Agostino Salmi 11816

SULLO STESSO SALMO 118

11816 Ps 118

DISCORSO 15

Locuzioni antropomorfiche nella Scrittura.

1. [vv 49.50.] Del presente lunghissimo salmo esaminiamo ed esponiamo, con l’aiuto del Signore, i versi che suonano : Ricordati, a vantaggio del tuo servo, della tua parola con la quale mi hai dato speranza. Questa mi ha consolato nella mia umiliazione poiché la tua parola mi ha rimesso in vita. Forse che Dio al pari dell’uomo può incorrere in dimenticanze ? Perché allora dirgli : Ricordati ? Eppure tale parola ritorna inequivocabilmente in altri testi della Scrittura, fra cui questi : Perché mi hai dimenticato ? (Ps 41,10) E : Ti dimentichi forse della nostra miseria ? (Ps 43,24) E Dio stesso per mezzo del Profeta dice : Nulla ricorderò di tutte le sue iniquità (Ez 18,22). E così in altri numerosissimi testi : i quali tuttavia non sono da intendersi, se riferiti a Dio, come quando le cose accadono fra gli uomini. È un caso identico al cosiddetto pentirsi di Dio. Dio si pente quando, aldilà delle previsioni umane, cambia il corso delle cose, ovviamente senza che cambino le decisioni della sua volontà, poiché la volontà del Signore è stabile in eterno (Cf. Ps 32,11). Parimenti si dice che Dio dimentica quando sembra tardare a dare l’aiuto o a mantenere le promesse o a castigare come meriterebbero i malvagi, e così via. Si ha l’impressione, allora, che quanto da noi sperato o temuto gli sia sfuggito di mente e perciò non accada. Sono modi di dire consueti, desunti dai moti della sensibilità umana, poiché certamente Dio agisce sempre secondo un ordinamento infallibile, né gli falla la memoria o gli si oscura l’intelligenza o muta la volontà. Quando dunque un orante dice a Dio di ricordarsi, mostra, ingrandendolo, il desiderio con cui reclama l’adempimento delle promesse ; non intende suggerire la cosa a Dio quasi che se la sia dimenticata. Dicendo quindi : Ricordati della tua parola a vantaggio del tuo servo, è come se dicesse : Adempi la tua promessa a vantaggio del tuo servo. Con la quale mi hai dato speranza, cioè : con la quale parola. È stato infatti per la tua promessa che mi hai fatto sperare.

415 Umiliazione del perseguitato e soccorso divino.

2. Questa mi ha consolato nella mia umiliazione. Questa si riferisce alla speranza data agli umili, della quale dice la Scrittura : Dio resiste ai superbi e dà la grazia agli umili (
Jc 4,6 1P 5,5). Di essa ebbe a dire un giorno il Signore di sua bocca : Chi si esatta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato (Lc 14,11 Lc 18,14). L’umiltà di cui si parla nel versetto, se lo capiamo bene, non è tanto quella con cui ci si umilia confessando i peccati o non attribuendoci opere di giustizia, ma piuttosto quella per cui ci sentiamo abbattuti se ci incoglie una qualche tribolazione o smacco, tanto se meritati dalla nostra superbia quanto se mandatici per esercitare e provare la nostra pazienza. È quell’umiltà di cui un po’ più oltre dirà il nostro salmo : Prima d’essere umiliato io ero caduto in peccato. E nel libro della Sapienza : Nel dolore soffri da forte, nell’umiliazione abbi pazienza. Perché nel fuoco si saggiano l’oro e l’argento, e gli uomini accetti nel crogiolo dell’umiliazione (Si 2,4-5). Chiamandoli accetti [a Dio], li invita alla speranza che nell’umiliazione dona conforto. Predicendo ai discepoli questa umiltà, che li avrebbe raggiunti ad opera dei persecutori, il Signore Gesù non li lasciò senza speranza ; anzi ne diede una veramente capace di consolarli, quando disse : Mediante la vostra pazienza salverete le vostre anime (Lc 21,19). E riguardo al corpo che i nemici avrebbero potuto uccidere e quasi annientare, disse : Non perirà nemmeno un capello della vostra testa (Lc 21,18). Ecco la speranza che viene data al corpo di Cristo, cioè alla Chiesa : speranza che la consola nella sua umiltà. È la speranza di cui l’apostolo Paolo afferma : Se invece speriamo ciò che non vediamo, aspettiamolo con pazienza (Rm 8,25). È insomma la speranza del premio eterno. Tuttavia c’è un’altra speranza data ai santi perché non vengano meno nella prova. È una speranza che consola moltissimo nell’umiltà e nella tribolazione, e proviene dalla parola di Dio che garantisce l’ausilio della grazia. Di questa speranza dice l’Apostolo : Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre quel che potete, ma con la tentazione vi procurerà anche la via d’uscita, onde possiate sopportarla (1Co 10,13). E il Salvatore di sua bocca assicurava questa stessa speranza allorché diceva : Questa notte Satana va in cerca di voi per vagliarvi come si vaglia il grano. Ma io ho pregato per te, Pietro, affinché la tua fede non venga meno (Lc 22, 3l). L’assicurava ancora nell’orazione da lui stesso insegnata quando ci esortava a dire : Non c’indurre in tentazione (Mt 6,13). Ciò che ordinava fosse chiesto nella preghiera, in certo qual modo prometteva di accordare ai suoi quando fossero stati nel pericolo. Di questo secondo tipo di speranza sembra parlare il salmo (e così è da intendersi) quando dice : Questa mi ha consolato nella mia tribolazione, poiché la tua parola mi ha rimesso in vita Un tal senso hanno marcato più vigorosamente quei traduttori che hanno preferito il termine sentenza a parola. Il greco infatti legge , cioè sentenza, e non , che sarebbe parola.

Empietà dei persecutori e fortezza dei Martiri.

3. [v 51.] Continua il salmo : I superbi agivano iniquamente fino all’eccesso, ma io non ho deviato dalla tua legge. Per superbi intende coloro che perseguitano i fedeli a Dio, e per questo aggiunge : Ma io non ho deviato dalla tua legge, cosa alla quale mi voleva costringere la loro persecuzione. Dei persecutori egli dice che si comportavano iniquamente fino all’eccesso ; e ciò perché non soltanto erano empi loro personalmente ma costringevano anche i pii a diventare altrettanto empi. In tale umiliazione, cioè in mezzo a tale tribolazione, sopraggiunse a consolare i martiri la speranza, loro fornita dalla parola di Dio con cui si garantiva loro l’aiuto perché non ne venisse meno la fede. Lo Spirito di Dio, presente in loro, somministrava ad essi la forza nel cimento, per cui sfuggendo al laccio dei cacciatori potevano affermare : Se il Signore non fosse stato con noi, forse ci avrebbero inghiottiti vivi (Ps 123,1 Ps 123,3).

Figli dell’ira salvati dall’unico Mediatore.

4. Ma chi sa se nel dire : Questa mi ha consolato nella mia umiliazione, non intenda parlare di quella vicenda davvero umiliante per la quale l’uomo precipitò e fu scaraventato nella morte a seguito di quel peccato che infelicissimamente fu commesso nella felicità del paradiso (Cf. Gn 3,23) ? Per questa umiliazione l’uomo è divenuto simile alla vanità e i suoi giorni passano come ombra (Cf. Ps 143,4), e tutti si nasce figli dell’ira ; e tali si resterebbe se non ci fosse stato il Mediatore che ha riconciliato con Dio tutti coloro che, prima della creazione del mondo, etano stati predestinati alla salvezza eterna (Cf. Ep 1,4). In questo Mediatore sperarono anche gli antichi giusti, prevedendone con spirito profetico la futura venuta nella carne. Queste antiche profezie sul Salvatore comunicate ai padri possono essere ben identificate (se ne attribuiamo ad essi l’invocazione) con quella “ parola ” di cui il nostro salmo, quando dice : A vantaggio del tuo servo, ricordati della tua parola con la quale mi hai dato speranza. Questa mi ha consolato nella mia umiliazione, cioè in questa mia condizione mortale, poiché la tua parola mi ha rimesso in vita, cioè ha fatto sì che io, precipitato nella morte, avessi speranza di vita. I superbi agivano iniquamente fino all’eccesso : infatti nemmeno l’infima bassezza della loro condizione mortale poté domare la loro superbia. Ma io non ho deviato dalla tua legge, cosa che i superbi pretendevano da me.

5. [v 52.] Fui memore dei tuoi giudizi, o Signore, dal principio dei secoli e ne fui consolato, ovvero, come riportano altri codici, mi ci sono esortato, cioè ne ho riportato esortazione. Sono due interpretazioni che ugualmente possono ricavarsi dalla parola greca . Dice in sostanza : Dal principio dei secoli, cioè da quando cominciò ad esistere il genere umano, io fui memore dei tuoi giudizi - quei giudizi che usavi con i vasi dell’ira ormai irrimediabilmente perduti - e ne fui consolato. Anche con la loro punizione, infatti, tu hai mostrato i tesori della tua gloria che riversi sui vasi di misericordia (Cf. Rm 9,22-23).

Il celeste Samaritano.

6. [vv 53.54.] Lo sgomento mi oppresse a causa dei peccatori che abbandonavano la tua legge. Oggetto dei miei canti divennero per me le vie della tua giustizia nel luogo del mio esilio, ovvero, come leggono alcuni codici : Nel luogo della mia peregrinazione. Ecco l’umiliazione in cui cadde l’uomo scacciato dal paradiso e dalla Gerusalemme celeste e costretto a peregrinare nel regno della mortalità, simile in questo a quel tale che, scendendo a Gerico, incappò negli assassini (Cf. Gn 3,23). Ma dal buon Samaritano gli venne usata misericordia (Cf. Lc 10,30) e per questo nel luogo del suo peregrinare divennero oggetto dei suoi canti le vie della giustizia di Dio. Ciononostante egli resta sempre oppresso dallo sgomento a causa dei peccatori che abbandonano la legge di Dio, perché in questo mondo è costretto a vivere con loro, anche se temporaneamente, finché cioè non ci sarà la pulitura dell’aia. Si potrebbe tentare un avvicinamento di questi due versi con le due parti del verso precedente. In questo modo le parole : Io fui memore dei tuoi giudizi, o Signore, dal principio dei secoli, sarebbero riprese nel verso con le parole : Lo sgomento mi oppresse a causa dei peccatori che abbandonavano la tua legge ; mentre le altre : E io ne fui consolato, troverebbero un’eco in : Oggetto dei miei canti divennero per me le vie della tua giustizia nel luogo del mio esilio.

La notte dello spirito.

7. [v 55.] Dice : Io mi ricordai del tuo nome, o Signore, nella notte e osservai la tua legge. Notte è quella umiliazione dove si trascina l’uomo mortale con il cumulo delle sue sventure ; ed è notte per i superbi che fino all’eccesso agiscono con cattiveria. È notte per lo sgomento causato dai peccatori che abbandonano la legge di Dio. E finalmente è anche notte a motivo del luogo ove si protrae il presente esilio fino alla venuta del Signore, il quale illuminerà i recessi delle tenebre e paleserà i disegni del cuore, e allora ciascuno riceverà da Dio la sua lode. Finché dura questa notte, l’uomo deve ricordarsi del nome di Dio, sicché chi sì gloria si glori nel Signore (Cf. 1Co 4,5 1Co 1,31). Vi si riferisce anche quel testo scritturale : Non a noi, o Signore, non a noi ma al tuo nome dà gloria (Ps 113,1). Vuol dire che ognuno osserverà la legge di Dio non in vista della gloria propria ma a gloria di Dio, come del resto non lo fa per la propria giustizia ma per la giustizia di Dio, cioè data da Dio all’uomo. Analogamente il salmista dice : Io mi ricordai del tuo nome, o Signore, nella notte e osservai la tua legge. Non l’avrebbe certo osservata se non si fosse ricordato del nome di Dio ma avesse confidato in se stesso. Poiché il nostro aiuto è nel nome dei Signore (Ps 123,8).

416 L’umile trae profitto da ogni prova.

8. [v 56.] Proseguendo il discorso aggiunge : Questa mi è accaduta perché ricercavo le tue giustizie. Sì, le tue giustizie, con le quali tu giustifichi l’empio ; non le mie, che in nessun modo gli renderebbero pio ma solamente superbo. Infatti il salmista non era uno di quei tali che ignorando la giustizia di Dio e volendo affermare la propria non son soggetti alla giustizia di Dio (
Rm 10,3). Trattandosi dunque delle giustizie con cui per un dono della grazia divina vengono giustificati gratuitamente coloro che da sé soli non possono diventare giusti, han reso con maggior precisione il senso quei traduttori che hanno usato il termine giustificazioni. E difatti il testo greco non reca ; (che sarebbe giustizie) ma  che significa appunto giustificazioni. Che intende dire con : Questa mi è accaduta ? Questa : che cosa ? Forse la legge, in quanto or ora diceva : E io osservai la tua legge ? Aggiungendo a tali parole la frase : Questa mi è accaduta, avrà quindi voluto dire : Questa legge mi è accaduta ? Non è il caso di indugiare neppure un istante a esporre in qual modo gli sia accaduta la legge di Dio poiché, leggendo la frase nel greco da dove è stata tradotta, appare con sufficiente chiarezza che l’espressione : Questa mi è accaduta non si riferisce alla legge. Infatti in greco la parola “ legge ” è maschile, mentre nel nostro testo il greco ha il pronome femminile, essendovi scritto : Questa mi è accaduta. Occorre pertanto investigare prima in che consista la cosa che gli è capitata e poi come gli sia capitata quella cosa, qualunque essa sia. Dice : Questa mi è accaduta ; né si può intendere “ Questa legge ”, poiché il greco esclude tale significato. Proveremo quindi a intendere : “ Questa notte ”. È un’interpretazione probabile, motivata dal fatto che il periodo precedente, nella sua interezza, recava : Io mi ricordai del tuo nome, o Signore, nella notte e osservai la tua legge. E a tal periodo seguiva appunto la frase : Questa mi è accaduta. Non essendo la legge, la cosa che gli è capitata sarà, ovviamente, la notte. Ma allora qual è il significato dell’affermazione : Per aver io ricercato le vie della tua giustizia, mi è capitata la notte ? Se ha ricercato le vie della giustizia di Dio, dev’essergli brillata la luce, non capitata la notte ! Effettivamente è da capirsi bene anche quel : Mi è accaduta, intendendola nel senso di : “ Si è volta a mio favore ” o “ Me n’è venuto del giovamento ”. Senza cadere nell’assurdo, per “ notte ” intenderemo quindi l’umiliante condizione della nostra mortalità per cui il cuore dei singoli mortali è celato al proprio simile. Da queste tenebre nascono innumerevoli e gravi tentazioni ; e in tale notte si mettono a circolare anche le belve della foresta, i leoncini ruggiscono cercando il cibo dal Signore (Cf. Ps 103,21), e lo stesso principe dei leoni ruggendo cerca chi poter divorare (Cf. 1P 5,8). Parlando di lui il Signore disse le parole sopra ricordate : Questa notte Satana ha chiesto di vagliarvi come frumento (Lc 22,31) ; e voleva dire : Nella notte, quando vanno in giro le belve della foresta, il gran leone [infernale] ha chiesto di voi al Signore per farvi sua preda. Ebbene, questa umiliazione che l’uomo incontra nel suo peregrinare sulla terra e che giustamente è figurata nella notte, torna a vantaggio di coloro che ne escono salutarmente provati e vi imparano a deporre la superbia, che è quel male per cui l’uomo fu cacciato nella notte. Infatti apostatare da Dio fu per l’uomo il tratto iniziale della sua superbia (Cf. Si 10,14), ma poi venne giustificato gratuitamente e, se fu esposto alle varie tentazioni della presente notte, lo fu perché traesse profitto dalla sua umiliazione. Divenuto intelligente, dica pure ciò che è detto in questo salmo poco dopo : Buon per me che tu mi hai umiliato, affinché io impari le vie della tua giustizia (Ps 118,71). Che significa infatti : Buon per me che tu mi hai umiliato, se non che questa, l’umiliazione che con altro nome chiamo “notte”, mi è accaduta (cioè le cose si sono messe) in modo tale che io ne traessi profitto ? Ma tutto questo, perché ? Eccolo. Perché io ricercai, non le mie, ma le tue vie di giustizia.

Uso del neutro a posto del femminile nella S. Scrittura.

9. L’espressione : Questa è accaduta a me, è suscettibile anche di un’altra spiegazione dove non occorre sottintendere né “ legge ” né “ notte ”. Si potrebbe, cioè, intendere il pronome questa come lo si intende in quell’altro salmo dove si legge : Una sola chiesi al Signore, questa ricercherò (Ps 26,4). Non precisa in che consista o come sia fatta quell’unica [cosa] di cui dice : Questa ricercherò ; ma è come se il femminile venga usato a posto del neutro. È infatti fuori dell’uso corrente dire : Una sola ho chiesto al Signore, questa ricercherò, quando non si possa sottintendere in che [cosa] consista quell’unica che ricerca. Normalmente in tali casi si dice : “ Una sola cosa ” ho chiesto al Signore e “ questo ” ricercherò, cioè abitare nella casa del Signore. Si tratta in effetti di quei neutri che non esigono un sostantivo neutro sottinteso, come sarebbe “ un bene ”, “ un dono ” o simili ; ma qualunque sia la cosa che si sottintenda e per quanto il nome proprio della medesima possa essere di genere maschile o femminile, o anche se la si accenni vagamente con espressioni indeterminate, senza nome di qualsivoglia genere, sempre in tali casi, nel parlare ordinario, si ricorre al neutro. Così potrebbero intendersi anche le parole dette qui dal salmo. Questa è accaduta a me corrisponderebbe a : Questa cosa mi è accaduta. Che se poi ci domandiamo quale essa sia, subito la nostra mente va alle parole precedenti : Io mi sono ricordalo del tuo nome, o Signore, nella notte e osservai la tua legge. Ecco cosa mi è accaduto : l’aver io osservato la tua legge non me lo son procurato io stesso ma è stato operato da te ed è tornato a mio vantaggio, perché io ho ricercato non le mie ma le tue vie di giustizia. Come dice l’Apostolo : È Dio che opera in voi e il volere e l’agire con buona Volontà (Ph 2,1). Ne parla il Signore stesso quando per mezzo del Profeta dice : E farò sì che camminiate nelle vie della mia giustizia e osserviate i miei statuti e li pratichiate (Ez 36,27). In conclusione, se Dio dice : Io farò sì che osserviate i Miei statuti e li pratichiate, con ogni ragione può il salmista concludere : Questo è stato compiuto in me. Che se poi vai a chiedergli di cosa si tratti, ti risponderà quanto da lui detto in precedenza, e cioè : l’aver potuto osservare la legge di Dio. Il nostro discorso però è andato ormai un po’ per le lunghe, per cui il seguito sarà meglio trattarlo in un altro capitolo, se il Signore ce lo concederà.

SULLO STESSO SALMO 118

11817 Ps 118

DISCORSO 16

Dio eredità dei buoni.

1. [v 57.] A Dio piacendo, iniziamo la esposizione di quei versi del presente lungo salmo che cominciano con le parole : Mia parte è il Signore, o, come recano certi codici : Mia porzione sei tu, Signore. Ciò si afferma in quanto chiunque è unito a Dio ne diviene partecipe, come sta scritto : Cosa buona è per me l’essere unito a Dio (Ps 72,28). Non è infatti in virtù della loro natura che gli uomini sono dèi ma divengono tali partecipando alla natura dell’unico vero Dio. La cosa potrebbe spiegarsi anche pensando ai diversi traguardi che gli uomini si prefiggono di raggiungere in questo mondo o a quanto loro tocca in sorte. Siccome per vivere chi si sceglie un’attività e chi un’altra, si può ragionevolmente affermare che la porzione dei buoni è Dio stesso, da cui conseguono la vita immortale. Nessuno dei due sensi è da ritenersi assurdo. Ma ascoltiamo il seguito : Io ho detto : voglio osservare la tua legge. Che significano le parole : O Signore, mia porzione, io ho detto : voglio osservare la tua legge ? Non forse che il Signore sarà nostra porzione quando si sarà osservata la sua legge ?

La riuscita nel bene è dono di Dio.

2. [vv 58.59.] Ma come sarà possibile osservarla se non ce lo dona lo Spirito della vita aiutandoci a ben riuscire ? Altrimenti rimarremmo con la lettera che uccide (Cf. 2Co 3,6), e il peccato, approfittando dell’occasione [che gli offre il precetto], mediante il precetto produrrebbe in noi ogni sorta di concupiscenza (Cf. Rm 7,8). Occorre quindi invocare il Signore, perché in tale maniera la fede ottiene quel che la legge può solo ordinare. Infatti sta scritto al riguardo : Chi invocherà il nome del Signore sarà salvo (Cf. , 32; Rm 10,13). Nota pertanto cosa aggiunga : Ho scongiurato il tuo volto con tutto il mio cuore. E specificando in che modo abbia supplicato il Signore, continua : Abbi pietà di me secondo la tua parola. E poi, come per sottolineare che è stato esaudito e aiutato da colui che aveva supplicato, prosegue : Ho pensato alle mie vie e ho distolto i miei piedi [per indirizzarli] verso le tue testimonianze. Li ho distolti, ovviamente dalle mie vie di cui ho provato dispiacere, per indirizzarli verso le tue testimonianze dove avrebbero trovato la via. Parecchi codici non leggono : Perché ho pensato (lezione contenuta solo in alcuni) ma solamente : Ho pensato. E anche riguardo all’altra espressione, cioè : E io ho distolto i miei piedi, ci sono codici che leggono : Perché io ho pensato e tu hai distolto i miei piedi. In tal modo quanto qui si afferma viene attribuito direttamente alla grazia divina, secondo le parole dell’Apostolo : È infatti Dio colui che opera in voi (Ph 2,13), e le altre nelle quali si dice a Dio : Distogli i miei occhi perché non vedano la vanità (Ps 118,37). Se è lui che distoglie gli occhi perché non vedano la vanità, come non sarà anche lui a distogliere i piedi perché non seguano l’errore ? Non per nulla infatti sta anche scritto : I miei occhi sono sempre [rivolti] al Signore, perché egli districherà dal laccio i miei piedi (Ps 24,15). Ma sia che si legga : Tu hai distolto i miei piedi, sia che si preferisca : Io ho distolto, in ogni caso la riuscita viene sempre da colui del quale il salmista nel suo cuore ha scongiurato il volto e al quale ha detto : Abbi pietà di me secondo la tua parola, cioè in conformità della tua promessa. In effetti [soltanto] i figli della promessa sono considerati discendenza di Abramo (Cf. Rm 9,8-9).

3. [v 60.] Ottenuto questo dono di grazia, dice : Son pronto (e non turbato) ad osservare i tuoi comandamenti. Il testo greco, che reca , è stato reso da alcuni con : Per osservare i tuoi comandamenti ; da altri con : Affinché osservassi ; e da altri ancora con : Osservare.

Insidie dei nemici e doverosa resistenza dei Santi.

4. [v 61.] Descrivendo quanta prontezza abbia conseguita in ordine all’osservanza dei comandamenti di Dio, così si esprime : Le funi dei peccatori mi hanno stretto all’intorno, ma non ho dimenticato la tua legge. Funi dei peccatori sono gli ostacoli frapposti dai nemici tanto spirituali (quali il diavolo e i suoi angeli) quanto carnali, vale a dire i figli dell’incredulità nei quali agisce il diavolo stesso (Cf. Ep 2,2). E certamente il termine peccatorum non è da prendersi come un caso declinato dal nome “ peccato ” ma lo si deve piuttosto derivare da “ peccatore ”, come appare con ogni evidenza dal corrispondente greco. Orbene quando questi peccatori minacciano con dei mali i buoni e li spaventano, facendoli ritrarre dall’affrontare i patimenti per la legge di Dio, in certo qual modo li avviluppano con delle funi, Sono una corda robusta e resistente quella che tendono. Trascinano infatti i propri peccati come una lunga corda (Cf. Is 5,18), con la quale si sforzano di avviluppare anche i santi ; e a volte questo viene loro accordato. Se però essi ne legano il corpo, non ne avviluppano l’anima, a meno che non si tratti di uno che abbia dimenticato la legge di Dio. Infatti la parola di Dio non si lascia legare (Cf. 1Tm 2,9).

417 5. [v 62.] Dice : A, mezzanotte mi levavo a lodarti per i giudizi della tua giustizia. Infatti uno dei giudizi della giustizia di Dio è anche il potere concesso ai peccatori di avviluppare il giusto con le loro funi. Ne parla l’apostolo Pietro quando dice che è ormai giunto il tempo nel quale il giudizio ha da cominciare dalla casa di Dio. E prosegue : Che se il principio è da noi, quale ne sarà la fine in coloro che non obbediscono al Vangelo di Dio ? E se il giusto a stento sarà salvato, dove compariranno l’empio e il peccatore ? (1P 4,17) Dice tutte queste cose riguardo alle persecuzioni che subiva la Chiesa quando le funi dei peccatori la avvolgevano. Per cui l’accenno alla mezzanotte penso doversi intendere dei momenti in cui la tribolazione raggiunse il culmine dell’atrocità. Che se dice : Allora io mi levavo, indica che la prova non lo tormentava fino a schiacciarlo ma lo allenava a rimettersi in piedi. Egli, cioè, dalla stessa prova traeva profitto per una confessione più coraggiosa.

Cristo partecipe della nostra mortalità, noi della sua divinità.

6. [vv 63.64.] Tutto questo è frutto della grazia divina per l’azione del nostro Signore Gesù Cristo. Ecco pertanto che nella profezia di questo salmo il divino Salvatore aggiunge i suoi accenti personali a quelli del suo corpo. Ritengo infatti che le parole che seguono, e cioè : Io sono partecipe di tutti coloro che ti temono e osservano i tuoi comandamenti, appartengano in proprio al nostro Capo. Né diversamente si legge nella Lettera intitolata “ agli Ebrei” : E colui che santifica e coloro che sono santificati [provengono] tutti da uno : per questo non si vergogna di chiamarli fratelli (He 2,11). E un po’ più avanti : “Siccome i servi partecipano della carne e del sangue, per questo anche lui in qualche modo s’è reso solidale con loro ” (He 2,14). Le quali parole cos’altro significano se non che egli si è reso partecipe della loro stessa sorte ? Difatti noi non saremmo mai diventati partecipi della sua divinità se egli non si fosse reso partecipe della nostra mortalità. In effetti, che noi siamo partecipi della sua divinità è affermato nel Vangelo. A coloro che credono nel suo nome, dice, diede il potere di diventare figli di Dio : i quali non da sangue né da volontà di carne né da volontà di uomo ma da Dio sono nati (Jn 1,12). Perché ciò si realizzasse il Verbo si rese partecipe della nostra natura mortale, come è detto : E il Verbo si fece carne ed abitò tra noi (Jn 1,14). Attraverso questa partecipazione della divinità ci viene conferita la grazia per la quale temi amo castamente Dio e ne osserviamo i comandamenti. È quindi Gesù colui che parla in questa profezia ; ma alcune cose le dice in persona delle sue membra o in unione col suo corpo (come un unico uomo sparso per tutto il mondo e in continua crescita nel volgere dei secoli), altre invece le dice il nostro Capo in persona propria. Così è del nostro verso : lo sono partecipe di tutti coloro che ti temono e osservano i tuoi comandamenti. Siccome poi egli si è reso partecipe della sorte dei propri fratelli, Dio compartecipe degli uomini, l’immortale dei mortali, per questo poté parlare di quel grano caduto per terra, che messo a morte portò frutto abbondante. È in riferimento a questo frutto che continuando dice : Della tua misericordia, o Signore, è piena la terra. E quando avviene questo ? Quando l’empio viene giustificato. Per poter poi progredire nella conoscenza di questa grazia continua : E insegnami le vie della tua giustizia.

SULLO STESSO SALMO 118

11818 Ps 118

DISCORSO 17

Gran dono di Dio è il gusto del bene.

1. [v 65.] I versi del nostro salmo ché oggi vogliamo esporre nel nome del Signore cominciano così : Hai operato la dolcezza verso il tuo servo, o Signore, secondo la tua parola, o meglio : secondo il tuo dire. Notiamo che, riguardo al termine greco  i nostri traduttori l’hanno reso qualche volta con dolcezza, qualche altra con bontà. In effetti, siccome c’è una dolcezza anche nel male (quando cioè si gode di cose illecite e sudice) e segnatamente nell’abbandonarci al piacere carnale, quando si parla di dolcezza dai greci chiamata  occorre intendere quella soavità che s’incontra nei beni d’ordine spirituale. Questo è il motivo per cui i nostri hanno preferito usare senz’altro il nome bontà. Quando dunque qui si dice : Hai operato la dolcezza verso il tuo servo, penso che non si debba intendere altro se non : Tu hai fatto sì che mi gustasse fare il bene. È infatti un gran dono di Dio provare l’attrattiva del bene. Se invece l’opera buona, comandataci dalla legge, la si compie per timore del castigo e non per il gusto del bene, non si ama Dio ma lo si teme soltanto. L’opera è compiuta con animo di servi, non di figli ; e il servo non resterà in eterno nella casa [del padrone], mentre il figlio vi rimarrà in eterno (Cf. Jn 8,35). La carità perfetta, com’è risaputo, caccia via il timore (Cf. Gv 1Jn 4,18). Ebbene tu, o Signore, hai operato la dolcezza verso il tuo servo quando da servo l’hai reso figlio. E questo secondo la tua parola, cioè secondo la tua promessa, affinché, nell’ordine della fede, sia stabile la promessa nei riguardi di tutti i discendenti (Cf. Rm 4,16).

Dolcezza, disciplina e scienza.

2. [v 66.] Dice : Insegnami la dolcezza e l’istruzione e la scienza perché ho creduto nei tuoi comandamenti. Chiede che questi doni crescano in lui fino a raggiungere la perfezione. Aveva detto infatti già in precedenza : Hai operato la dolcezza verso il tuo servo. E quindi cos’altro vorrà dire con le parole : Insegnami la dolcezza, se non che la grazia divina gli si palesi sempre più assaporando la dolcezza della bontà ? Come quei tali che, pur avendo la fede, chiedevano : Signore, accresci la nostra fede (Lc 17,5). Quello del salmo è un canto di gente che avanza [verso Dio] vivendo in questo mondo. Sicché continua : E l’istruzione o, come recano numerosi codici, la disciplina. Questa disciplina è dai greci chiamata , e di norma, quando la troviamo usata nelle nostre Scritture, dobbiamo intenderla nel senso di ammaestramento a base di asperità, secondo il detto scritturale : Il Signore riprende severamente colui che ama e sferza ogni figlio che accoglie (Pr 3,12 He 12,6). Nella letteratura ecclesiastica è invalso l’uso di chiamare questo tipo di ammaestramento col termine “disciplina”, preso dal corrispondente greco . Incontriamo la parola nel testo greco dell’Epistola agli Ebrei, e il traduttore latino l’ha resa come segue : Ogni disciplina non sembra lì per lì esser di gioia, bensì di dolore ; ma più tardi porta, a chi è per mezzo di essa esercitato, pacifico frutto di giustizia (He 12,11). Quando dunque Dio opera la dolcezza nell’animo di qualcuno, significa che nella sua misericordia gli ispira il gusto del bene o, per spiegarmi con più chiarezza, gli dona l’amore per Iddio stesso e per il prossimo, amato per amore di Dio. Chi è stato così favorito deve pregare insistentemente perché un tal dono aumenti nel suo cuore, al segno che per conservarlo sappia non solo disprezzare tutte le altre gioie ma anche sopportare ogni sorta di tribolazioni. Ecco perché è salutare che alla dolcezza si aggiunga la disciplina. È, questa, una disciplina che non si chiede né si brama per conseguire una dolcezza o bontà qualunque, per avere cioè un amore santo comune. La si vuole per raggiungere un grado di amore così elevato che, anche sotto il peso della disciplina, non si spenga ma, come fiamma possente al soffiare di vento impetuoso, quanto più viene compressa tanto più si accenda e divampi. Quindi sarebbe stato poco dire : Tu hai operato la dolcezza verso il tuo servo (Ps 118,65), se non avesse proseguito chiedendo che gli venisse insegnata una dolcezza sì grande da poter sostenere con la massima pazienza i rigori della disciplina. Al terzo posto si colloca la scienza, e questo perché, se la scienza superasse in grandezza la carità, sarebbe una scienza che gonfia, non che edifica (1Co 8,1). Se invece la carità, con la dolcezza della bontà che l’accompagna, è tale che non si lascia spegnere dalle prove e dai rigori della disciplina, allora anche la scienza diviene utile. Con essa infatti l’uomo si conosce meglio, e conosce ciò che personalmente si meritava e ciò che Dio gli ha donato. Conoscerà ancora come solo per tali doni è in grado di scoprire quelle possibilità che, senza di essi, nemmeno sospettava di possedere. Per non parlare delle riuscite, che da solo mai avrebbe potuto ottenere.

Dio nostro maestro ed educatore.

3. Il fatto poi che dice : Insegnami, e non “ Dammi ”, fa sorgere la domanda come possa essere insegnata la dolcezza se non la si dona. È vero che molti sanno cose da cui non si sentono attratti e che delle cose che conoscono non hanno alcun gusto ; non si può però apprendere la dolcezza se non provandone l’attrattiva. Lo stesso è della disciplina, cioè della severità imposta a correzione, la quale si impara quando la si riceve o, in altre parole, non la si impara ascoltandone o leggendone la descrizione e nemmeno pensando ad essa, ma facendone l’esperienza. La scienza, al contrario, posta dal salmista come terza fra le prerogative che desidera gli siano insegnate, viene data proprio mediante l’insegnamento. Che significa infatti insegnare se non impartire la scienza ? Son due cose così intimamente congiunte, la scienza e l’insegnamento, che l’una non può essere senza l’altro. Non s’insegna infatti se non quando l’altro riesce ad imparare, né si impara se non quando uno ci comunica il suo insegnamento. Se pertanto un discepolo non è capace d’afferrare le cose che il maestro dice, questo maestro non può dire : “ lo gliel’ho insegnato, ma lui non l’ha imparato ”. Potrà dire soltanto : “ Io gli ho detto quello che gli dovevo dire, ma lui non se l’è messo in testa ”. Non ha cioè compreso, né afferrato o capito. Viceversa, se il maestro gli avesse effettivamente insegnato qualcosa, il discepolo avrebbe dovuto anche imparare. Lo stesso è di Dio. Quando egli vuole insegnare qualcosa, prima dona l’intelletto, senza del quale l’uomo non può comprendere quanto ha attinenza con la dottrina di Dio. Per questo un po’ più oltre il salmo dice : Dammi l’intelletto affinché apprenda i tuoi comandamenti (Ps 118,73). Quando dunque uno si propone di istruire un altro, può, sì, ripetere le parole che il Signore disse ai discepoli dopo la risurrezione, ma non può fare le cose che egli fece. Riferisce infatti il Vangelo che egli aprì loro la mente perché comprendessero le Scritture e disse loro (Lc 24,45). Cosa egli disse lo si legge nel Vangelo ; l’avere però i discepoli compreso le parole del Maestro dipese dal fatto che egli aprì loro la via alla comprensione. Dio dunque insegna la dolcezza ispirandone il gusto, insegna la disciplina mitigandone il peso, insegna la scienza comunicandone la cognizione. Siccome poi ci sono cose che s’imparano solo per saperle e altre che s’imparano per praticarle, Dio insegna le une in modo che le conosciamo come occorre conoscerle, e questo fa manifestandoci la verità ; quanto alle altre invece, egli ce le insegna in modo che noi riusciamo a praticare ciò che è nostro dovere praticare, e questo fa ispirandocene la dolcezza. Non è infatti senza significato che si dice a Dio : Insegnami a fare la tua volontà (Ps 142,10). Dice : Insegnami a fare, non soltanto a conoscere. In effetti, le opere buone da noi compiute sono, sì, il frutto che noi rendiamo al nostro [celeste] agricoltore, ma a tal proposito la Scrittura dice : Il Signore darà la dolcezza e la nostra terra darà il suo frutto (Ps 84,13). Qual è poi questa terra se non quella di cui un tale, rivolto a colui che dona la dolcezza, diceva : La mia anima è dinanzi a te come terra senz’acqua (Ps 142,6) ?

Fede e osservanza dei comandamenti.

4. Aveva detto : Insegnami la dolcezza e l’istruzione e la scienza ; e continuando diceva : Poiché ho creduto nei tuoi comandamenti. Ci si domanda quindi ragionevolmente perché non abbia detto : “ Ho obbedito ” ma : Ho creduto. Una cosa infatti sono i comandamenti e un’altra le promesse. I comandamenti ci sono stati dati perché li osserviamo e osservandoli meritiamo di ricevere le promesse : per cui alle promesse si ha da credere, ai comandamenti da obbedire. Che vuol dire, pertanto, l’espressione : Ho creduto nei tuoi comandamenti, se non questo : Io ho creduto che a dare tali comandamenti sei stato tu, non un uomo, sebbene per darli all’umanità ti sia servito del ministero di uomini ? Avendo quindi io creduto che si tratta di comandamenti tuoi, questa stessa fede per cui io credo così mi ottenga da te la forza d’adempiere ciò che tu mi hai ordinato. Se infatti si fosse trattato di precetti impostimi all’esterno da un qualsiasi uomo, forse che costui avrebbe potuto darmi anche quell’aiuto interiore che mi avrebbe reso idoneo a fare quel che egli mi ordinava ? Insegnami dunque la dolcezza ispirandomi la carità, insegnami la disciplina dandomi la pazienza, e insegnami la scienza illuminandomi la mente, perché io ho creduto nei tuoi comandamenti. Ho creduto che tali precetti me li hai dati tu, che sei Dio e che dài all’uomo, gratuitamente, la capacità di mettere in pratica quanto gli prescrivi.

418 5. [v 67.] Dice : Prima che io fossi umiliato, ho commesso falli ; perciò la tua parola (ovvero, come altri recano più apertamente, il tuo dire) ho osservato. Evidentemente per non essere di nuovo umiliato. È preferibile riferire l’espressione al decadimento in cui incorse l’umanità tutta intera quando in Adamo (Cf. Gn 3,17) venne come viziata nella sua stessa radice. Non avendo voluto restare soggetta alla verità, venne assoggettata alla vanità (Cf. Rm 8,20). Fu un’esperienza che per i vasi di misericordia è poi risultata vantaggiosa, nel senso che, sgonfiato l’orgoglio, viene amata la docile obbedienza e l’antica miseria viene annientata per mai più ricomparire.

6. [v 68.] Sei soave, o Signore. Molti codici leggono : Soave sei tu, o Signore ; alcuni altri : Soave sei tu, oppure : Buono sei tu, nel senso che abbiamo spiegato trattando sopra queste parole. E nella tua dolcezza insegnami le vie della tua giustizia. Vuol veramente praticare le vie della giustizia di Dio se vuole apprenderle, insieme con la sua soavità, da colui al quale or ora ha detto : Soave sei tu, o Signore.

La dolcezza dei comandamenti di Dio.

7. [v 69.] Continua poi : S’è moltiplicata contro di me l’iniquità dei superbi. Di coloro, cioè, ai quali nessun vantaggio ha recato l’umiliazione in cui è decaduta la natura umana per aver peccato. Ma io con tutto il mio cuore scruterò i tuoi comandamenti. Dice : Abbondi pure fino all’inverosimile la cattiveria ; non per questo si raffredderà in me la carità (Cf. Mt 24,12). Chi parla in questa maniera è un uomo che sta imparando le vie della giustizia di Dio per averne gustato la soavità. In realtà, quanto maggiore è la dolcezza dei comandamenti dati da Dio soccorritore, altrettanto cresce nell’amante l’impegno di scrutarli. E conoscendoli li metterà in pratica, e praticandoli li conoscerà [ancora meglio], poiché veramente col praticarli se ne acquista una cognizione più perfetta.

8. [v 70.] Il loro cuore s’è rappreso come latte. Di chi si parla, se non dei superbi che, come notava prima, avevano accumulato su di lui la loro malvagità ? Con la parola che usa in questo verso vuole indicarci ancora una volta che essi hanno indurito il loro cuore. È vero che l’espressione è suscettibile d’un significato positivo, come ad esempio nel salmo sessantasettesimo. Ivi si dice : Monte di formaggio, monte ferace (Ps 67,16), cioè “ monte pieno di grazia ”, e molti traduttori anche là hanno usato proprio il termine rappreso. Nel nostro caso, però, osserva cosa il salmista da parte sua contrapponga alla durezza del loro cuore. Dice : Io viceversa ho meditato la tua legge. Quale legge ? Una legge sommamente giusta e misericordiosa, tanto che di essa può dire al Signore : E nella tua legge usami pietà. Dio resiste ai superbi perché induriscano [nel male] ; agli umili invece dà la grazia (Cf. Jc 4,6 1P 5,5), affinché amino l’obbedienza e conseguano la gloria della esaltazione. È infatti meditando su questa legge che si pratica l’umiltà volontaria e si evita l’umiliazione penale, di cui parla il salmo subito dopo.

Vantaggi delle umiliazioni.

9. [v 71.] Buon per me che tu mi abbia umiliato, affinché impari le vie della tua giustizia. Una cosa molto affine aveva detto poco prima : Prima che io fossi umiliato, ho commesso falli ; perciò ho custodito la tua parola (Ps 118,67). Dal frutto che ne ha ricavato lascia comprendere quanto vantaggiosa gli sia stata l’umiliazione. Là tuttavia ne indicava anche la causa, in quanto fu per le sue colpe antecedenti che s’era meritato la umiliazione penale. Che se nel primo testo dice : Perciò io ho custodito la tua parola, e nel seguente : Affinché io impari le vie della tua giustizia, è - mi sembra - un indizio abbastanza chiaro per concludere che conoscere i comandamenti è lo stesso che custodirli, e custodirli è lo stesso che conoscerli. In questo senso, di Cristo non si può dire che non conoscesse quel che rimproverava, eppure rimproverava il peccato senza conoscere il peccato (2Co 5,21), come era stato scritto di lui. Quindi per un verso lo conosceva, per un altro non lo conosceva, cioè ne era all’oscuro. Così è delle vie di giustizia del Signore : molti le imparano e insieme non le imparano. Le conoscono cioè perché ne hanno una qualche idea, ma nello stesso tempo le ignorano, in quanto non praticandole dimostrano di non conoscerle. In questo senso è da supporre che il Salmista abbia detto : Affinché io impari le vie della tua giustizia. Che io, cioè, ne abbia quella scienza che le fa praticare.

10. [v 72.] Questa pratica non si ottiene senza la spinta dell’amore ; e chi riesce a praticare la legge è segno che ha quell’attrattiva a proposito della quale si diceva prima : Nella tua soavità insegnami le vie della tua giustizia (Ps 118,68). È quel che risulta dal verso seguente dove è detto : Buona è per me la legge della tua bocca, più che tonnellate d’oro e d’argento. Veramente la carità suscita nel cuore, per la legge di Dio, un amore più intenso di quello che l’avidità vi suscita per tonnellate di oro e di argento.


Agostino Salmi 11816