Agostino Salmi 326

326 23. [v 20.] Troverà mai posto accanto a te la sede dell’iniquità, se tu formi il dolore mediante un precetto? Vuol dire questo: Nessun iniquo potrà assidersi accanto a te, né tu ti assiderai su un trono di iniquità. E per rendere meglio l’idea, ne adduce il motivo: Tu, dice, formi il dolore mediante un precetto. Da questo comprendo che non ti sta vicino la sede dell’iniquità, perché tu non hai risparmiato nemmeno noi. È un pensiero che troviamo nell’Epistola dell’apostolo Pietro, ove si allega anche la testimonianza della Scrittura. Dice: È tempo che il giudizio cominci dalla casa del Signore. Cioè: è ora che siano giudicati coloro che fan parte della famiglia del Signore. Se i figli vengono sferzati, cosa non dovranno ripromettersi i servi più scellerati? Per cui aggiunge: Se da noi prende l’avvio, quale sarà la fine di coloro che non credono al Vangelo? (1P 4,17-18) E reca la testimonianza biblica: Se il giusto si salva a mala pena, il peccatore e l’empio dove andranno a finire? (Pr 11,31). Come potranno essere con te gli iniqui, se tu non risparmi i castighi nemmeno ai tuoi fedeli ma li metti alla prova e li tratti con severità? Ma siccome il ricorso ai castighi nel caso dei giusti mira a farli ravvedere, per questo dice: Tu formi il dolore mediante un precetto. “ Formare ” infatti vuol dire “ dare una forma ”, “ plasmare ”: da cui deriva il nome “ formatore ”, e di un vaso si dice che è “ formato ”. Non ci si riferisce affatto a quel “ fingere ” che significa mentire, ma si tratta proprio del formare e dare una forma. Come del resto aveva detto un poco più avanti: Chi ha formato l’occhio, non vedrà? (Ps 93,8). Forse che “ formare l’occhio ” include l’idea di dire menzogne? Anzi è da intendersi: lui che fece, che plasmò l’occhio. E non è, il Signore, un lavoratore di creta, se ci ha formati così fragili, deboli e terreni? Ascolta l’Apostolo: Abbiamo questo tesoro racchiuso in vasi di argilla (2Co 4,7). O sarà stato forse un altro, diverso da Dio, a formare questi nostri vasi? Senti ancora l’Apostolo: O uomo, chi sei tu che entri in polemica con Dio? Può forse dire il vaso a colui che l’ha modellato: Perché mi hai fatto così? O che il vasaio non abbia il potere di fare da una stessa massa di creta alcuni vasi per usi nobili e altri per usi ignobili? (Rm 9,20-21) Nota pure come lo stesso Signore nostro Gesù Cristo si presenti come un vasaio. Egli, che aveva creato l’uomo dal fango della terra (Cf. Gn 2,7), con lo stesso fango spalmò colui al quale nel seno materno non aveva formato gli occhi (Cf. Jn 9,1-6). Pertanto le parole: Troverà mai posto accanto a te la sede dell’iniquità, se tu formi il dolore mediante un precetto? dobbiamo intenderle come segue: si troverà mai presso di te una sede di iniquità, se tu formi il dolore mediante un precetto? Dice: “ Tu formi il dolore mediante un precetto ”, e significa: Tu ci dài un precetto circa il dolore, sicché il dolore è per noi una imposizione. In che senso il dolore è per noi un precetto? Egli è morto per te, eppure ti flagella e in questa vita non ti promette la beatitudine; non può ingannare e si rifiuta di darti ciò che gli chiedi. Cosa ti darà? Quando? In che misura? Intanto però non te lo dà, ti sottopone a severa disciplina, ti impone il dolore come con un precetto. L’affanno è una realtà già presente, il riposo ti è soltanto promesso. Che hai da tribolare lo tocchi con mano; bada però anche alla felicità che lui ti promette. Puoi forse immaginartela? Se lo potessi, vedresti che in confronto col premio le tue sofferenze sono un nulla. Ascolta uno che contemplava, sia pure parzialmente, [il premio futuro] e diceva: Ora lo conosco solo in parte (1Co 13,12). Ebbene, cosa dice l’Apostolo? La nostra tribolazione presente, temporanea e leggera, in una misura e in una maniera insospettata produce in noi un cumulo eterno di gloria. Che vuol dire: Produce in noi un eterno cumulo di gloria? E per chi lo produce: Per coloro che non fermano gli occhi sulle cose visibili ma su quelle invisibili. Difatti le cose visibili sono temporanee, mentre quelle che non si vedono sono eterne (2Co 4,17-18). Non essere indolente nel sopportare il tuo breve travaglio, e godrai senza fine. Dio ti darà la vita eterna: pensa se non valga la pena acquistarsela col più pesante lavoro.

Breve e leggera la fatica, eterno il riposo.

24. State attenti, fratelli! Si tratta d’un affare. Dio ti dice: Ciò che io posseggo lo metto in vendita, compralo! Cos’è in vendita? Metto in vendita la felicità, dice il Signore: comprala con la fatica! Fate attenzione! per poter essere in nome di Cristo dei cristiani forti. Del salmo resta ormai poca cosa: non stanchiamoci. Come potrà infatti essere tenace nell’operare uno che si stanca ad ascoltare? Ci assista il Signore, affinché riusciamo a esporvi quanto rimane. Attenti! Dio, per così dire, ci ha offerto il regno dei cieli come una cosa venale. Gli chiedi: “ Quanto costa? ” “ Il suo prezzo è la fatica ”. Se ti si dicesse: “ Costa dell’oro ”, tu non ti accontenteresti di questa risposta, ma domanderesti: “ Quanto oro? ”. Poiché ci sono diverse monete d’oro: uno spicciolo, mezz’oncia, una libbra, ecc. Ti ha quindi manifestato il prezzo, perché non ti affaticassi nella ricerca finché non l’avessi trovato. Prezzo della felicità eterna è la fatica: quanta fatica? Domandagli quanto occorrerà faticare! Non ti si dice ancora né quanto sarà gravosa questa fatica né quanto tempo durerà. Dio ti dice solamente: “ Io ti mostrerò quanto grande sarà la felicità che ti attende. Quanta fatica convenga spenderci, giudicalo da te ”. Oh, sì, ti dica il Signore quanto sarà grande la felicità futura. Beati coloro che abitano nella tua casa! Essi ti loderanno per tutti i secoli (Ps 83,5). Ecco la felicità eterna. Sarà un riposo senza fine, una gioia senza fine, un’allegrezza senza fine, una incorruttibilità senza fine. Avrai la vita eterna: un riposo che non avrà fine. Quanto sforzo non meriterà questo riposo senza fine? A voler calcolare e giudicare secondo verità, un riposo eterno dovrebbe esser comprato mediante un eterno lavoro. Proprio così; ma Dio è misericordioso. Non temere! Se infatti il lavorare fosse eterno, mai arriveresti al riposo eterno. Dovendo lavorare senza fine, quando saresti arrivato a quel riposo che, essendo eterno, giustamente lo si sarebbe dovuto acquistare mediante un lavoro eterno? Uguaglia il prezzo al valore della cosa! Un riposo eterno lo si deve certamente equiparare a un lavoro eterno; ma se dovessi sempre faticare, mai arriveresti al riposo. Perché dunque tu raggiunga ciò che hai comprato, non dovrai faticare in eterno: non perché l’eternità non valga tanto, ma perché ti sia accordato di raggiungere, una buona volta, ciò che hai comprato. Sarebbe doveroso la si comprasse, questa pace eterna, con una fatica eterna ma, per necessità di cose, la si deve comprare con una fatica temporanea. Non c’è dubbio che per una felicità eterna, la fatica sostenuta avrebbe dovuto essere proporzionata, cioè eterna. Un milione di anni trascorso nel lavoro cosa merita? Un milione di anni ha un termine; mentre ciò che io ti do - dice Dio - non avrà fine. Com’è grande la misericordia di Dio! Non dice: Affaticati per un milione di anni! E nemmeno: Lavora per mille anni o cinquecento! Lavora finché vivi, nei pochi anni che hai. Ne avrai felicità e riposo senza fine. Ascolta ancora il seguito del testo. O Signore, secondo la quantità dei dolori che hanno afflitto il mio cuore, le tue esortazioni hanno rallegrato l’anima mia. Triboli per pochi anni e già durante questi anni di fatica non ti mancano giorno per giorno consolazioni e gioie. Non godere però delle gioie del mondo: godi in Cristo, nella sua parola e nella sua legge! In questa sorta di godimenti rientra il nostro parlare ed il vostro ascoltare. Quanto grandi sono dunque queste consolazioni in mezzo a tante nostre angustie! Con verità diceva l’Apostolo: La nostra tribolazione presente, temporanea e leggera, in una misura ed in una maniera insospettate, produce in noi un cumulo eterno di gloria (2Co 4,17). Ecco il prezzo che sborsiamo! Una bagattella, per così dire, e questo sarà sufficiente per ricevere tesori eterni. Un pizzico di fatica per una felicità insospettata, secondo quel che sta scritto: In una misura e in una maniera insospettate opererà in noi un cumulo eterno di gloria. Se al presente godi, non presumere! Se soffri, non disperare! Non ti corroda la buona fortuna e non ti prostri l’avversa! Non dire in cuor tuo: Non è possibile che Dio, il quale castiga i giusti per salvarli e farli ravvedere, accolga i peccatori. Se il giusto si salverà a mala pena, l’empio e il peccatore che fine faranno? (Pr 11,31 1P 4,18) Forse che troverà posto accanto a le una sede di iniquità? Forse che starà accanto a te la sede degli empi? A te che formi il dolore mediante un precetto, cioè a te che vuoi mettere alla prova e sottoporre a rigida disciplina anche i figli e che desti loro dei precetti perché non fossero senza timore e, dimenticando te loro vero bene, si dessero ad amare qualche altro oggetto? Dio è buono, e, se cessasse di mescolare delle amarezze alle gioie terrene, noi lo dimenticheremmo.

Nelle tribolazioni dell’esilio ci sostengono la fede e la speranza.

25. Quando le angustie e le noie sollevano come dei flutti nell’anima, si desti quella fede che sonnecchiava nel nostro intimo. Era bonaccia quando Cristo dormiva in mezzo al mare; durante quel sonno si levò una tempesta e stavano tutti in pericolo. Così nel cuore dei cristiani: ci sarà tranquillità e pace finché la fede è desta; se invece la fede si addormenta, sì cade in pericolo. Cristo dormiente rappresenta infatti coloro che dimenticano la fede e versano in pericolo. Quando però quella barca era sbatacchiata dalle onde, i naviganti svegliarono Cristo gridandogli: Signore, siamo perduti! E subito egli si levò in piedi, comandò alla tempesta e alle onde: il pericolo cessò e tornò la bonaccia (Cf. Mt 8,23-26). Così fa’ anche tu. Quanto ti turbano voglie illecite, insinuazioni maligne, è come un agitarsi di onde. Esse saranno però calmate. Forse disperi e pensi di non essere più del Signore. Si desti la tua fede; sveglia Cristo nel tuo cuore! Tornando la fede, ti accorgerai subito da che parte sei e, anche se si leveranno come onde a tentarti le tue cattive inclinazioni, volgerai lo sguardo alle promesse divine, e la dolcezza di quel che ti è promesso ti farà disprezzare ogni attrattiva mondana. Che se da parte di uomini potenti e malvagi ti fossero rivolte tante e tali minacce che tu vorresti abbandonare la giustizia, tu allora ripenseresti alle minacce del Signore: Andate al fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli (Mt 25,41); e non abbandoneresti la giustizia. Temendo il fuoco eterno, non paventeresti i dolori temporanei, come, mirando alle promesse divine, calpesti ogni prosperità temporale. Ebbene, Dio ti ha promesso il riposo: sopporta le tribolazioni! Ti minaccia il fuoco eterno: non calcolare i dolori di questo mondo! E allora Cristo si sveglierà, e il tuo cuore ritroverà la serenità, e arriverai finalmente in porto. Se infatti ti ha allestito una nave, vuol dire che ti ha preparato anche un porto. Forse che troverà posto accanto a te la sede dell’iniquità, se tu formi il dolore mediante un precetto? Egli ci tribola servendosi di uomini perversi, e con i loro maltrattamenti ci istruisce. Dalla cattiveria del perverso il buono è, sì, sferzato, ma come quando un figlio viene sottoposto a disciplina ad opera di un servo. Così il dolore viene formato mediante il precetto. I cattivi fanno ciò che Dio loro permette; ma è solo temporaneamente che li si risparmia.

26. [v 21.] Come continua? Vorranno catturare l’anima del giusto. Perché: Vorranno catturare? Perché non troveranno una colpa effettiva di cui incriminarlo. Cosa poterono infatti trovare nel Signore? Non avendo potuto trovare colpe reali, ne inventarono delle false (Cf- Mt 26,59). Condanneranno il sangue innocente. Perché tutto questo accada, lo spiegherà nei versetti che seguono.

27. [v 22.] Dice: Il Signore è divenuto il mio rifugio. Se non ti fossi trovato nel pericolo, non avresti cercato un tale rifugio. Trovandoti invece in pericolo, hai cercato [e scoperto] che Dio forma il dolore mediante il precetto. Egli cioè attraverso le malvagità dei cattivi mi procura delle afflizioni, ed ecco che io, il quale nella felicità di questo mondo non cercavo più il rifugio di Dio, punto dal dolore, subito ricomincio a cercarlo. C’è infatti uomo sulla terra, il quale, se fosse sempre nella felicità e avesse a portata di mano tutte le gioie che spera, si ricorderebbe con facilità del Signore? Ma si dilegui la speranza che hai riposta nel mondo! Subentrerà immediatamente la speranza in Dio, e dirai: Il Signore è divenuto mio rifugio. Abbia pure a soffrire ogni male, purché il Signore diventi il mio rifugio! E il mio Dio si è fatto sostegno della mia speranza. Il Signore è nostra speranza adesso, finché siamo sulla terra e viviamo nella speranza, non nel possesso effettivo. E proprio perché non ci perdiamo di speranza, ci sta vicino l’Autore delle promesse, il quale ci sostiene e addolcisce le nostre sofferenze. Non è stato detto invano che Dio è fedele e non permette che siate tentati oltre le forze ma, insieme con la prova, vi manda uno scampo, sicché riusciate a sopportarla (1Co 10,13). Dio, in altre parole, ci caccia nella fornace delle tribolazioni affinché il vaso si cuocia, non si frantumi. E il Signore è divenuto mio rifugio, e il mio Dio si è fatto sostegno della mia speranza. Come mai dunque e perché ti dovrebbe sembrare ingiusto, o quasi, quando perdona ai malvagi? Vedi come il salmo rettifica le posizioni; ma occorre che anche tu ti raddrizzi sul suo esempio. Non per nulla infatti il salmo aveva prima assunto i tuoi accenti. Quali? O Signore, fino a quando i peccatori saranno in gloria? (Ps 93,3) Il salmo parlava usando parole tue; ora sii tu a parlare con gli accenti del salmo. Quali? Il Signore è divenuto mio rifugio; il mio Dio s’è fatto rifugio della mia speranza.

Dio ricava il bene anche dal male. Intenzione umana e giudizio di Dio.

28. [v 23.] Il Signore renderà loro la mercede in conformità delle loro opere, e secondo la loro malizia li disperderà il Signore nostro Dio. Non è senza motivo l’inciso: Secondo la loro malizia. Per loro mezzo io conseguo certi risultati, eppure si menziona la loro malizia, non i loro benefici. È infatti cosa indubitata che Dio ci prova e tormenta servendosi dei cattivi. A qual fine? Certo per il regno dei cieli. Egli flagella ogni figlio che accoglie, e qual è quel figlio che suo padre non sottopone a disciplina? (He 12,6 He 7). Con tali prove Dio ci addestra al possesso dell’eredità eterna; e le prove spesso ci provengono da parte dei cattivi, dei quali Dio si serve per tenerci in allenamento e per perfezionare il nostro amore, il quale, secondo il suo volere, deve estendersi fino ai nemici. L’amore cristiano infatti non sarebbe perfetto se non si adempisse anche quello che ordinava Cristo, e cioè: Amate i vostri nemici; fate del bene a coloro che vi odiano e pregate per i vostri persecutori (Mt 5,44). Così si vince il diavolo, così si ottiene la corona della vittoria. Ecco i grandi benefici che Dio ci procura servendosi dei cattivi; eppure la loro ricompensa non sarà commensurata ai vantaggi che proverranno a noi dal loro operato, ma sarà in rapporto alla loro malizia. Osservate un istante i benefici derivati a noi dall’orribile delitto che compì Giuda traditore. Giuda tradì e fece condannare il Figlio di Dio. Attraverso la passione del Figlio di Dio sono state redente tutte le genti e hanno conseguito la salvezza; tuttavia il compenso che fu dato a Giuda non fu commensurato con la salvezza ottenuta dalle genti, ma gli fu imposta la pena che meritava la sua malizia. Considerando infatti in se stessa la consegna di Cristo ai nemici e non l’intenzione del traditore, si dovrebbe dire che Giuda fece la stessa cosa che fece Dio Padre, del quale sta scritto: Non risparmiò il suo proprio Figlio, ma lo consegnò [al supplizio] per noi tutti (Rm 8,32). Giuda inoltre avrebbe fatto la stessa cosa che fece lo stesso nostro Signore, di cui sta scritto: Consegnò se stesso alla morte per noi, vittima e sacrificio a Dio in odore di soavità. E ancora: Cristo, amò la Chiesa e per essa si consegnò [alla morte] (Ep 5,2-25). Eppure noi ringraziamo il Padre per non aver risparmiato il suo unico Figlio e averlo immolato per noi; ringraziamo il Figlio per essersi lasciato uccidere per noi, adempiendo la volontà del Padre; ma detestiamo l’operato di Giuda, anche se da esso Dio ha saputo ricavare il più grande dei suoi benefici. E abbiamo ragione quando affermiamo che il Signore lo ripagò secondo la sua malvagità e secondo la sua cattiveria lo fece perire. Egli infatti non consegnò il Cristo ai nemici per amore nostro ma per il denaro che ricavò dalla sua vendita: anche se con il tradimento di Cristo noi siamo stati recuperati e con la vendita di Cristo noi siamo stati redenti. Lo stesso vale dei persecutori nei confronti dei martiri. Perseguitandoli in terra, li spedivano in cielo. Tuttavia essi erano consapevoli del male che loro causavano privandoli della vita presente, mentre nulla sapevano dei vantaggi che loro procuravano nella vita futura; sicché quanti persistettero nell’odio iniquo contro i giusti, Dio li ripagherà secondo la loro colpevolezza e, secondo la loro malizia, li farà perire. Come per i cattivi è un ostacolo la bontà dei giusti, così è un vantaggio per i buoni la malizia degli empi. Lo dice il Signore: Io sono venuto affinché chi non vede veda, e chi vede diventi cieco (Jn 9,39). E l’Apostolo dice: Per alcuni noi siamo odore di vita per la vita, per altri invece siamo odore di morte per la morte (2Co 2,16). La malvagità dei cattivi diventa per i giusti un’arma: sono le armi che si maneggiano con la sinistra e di cui parla l’Apostolo quando dice: Con le armi della giustizia a destra e a sinistra, cioè, mediante la gloria e l’ignominia (2Co 6,7-8). Proseguendo ancora, mostra come le armi della destra erano la gloria di Dio, la buona fama, la verità che li rendeva noti a tutti, il fatto di vivere, di non essere uccisi, di assaporare la gioia, di arricchire molti, di possedere tutto. Armi della sinistra erano l’essere ritenuti seduttori, l’essere ignorati, uccisi, oppressi, contristati, l’apparire bisognosi e privi di tutto. E cosa c’è di straordinario, se i soldati di Cristo sconfiggono il diavolo con armi maneggiate con la destra e con la sinistra? Ebbene, come c’è pace per gli uomini di buona volontà (Cf. Lc 2,14), anche quando questi diventano per i cattivi profumo di morte che li spinge alla morte, così c’è la dannazione per gli uomini di cattiva volontà, anche se essi talora sono per i giusti armi di salvezza, magari adoperate con la sinistra. Dio, in conclusione, non darà ai cattivi la ricompensa misurandola sui vantaggi provenienti a noi dalle loro opere. Li ripagherà, al contrario, in proporzione della loro malizia: quella malizia che essi amarono odiando la propria anima. In effetti Dio sa usare a fin di bene anche dei cattivi, ma non li glorificherà in proporzione con i benefici che dal loro agire sono stati accordati a noi. Il Signore nostro Dio li farà perire secondo la loro malizia.

Come rendere fruttuose le prove della vita.

29. Concludendo, chi è giusto sopporti l’ingiusto; nella tribolazione che in questo mondo deve sostenere, il giusto sopporti l’impunità temporale dell’ingiusto. E poi il giusto vive di fede (Cf. Rm 1,17). Non esiste infatti altra giustizia per l’uomo durante la vita presente, se non vivere di fede: quella fede che opera mediante la carità (Cf. Ga 5,6). Che se davvero vive di fede, creda che, dopo le tribolazioni della vita presente, ci sarà il riposo, mentre per i cattivi, dopo il presente periodo di prosperità, ci saranno eterni tormenti. Se ha la fede che opera mediante la carità, il buono ami anche i nemici e, per quanto sta in lui, procuri di rendersi utile a loro. Così facendo otterrà che essi non lo danneggino, anche se lo volessero. Che se a questi cattivi fosse data facoltà di nuocere e di spadroneggiare sul giusto, egli tenga in alto il cuore, lassù dove nessuno può danneggiarlo. A ciò si lasci istruire ed educare dalla legge di Dio, in modo che egli sia sottratto ai giorni del male, mentre al peccatore si sta scavando la fossa. Se infatti la sua volontà sarà fissa nella legge del Signore ed egli mediterà giorno e notte nella legge di lui (Cf. Ps 1,2), la sua vita è ormai nel cielo (Cf. Ph 3,20) e dal firmamento risplende sulla terra. Da ciò ha preso il titolo il nostro salmo, che si denomina: Nel quarto giorno della settimana (Ps 93,1), quando furono creati i luminari (Cf. Gn 1,14). Assolva pertanto tutti i suoi doveri senza contestazioni, conservando la parola della vita in mezzo ad una generazione traviata e perversa (Cf. Ph 2,14-16). E come la notte non spegne il brillare delle stelle in cielo, così il male del mondo non abbatterà l’animo dei fedeli che rimangono saldi nel firmamento della divina Scrittura. Quanto poi al fatto che i nostri beni temporali a volte vengono lasciati in potere dei malvagi, questo mira non solo al nostro ammaestramento, affinché cioè si riponga nel Signore il nostro rifugio e Dio divenga effettivamente il sostegno della nostra speranza, ma tende anche al castigo del peccatore a cui nel frattempo si viene scavando la fossa. Come è detto in un altro salmo: Si curverà e cadrà mentre esercita sul povero il suo dominio (Ps 9,10).

327 Esortazione a vivere con coerenza la Parola di Dio.

30. Può darsi che il nostro discorso, nella sua lunghezza, vi sia stato di peso: anche se, a giudicare dall’entusiasmo della vostra attenzione, ciò non appare. Ma se per caso fossi stato davvero pesante, vogliatemi scusare. Prima di tutto perché l’ho fatto dietro un comando: comando del Signore nostro Dio, manifestatomi da certi fratelli nei quali egli abita. Difatti Dio non invia ordini se non dal suo trono. In secondo luogo, perdonatemi perché - lo confessiamo - come voi eravate desiderosi di noi, così anche noi eravamo desiderosi di voi. Il nostro Dio dunque ci faccia assaporare la consolazione di questa nostra fatica, e il nostro sudore giovi al vostro avanzamento nella via della salvezza e non divenga un capo di accusa contro di voi. Vi dico questo, fratelli, affinché traiate profitto dalle cose che avete ascoltate. Ruminatele dentro di voi e non vogliate dimenticarle. Ripensatele piuttosto e parlatene tra di voi, ma soprattutto vivete in conformità con quel che vi è stato detto. Difatti la vita buona, modellata sui comandamenti del Signore, è come uno stilo che incide nel cuore le cose udite. Se le si scrivesse sulla cera, si cancellerebbero facilmente. Scrivete la parola di Dio nei vostri cuori, nei vostri costumi, e non si cancellerà mai.

SUL SALMO 94

94 Ps 94

ESPOSIZIONE

DISCORSO

1. [v 1.] Mi sarebbe piaciuto, fratelli, ascoltare insieme con voi il nostro padre; ma anche l’obbedire a lui sarà senz’altro cosa buona. Egli infatti mi ha ordinato di parlare assicurandomi la sua preghiera; per cui io vi intratterrò su questo salmo dicendo alla vostra Carità quello che il Signore Dio nostro si degnerà concedermi. Ecco il titolo del salmo: Lode del cantico, per David stesso. Lode del cantico. Essendo un canto, denota allegrezza; essendo una lode ‘ include devozione. Ma a che cosa soprattutto dovrà l’uomo tributare la sua lode, se non a ciò che gli piace in maniera da escludere tutto ciò che è spiacevole? È quindi nella lode di Dio che si trova tutto ciò che dona stabilità alla lode; e anche chi loda è tranquillo, né ha da temere che abbia a vergognarsi della persona lodata. Ebbene, lodiamo e cantiamo! Cioè: lodiamo con gioia e con festa. Quanto poi all’oggetto della nostra lode, ce lo indica lo stesso salmo nei versi che seguono.

Somiglianza e dissomiglianza della vita umana con Dio.

2. Venite, esultiamo al Signore! Invita al grande banchetto della gioia. Non gioia mondana, ma gioia nel Signore. Se, infatti, non ci fosse in questo mondo una gioia riprovevole, da distinguersi dalla gioia santa, sarebbe bastato dire: Venite, esultiamo! Ma, per quanto in forma concisa, il salmo distingue. Che significa allora esultare bene? Esultare nel Signore. Come la gioia cattiva è la gioia che dà il mondo, così la gioia santa è la gioia nel Signore; e tu devi gioire nel Signore animato da sincera pietà, se vuoi deridere tranquillo la gioia del mondo. Ma perché: Venite? Dove sono coloro che egli invita a venire per giubilare insieme dinanzi al Signore? Se non fossero lontani, non dovrebbero venire né avvicinarsi né muovergli incontro per esultare. Ma in che senso sono lontani? Può forse l’uomo essere localmente distante da colui che è dovunque? Vuoi essere lontano da lui? Dove te ne andrai, per creare questa distanza? Ci fu una volta un tale che era, sì, peccatore ma non aveva perso la speranza della salvezza. Pentito e spiacente dei suoi peccati, atterrito dall’ira divina e desideroso di placarla, in un altro salmo dice così: Dove me ne andrò per sfuggire al tuo spirito? E dove fuggirò per sottrarmi al tuo volto? Se salissi in cielo, tu saresti lassù. Che cosa gli rimane? Se salendo al cielo vi trova Dio, per fuggire da Dio dove se ne dovrà andare? Sta’ a sentire! Se scenderò nell’inferno, tu ci sei (Ps 138,7-8). Saliva in cielo e vi trovava Dio; scendeva nell’inferno e non lo evitava. Dove andrà? dove scapperà? Da Dio irato dovrà fuggire presso Dio placato. Ma pur essendo assolutamente vero che nessuno può fuggire lontano da colui che è onnipresente, se non ci fossero alcuni che si trovano lontani da Dio non direbbe la Scrittura: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me (Is 29,13). Non si è lontani da Dio per fattori locali, ma in quanto non gli si somiglia. E che vuol dire non somigliargli? Condurre una vita cattiva, avere cattivi costumi. Come con la buona condotta ci si avvicina a Dio, così con la condotta cattiva ci si allontana da lui. Poni un solo ed identico uomo che col corpo resti immobile in un medesimo luogo: se amerà Dio si avvicinerà a lui; se amerà il peccato si allontanerà da Dio. Non muove i piedi, eppure si avvicina e si allontana. In questo genere di spostamenti infatti nostri piedi sono i nostri affetti: secondo l’inclinazione del cuore di ciascuno, secondo l’amore di ciascuno, ci si avvicinerà o ci si allontanerà da Dio. Quando ci imbattiamo in cose diverse l’una dall’altra, non diciamo forse tante volte: “ Quanto dista questo da quello? ”. Paragoniamo (dico per dire) due persone, due cavalli, due vestiti. Se uno dice: “ Questo vestito somiglia all’altro; è tale quale l’altro ”, ovvero: “ Quest’uomo è una copia di quell’altro ”, cosa ribatte uno che è di parere contrario? “ Ma va’ via. È lontanissimo dall’altro ”. Cosa vuol dire con ciò? Che fra i due non c’è alcuna somiglianza. Stanno vicini, eppure uno è distante dall’altro! Ecco due malfattori, identici nel genere di vita e nella condotta. Fossero pure uno in oriente e l’altro in occidente, essi sono vicini fra loro. Lo stesso dicasi di due giusti. Anche se uno vive a levante e l’altro a ponente, sono l’uno accanto all’altro poiché sono in Dio. Se, invece, di due persone una è buona e l’altra è cattiva, anche se fossero stretti insieme da un’unica catena, sarebbero immensamente distanti tra loro. Resta, pertanto, vero che mediante la diversità della vita ci allontaniamo da Dio, come mediante la somiglianza ci avviciniamo a lui. Quale somiglianza? La somiglianza secondo la quale fummo creati e che, dopo averla guastata con il peccato, abbiamo recuperata quando i peccati ci sono stati rimessi. È un’immagine che si rinnova nel nostro intimo, nell’anima; è l’immagine del nostro Dio che, per così dire, si scolpisce nuovamente nella moneta, cioè nell’anima, per cui dobbiamo tornare nella sua cassaforte. Perché mai infatti, o fratelli, quando il nostro Signore Gesù Cristo volle mostrare ai suoi tentatori ciò che Dio esige da noi, ricorse proprio ad una moneta? Essi cercavano un pretesto per calunniarlo e gli posero il problema del tributo a Cesare. Vollero consultarlo come maestro di verità e, per tentarlo, gli chiesero se fosse o no lecito pagare il tributo a Cesare. Ebbene cosa disse il Signore? Perché mi tentate, ipocriti? Chiese che gli si presentasse una moneta e, quando gliela portarono, chiese: Che immagine reca? L’immagine di Cesare, risposero. E lui: Rendete a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio (Mt 22,15-21). E intendeva dire: Se Cesare reclama la sua immagine impressa sulla moneta, non esigerà Dio dall’uomo l’immagine divina scolpita in lui? Invitandoci a considerare questa somiglianza con Dio, il nostro Signore Gesù Cristo ci comanda di amare persino i nostri nemici, prendendo l’esempio proprio da Dio. Dice: Siate come il vostro Padre celeste, il quale fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi, e manda la pioggia ai giusti e agli ingiusti. Siate dunque voi perfetti come è perfetto il Padre vostro (Mt 5,45-48). Quando afferma: Siate perfetti come lui, c’invita a renderci simili a lui. E se c’invita a diventare simili a Dio, è segno che, diventando difformi da lui, ce n’eravamo allontanati. Andati lontano per la dissomiglianza, ci riavviciniamo attraverso il recupero della somiglianza; e allora si verifica in noi quanto è scritto: Accostatevi a Dio e sarete illuminati (Ps 33,5). C’era dunque della gente lontana e dedita a una vita cattiva. A costoro il salmo dice: Venite, esultiamo al Signore! Dove andate? dove vi ritirate, dove sgattaiolate dove fuggite, col vostro gioire mondano? Venite, esultiamo al Signore! Perché andare a godere dove vi rovinereste? Venite, esultiamo in colui che ci ha fatti. Venite, esultiamo al Signore!

3. Giubiliamo a Dio, autore della nostra salvezza. Che vuol dire: “ giubilare ”? Avere un’allegria che non si può esprimere a parole e che, non potendosi esprimere a parole pur essendo concepita nel cuore, la si manifesta con grida. Ecco cos’è “ giubilare ”. La vostra Carità potrebbe andare con la mente al tripudio di certi cantastorie, e questo soprattutto quando ci son come delle gare di allegria profana. Li vedete come, in mezzo alle canzoni che declamano a parole, ogni tanto trabocchino di allegria e, non essendo in grado di esprimerla a parole, si mettono a gridare. Con tali grida esternano quei sentimenti dell’animo che essi provano, sì, ma non riescono a tradurre con parole. Se dunque c’è della gente che va in visibilio per delle gioie terrene, non dovremmo noi giubilare intensamente di fronte alle gioie celesti, che per davvero sono ineffabili?

Il duplice significato della parola confessione.

4. [v 2.]Preveniamo il suo volto con la confessione! Nella sacra Scrittura di “ confessione ” si parla in due sensi. C’è la confessione di chi loda, e la confessione di chi geme. La confessione di chi loda è un onore tributato a colui cui è indirizzata la lode; la confessione di chi geme è un atto di pentimento da parte di chi accusa se stesso. Ci si confessa, pertanto, o lodando Dio o accusando noi stessi; e non c’è cosa più eccellente che possa compiere la lingua. Anzi, io sono profondamente convinto che questi e non altri siano i voti di cui è detto in un altro salmo: Io ti renderò i miei voti: quei voti che le mie labbra hanno distinto (Ps 65,13-14). Nulla è più sublime di una tale distinzione. Nulla è altrettanto necessario e a capirsi e a praticarsi. Come distinguerai, allora, i voti che rendi a Dio? Loderai Dio e accuserai te stesso: è infatti sua misericordia se ci condona i peccati. Poiché, se avesse voluto trattarci secondo i nostri meriti, non avrebbe trovato altro che gente meritevole di condanna. Ecco perché, il salmista dice: Venite! Ci vuol far recedere dal peccato, in modo che Dio non ci chieda conto dei nostri trascorsi, ma si approntino (per così dire) nuovi registri, bruciati tutti quelli che contenevano i nostri debiti. Quanta lode dobbiamo quindi tributargli! Quanta misericordia ci ha usata! Confessiamolo, cioè diamogliene lode. Se infatti non ci fosse altra confessione se non quella dell’uomo pentito, non avrebbe mai detto il Vangelo a proposito del nostro Signore, che Gesù in quel momento esultò nello Spirito Santo e disse: Ti confesso, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché tu hai nascosto queste cose ai saggi e agli astuti e le hai rivelate ai piccoli (Lc 10,21). Gesù confessava al Padre; ma forse che si pentiva? Non aveva nulla di cui pentirsi, lui che non aveva commesso colpa alcuna. Se confessava qualcosa, era quindi nel senso che rendeva lode al Padre. Allo stesso modo, siccome il salmo si muove in un contesto di gioia, dovremo (penso) anche qui intendere “ confessione ” nel senso di lode a Dio, da cui deriverebbe anche il titolo: Lode del cantico. Non dovremmo pensare, quindi, alla confessione del penitente ma alla lode dell’osannante. Ma che senso avrà allora il richiamo che il salmista immediatamente aggiunge, nel quale, parlando di un certo tipo di confessione, dice: Preveniamo il suo volto con la confessione? Che vuol dire con queste parole? Egli verrà; ebbene, dice, preveniamo il suo volto con la confessione! Facciamolo prima; cioè, quando non è ancora venuto, confessiamo e disapproviamo il male fatto, affinché lui non abbia a trovare nulla da condannare ma tutto da coronare. E non sarà, questo tuo confessare i peccati, un gesto che torna a lode di Dio? Senz’altro! È una magnifica lode di lui. E perché mai? Perché tanto maggiore è la gloria del medico, quanto più grave o disperata era la malattia dell’infermo. Confessa dunque i tuoi peccati specialmente se, per le tue colpe, la tua situazione era proprio disperata. Tanto più grande è infatti la lode che merita chi t’ha perdonato, quanto maggiore era il numero delle colpe che pentito riconosci. Non ci sembri quindi che non sia più una lode del cantico la nostra, se prendiamo la “ confessione ” nel senso di accusa dei peccati. Anche questo rientra nella lode del cantico, poiché, riconoscendo la nostra colpevolezza, glorifichiamo la maestà di Dio. Preveniamo il suo volto con la confessione.

Molti i motivi per lodare il Signore.

5. [vv 3-5.]E nei salmi giubiliamo a lui. Ho già detto cosa sia giubilare. Qui lo si ripete per incoraggiarci a farlo; e la stessa ripetizione è un invito. Non che già ci fossimo scordati di quanto ci era stato detto prima, cioè di giubilare, sì da necessitare d’un nuovo richiamo; ma spesso, quando l’animo è in preda alla commozione, si ripetono delle parole già dette non per dire qualcosa di nuovo, ma per ribadire quanto s’era detto. Ci si ripete, insomma, per manifestare la piena del sentimento che ci muove a parlare. In tal senso diceva il Signore: In verità, in verità vi dico (Jn 1,51). Sarebbe bastato dire: In verità una sola volta. E, se egli dice: In verità, in verità, la ripetizione non è altro che un rafforzamento. Il salmista dice: Giubiliamo a lui nei salmi. E che diremo nel nostro salmeggiare? Cosa diremo, o meglio, quali sentimenti esprimeremo giubilando? Cosa può costituire il tema della lode di questo cantico? Ascoltate! Un grande Dio è il Signore; egli è un re più grande di tutti gli dèi. Ecco perché giubileremo in suo onore. E giubileremo ancora perché il Signore non rigetterà il suo popolo, e perché nella sua mano sono i confini della terra e sue sono le altezze dei monti. Per tutto questo giubileremo a Dio. Inoltre giubileremo perché suo è il mare ed egli lo creò e perché le sue mani formarono la terraferma. A voler investigare come si conviene il significato di tutte queste cose, non ci basta (penso) il tempo; ma a sorvolarle completamente, ciò sarebbe per noi non soddisfare a un dovere. Ricevete, dunque, quel che potremo compendiare in un breve discorso, quale ci consente il tempo disponibile; tenendo presente che anche pochi grani producono un abbondantissimo raccolto quando la terra è fertile.

Il vero Dio e le divinità forgiate dall’uomo.


Agostino Salmi 326