in quanto lui, pur risiedendo in alto nel cielo, ha creato tutto ciò che ha voluto in cielo e stilla terra. E come invitando le genti a mostrare le loro divinità, prosegue ora : I simulacri delle genti sono argento e oro, opera di mani umane. Sembra dire : È vero che noi non possiamo presentare il nostro Dio alla vista dei vostri occhi carnali (il nostro Dio avreste dovuto conoscerlo attraverso le sue opere !), tuttavia non lasciatevi sedurre dalle vostre vanità né gloriatevi perché potete mostrarci a dito le divinità che voi adorate. Sarebbe molto più serio per voi non aver niente da mostrare anziché doverci mostrare delle miserie, valide solo a palesarci l’accecamento del vostro cuore. Cosa infatti ci mostrate se non oro e argento ? Hanno, è vero, i pagani anche delle statue di bronzo e di legno e perfino di creta o di varie altre materie consimili ; tuttavia allo Spirito Santo è piaciuto menzionare la materia più nobile, poiché quando uno si sarà vergognato di ciò che reputa più prezioso, si ritrarrà ancor più facilmente dal venerare ciò che è più spregevole. Riguardo ai cultori degli idoli è detto in un altro passo della Scrittura : Essi dicono ad un pezzo di legno : Tu sei mio padre ; e una pietra : Sei stata tu a generarmi (Jr 2,27). Che se invece uno non rivolge tali parole al legno né alla pietra ma all’oro e all’argento e per questo motivo si credesse più intelligente, venga a considerare le parole del salmo e vi tenda le orecchie del cuore. Dice : I simulacri delle genti sono argento e oro. Non si menzionano metalli vili e spregevoli ; tuttavia per chi ha l’animo non impastato di terra, anche l’oro e l’argento sono terra, anche se una terra più bella e luccicante, più solida e compatta. Non incantarti quindi a guardare le mani dell’uomo né ti venga la voglia di prendere il metallo creato da Dio per farci un dio falso. Colui che tu vorresti venerare come vero dio è falso anche come uomo, al segno che, se uno ritenendolo uomo vero volesse stringere con lui amicizia, lo si prenderebbe per matto. La somiglianza esterna e la disposizione ordinata delle membra, abilmente modellate sul vero, possono tuttavia sedurre il misero cuore dei mortali e trascinarlo ai sentimenti più meschini che esistano sulla terra. Ma tu, o insipienza umana, come fai mostra degli svariati tuoi prodotti, così facci anche vedere l’attività che esplica ciascuna di quelle membra la cui forma ti attrae !

Incongruenze e assurdità dell’idolatria.

2. [vv 13-15.] Eccotelo ! Hanno la bocca e non parlano, hanno gli occhi e non vedono, hanno gli orecchi e non odono, hanno le narici e non odorano, hanno le mani e non palpano, hanno i piedi e non camminano, non emettono suono con la loro gola. Certamente superiore a tali dèi è l’artista che, muovendo le membra e lavorando, riuscì a forgiarli ; eppure tu ti vergogneresti di tributare a quell’artista gli onori divini. E anche tu sei superiore a loro, poiché, pur non avendo plasmato tali simulacri, tuttavia sei in grado di compiere molte opere che loro non sono in grado di fare. E superiore ne è anche il bruto, riferendosi al quale il salmista aggiunge : Non emettono suono con la loro gola. Aveva detto già prima che hanno la bocca e non parlano, e poi aveva elencato tutte le membra dalla testa ai piedi. Che bisogno c’era dunque di tornare a descrivere le fauci e il loro gridare ? Penso che l’abbia fatto perché quanto ricordato a proposito delle altre membra è comune all’uomo e al bruto. Lo constatiamo tutti. Infatti uomini e bruti vedono e odono, hanno l’olfatto e sono in grado di muoversi ; anzi certi animali come le scimmie possono stringere le cose con le mani. Quanto ha affermato riguardo alla bocca è invece proprio dell’uomo, poiché gli animali non parlano ; tuttavia, volendo impedire che la sua descrizione venisse riferita soltanto alle opere compiute dall’uomo con le sue membra, sicché agli dei del paganesimo solo gli uomini sarebbero superiori, l’autore, terminata la descrizione, aggiunge una nota che accomuna uomini e bestie. Non emettono suono copi la loro gola. Se questa nota fosse stata posta al principio, quando cioè iniziando dalla bocca cominciò a descrivere le diverse membra del corpo, e avesse detto : Hanno la bocca ma non gridano ; in tal caso la descrizione delle varie attività si sarebbe potuta riferire esclusivamente all’uomo e alla sua natura, né ci sarebbe stato un qualcosa che richiamasse opportunamente l’attenzione dell’uditore se non a quel che le bestie hanno in comune con l’uomo. Il nostro autore però, descrivendo la bocca, ne dice prima quel che è proprio dell’uomo e solo in un secondo momento, al termine cioè della descrizione dettagliata delle diverse membra del corpo (che si sarebbe potuta ritenere completa con la menzione dei piedi), vi aggiunge : Non emettono suono con la loro gola. Esprimendosi in questa maniera richiama l’attenzione di chi legge o ascolta : il quale, domandandosi il perché di tale aggiunta, non può non sentirsi avvisato a riconoscere superiori ai simulacri del paganesimo non solo gli uomini ma anche i bruti. Vergognandosi di adorare un animale, sebbene da Dio dotato di vista, d’udito, d’odorato, di tatto e della facoltà di camminare e di emettere delle grida con la sua gola, a maggior ragione l’uomo avrebbe dovuto vergognarsi di adorare una statua muta e priva di vista e sensibilità. Questo, nonostante che il simulacro possegga fattezze simili a membra di esseri viventi, per cui da parte di anime immerse in cose sensibili e carnali se ne possa concepire un trasporto affettivo analogo a quello che si prova per una forma viva e animata, scorgendo appunto nell’idolo quelle stesse membra che conosciamo vivere e vegetare nel nostro proprio corpo. Quanto è più sensato (se così si può dire) il giudizio che degli idoli del paganesimo dànno i topi, le serpi o altri simili animali, i quali, non riscontrando in essi alcun segno di vita umana, non calcolano affatto la loro forma umana ! Su di loro molte volte imbastiscono il nido e, se non fosse per l’uomo che va a spaventarli e sbatterli via, non avrebbero posti più sicuri da ricercare. Ecco quindi l’uomo muoversi per fugare dal suo dio un animale dotato di vita e nello stesso tempo adorare come onnipotente quell’oggetto incapace di muoversi, quell’oggetto del quale era migliore l’animale stesso che fu messo in fuga. Era infatti dotato di vista colui che fu allontanato, mentre l’altro era cieco ; aveva l’udito colui che fu allontanato, mentre l’altro era sordo. Poteva gridare colui che fu allontanato da sopra quell’essere muto ; poteva camminare l’uno, mentre l’altro era incapace di muoversi ; aveva i sensi colui che fu allontanato da quel masso privo di sensibilità, era vivo colui che fu allontanato dall’altro che era morto, anzi peggio che morto. Il morto infatti, com’è evidente che dopo la morte non vive, così è evidente che prima di morire era stato in vita. Per cui, di un dio che non vive ora né mai è vissuto, è certamente migliore anche un cadavere.

L’idolatria non è priva di forza seduttrice.

3. C’è cosa più chiara e lampante di questa, o miei carissimi fratelli ? Interroghiamo un bambino : non risponderà come di cosa certa che i simulacri del paganesimo hanno la bocca e non parlano, hanno gli occhi e non vedono, con tutto il resto che la Parola di Dio aggiunge ? Perché mai allora lo Spirito Santo in moltissimi luoghi della Scrittura insiste nel richiamarci alla mente queste verità e nell’inculcarcele, quasi che noi fossimo degli ignari e le cose non fossero in se stesse a tutti note e manifeste ? Lo fa perché la statua si presenta fornita delle membra che nell’ordine naturale noi osserviamo vive negli animali e constatiamo dotate di sensibilità in noi stessi. È vero che loro affermano trattarsi d’un simulacro forgiato dall’artefice e collocato sul piedistallo a scopo rappresentativo, tuttavia il vederla adorata e venerata dalla folla genera nell’osservatore una inqualificabile propensione per lo stesso errore : per quanto cioè in quella statua non si riscontri né moto né vita, si potrebbe almeno pensare che occulti in sé un qualche nume. Come non supporre infatti che in quel simulacro, simile in tutto a un corpo vivente, non abiti un essere vivente, quando e la forma spinge a questa falsa conclusione e a turbare la mente intervengono col peso della propria autorità sapienti istituzioni e folle venerabonde ? Tale propensione dell’animo umano è stata per il demonio come un invito a impossessarsi delle statue erette dai pagani ; e per il suo potere e per la sua multiforme abilità seduttrice sono stati disseminati e si propagano errori fatali. In più parti, quindi, la Parola di Dio si erge a sentinella contro queste aberrazioni, sicché nessuno, quando noi ci burliamo dei simulacri, possa replicarci : Io non venero questa statua visibile ma il nume invisibile che vi abita dentro. Parlando infatti espressamente di questi numi, in un altro salmo la Scrittura così li condanna : Tutte le divinità dei pagani sono demoni ; il Signore invece creò i cieli (Ps 95,5). E l’Apostolo : Non che l’idolo sia un qualcosa ; anzi le vittime che immolano i pagani sono offerte al demonio e non a Dio. Io non voglio che voi diventiate partecipi dei demoni (1Co 10,19-20).

Forme di idolatria condannate da Paolo.

4. Sembrerebbero possedere un grado di religione più puro coloro che dicono : Io non venero né la statua né il demonio, ma nel simulacro materiale io scorgo un segno della realtà che debbo venerare. Conseguentemente costoro attribuiscono a ciascuno dei loro simulacri un diverso valore rappresentativo. Con l’uno vedono rappresentata la terra, e al tempio che lo accoglie dànno appunto il nome di tempio della Terra ; con un altro rappresentano il mare, ad esempio con la statua di Nettuno ; con un altro l’aria, ad esempio con la statua di Giunone ; con un altro il fuoco, ad esempio con la statua di Vulcano ; con un altro la stella del mattino, ad esempio con la statua di Venere ; con altri rappresentano il sole e la luna, dando ai loro simulacri il nome della cosa rappresentata, come per la Terra. Ogni statua dunque raffigura questa o quella cosa, poniamo una stella, ovvero questa o quella creatura, che in dettaglio non riusciremo certo ad enumerare al completo. Che se poi li andiamo a turbare in queste loro convinzioni e li rimproveriamo perché venerano esseri materiali fatti per il nostro uso, specialmente la terra, il mare, l’aria, il fuoco (riguardo agli astri del cielo, che ci è impossibile stringere o toccare fisicamente ma che percepiamo solo con l’acume degli occhi, essi non provano altrettanta vergogna !), allora osano rispondere che il loro culto non è diretto all’oggetto materiale in se stesso ma al nume che dall’alto lo regge e governa. Comunque, contro di loro c’è sempre quel passo dell’Apostolo che insieme ne proclama e la pena e la condanna. Dice : Essi scambiarono la verità di Dio con la menzogna, e venerarono e resero culto alla creatura invece che al Creatore, il quale è benedetto nei secoli (Rm 1,25). Nella prima parte della sentenza condanna i simulacri, nella seconda le spiegazioni che si dànno del simulacro. Dando infatti a delle statue modellate da un artigiano gli stessi nomi che portano gli esseri creati da Dio, essi pervertono la verità di Dio confondendola con la falsità. Considerando poi come divinità questi stessi esseri creati e prestando ad essi il culto, gli idolatri servono la creatura e non il Creatore, che è benedetto nei secoli.

La Scrittura smaschera le stupidità idolatriche.

397 5. Ecco ora un devoto in adorazione o in preghiera dinanzi all’idolo. Avendo dinanzi agli occhi il simulacro, come potrà non esserne influenzato o non credere che sia quel simulacro ad esaudirlo e non sperare che da quella statua gli provenga quanto desidera ? Ecco perché talvolta c’imbattiamo in superstiziosi che nel recitare preghiere dinanzi alla statua che raffigura il sole voltano le spalle al [vero] sole, ovvero in altri che, mentre alle loro spalle rumoreggia mugghiando il mare, assordano con i loro gemiti la statua di Nettuno, che venerano come simbolo del mare, supponendola dotata di sensibilità. Cose di questo genere produce e, direi, quasi estorce prepotentemente l’apparenza della statua modellata com’è nelle sue varie membra. Conformata in quella determinata maniera, ancor più che un oggetto rotondo qual è il sole o una estensione fluida e vasta come il mare increspato di onde, travia la mente che vive unita a un corpo strutturato nei vari sensi e la porta a supporre dotato degli stessi sensi quel “ corpo ” che vede tanto simile al suo proprio corpo. Insomma, difficilmente riterrà dio un oggetto che gli si presenta con dei lineamenti non conformi a quelli che hanno gli esseri che per lunga consuetudine le risultano dotati di vita. Contro questa propensione, che può facilmente divenire un laccio per la fragilità dell’uomo carnale, la Scrittura divina canta delle verità quanto mai note, al fine di richiamarle alla mente degli uomini, intendendo, per così dire, svegliarla dal sonno nel quale, a imitazione del corpo, si fosse immersa. Dice : I simulacri del paganesimo sono argento e oro, mentre [il vero] Dio ha creato l’oro e l’argento. E aggiunge : Essi sono opera delle mani dell’uomo. L’uomo venera ciò che lui stesso s’è fabbricato lavorando l’oro e l’argento.

6. Dalla stessa materia o metallo ricaviamo anche noi parecchi oggetti o vasi che usiamo nella celebrazione dei sacri misteri. Consacrati dal loro stesso uso, essi sono chiamati vasi sacri, e li riserviamo al culto di Colui che adoriamo a nostra salvezza. Difatti, questi nostri oggetti e vasi sacri cosa son mai se non opere delle nostre mani ? E allora dovremo dire anche di loro che hanno la bocca ma non parlano, gli occhi ma non vedono ? O penseremo che siano rivolte a loro le nostre invocazioni, quando li usiamo per invocare Dio ? Poiché questa è l’aberrazione fondamentale dell’empietà pagana : che nella valutazione di questi miseri val più la similitudine che una statua a motivo della forma ha con un essere vivente (al segno che ottiene di essere invocata) che non l’evidenza che essa sia senza vita, e quindi meriti disprezzo da chi è dotato di vita. Dinanzi a un’anima talmente miserabile val più che il simulacro abbia la bocca, gli occhi, le orecchie, le narici, le mani e i piedi (al segno che dinanzi ad essa si prostra in adorazione !) che non, al fine di rettificare il cuore, la constatazione che tale statua non parla, non vede, non ode, non è fornita d’odorato né di tatto, e non è in grado di camminare.

7. [v 16] Ne segue che effettivamente i risultati sono quelli elencati nel seguito del salmo. Cioè : Divengano simili a loro tutti coloro che li fabbricano e che ripongono in essi la loro fiducia. Abbiano pure costoro gli occhi aperti e capaci di vedere e poi adorino statue che non vedono né vivono. È segno che la loro mente è chiusa, anzi morta.

Pneumatici e psichici nel popolo di Dio.

8. [vv 17 - 19 (11.).] La casa d’Israele ha viceversa sperato nel Signore. Difatti la speranza di ciò che si vede non è più speranza ; poiché chi già vede una cosa, come la spera ? Ma se speriamo quel che non vediamo, allora aspettiamolo con pazienza (
Rm 8,24). Ma affinché la pazienza resti salda sino alla fine, Dio è loro aiuto e loro protettore. Di chi si parla qui ? Forse degli spirituali, da cui la gente carnale è istruita con spirito di mansuetudine ? Sono infatti gli spirituali a pregare per i carnali ; loro, più dotati, a pregare per i meno dotati. Orbene gli spirituali vedono forse fin d’adesso le realtà promesse, le quali pertanto son per loro delle acquisizioni, mentre per gli inferiori sono semplici speranze ? Non è così. Difatti anche la casa di Aronne ha sperato nel Signore. Quindi Dio è aiuto e protettore anche per loro, affinché anche loro tendano costantemente verso la meta che sta loro dinanzi e con perseveranza corrano finché non abbiano conquistato colui che li possiede (Ph 3,12-14) e raggiunto quella conoscenza con cui sono conosciuti (1Co 13,12). Quindi perfetti e imperfetti temono il Signore e sperano in lui, che è il loro aiuto e il loro protettore.

9. [vv 20 (12.) - 21 (13.).] Non siamo infatti noi che con i nostri meriti preveniamo la misericordia del Signore, ma il Signore si è ricordato di noi e ci ha benedetti. Ha benedetto la casa d’Israele e la casa di Aronne. Benedicendo le due stirpi, ha benedetto tutti coloro che temono il Signore. Chiedi forse quali siano queste due stirpi ? Ti si risponde : I piccoli insieme con i più grandi. Ecco cosa sono la casa d’Israele e la casa di Aronne : quanti in mezzo a quel popolo credettero in Gesù Salvatore, poiché non di tutti loro Dio si compiacque (1Co 10,5). Ma anche se alcuni di loro non vollero credere, forse che la loro incredulità rese inefficace la fedeltà di Dio ? Tutt’altro ! (Rm 3,3) Difatti non tutti coloro che discendono da Israele sono Israele, né tutti coloro che appartengono alla stirpe di Abramo son figli di Abramo (Rm 9,6-7), ma, come sta scritto, solo un resto sarà salvato (Rm 9,27). Identificandosi quindi con quei Giudei che abbracciarono la fede [il Profeta] poté dire : Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato un seme, saremmo divenuti come Sodoma, saremmo simili a Gomorra (Rm 9,29). In realtà si trattò proprio di un “ seme ”, in quanto sparso per ogni dove si moltiplicò su tutta la terra.

Paternità e figliolanza spirituale.

10. [v 22 (14.).] Quei grandi della casa di Aronne dissero : il Signore aggiunga [benedizione a benedizione] sopra di voi : sopra di voi e sopra i vostri figli. E così è accaduto. Si sono infatti aggiunti ai figli d’Abramo altri figli suscitati dalle pietre (Cf. Mt 3,9) ; si sono aggiunte altre pecore che non erano di quel gregge, e si è fatto un solo gregge con un solo pastore (Cf. Jn 10,16). È maturata la fede fra tutte le genti ed è cresciuto il numero non solo di sapienti prelati ma anche di popoli docili nell’obbedire. E in tal modo il Signore ha moltiplicato le sue benedizioni non solo sui padri, che in Cristo avrebbero preceduto gli altri che imitandone gli esempi si sarebbero orientati a lui, ma le ha moltiplicate anche sui loro figli, i quali avrebbero calcato le orme fedeli dei padri. Così infatti si esprime l’Apostolo nei confronti di coloro che mediante il Vangelo aveva generati a Cristo : Siate miei imitatori come io lo sono di Cristo (1Co 4,15-16). In realtà il Signore ha aggiunto benedizione a benedizione non solo sopra i monti, saltellanti come arieti, ma anche sopra i colli, saltellanti come agnelli.

11. [vv 23 - 24 (16.).] Ora il profeta si rivolge ai due gruppi [di amici di Dio], ai grandi e ai piccoli, ai monti e ai colli, agli arieti e agli agnelli, e a tutt’e due dice le parole seguenti : Siate voi benedetti dal Signore, creatore del cielo e della terra. È come se dicesse : Siate benedetti dal Signore voi grandi, che il Signore ha reso come dei cieli, e anche voi piccoli, simili alla terra. Né mi riferisco a questo cielo visibile, cosparso di astri luminosi osservabili a vista. Mi riferisco al cielo del cielo che appartiene al Signore, il quale ha tanto elevato le menti di certi santi che la loro sapienza non proveniva da qualche uomo ma dal loro Dio che personalmente li ammaestrava. In confronto con un tal “ cielo ” ogni altra realtà raggiungibile con occhio materiale è da chiamarsi “ terra ” : quella terra che egli ha dato ai figli degli uomini. Una tal “ terra ” può mirarsi nella sua parte superiore, quella cioè da cui proviene la luce e che noi chiamiamo cielo, ovvero nella parte inferiore, dove la luce si espande e che noi propriamente chiamiamo terra. Tutto questo però, come siamo andati dicendo, in confronto con quel che si chiama “ cielo del cielo ” nient’altro è se non terra ; e questa terra tutta intera Dio ha dato ai figli degli uomini, affinché osservandola sappiano, nei limiti loro consentiti, farsi un’idea del Creatore. Quel Creatore che, per essere il loro cuore ancora povero e misero, non avrebbero in alcun modo potuto vedere, se fosse mancato questo aggancio che facesse da richiamo.

Dio distributore di carismi e ministeri.

12. Le parole or ora esaminate, cioè : Il cielo del cielo appartiene al Signore, la terra invece egli la diede ai figli degli uomini, sono suscettibili di un’altra interpretazione, che io non voglio tacervi, pur esortandovi a non distrarvi da quanto vi dicevo prima. Vi dicevo cioè che anche nelle parole aggiunte (Siate voi benedetti dal Signore, creatore del cielo e della terra) sono indicati i grandi e i piccoli [della Chiesa]. Prendiamo quindi il nome “ cielo ” nel senso di “ grandi ” e il nome “ terra ” nel senso di “ piccoli ”. Siccome però questi piccoli cresceranno e diventeranno anch’essi un cielo nutrendosi di latte durante il tempo della speranza, per questo gli altri, i grandi, saranno come un cielo della terra quando allevano quei piccoli. Fissando poi il pensiero alla speranza in ordine alla quale vengono nutriti i piccoli, essi possono dedurre di essere personalmente anche un cielo del cielo. Resta peraltro sempre vero che quei piccoli non ricevono dall’uomo la squisitezza e l’abbondanza della sapienza, né è l’uomo a somministrarla, ma Dio. Quindi, per il fatto che hanno avuto in consegna dei piccoli destinati a diventare un “ cielo ”, i grandi possono, si, ritenere la persuasione d’essere un cielo del cielo ; d’altro canto però rimane anche vero che loro sono ancora terra, in ordine alla quale debbono dire : Io ho piantato, Apollo ha innaffiato, ma è Dio che ha fatto crescere (1Co 3,6). È stato infatti Dio (il quale provvede ai bisogni della terra servendosi del cielo) colui che ha fornito ai figli degli uomini, elevati al rango di “ cieli ”, la terra in cui lavorare. Cielo e terra, dunque, restino fedeli a Dio loro creatore, e vivano di lui, confessando le sue meraviglie e lodandolo. Se infatti vorranno vivere del proprio, morranno, come sta scritto : Dal morto, come da un essere inesistente, è lungi la confessione (Si 17,26). In realtà non ti loderanno, o Signore, i morti né alcuno di quelli che scendono nell’inferno. In un’altra pagina della tua Scrittura c’è lo stesso grido : Il peccatore, giunto al fondo dei suoi mali, disprezza (Pr 18,3). Noi invece, che viviamo, benediciamo il Signore da ora e per sempre nei secoli.

SUL SALMO 114

114 Ps 114

ESPOSIZIONE

DISCORSO AL POPOLO

Speranza e amore.

398 1. [v 1.] Ho amato perché il Signore esaudirà la voce della mia supplica. Canti queste parole l’anima pellegrina nella sua lontananza dal Signore ; le canti la pecora smarrita del Vangelo, le canti quel figlio che era morto ma tornò in vita, s’era perduto e fu ritrovato (Cf. Lc 15,24). Le canti la nostra anima, fratelli e figli carissimi. Lasciamoci istruire e restiamo saldi per cantare con i santi : Ho amato perché il Signore esaudirà la voce della mia supplica. Ma sarà davvero questo il motivo per cui si ama, che cioè il Signore esaudirà la voce della mia supplica ? Non è piuttosto vero che noi amiamo in quanto ci ha già esauditi o magari perché vogliamo che ci esaudisca ? Che senso ha dunque la frase : Ho amato perché egli mi esaudirà ? Non si sarà, per caso, riferito al fatto che di solito chi accende l’amore è la speranza e quindi ha detto d’avere amato in quanto sperava che Dio avrebbe ascoltato la voce della sua preghiera ?

Iniziativa divina e nostra vocazione.

2. [v 2.] Ma come ha potuto nutrire una tale speranza ? Dice : Egli ha chinato verso di me il suo orecchio e io l’ho invocato durante i miei giorni. Ecco : io ho amato perché egli mi esaudirà ; e mi esaudirà perché ha già chinato l’orecchio verso di me. Ma come sai, o anima umana, che Dio ha chinato a te l’orecchio, se tu non dirai : Ho creduto ? Quindi sono tre le cose che rimangono : la fede, la speranza, la carità (Cf. 1Co 13,13). Perché avevi creduto, hai sperato ; perché hai sperato hai anche amato. Se poi chiedo all’anima su quale fondamento abbia creduto che Dio si sia chinato con l’orecchio verso di lei, mi risponderà : Egli ci ha amati per primo ; e ancora : Egli non ha risparmiato il suo proprio Figlio, ma lo ha consegnato [alla morte] per noi (1Jn 4,19 Rm 8,32). Così infatti [in altro luogo] argomenta il Dottore delle genti : Ma come invocheranno uno in cui non avranno creduto ? Ovvero come crederanno in uno di cui non hanno sentito dir nulla ? Ma come ne sentiranno parlare senza chi lo annunzi ? E come la annunzieranno se non sono mandati ? (Rm 10,14-15) Vedendo compiute in me tutte queste cose, come avrei potuto non credere che il Signore ha chinato verso di me il suo orecchio ? In effetti nei nostri riguardi egli ha evidenziato il suo amore a tal segno che Cristo è morto per degli empi (Cf. Rm 5,8). Tutto questo mi hanno annunziato coloro che con piede stupendo si diedero ad annunziare la pace e i beni [messianici] (Cf. Is 52,7). Mi hanno detto che chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvo (Ac 2,21) ; di conseguenza io ho creduto che Dio già ha chinato l’orecchio verso di me e durante i miei giorni l’ho invocato.

Conseguenze funeste del primo peccato.

3. [v 3.] Quali sono codesti tuoi giorni di cui hai detto : Durante i miei giorni l’ho invocato ? Saranno forse i giorni nei quali il tempo raggiunse la pienezza e Dio mandò il suo Figlio (Cf. Ga 4,4), dopo avercelo predetto con le parole : Nel tempo propizio ti ho esaudito e nel giorno della salvezza li ho aiutato (Is 49,8) ? Dalla bocca del predicatore che veniva a te con piedi magnifici avevi udito l’annunzio : Ecco, ora è il tempo propizio, ora è il giorno della salvezza (2Co 6,2) ; e gli credesti e nei tuoi giorni invocasti il Signore dicendo : O Signore, libera la mia anima (Ps 114,4). Sono vere certamente anche queste cose, dice ; tuttavia per “ giorni miei ” mi piace di più intendere i giorni della mia miseria e della mia mortalità, i giorni che risentono di Adamo e son pieni di stenti e di sudore, i giorni condotti secondo il vecchio uomo e avviati alla corruzione del sepolcro. Io infatti sono un uomo prostrato a terra, immerso nel fango dell’abisso (Ps 68,3), per cui in un altro salmo gridavo : Ecco, hai reso vecchi i miei giorni (Ps 38,6). Durante questi miei giorni l’ho invocato. Sono infatti, questi miei giorni, tanto differenti da quelli del mio Signore, e se io li chiamo “ miei ” è perché io me li sono procurati tali con la mia presunzione, per la quale abbandonai il Signore. Ma siccome egli regna dovunque ed è onnipotente e padrone assoluto di tutto il creato, ecco che io mi meritai il carcere, cioè ne ebbi come conseguenza le tenebre dell’ignoranza e i ceppi della mortalità. Ecco in quali giorni l’ho invocato. Sono infatti ancora io colui che altrove grida : Libera dal carcere la mia anima (Ps 141,8). E siccome Iddio mi ha soccorso nel giorno della salvezza, a me conferita, veramente il gemito dei prigionieri entra al suo cospetto. Durante questi miei giorni, dunque, i dolori della morte mi avvolsero, mi sorpresero i pericoli dell’inférno, cose che non sarebbero capitate se io non mi fossi sperduto allontanandomi da te. Ma ora questi malanni mi hanno trovato, mentre io non li avrei scoperti finché avessi continuato a godere delle prosperità mondane, nella cui abbondanza più facilmente i pericoli dell’inferno riescono ad ingannarci.

Vivere lontani dalla patria è la nostra miseria mortale.

4. [vv 4.5.] Successivamente scopersi anch’io la tribolazione e il dolore, e invocai il nome del Signore. M’erano sconosciuti tanto la tribolazione di cui per soccorrerci si serve colui al quale un salmo dice : Dacci aiuto mediante la tribolazione, poiché vana è la salvezza dell’uomo (Ps 59,13). Ci fu infatti un tempo in cui anch’io pensavo che gioia ed esultanza mi provenissero dalla salvezza - larva di salvezza - che dà l’uomo ; ma in seguito, quando udii dal mio Signore le parole : Beati coloro che piangono perché saranno consolati (Mt 5,5) non attesi l’ora in cui per forza mi sarei dovuto staccare dai beni temporali a cui ero disordinatamente affezionato e piangerne. Mi misi a scrutare la mia miseria, la miseria cioè d’essere affascinato da beni che temevo di perdere e mi sentivo incapace di conservare. Ci pensai profondamente e vigorosamente, e notai come effettivamente io non fossi soltanto tormentato dalle avversità del mondo ma anche avviluppato dalle sue prosperità. In tal modo scopersi la tribolazione e il dolore, che prima mi erano sempre sfuggiti, e invocai il nome del Signore. O Signore, libera la mia anima ! In effetti io sono un uomo misero, e chi mi libererà da questo corpo mortale se non la grazia di Dio ad opera del nostro Signore Gesù Cristo ? (Rm 7,24) Esclami dunque il popolo santo di Dio : Ho scoperto la tribolazione e il dolore e ho invocato il nome del Signore. Le genti che non ancora invocano il nome del Signore odano questa voce e, uditala, si mettano in cerca, per scoprire anch’esse la tribolazione e il dolore : invochino il nome del Signore e si salvino. Con questo non diciamo ad esse di ricercare una miseria che non hanno ma di scoprire quella che senza rendersene conto hanno. Né auguriamo loro che manchino di quei beni materiali di cui si ha bisogno finché viviamo sulla terra, ma che sappiano piangere la perdita della sazietà celeste, al posto della quale han meritato di trovarsi nel bisogno di cose indispensabili per vivere ma non così stabili da poter costituire un godimento perenne. Che ciascuno si renda conto di questa miseria e ne pianga. Piangendo così, meriterà che venga a bearlo colui che ha voluto non lasciarci per sempre nella miseria.

Misericordia e giustizia del Signore.

5. [vv 5.6.] Il Signore è misericordioso e giusto ; il nostro Dio usa compassione. Misericordioso, giusto, usa compassione. Prima misericordioso : difatti chinò a me il suo orecchio, né io mi sarei accorto che l’orecchio del mio Dio s’era avvicinato alla mia bocca se non fossero intervenuti quegli [araldi dai] magnifici piedi che mi hanno spronato ad invocarlo. Chi infatti poté mai invocare Dio senza che Dio prima l’avesse chiamato ? Prima dunque misericordioso. Poi giusto, e ciò quando flagella ; ma poi di nuovo usa compassione, quando accoglie. Flagella infatti ogni figlio che accoglie, e a noi non deve sembrare tanto amaro l’essere fustigati, quanto è dolce invece l’essere accolti (Cf. He 12,6). Come potrebbe il Signore, che custodisce i piccoli, non fustigarli, volendoli eredi adulti ? C’è forse un qualche figlio col quale suo padre non usa severità ? (Cf. He 12,7) Mi sono umilialo ed egli mi ha salvato. Mi ha salvato perché io mi sono umiliato. Non è infatti per tormentare ma per guarire che il medico nel recidere [un membro guasto] produce dolore.

Come ottenere la quiete dello spirito.

6. [vv 7.8.] Ritorna, dunque, o anima mia, al tuo riposo, poiché il Signore ti ha beneficato. Non per i tuoi meriti o le tue forze, ma perché il Signore ti ha beneficato. Difatti così continua : Egli ha sottratto l’anima mia alla morte. È sorprendente quello che dice, o carissimi. Prima ha affermato che l’anima ha da tornare al suo riposo perché il Signore l’ha beneficata, e poi continua con le parole : Il Signore ha sottratto l’anima mia alla morte. Tornerà dunque, quest’anima, al suo riposo in quanto è sottratta alla morte ? Non si è piuttosto soliti parlare di riposo proprio nella morte ? Qual mai, dunque, sarà l’attività di quest’anima, se per lei la vita è un riposo mentre la morte è un’agitazione ? Ovviamente l’attività di quest’anima dev’essere tale che le concilia quiete e serenità, non che le aumenti l’angustia e l’affanno. È infatti un’anima liberata dalla morte ad opera di colui che usandole misericordia le ha detto : Venite a me, voi tutti che siete affaticati, e io vi ristorerò. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me che sono mansueto e umile di cuore ‘ e troverete riposo alle anime vostre : poiché il mio giogo è dolce e il mio carico leggero (Mt 11,28-30). L’agire di un’anima che aspira alla quiete dev’essere umile e soave, come conviene al seguace di Cristo via. Senza peraltro cadere nell’indolenza e svogliatezza, ma in maniera da portare a compimento la corsa. Sta scritto infatti : Compi le tue opere con pacatezza (Si 3,19), ove l’ammonizione : Compi le tue opere, mira proprio a impedire che la pacatezza ti porti all’indolenza. Non devi quindi trarre confronto dalla vita presente, dove il riposo del sonno ci ristora e facilita l’attività. Le buone azioni di per se stesse conducono l’anima ad una quiete nella quale si resta sempre vigili.

399 Salvati nella speranza.

7. Colui che ci somministra e offre tutte le cose è Dio, del quale il salmo dice : Poiché il Signore mi ha beneficato ed ha sottratto l’anima mia alla morte, i miei occhi alle lacrime e i miei piedi alla caduta. Son cose, queste, per le quali, realizzata che se ne sia la promessa, può cantare gioioso l’uomo che ora si sente stretto dal vincolo della propria carne mortale. Era certo vera la constatazione : Io mi sono umiliato ed egli mi ha salvato (
Ps 114,6), ma non è meno vera l’affermazione dell’Apostolo : Siamo stati salvati nella speranza (Rm 8,24). Quanto alla morte in particolare, è vero che ne siamo già stati liberati : è questo un fatto compiuto, se intendiamo la morte in cui giacciono i non credenti, dei quali diceva [il Signore] : Lascia che i morti seppelliscano i loro morti (Mt 8,22). Di costoro nel salmo precedente si diceva : Non ti loderanno, o Signore, i morti né alcuno di quelli che scendono nell’inferno. Noi invece che viviamo benediciamo il Signore (Ps 113,17-18). In riferimento a una tal morte, il fedele può ritenere a buon diritto che la sua anima ne fu liberata quando dall’incredulità passò alla fede. Tant’è vero che il Salvatore poteva asserire : Chi crede in me passa dalla morte alla vita (Jn 5,24). Riguardo alle altre cose invece, in chi non è ancora uscito dalla vita presente esse si sono adempiute solo nella speranza. Ora infatti ci troviamo esposti a pericoli gravissimi di scivolare [nel male], e quando vi pensiamo i nostri occhi versano lacrime continue. E allora soltanto i nostri occhi saranno sottratti alle lacrime quando i piedi più non potranno scivolare ; ma scivoloni di piedi in cammino solo allora non ci saranno quando non si avrà più con noi la miseria della carne con la sua inclinazione [al male]. Attualmente invece, sebbene la nostra via (cioè Cristo) sia stabile, noi abbiamo sotto i piedi la carne che ci proponiamo di domare ; e così, mentre lavoriamo per assoggettarla e castigarla, è una gran cosa se non cadiamo ; ma quanto a scivoloni chi potrà dire di esserne esente ?

La redenzione completa delle membra garantita dalla risurrezione del Capo.

8. [vv 8.9.] In una parola, noi siamo e insieme non siamo nella carne. Siamo nella carne poiché non si è ancora sciolto quel legame che invece sarebbe di gran lunga preferibile si sciogliesse affinché noi potessimo essere con Cristo (Ph 1,23). Non siamo nella carne poiché abbiamo affidato a Dio le primizie dello spirito, per cui possiamo dire che la nostra vita è nel cielo (Ph 3,20). In tale condizione, mentre con la testa (si fa per dire) siamo accetti a Dio, sotto i piedi, cioè nei lembi più marginali dell’anima, ci accorgiamo di avere ancora un terreno sdrucciolevole. Ebbene, le parole del salmo cantato sono un invito alla speranza ; anzi il testo sembrerebbe quasi riferirsi a un fatto compiuto. Dice : Egli ha sottratto i miei occhi alle lacrime e i miei piedi alla caduta. Tuttavia non continua dicendo : “ Io già piaccio ”, ma : Piacerò al Signore nella regione dei vivi, volendo con ciò indicare che egli non piace ancora al Signore per quella parte di sé che ha sede nella regione dei morti, cioè nella carne mortale. Difatti coloro che sono nella carne non possono piacere a Dio (Rm 8,8-9). E continua lo stesso Apostolo : Voi però non siete nella carne (Rm 8,9), frase da interpretarsi nel senso che il corpo è, sì, morto per il peccato ma lo spirito è vita a causa della giustificazione (Rm 8,10). Ora proprio secondo questo spirito, per il quale non erano più nella carne, piacevano al Signore. Viceversa, come si potrebbe piacere a un Dio vivo quando si è asserviti ad un corpo morto ? Ma cosa dice [l’Apostolo] ? Se abita in voi lo Spirito di chi ha risuscitato Gesù Cristo dai morti, colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti farà rivivere anche i vostri corpi mortali per mezzo dello Spirito che risiede in Voi (Rm 8,11). Allora saremo nella regione dei vivi, e in ogni nostra parte piaceremo al Signore e per nessuna parte saremo a lui estranei. Infatti finché siamo nel corpo siamo esuli, lontani dal nostro Signore, e per questo essere esuli e lontani dal Signore non siamo nella regione dei vivi. Abbiamo però fiducia e con fondatezza riteniamo essere meglio per noi staccarci dal corpo e comparire dinanzi al Signore. Comunque, sia che gli siamo vicini sia che ancora ne restiamo lontani, aneliamo di piacergli (2Co 5,6-9). Ora aneliamo poiché siamo in attesa della redenzione del nostro corpo (Cf. Rm 8,23), ma quando la morte sarà stata assorbita nella vittoria, quando il nostro corpo corruttibile si sarà rivestito d’incorruzione e il nostro corpo mortale si sarà rivestito d’immortalità (Cf. 1Co 15,53-54), allora non ci sarà più, alcun pianto, come non ci sarà più alcuna caduta né alcuna corruzione, causa delle cadute. Allora piacere al Signore non costituirà per noi un’aspirazione ma gli piaceremo senza riserve vivendo alla sua presenza nella regione dei vivi.


Agostino Salmi 1132