Agostino Salmi 11828

SULLO STESSO SALMO 118

11828 Ps 118

DISCORSO 27

Nel creato sono le vestigia del Creatore.

1. [v 129.] Ecco le parole del salmo che con l’aiuto del Signore esporremo : Mirabili sono le tue testimonianze ; perciò l’anima mia le ha scrutate. Chi potrebbe enumerare anche per sommi capi le testimonianze di Dio ? Il cielo e la terra, le creature visibili e invisibili di Dio testimoniano, per così dire, della bontà e grandezza di lui. Altrettanto il succedersi periodico degli eventi naturali, sebbene frequenti al punto da esser divenuti abituali ; e così il tempo che passa strappando via ogni cosa, qualunque essa sia. Pur trattandosi di realtà temporali e caduche, di cose che per esservici assuefatti noi non calcoliamo, tuttavia se chi le considera ha senso religioso, esse rendono testimonianza al Creatore. In effetti, tra le varie creature che esistono al mondo, ce n’è forse qualcuna che non sia mirabile, se la si misuri non con la logica dell’abitudine ma con quella di una [illuminata] razionalità ? Se poi con un unico sguardo ci spingiamo, per così dire, a mirare e contemplare l’insieme [del mondo creato], non si avverano forse in noi le parole del Profeta : Ho considerato le tue opere e sono rimasto sbigottito (Habac 3, 1) ? Il salmista tuttavia non si lascia sopraffare dalla meraviglia suscitata in lui dalle cose che contempla, ma proprio dal fatto che sono ammirabili dice di ricavare un motivo per considerarle più a fondo. Dopo aver detto infatti : Mirabili sono le tue testimonianze, proseguendo dice : Perciò l’anima mia le ha scrutate, quasi che la difficoltà di penetrarle ne abbia stimolato la curiosità. Difatti quanto più sono recondite le cause delle diverse cose, tanto più è mirabile [il Creatore].

La funzione della Legge nella storia della salvezza.

2. Se ci si facesse incontro un uomo che ci palesasse l’intenzione di voler scrutare le testimonianze di Dio perché sono mirabili (quelle testimonianze di cui è pieno il mondo creato nell’ambito sia del visibile che dell’invisibile), non dovremmo noi moderarlo ? Non dovremmo dirgli : Non cercare quello che è al di sopra di te, e non scrutare ciò che sorpassa le tue forze ? Piuttosto, a ciò che Dio ti ha comandato, a questo pensa sempre (Si 3,22). Ma egli potrebbe risponderci : “ I comandamenti del Signore, che voi mi ordinate di meditare, sono essi stessi le testimonianze mirabili di Lui. Mi attestano infatti che egli è Signore, in quanto impone delle leggi, e che è un Signore buono e grande, perché impone tali leggi ”. Oseremo forse distogliere un tal uomo dallo scrutarle ? o non piuttosto lo esorteremo a farlo con diligenza e a dedicarsi con tutto l’impegno a un’attività così eccellente ? O dovremo dire che i comandamenti di Dio sono, sì, testimonianze della sua bontà ma non sono cose mirabili ? Cosa c’è infatti di mirabile se il Signore, che è buono, comanda cose buone ? Ma no ! È invece proprio mirabile (e quindi da scrutarne le cause) il fatto che, avendo Dio nella sua bontà comandato cose buone ha dato una legge, in se stessa buona, a chi da una tal legge non avrebbe potuto essere giustificato : per cui da questa legge, per quanto buona, non sarebbe derivata alcuna giustizia. Se infatti fosse stata data una legge che avesse il potere di vivificare, allora sì che dalla legge verrebbe la giustizia (Ga 3,21). Perché dunque venne data una legge incapace di vivificare e di produrre alcuna sorta di giustizia ? Ecco dove sta la meraviglia, ecco il perché dello stupore. In questo senso sono mirabili le testimonianze di Dio, e per questo l’anima del salmista le ha scrutate. Né per questo gli si può dire : Non scrutare ciò che sorpassa le tue forze. Ma a ciò che ti è comandato da Dio, a quello pensa sempre (Si 3,22). Si tratta infatti delle cose che il Signore ha comandate e che debbono aversi sempre dinanzi alla mente. Cerchiamo quindi di vedere cosa abbia trovato l’anima di questo investigatore.

429 La Legge indirizza al Salvatore.

3. [v 130.] Dice : La manifestazione delle tue parole illumina e dà intelligenza ai piccoli. Che vuol dire “ piccolo ” se non umile e debole ? Non insuperbirti dunque ; non presumere della tua virtù (che poi non esiste), e comprenderai perché Dio, che è buono, abbia dato una legge buona ma incapace di portare alla vita. Te l’ha data per renderti piccolo, da grande che ti credevi, per farti toccare con mano che tu di tuo non avevi le forze per osservare la legge. In tal modo, sprovvisto e spoglio di risorse personali saresti ricorso alla grazia e avresti gridato : Signore, abbi pietà di me perché sono debole (
Ps 6,3). Scrutando queste cose, questo piccolo ha compreso ciò che Paolo, (vale a dire “ piccolo ”), ultimo degli Apostoli, avrebbe esposto riguardo alla legge e alla sua incapacità di dare la vita quando dice : La Scrittura ha racchiuso ogni cosa sotto il peccato, affinché fosse concessa ai credenti la promessa mediante la fede in Gesù Cristo (Rm 3,19). Sì, Signore. Opera così, Signore misericordioso. Comanda pure cose che non possiamo realizzare ; o meglio, comandaci le cose che possono essere realizzate soltanto con l’ausilio della tua grazia. In tal modo, constatando gli uomini l’incapacità di adempiere i tuoi precetti con le sole loro forze, ogni bocca dovrà azzittirsi e nessuno si crederà grande ai propri occhi. Che tutti siano piccoli, e che tutto il mondo sia gravato di colpe dinanzi a te ; e risulti palese che mediante la legge nessun uomo sarà giustificato davanti a te ; difatti attraverso la legge si ha solo la conoscenza del peccato. Ma ora all’infuori della legge si è manifestata la giustizia di Dio, attestata dalla Legge stessa e dai Profeti (Rm 3,19-21). Ecco le tue testimonianze mirabili che ha scrutato l’anima di questo piccolo. Egli le ha trovate perché si è umiliato e si è fatto piccolo. Chi infatti è in grado di osservare come si deve i tuoi comandamenti (osservarli cioè mediante la fede che opera attraverso la carità (Cf. Ga 5,6)) se non colui che ha in cuore questa carità, ivi diffusa dallo Spirito Santo (Cf. Rm 5,5) ?

Lo Spirito soccorre la nostra impotenza.

4. [v 131.] È quanto confessa questo piccolo quando dice : Aprii la mia bocca e presi fiato, perché dei tuoi precetti avevo brama. Cosa desiderava se non osservare i comandamenti di Dio ? Ma, essendo debole, non aveva mezzi per compiere cose ardue ; essendo piccolo, non bastava a cose grandi. Aprì allora la bocca, confessando la propria incapacità, e si attirò la forza per riuscire. Aprì la bocca chiedendo, cercando e picchiando (Cf. Mt 7,7), e nella sua sete si abbeverò di quello Spirito buono che lo mise in condizione d’osservare il comando divino, santo giusto e buono (Cf. Rm 7,12), che da solo non aveva potuto osservare. Se infatti noi, pur essendo cattivi, sappiamo dare ai nostri figli i beni che ci sono stati elargiti, quanto più il nostro Padre celeste darà lo Spirito buono a chi glielo chiede ? (Cf. Mt 7,11) Non sono infatti figli di Dio coloro che agiscono per impulso del proprio spirito ma coloro che vengono mossi dallo Spirito di Dio (Cf. Rm 8,14) : non nel senso che ad essi non resta niente da fare ma perché a togliere la loro inerzia in fatto di opere buone debbono essere mossi e spinti all’azione da colui che è buono. Infatti tanto più si diventa figli buoni [di Dio] quanto maggiore è l’abbondanza di Spirito buono che il Padre ci dona.

5. [v 132.] E chiede ancora. Ha aperto, è vero, la bocca e ha attirato in sé lo Spirito, ma seguita a picchiare e a cercare. Ha bevuto, ma quanto maggiore è stata la soavità che ha assaporato tanto più ardente ne è divenuta la sete. Ascolta le parole dell’assetato. Dice : Guardami e abbi pietà di me, conforme al giudizio per quei che amano il tuo nome, cioè secondo il giudizio che hai usato con coloro che amano il tuo nome : poiché prima che potessero amarti tu li avevi amati. Così dice infatti l’apostolo Giovanni. Noi amiamo Dio, dice, ma, come se qualcuno gli chiedesse la causa per cui siamo stati in grado di amarlo, soggiunge : Poiché lui ci ha amati per primo (1Jn 4,19).

6. [v 133.] Osserva cosa dice in maniera quanto mai esplicita anche costui : I miei passi guida secondo il tuo dire, e non mi domini ingiustizia alcuna. E con ciò che cosa intende dire se non : Rendimi giusto e libero secondo la tua promessa ? In effetti, quanto più regna nell’uomo l’amore di Dio tanto meno vi spadroneggia l’iniquità. Cosa dunque chiede se non di potere, con l’aiuto di Dio, amare Dio ? Amando Dio, amerà anche se stesso e sarà in grado d’amare salutarmente il prossimo come se stesso : precetti nei quali si compendiano tutta la Legge e i Profeti (Cf. Mt 22,40). Insomma, cosa chiede nella sua preghiera se non che Dio con il suo aiuto gli faccia adempiere quei precetti che gli impone come legislatore ?

Le oppressioni degli empi superate dal popolo di Dio.

7. [v 134.] Ma che senso hanno le parole : Liberami dalle calunnie degli uomini, e io osserverò i tuoi comandamenti ? Se gli rinfacciano colpe reali, non lo calunniano ; se colpe inventate, perché desiderare d’essere redento dalle calunnie, cioè da colpe inesistenti che non possono recargli alcun nocumento ? Una colpa inventata, cioè una calunnia, non può infatti rendere colpevole un uomo se non dinanzi a un giudice umano. Quando invece il giudice è Dio, nessuno può essere danneggiato da colpe non commesse ; anzi in tal caso la colpa non si ascrive al calunniato ma al calunniatore. O che si debba vedere in queste parole l’invocazione della Chiesa e dell’intero popolo cristiano, sottratto alle calunnie con cui un tempo gli uomini da ogni parte lo tempestavano ? Ma è forse vero che per questo motivo [solo al presente] esso osserva i comandamenti di Dio ? O non fu piuttosto in mezzo alle calunnie, e proprio quando erano più scottanti, che il popolo santo restò fedele ai comandamenti di Dio riportandone tanto maggior gloria in quanto, nonostante le tribolazioni, non cedeva ai persecutori né si lasciava indurre all’empietà ? È proprio questo il senso delle parole : Liberami dalle calunnie degli uomini, e io osserverò i tuoi comandamenti. Tu infondimi il tuo Spirito e fa’ sì che le calunnie degli uomini non mi atterriscano né vincano, facendomi deviare dai tuoi comandamenti alle loro opere malvage. Se mi tratterai così, se cioè, dandomi la pazienza, mi redimerai dalle loro calunnie e non mi farai tremare dinanzi alle falsità che calunniosamente mi rovesciano addosso, allora certamente, nonostante le loro calunnie, io rimarrò fedele ai tuoi comandamenti.

8. [v 135.] Dice : Fa’ risplendere la tua faccia sul tuo servo ; cioè : Manifesta la tua presenza soccorrendomi e aiutandomi. E insegnami le vie della tua giustizia. Insegnamele affinché le metta in pratica, come più chiaramente si legge nell’altro testo : Insegnami a fare la tua volontà (Ps 142,10). Se infatti uno ascolta i comandamenti ma non li mette in pratica, non si può dire che li abbia imparati, anche se tiene a mente ciò che ha ascoltato. Così infatti suona la parola della Verità : Chiunque ha udito dal Padre ed ha appreso, viene a me (Jn 6,45). Se dunque uno non pratica [la legge], cioè non viene [al Padre], non l’ha appresa.

Dall’umiliazione ci si solleva col pentimento.

9. [v 136.] A questo punto il salmista ripensa alle sue trasgressioni e, manifestandoci il dolore del suo pentimento, dice : I miei occhi sono discesi in scaturigini di acque, poiché loro stessi, i miei occhi, non hanno rispettato la tua legge. In alcuni codici si legge così : Poiché io non ho rispettato la tua legge. Per questo motivo i miei occhi sono discesi in scaturigini di acque, hanno versato cioè torrenti di lagrime. È questa una espressione del tipo di quella [da noi usata] : “ I miei piedi han disceso i monti ”, senza dire espressamente “ giù per i monti ” o “ lungo i monti ”. Analogamente si dice : “ Egli ha sceso le scale ” per dire che è sceso giù per le scale, ovvero : “ Ha sceso la piscina ”, senza specificare “ dentro la piscina ”. Molto bene poi dice : Sono discesi, poiché egli ha agito così per l’umiltà del pentimento. Erano infatti saliti [gli uomini] quando, montati in superbia, s’erano testardamente sollevati [contro il cielo]. Credettero d’essere in alto quando, misconoscendo la giustizia di Dio, vollero affermare la propria (Rm 10,3). Ma ne uscirono affranti e confusi, avendo trasgredito la legge, e dal trono orgogliosamente costruitosi dovettero scendere in pianto per impetrare, pentiti, la giustizia di Dio. Ci sono codici che non leggono : Discesero, ma : Sorpassarono, come per dire che essi, piangendo oltre misura, superarono le fonti delle acque, intendendo in questa maniera le scaturigini delle acque. In altre parole, essi piangendo avrebbero versato maggior copia [di lagrime] che non quando fuoriescono le acque dalle loro scaturigini. Ma perché, dopo che si è trasgredita la legge, si ha da piangere così, se non perché questo vale ad impetrare la grazia che cancella la colpa nel pentito e sorregge la volontà del credente ?

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DISCORSO 28

430 Giustizia e verità di Dio.

1. [vv 137.138.] Il cantore di questo salmo aveva detto antecedentemente : I miei occhi sono discesi in scaturigini di acque, perché non hanno rispettato la tua legge, parole che attestano come egli abbia pianto copiosamente la sua trasgressione. Volendo ora indicare la ragione per cui abbia dovuto piangere tanto e dolersi così profondamente del suo peccato, dice : Giusto tu sei, o Signore, e retto è il tuo giudizio ; hai ingiunto le tue testimonianze, che sono giustizia ; hai prescritto severamente la tua verità. In effetti, chiunque pecca deve temere la giustizia di Dio e così pure il suo giusto giudizio e la sua verità. Infatti è per tale giustizia che vengono condannati tutti coloro che sono condannati, né c’è alcuno che con fondatezza possa lagnarsi della giustizia di Dio che gli ha inflitto la condanna. Da ciò il pianto salutare del pentito : poiché, se il suo cuore fosse rimasto impenitente e per questa impenitenza fosse stato condannato, giustissima sarebbe stata la condanna. A buon diritto chiama giustizia le testimonianze di Dio, in quanto Dio si dimostra giusto ordinando la giustizia. E tali testimonianze sono ancora verità, in quanto attraverso tali testimonianze si manifesta Dio stesso.

Il vero zelo.

2. [v 139.] Cosa significano le altre parole : Il mio zelo mi ha consumato, ovvero, come leggono altri codici : Il tuo zelo ? Ci sono poi codici che recano : Lo zelo della tua casa ; e, in luogo di : Mi ha consumato, hanno : Mi ha divorato. Questa lezione è però da emendarsi perché desunta (a quanto posso io vedere) da quell’altro salmo dove sta scritto : Lo zelo della tua casa mi ha divorato (
Ps 68,10), il quale passo è - come sappiamo - citato anche nel Vangelo (Cf. Jn 2,17). Riguardo alla parola : Mi ha consumato, essa è simile all’altra che si legge anche nel salmo or ora citato : Mi ha divorato. Quel che poi leggono parecchi codici, e cioè : Il mio zelo, non crea alcun problema. Cosa c’è infatti di sorprendente ad essere consumati dal proprio zelo ? Quanto agli altri che leggono : Il tuo zelo, certo si riferiscono all’uomo pieno di zelo per la causa di Dio, non per la sua ; né ripugna che uno zelo siffatto venga chiamato anche mio. Infatti cos’altro dice l’Apostolo con le parole : Ho per voi zelo in ordine a Dio e in forza dello stesso zelo di Dio ? Dicendo infatti : Ho per voi zelo, cosa indica se non che si tratta di uno zelo suo personale ? Aggiungendo però : In ordine a Dio, vuol sottolineare che lo zelo non era finalizzato all’uomo che zela ma a Dio, per cui può aggiungere : In forza dello stesso zelo di Dio. Questo zelo è ispirato da Dio nell’anima dei suoi fedeli ad opera dello Spirito Santo ; è infatti uno zelo frutto di amore, non di livore. Infatti qual era la preoccupazione che faceva pronunziare all’Apostolo queste parole ? Dice : Vi ho infatti fidanzati per darvi, vergine casta, ad un uomo solo, a Cristo ; e temo che, come il serpente ingannò Eva con la sua scaltrezza, così i vostri pensieri siano corrotti allontanandosi dalla semplicità e purezza nei confronti di Cristo (2Co 11,23). Lo divorava lo zelo della casa di Dio, della quale era geloso non per sé ma per Cristo. Lo sposo è infatti, per se stesso, geloso della sua sposa, mentre l’amico dello Sposo (Jn 3,29) non deve esserne geloso per se stesso ma per amore dello sposo. Occorre dunque interpretare in bene lo zelo del salmista, il quale per precisarne il motivo aggiunge : Perché hanno dimenticato le tue parole i miei nemici. Gli rendevano male per bene, perché era zelante di loro presso Dio in forma così intensa e infuocata da potersi dire consumato dal medesimo zelo. Gli avversari, al contrario, per i quali egli aveva un amore geloso (voleva cioè che essi amassero Dio), per questo suo zelo gli rovesciavano addosso la loro ostilità. Ma egli non era ingrato alla grazia divina mediante la quale, da nemico che era stato, aveva conseguito la riconciliazione con Dio ; e per questo amava gli stessi suoi nemici e ne era zelante per amore di Dio, dispiacente e afflitto perché essi ne avevano dimenticato la parola.

3. [v 140.] Passa poi a considerare la fiamma di amore che gli arde in petto per la parola di Dio, e conclude : Purificato a intenso fuoco è il tuo parlare, e il tuo servo lo ama. È ovvio che fosse zelante per i nemici se vedeva in essi un cuore impenitente per cui avevano dimenticato le parole di Dio. Ardeva elevarli a quei beni che egli amava con estremo ardore.

Il popolo del Vecchio Testamento e quello del Nuovo.

4. [v 141.] Dice : Io sono assai giovane e disprezzato, ma le vie della tua giustizia non ho dimenticato. Non ho fatto come i miei nemici che hanno dimenticato le tue parole. Sembrerebbe quasi che sia più giovane di età questo tale che non ha dimenticato le vie della giustizia di Dio e che si duole perché le hanno dimenticate i suoi nemici più avanzati negli anni. Cosa infatti significano le parole : Io che sono più giovane non me ne sono dimenticato, se non : “ Gli altri invece, che sono più adulti, se ne sono dimenticati ” ? Nel greco vi troviamo , cioè lo stesso termine che ricorre nell’altro passo ove è detto : In base a che raddrizzerà l’adolescente la sua via ? (Ps 118,9). Ora tale aggettivo è di grado comparativo, e intanto ha un senso in quanto stabilisce un confronto con un altro più grande di età. Bisogna quindi intendere nel nostro testo due popoli : quei due cioè che si dibattevano in grembo a Rebecca (Cf. Gn 25,23), quando non in vista delle opere ma per volere di chi li chiamava le fu detto che il maggiore sarà servo del minore (Rm 9,12-1). Ora, questo figlio minore dice di essere disprezzato, ma è proprio per questo che diviene più grande : poiché Dio ha scelto le cose ignobili e spregevoli del mondo, e le cose inesistenti come se esistessero, per annullare le cose consistenti (Cf. 1Co 1,28). E ancora : Ecco che sono ultimi coloro che erano primi, e primi quelli che erano ultimi (Cf. Mt 20,16).

5. [v 142.] È nella logica delle cose che abbiano dimenticato le parole di Dio coloro che volevano affermare la propria giustizia misconoscendo la giustizia di Dio (Cf. Rm 10,3). Questo figlio più giovane, al contrario, non se ne è dimenticato poiché non voleva avere una giustizia sua propria ma ricercava la giustizia di Dio, della quale dice ora : La tua giustizia è giustizia in eterno, e la tua legge è verità. Come infatti non sarebbe stata verità quella legge che fa conoscere il peccato (Cf. Rm 3,20) e che rende testimonianza alla giustizia di Dio ? Così infatti si esprime l’Apostolo : Si è manifestata la giustizia di Dio, attestata dalla Legge stessa e dai Profeti (Rm 3,21).

Fedeltà alla Legge divina e utilità delle persecuzioni.

6. [v 143.] Per amore di questa [legge] il figlio minore ebbe a subire persecuzioni da parte del maggiore, e al riguardo eccolo uscire nelle parole : Tribolazione e angustia m’hanno incolto : i tuoi precetti sono la mia meditazione. Si accaniscano pure contro di me e mi perseguitino ; basta che io non abbandoni i comandamenti di Dio e che, in conformità con tali precetti, sappia amare anche i miei persecutori.

7. [v 144.] Giustizia [sono] le tue testimonianze in eterno : dammi intelletto e vivrò. Il nostro giovinetto chiede l’intelligenza, senza la quale non potrebbe comprendere più degli anziani. E la chiede quando si trova nella tribolazione e nell’angustia, al fine di comprendere quanto sia insignificante ciò che possono strappargli i nemici che lo perseguitano e, a quanto egli dice, lo disprezzano. In ordine a ciò dice : E io vivrò. E cioè : anche se la tribolazione e l’angustia arrivassero a quell’estremo che la vita presente fosse stroncata per mano di nemici persecutori, continuerebbe a vivere in eterno colui che alle cose terrene antepone la giustizia, la quale è stabile per tutta l’eternità. Ed è proprio questa giustizia, conservata in mezzo alle tribolazioni e alle angustie, che costituisce i martirii di Dio, cioè le testimonianze per le quali i martiri sono stati coronati.

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DISCORSO 29

431 La preghiera è un grido del cuore.

1. [v 145.] La preghiera è un grido che si leva al Signore ; ma, se questo grido consiste in un rumore di voce corporale senza che il cuore di chi prega aneli intensamente a Dio, non c’è dubbio che esso è fiato sprecato. Se invece si grida col cuore, per quanto la voce del corpo resti in silenzio, il grido, impercettibile all’uomo, non sfuggirà a Dio. Quando dunque preghiamo, possiamo gridare a Dio o con la voce esterna (se così esige il dovere) o anche rimanere in silenzio ; comunque, in ogni preghiera deve esserci il grido del cuore. Ora questo grido del cuore consiste in una grande concentrazione dello spirito, la quale, quando avviene nella preghiera, manifesta il profondo desiderio e l’ardore che sorreggono l’orante a non disperare del risultato. E si grida con tutto il cuore quando nel pensiero non si ha altro [che la preghiera]. Orazioni di questo genere sono rare per la più parte della gente, e solo pochi riescono a farle con frequenza ; se poi ci sia qualcuno che preghi sempre così, non lo saprei. Ad ogni modo il cantore di questo salmo ci ricorda che tale è la sua preghiera, come dicono le parole : Io ho gridato con tutto il mio cuore : ascoltami, o Signore. Per dirci poi quale vantaggio abbia conseguito con il suo gridare, soggiunge : Le vie della tua giustizia ricercherò. Ecco perché ha gridato con tutto il suo cuore ; ecco cosa ha desiderato gli fosse concesso dal Signore, qualora avesse ascoltato la sua preghiera : poter ricercare sempre le vie della sua giustizia. È necessario quindi che preghiamo per avere la mente in [continua] ricerca di ciò che ci viene ordinato di praticare. Ma quanto deve essere lontano dalla pratica colui che ancora ricerca ! Difatti non sempre al ricercare segue il trovare, né al trovare segue [sempre] il praticare ; mentre è vero che nessuno può praticare se prima non ha trovato, come pure è vero che nessuno può trovare se prima non ha cercato. Grande però è la fiducia che ci ha accordato il Signore Gesù quando disse : Cercate e troverete (
Mt 7,7) ; mentre in senso opposto la Sapienza (che poi altri non è se non Lui stesso) dice : I cattivi mi cercheranno e non mi troveranno (Pr 1,28). Non sono dunque i cattivi ma i buoni coloro ai quali fu detto : Cercate e troverete. O meglio, lo si dice a coloro ai quali un po’ dopo sono rivolte quelle altre parole : Se voi, pur essendo cattivi, sapete donare cose buone ai vostri figli (Mt 7,11). Ma allora, come si fa a dire a gente cattiva : Cercate e troverete, se nei loro riguardi è detto : I cattivi mi cercheranno e non mi troveranno ? Forse che il Signore, promettendo loro di trovare ciò che cercavano, li indirizzava a cercare qualcos’altro che non la sapienza ? Ma proprio in essa son contenuti tutti i beni che debbono cercare coloro che anelano alla felicità ; quindi in essa sono contenute anche le vie della giustizia di Dio. Non rimane altro, quindi, che intendere il passo sopra citato nel senso che non a tutti i cattivi è sbarrata la via al conseguimento della sapienza, se la cercano ; ma lo è solamente a coloro che a tal grado hanno spinto la loro malizia da odiare la sapienza. Così infatti diceva : Mi cercheranno i cattivi e non mi troveranno perché hanno odiato la sapienza (Pr 1,29). Non la trovano, quindi, perché la odiano. Ma se la odiano, in che senso la ricercano ? La ricercano non per se stessa ma in vista di qualche altra cosa che nella loro cattiveria amano e che ritengono di poter conseguire più facilmente attraverso la sapienza. Sono molti infatti coloro che con grandissimo ardore investigano le massime della sapienza, che cioè vogliono averla in teoria senza però impegnarsi ad attuarla nella vita. Non vogliono modellare la condotta sui precetti della sapienza e così pervenire alla luce di Dio, compito specifico della sapienza ; ma attraverso parole imparate alla scuola della sapienza vogliono solo conseguire il plauso degli uomini : la qual cosa è vana gloria. Non cercano quindi la sapienza, e quando la cercano non la cercano per se stessa (altrimenti vivrebbero secondo le sue esigenze) ma vogliono soltanto riempirsi la bocca con parole apprese alla sua scuola : con la conseguenza che quanto più si gonfiano di parole, tanto più si estraniano dalla virtù. Il salmista al contrario chiede al Signore di poter attuare ciò che egli comanda : in modo che sia il Signore a operare in lui quel che comanda. È infatti Dio colui che opera in noi e il volere e l’agire, conforme alla [nostra] buona volontà (Cf. Ph 2,13). Dice : Io ho gridato con tutto il mio cuore : ascoltami, o Signore ; le vie della tua giustizia ricercherò, non soltanto per conoscerle ma per vivere in conformità, evitando di essere come quel servo testardo che, anche dopo aver compreso (la volontà del padrone), non obbedisce (Cf. Si 33,28-30).

2. [v 146.]. Ho gridato : salvami ! O, come leggono alcuni codici greci e latini : Ti ho gridato salvami ! Che significa : Ti ho gridato, se non : “ Ti ho invocato gridando ? ”. Ma dopo aver esclamato : Salvami, cosa aggiunge ? E custodirò le tue testimonianze. Cioè non ti rinnegherò a causa della mia fragilità. Quando l’anima è in salute, allora si traduce in pratica quel che si conosce esser nostro dovere, e ci si impone anche, in caso di estremo cimento, di combattere fino alla morte corporale per la verità delle testimonianze divine. Se invece [spiritualmente] non si è in salute, la fragilità soccombe e la verità viene rinnegata.

Questione filologica sul .

3. [v 147.] Le parole successive contengono dell’oscurità e devono essere spiegate un po’ più diffusamente. A notte fonda ho anticipato e gridato. Parecchi codici non leggono : A notte fonda, ma : In ora inopportuna ; uno solo poi, e a stento, ho potuto trovare che recasse la doppia preposizione cioè durante l’ora inopportuna. Dove per “ora inopportuna” sono da intendersi le ore della notte, quando cioè il tempo non è opportuno (vale a dire adatto) per vegliare e realizzare qualcosa : la qual cosa è entrata anche nel gergo comune quando parliamo di “ora inopportuna”. Anche la notte avanzata, cioè giunta a metà e quindi destinata al riposo, è stata chiamata in questa maniera, senza dubbio perché inadatta alle azioni da compiersi svegli. In tal senso gli antichi chiamarono tempestivo ciò che è opportuno e intempestivo ciò che è inopportuno : usando un termine derivato dalla radice “ tempo ”, non “ tempesta ”, che è un vocabolo ormai usuale nella lingua latina per indicare le perturbazioni atmosferiche. Di questo termine si servono ancora volentieri certi prosatori, i quali dicono : “ in quella tempesta ” per dire : “ in quel tempo ”. Né diversamente si espresse quell’autentico signore della nostra lingua quando disse : Da dove sorse improvvisa una tempesta così splendida ? (Verg., Aen., 9, 19-20), indicando con tale parola non un cielo coperto di nembi o turbato da venti, ma piuttosto il fulgore di un improvviso sereno. L’espressione greca , risultante non di una parola ma di due, cioè di una preposizione e di un nome, è stata resa da alcuni nostri traduttori con : A notte fonda ; altri invece, e in maggior numero, l’hanno resa con : In ora inopportuna, un termine cioè il cui nominativo è “ ora inopportuna ”. Quanto agli altri che hanno tradotto : Durante l’ora inopportuna, sono stati più conformi al greco.  infatti significa “ ora inopportuna ” e  corrisponde a : Durante l’ora inopportuna. A rendere a paroletta, cioè con due preposizioni, la frase e insieme parlare di notte profonda, si sarebbe dovuto dire : Durante la notte fonda : dove, delle due parolette “ in ”, una determina il tempo, mentre l’altra rientra nella composizione del nome. Quanto al significato infatti non fa differenza dire d’aver fatto una cosa al canto del gallo o sul cantare del gallo, e così non ci sarebbe stata differenza se il salmista avesse detto di aver gridato a notte fonda o durante la notte fonda. Il testo greco in se stesso dice : Durante la notte fonda, espressione che equivale a : In ora inopportuna, cioè quando le ore della notte non sono propizie [all’azione]. Ma basta ormai la disquisizione sul termine e la sua oscurità, e vediamo il senso della frase.

Tempo di pregare.

4. Durante la notte fonda ho anticipato e gridato : ho sperato nelle tue parole. Se riferiamo queste parole ai singoli fedeli e le prendiamo in senso proprio, capita spesso che durante tali ore notturne vigili l’amore per il Signore e, dietro la forte spinta che esercita il gusto della preghiera, non si aspetti ma si anticipi il tempo di pregare, che suol essere dopo il canto del gallo. Se poi per “ notte ” intendiamo tutta la durata del tempo presente, è certamente notte profonda tutte le volte che gridiamo a Dio prevenendo il tempo adatto, che è quello in cui egli ci accorderà quanto ci ha promesso, come altrove si legge : Preveniamo la sua faccia con la confessione (Ps 94,2). O potremmo ancora intendere per tempo notturno non ancora maturo il periodo che ha preceduto la pienezza dei tempi : nel qual caso la maturità sarebbe il tempo in cui Cristo si è manifestato nella carne (Cf. Ga 4,4). Ebbene, nemmeno allora tacque la Chiesa ma anticipò tale pienezza dei tempi, gridando nella profezia e sperando nella parola di Dio (il quale è in grado di realizzare quanto promette), secondo la quale nella discendenza di Abramo sarebbero state benedette tutte le genti (Cf. Gn 12,3 Gn 22,18).

5. [v 148.] Questo appunto dicono le parole successive : Prevengono i miei occhi il crepuscolo, per meditare i tuoi detti. Ammettiamo che sia stato mattino il periodo in cui spuntò una luce a coloro che giacevano nell’ombra di morte (Cf. Is 9,2). Ebbene, non prevennero forse quest’ora mattutina gli occhi della Chiesa nella persona di quei santi che vissero antecedentemente sulla terra ? Essi previdero l’avverarsi di questi fatti, meditando le parole di Dio che allora venivano dette e che nella Legge e nei Profeti annunziavano queste altre realtà future.

Misericordia e giustizia, di Dio.

6. [v 149.] Dice : La mia voce ascolta, o Signore, secondo la tua misericordia, e secondo il tuo giudizio rimettimi in vita. Prima, infatti Dio nella sua misericordia rimette al peccatore la pena, poi, una volta che l’ha reso giusto, nella sua giustizia gli accorda la vita. Non senza motivo infatti si esprime secondo quest’ordine colui che dice : Io canterò a te la misericordia e il giudizio, o Signore (Ps 100,1). Né d’altra parte il tempo della misericordia esclude il giudizio, come indicano le parole dell’Apostolo : Se ci esaminassimo bene da noi stessi non saremmo giudicati dal Signore ; quando invece veniamo giudicati, è il Signore che ci redarguisce per non condannarci insieme col mondo (1Co 11,31). E il suo compagno d’apostolato : Ormai è tempo che cominci il giudizio dalla casa del Signore. E se comincia prima da noi, quale sarà la fine in coloro che non obbediscono al Vangelo del Signore ? (1P 4,17). Similmente il tempo della fine, cioè del giudizio, non escluderà la misericordia, in quanto Dio, come dice il salmo, ti coronerà nella misericordia e nella compassione (Ps 102,4). Ci sarà, è vero, anche un giudizio senza misericordia ; ma questo sarà per i collocati a sinistra, i quali non vollero usare misericordia (Cf. Jc 2,13).

7. [v 150.] Dice : Si sono avvicinati i miei persecutori all’iniquità, o, come leggono alcuni codici, iniquamente. I persecutori si avvicinano quando giungono a tormentare e a uccidere il corpo. Per questo il salmo ventuno, dov’è profetata la Passione del Signore, dice : Non ti allontanare da me, perché la tribolazione è vicina (Ps 21,12) ; e lo dice riferendosi a ciò che il Signore patì non all’approssimarsi della passione ma durante la passione. Chiamò prossima la tribolazione che esperimentava nella carne, in quanto nulla è più vicino all’anima di quanto non lo sia la carne che essa regge. Si avvicinarono dunque i persecutori, quando sottoposero a tormenti il corpo di coloro che perseguitavano. Ma nota cosa segue : Dalla tua legge si sono allontanati. Quanto più s’avvicinavano ai giusti volendoli colpire, tanto più si allontanavano dalla giustizia. In effetti che danno arrecarono a coloro che aggredivano perseguitando ? Nel loro intimo essi avevano vicino il Signore, dal quale [il fedele] non è mai abbandonato.

432 8. [v 151.] Continua ancora : Vicino sei tu, o Signore, e tutte le tue vie [sono] verità. Rientra nel costume dei santi e della loro confessione riconoscere la verità di Dio anche nei loro tormenti, in quanto cioè non li soffrono senza esserseli meritati. Così fecero la regina Ester (Cf. Est 14,6), san Daniele (Cf. Da 6,22), i tre uomini nella fornace (Cf. Da 3,24), e gli altri loro emuli in santità. Si potrebbe anche ricercare perché nel nostro salmo si dica : Tutte le tue vie [sono] verità, mentre in un altro salmo troviamo scritto : Tutte le vie del Signore sono misericordia e verità (Ps 24,10). Certamente, nei confronti dei santi, tutte le vie del Signore sono misericordia e sono verità perché come nel giudicare egli soccorre (per cui non manca la sua misericordia) così nel compatire rende ciò che ha promesso (per cui c’è insieme la verità). Non c’è quindi dubbio che nei confronti di tutti, sia quelli che libera sia quelli che danna, tutte le vie del Signore sono misericordia e verità, perché là dove non usa compassione fa mostra di sua verità prendendosi la vendetta. Libera cioè molti senza che l’abbiano meritato, ma nessuno condanna senza che se lo sia meritato.

Il regno di Dio nella promessa e nella realtà.

9. [v 152.] Dice : [Fin] dall’inizio ho saputo, circa le tue testimonianze, che in eterno le avevi fondate. Il testo greco, che reca  alcuni dei nostri l’hanno tradotto con : Dall’inizio, altri : All’inizio, altri ancora : Negli inizi. Quelli che hanno preferito la frase al plurale si sono più avvicinati al greco ; tuttavia l’uso del latino esigerebbe piuttosto che si dicesse : Dall’inizio, o : All’inizio quel che il greco esprime con , cioè un plurale che poi ha valore d’avverbio. Così nella nostra lingua diciamo : “ Lo farò in altre occasioni ”, dove all’apparenza sembrerebbe usato un plurale femminile, mentre in realtà si tratta di una forma avverbiale per dire “ un’altra volta ”. Che significa dunque l’espressione : Dall’inizio o piuttosto (per dirlo anche noi con una formula avverbiale) sul cominciare, ho saputo, circa le tue testimonianze, che in eterno le hai stabilite ? Dice che le testimonianze del Signore sono state da lui stabilite per l’eternità, e attesta che una tale cognizione egli l’ha avuta fin dall’inizio, né l’ha appresa da altre vie che non fossero le stesse testimonianze. Ma quali sono queste testimonianze, se non quelle in cui Dio ha attestato di voler dare ai suoi figli un regno eterno ? Ora questo [regno] egli ha testificato di volercelo dare nel suo Unigenito, del quale fu detto : Il suo regno non avrà fine (Lc 1,33). Dice dunque che tali testimonianze sono fondate per l’eternità in quanto è eterno ciò che per esse Dio ha promesso. In effetti le testimonianze in se stesse non saranno più necessarie quando sarà visibile la realtà per credere alla quale si richiedevano anteriormente le testimonianze. Sicché ben si comprende il senso di quel Tu le avevi fondate. Cioè, in Cristo fu dimostrato che esse sono vere. Nessuno infatti può porre fondamento diverso da quello che è stato posto e che è Cristo Gesù (Cf. 1Co 3,11). Come dunque costui ha potuto conoscere tutto questo fin dall’inizio ? Chi però parla così è la Chiesa, che non cessò mai di esistere sulla terra a cominciare dai primordi del genere umano. Essa ha le sue primizie nel santo Abele, immolato anche lui (Cf. Gn 4,8) per rendere testimonianza al sangue del Mediatore venturo, che sarebbe stato versato per mano degli empi fratelli. Tant’è vero che all’inizio fu pronunziata proprio quella parola : I due saranno una sola carne (Gn 2,24), sacramento grande, al dire dell’apostolo Paolo, il quale, applicando il testo, diceva : Questo io dico in Cristo e nella Chiesa (Ep 5,32).


Agostino Salmi 11828