Discorsi 2005-13 29095

AI VESCOVI DEL MESSICO (4° GRUPPO - SUR ORIENTE) IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Sala del Concistoro Giovedì, 29 settembre 2005

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Cari Fratelli nell'Episcopato,

Sono lieto di ricevervi in occasione della vostra visita ad Limina, di salutarvi tutti insieme e di incoraggiarvi nella speranza, tanto necessaria per il ministero che generosamente esercitate nelle rispettive Arcidiocesi e Diocesi delle Provincie ecclesiastiche di Acapulco, Antequera e Yucatán. Ringrazio per le parole che mi ha rivolto il signor Cardinale Juan Sandoval Iñiguez, Arcivescovo di Guadalajara, manifestando la vostra adesione e il vostro sincero affetto. In questo riflettete anche il profondo spirito religioso del popolo messicano e la grande stima delle vostre comunità per il Papa.

Trasmettete loro il mio grato saluto, ricordando che li tengo particolarmente presenti nella preghiera.
Con il pellegrinaggio presso le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo avete avuto l'opportunità di rafforzare i vincoli che uniscono il vostro ministero alla missione affidata da Cristo ai Dodici e di ispirarvi al loro esempio di abnegata dedizione all'evangelizzazione di tutti i popoli. In questo e negli altri incontri con la Curia Romana appaiono evidenti ed effettive la comunione con la Sede di Pietro e la sollecitudine di tutti i Vescovi per la Chiesa universale (cfr Lumen gentium
LG 23).

"Il Figlio dell'uomo... non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti" (Mt 20,28). Con queste parole il Signore ci ha insegnato come esercitare la nostra missione. Dall'intima comunione con Lui nasce spontaneamente la partecipazione al suo amore per gli uomini, rendendo sopportabile anche ciò che è oneroso. Essa infonde gioia al servizio e lo rende fecondo. L'aspetto essenziale del nostro ministero è, dunque, l'unione personale con Cristo. Egli ci insegna che la vita piena non consiste nel successo (cfr Mt 16,25), ma nell'amore e nel dono di sé agli altri. Colui che lavora per Cristo sa inoltre che "uno semina e uno miete" (Jn 4,37).

Il compito episcopale di insegnare consiste nel trasmettere il Vangelo di Cristo, con i suoi valori morali e religiosi, tenendo presenti le diverse realtà e aspirazioni che emergono nella società contemporanea, la cui situazione i Pastori devono conoscere bene. "È importante fare un grande sforzo per spiegare adeguatamente i motivi della posizione della Chiesa, sottolineando soprattutto che non si tratta di imporre ai non credenti una prospettiva di fede, ma di interpretare e difendere i valori radicati nella natura stessa dell'essere umano" (Novo Millennio ineunte NM 51).

Al tempo stesso, i Pastori della Chiesa in Messico devono prestare un'attenzione particolare, come si faceva nelle prime comunità cristiane, ai gruppi più indifesi e ai poveri. Questi costituiscono ancora un ampio settore della popolazione nazionale, vittime a volte di strutture insufficienti e inaccettabili. Nel Vangelo, la risposta adatta è promuovere la solidarietà e la pace, affinché rendano la giustizia realmente attuabile. Per questo la Chiesa cerca di collaborare in modo efficace per sradicare qualsiasi forma di emarginazione, esortando i cristiani a praticare la giustizia e l'amore. In tal senso, incoraggiate quanti dispongono di maggiori risorse a condividerle, come ci esorta a fare Cristo stesso, con i fratelli più bisognosi (cfr Mt 25,35-40). È necessario non solo alleviare i bisogni più seri, ma anche andare alla radice del problema, proponendo misure che diano alle strutture sociali, politiche ed economiche una configurazione più equa e solidale. In tal modo la carità sarà al servizio della cultura, della politica, dell'economia e della famiglia, divenendo fondamento di un autentico sviluppo umano e comunitario (cfr Novo Millennio ineunte NM 51).

Il popolo messicano, ricco per le sue culture, la sua storia, le sue tradizioni e la sua religiosità, si caratterizza per la sua allegria e il suo profondo senso della festa. Questa è una delle espressioni della gioia cristiana fin dai tempi della prima evangelizzazione, che conferisce grande espressività alle celebrazioni e alle manifestazioni della religiosità popolare. Spetta ai Pastori orientare questa peculiarità tanto comune ai fedeli messicani verso una fede salda e matura, capace di modellare una condotta di vita coerente con ciò che con gioia si professa. Tutto ciò ravviverà anche il crescente impulso missionario dei messicani, che rispondono al mandato del Signore: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni" (Mt 28,19 cfr Ecclesia in America ).

In Messico, dove si manifesta così spesso il "genio" della donna, che assicura una profonda sensibilità per l'essere umano (cfr Mulieris dignitatem MD 30), nell'ambito della famiglia, delle comunità ecclesiali, dell'assistenza sociale e in altri campi della vita civile, si assiste a volte al paradosso dell'esaltazione teorica e dello svilimento pratico e discriminatorio delle donne. Per questo, prendendo esempio dalla delicatezza e dal rispetto che Gesù ha mostrato verso di esse, continua a essere una sfida del nostro tempo cambiare mentalità, affinché le donne vengano trattate con piena dignità in tutti gli ambienti e venga tutelata anche la loro insostituibile missione di madri e di prime educatrici dei figli.

Un compito importante è inoltre oggi la pastorale dei giovani. Questi, con le loro domande e le loro preoccupazioni, e anche con la gioia della loro fede, continuano a essere per noi uno sprone nel nostro ministero. Molti di essi pensano erroneamente che impegnarsi o prendere decisioni definitive faccia perdere la libertà. Conviene ricordare loro, invece, che l'uomo diviene libero quando s'impegna incondizionatamente con la verità e il bene. Solo così potranno dare un senso alla vita e costruire qualcosa di grande e duraturo, se porranno Gesù al centro della loro esistenza.

Vi invito ancora una volta, cari Fratelli, a procedere e ad agire concordi in uno spirito di comunione, che ha il suo culmine e la sua sorgente inesauribile nell'Eucaristia. Il Messico ha avuto la grazia di celebrare in forma solenne questo grande Sacramento durante il recente Congresso Eucaristico Internazionale di Guadalajara. Sono sicuro che questo evento ecclesiale ha lasciato impronte profonde nel popolo dei fedeli, che è bene conservare come un tesoro di fede celebrata e condivisa.

Siate promotori e modelli di comunione. Come la Chiesa è una, così anche l'Episcopato è uno, essendo il Papa, come afferma il Concilio Vaticano II, "il perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli" (Lumen gentium LG 23). La comunione riveste anche un'enorme importanza pastorale, poiché le iniziative apostoliche superano sempre più i confini diocesani e richiedono maggiore collaborazione, progetti comuni e coordinamento in un Paese così esteso. In Messico si assiste a una sempre maggiore mobilità della popolazione e all'incremento di grandi nuclei urbani, che esigono un'evangelizzazione metodica e capillare (cfr Ecclesia in America ).

Cari Fratelli, prima di concludere questo incontro, vi assicuro della mia profonda comunione nella preghiera con la mia salda speranza nel rinnovamento spirituale delle vostre Diocesi. Affido tutti questi auspici, e anche il vostro ministero pastorale, alla materna intercessione di Nostra Signora di Guadalupe. Trasmettete il mio affettuoso saluto ai vostri sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, agli agenti di pastorale e a tutti i fedeli diocesani. A voi e a tutti loro imparto con grande affetto la Benedizione Apostolica.


VISITA ALL'OSPEDALE PEDIATRICO "BAMBINO GESÙ" Venerdì, 30 settembre 2005

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Signori Amministratori dell’Ospedale e distinte Autorità,
Cari bambini!

Al termine di questa mia visita, sono lieto di intrattenermi con voi, ringraziandovi per la vostra cordiale accoglienza. Sono riconoscente al Signor Ministro della Salute per la sua presenza, come al Signor Presidente di questo Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù” per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti voi. Saluto i Presidenti della Regione e della Provincia, il Sindaco di Roma e le altre Autorità qui convenute. La mia gratitudine va poi agli Amministratori, ai Direttori ed ai Coordinatori dei Dipartimenti dell’Ospedale, come ai medici, agli infermieri ed a tutto il personale. Con affetto mi rivolgo soprattutto a voi, cari bambini, e ai vostri familiari che vi stanno accanto con molta premura. Un grazie di cuore al vostro rappresentante, che mi ha offerto un gentile omaggio a nome dell’intera famiglia del “Bambino Gesù”. Sono vicino a ciascuno di voi e vorrei farvi sentire il conforto e la benedizione di Dio. Gli stessi voti desidero esprimere a coloro che si trovano nelle succursali di Palidoro e di Santa Marinella, parimenti a me tanto vicini.

Per questa prima visita ad un ospedale, ho scelto il “Bambino Gesù” per due motivi: anzitutto perché questo Istituto appartiene alla Santa Sede, ed è seguito con sollecitudine dal Cardinale Segretario di Stato, che è qui presente. Passando per alcuni reparti, imbattendomi con tanti piccoli che soffrono, ho pensato spontaneamente a Gesù che amava teneramente i bambini e voleva che li lasciassero andare a Lui. Sì, come Gesù, anche la Chiesa manifesta una speciale predilezione per l’infanzia, specialmente quando si tratta di fanciulli sofferenti. Ed ecco, allora, il secondo motivo per cui sono venuto tra voi: per testimoniare anch’io l’amore di Gesù per i bambini, un amore che si effonde spontaneo dal cuore e che lo spirito cristiano accresce e rafforza. Il Signore ha detto: “Quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me” (cfr
Mt 25,40 Mt 25,45). In ogni persona sofferente, ancor più se piccola e indifesa, è Gesù che ci accoglie e attende il nostro amore.

Importante è pertanto, cari amici, il lavoro che voi qui svolgete. Penso agli interventi d’avanguardia che rendono rinomato il “Bambino Gesù”; ma penso anche e soprattutto al lavoro ordinario, di ogni giorno: all’accoglienza, al ricovero, alla cura solerte dei piccoli degenti – e sono tanti! – che si rivolgono alle vostre strutture sanitarie. Ciò richiede una disponibilità grande, una costante ricerca di moltiplicare le risorse disponibili; domanda attenzione, spirito di sacrificio, pazienza e amore disinteressato, per far sì che le mamme e i papà possano trovare qui un luogo dove si respiri speranza e serenità anche nei momenti di più acuta apprensione.

Lasciate che spenda ancora una parola proprio sulla qualità dell’accoglienza e della cura che va riservata a chi è ammalato. Qui è vostra preoccupazione assicurare un trattamento eccellente non solo sotto il profilo sanitario, ma anche sotto l’aspetto umano. Voi cercate di dare una famiglia ai degenti e ai loro accompagnatori, e questo richiede il contributo di tutti: dei dirigenti, dei medici, degli infermieri e degli operatori nei vari reparti, del personale e delle numerose e benemerite Organizzazioni di volontari, che quotidianamente offrono il loro prezioso servizio. Questo stile, che vale per ogni Casa di cura, deve contraddistinguere in modo speciale quelle che si ispirano ai principi evangelici. Per i bambini, poi, non va lesinata alcuna risorsa. Al centro di ogni progetto e programma ci sia pertanto sempre il bene del malato, il bene del bambino ammalato.

Cari amici, grazie per la vostra collaborazione a quest’opera di alto valore umano, che rappresenta anche un apostolato quanto mai efficace. Io prego per voi, sapendo che non è agevole questa vostra missione. Sono certo però che tutto risulterà meno difficile se, dedicando le vostre energie a ogni piccolo ospite, saprete riconoscere nel suo volto quello di Gesù. Sostando nella Cappella, ho incontrato i sacerdoti, le religiose e quanti accompagnano il vostro lavoro con la loro dedizione, in particolare assicurando un’opportuna animazione spirituale. Sia proprio la Chiesa il cuore dell’Ospedale: da Gesù realmente presente nell’Eucaristia, dal dolce Medico dei corpi e delle anime, attingete la forza spirituale per confortare e curare quanti qui sono ricoverati.

Infine, permettetemi una riflessione squisitamente pastorale, come Vescovo di Roma. L’Ospedale “Bambino Gesù”, oltre ad essere una immediata e concreta opera di aiuto della Santa Sede verso i bambini ammalati, rappresenta un avamposto dell’azione evangelizzatrice della Comunità cristiana nella nostra Città. Qui si può offrire una testimonianza concreta ed efficace del Vangelo a contatto con l’umanità sofferente; qui si proclama con i fatti la potenza di Cristo che con il suo spirito guarisce e trasforma l’umana esistenza. Preghiamo perché, insieme con le cure, sia comunicato ai piccoli ospiti l’amore di Gesù. Maria Santissima, Salus infirmorum - Salute dei malati, che sentiamo ancor più vicina, quale Madre del Bambino Gesù e di tutti i bambini, protegga voi, cari ammalati, e le vostre famiglie, i dirigenti, i medici e l’intera Comunità dell’Ospedale. A tutti con affetto imparto la Benedizione Apostolica.



AI RELIGIOSI PAOLINI E COLLABORATORI DELLA FAMIGLIA PAOLINA Sabato, 1° ottobre 2005

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Cari fratelli e sorelle,

voi oggi rappresentate l’intera Famiglia Paolina, venuta a far visita al Successore di Pietro. Sono molto lieto di accogliervi e vi ringrazio per la vostra gentile visita. Saluto il Superiore Generale della Società San Paolo e gli esprimo viva riconoscenza per le cortesi parole con cui ha presentato lo spirito dell’attività evangelizzatrice che insieme cercate di svolgere. Saluto i Consiglieri Generali e gli altri Superiori, i numerosi Confratelli e collaboratori, ed estendo il mio cordiale pensiero all’intera vostra Istituzione nei suoi diversi rami, maschili e femminili. A tutti e a ciascuno giunga il mio apprezzamento per il servizio che rendete alla propagazione del Vangelo mediante i moderni mezzi di comunicazione sociale, seguendo l’esempio e gli insegnamenti del Fondatore, il beato Giacomo Alberione. In particolare, sono oggi presenti coloro che operano nell’ambito italiano: penso in primo luogo alla rivista Famiglia Cristiana e agli altri periodici, penso alle Edizioni San Paolo e alle vostre ben note Librerie sparse in tutta Italia, come pure al settore degli audiovisivi e delle più moderne frontiere della comunicazione. Il vostro è un apostolato di avanguardia in un campo vasto e complesso, che offre tante opportunità e comporta, al tempo stesso, non pochi problemi; un’attività molteplice che esige preparazione e competenze specifiche con un costante aggiornamento, se vi vuol rispondere effettivamente alle sfide del mondo attuale, percepito sempre più come "villaggio globale".

Cari amici, proclamare il Vangelo servendosi dei moderni mezzi della comunicazione, - proprio questo vuole realizzare il periodico Famiglia Cristiana, entrando nelle case di tanti italiani in patria e all’estero - accanto alla necessaria e doverosa formazione professionale, richiede anzitutto una salda adesione personale al Divino Maestro. Sempre consapevole dell’importanza di questa esigenza ascetica e spirituale è stato il vostro Fondatore che, proprio per questo, ha posto nel cuore stesso di ogni opera e casa del vostro Istituto l’Eucarestia, l’ascolto della Parola e un profondo spirito di preghiera. Innamorato di Dio qual era, don Alberione chiedeva ai suoi discepoli, sacerdoti e laici, di coltivare una robusta vita interiore, ricca di equilibrio e di discernimento. A tutti additava come modello l’apostolo Paolo, che nell’areopago di Atene, guidato dallo Spirito Santo, seppe adattare il suo annuncio al contesto culturale in cui si trovava ma, nel contempo, non mancò di presentare con coraggiosa franchezza la novità assoluta che è Cristo (cfr
Ac 17,22-32). Il recente Capitolo generale della Società San Paolo ha riproposto a tutti i Paolini quale indicazione programmatica l’esortazione di don Alberione ad "essere san Paolo oggi". Che ognuno di voi faccia suo lo spirito e lo stile che contraddistinguevano l’Apostolo delle genti, attualizzandone anche in questa nostra epoca post- moderna l’opera missionaria. Fatelo, condividendo con il Successore di Pietro e i Pastori delle Chiese particolari l’anelito incessante a far pervenire al cuore di tanti nostri contemporanei il messaggio salvifico del Redentore.

I miei venerati Predecessori non hanno mancato in diverse occasioni di esprimere la loro stima e il loro affetto verso la benemerita Famiglia Paolina, incoraggiandola e stimolandola a camminare nella fedeltà al carisma che la contrassegna e che costituisce una ricchezza per l’intera comunità ecclesiale. Alla loro parola unisco volentieri la mia, auspicando che la vostra Famiglia religiosa sappia realizzare sempre più la sua missione, che è quella di vivere e dare al mondo di oggi il Cristo Maestro Via, Verità e Vita con le forme e i linguaggi della comunicazione attuale. Dal Concilio Ecumenico Vaticano II è andata crescendo nella Chiesa la consapevolezza del valore e dell’alto interesse che rivestono gli strumenti della comunicazione per la diffusione del Vangelo e per la formazione delle coscienze. Vi esorto, pertanto, a rinnovare l’impegno, che vi è proprio, di essere una presenza educativa al servizio della comunità cristiana, affinché, nelle sue diverse articolazioni, sia in grado di sviluppare una capacità comunicativa sempre migliore, ad immagine del Signore Gesù, nel quale la comunicazione tra Dio e l’umanità ha raggiunto la sua perfezione (cfr Lett. ap. Il rapido sviluppo, 5).

Grazie ancora per la vostra visita. Assicuro per ciascuno di voi il mio affetto e prego il Signore perché proseguiate con fedeltà l’opera avviata dal beato Alberione con la sua protezione e con quella degli altri Beati e Beate della Famiglia Paolina. Vi guidi ed accompagni soprattutto Maria Santissima, modello di come si accoglie la divina Parola per donarla integralmente al mondo. Con tali sentimenti, di cuore benedico voi qui presenti, le vostre famiglie, tutti i lettori di Famiglia Cristiana e quanti sono raggiunti dalle vostre molteplici attività sociali e pastorali.




APERTURA DEI LAVORI DELL'XI ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI




DOPO LA LECTIO BREVIS DELL'ORA TERZA Lunedì, 3 ottobre 2005

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Cari fratelli,

questo testo dell'Ora Terza di oggi implica cinque imperativi ed una promessa. Cerchiamo di capire un po' meglio che cosa l'Apostolo intende dirci con queste parole.

Il primo imperativo è molto frequente nelle Lettere di San Paolo, anzi si potrebbe dire è quasi il «cantus firmus» del suo pensiero: «gaudete».

In una vita così tormentata come era la sua, una vita piena di persecuzioni, di fame, di sofferenze di tutti i tipi, tuttavia una parola chiave rimane sempre presente: «gaudete».

Nasce qui la domanda: è possibile quasi comandare la gioia? La gioia, vorremmo dire, viene o non viene, ma non può essere imposta come un dovere. E qui ci aiuta pensare al testo più conosciuto sulla gioia delle Lettere paoline, quello della «Domenica Gaudete», nel cuore della Liturgia dell'Avvento: «gaudete, iterum dico gaudete quia Dominus propest».

Qui sentiamo il motivo del perché Paolo in tutte le sofferenze, in tutte le tribolazioni, poteva non solo dire agli altri «gaudete»: lo poteva dire perché in lui stesso la gioia era presente. «gaudete, Dominus enim prope est».

Se l'amato, l'amore, il più grande dono della mia vita, mi è vicino, se posso essere convinto che colui che mi ama è vicino a me, anche in situazioni di tribolazione, rimane nel fondo del cuore la gioia che è più grande di tutte le sofferenze.

L'apostolo può dire «gaudete» perché il Signore è vicino ad ognuno di noi. E così questo imperativo in realtà è un invito ad accorgersi della presenza del Signore vicino a noi. È, una sensibilizzazione per la presenza del Signore. L'Apostolo intende farci attenti a questa — nascosta ma molto reale — presenza di Cristo vicino ad ognuno di noi. Per ognuno di noi sono vere le parole dell'Apocalisse: io busso alla tua porta, ascoltami, aprimi.

È quindi anche un invito ad essere sensibili per questa presenza del Signore che bussa alla mia porta. Non essere sordi a Lui, perché le orecchie dei nostri cuori sono talmente piene di tanti rumori del mondo che non possiamo sentire questa silenziosa presenza che bussa alle nostre porte. Riflettiamo, nello stesso momento, se siamo realmente disponibili ad aprire le porte del nostro cuore; o forse questo cuore è pieno di tante altre cose che non c'è spazio per il Signore e per il momento non abbiamo tempo per il Signore. E così, insensibili, sordi alla sua presenza, pieni di altre cose, non sentiamo l'essenziale: Lui bussa alla porta, ci è vicino e così è vicina la vera gioia, che è più forte di tutte le tristezze del mondo, della nostra vita.

Preghiamo, quindi, nel contesto di questo primo imperativo: Signore facci sensibili alla Tua presenza, aiutaci a sentire, a non essere sordi a Te, aiutaci ad avere un cuore libero, aperto a Te.

Il secondo imperativo «perfecti estote», così come si legge nel testo latino, sembra coincidere con la parola riassuntiva del Sermone della Montagna: «perfecti estote sicut Pater vester caelestis perfectus est».

Questa parola ci invita ad essere ciò che siamo: immagini di Dio, esseri creati in relazione al Signore, «specchio» nel quale si riflette la luce del Signore. Non vivere il cristianesimo secondo la lettera, non sentire la Sacra Scrittura secondo la lettera è spesso difficile, storicamente discutibile, ma andare oltre la lettera, la realtà presente, verso il Signore che ci parla e così all’unione con Dio. Ma se vediamo il testo greco troviamo un altro verbo, «catartizesthe», e questa parola vuole dire rifare, riparare uno strumento, restituirlo alla piena funzionalità. L'esempio più frequente per gli apostoli è rifare una rete per i pescatori che non è più nella giusta situazione, che ha tante lacune da non servire più, rifare la rete così che possa di nuovo essere rete per la pesca, ritornare alla sua perfezione di strumento per questo lavoro. Un altro esempio: uno strumento musicale a corde che ha una corda rotta, quindi la musica non può essere suonata come dovrebbe. Così in questo imperativo la nostra anima appare come una rete apostolica che tuttavia spesso non funziona bene, perché è lacerata dalle nostre proprie intenzioni; o come uno strumento musicale nel quale purtroppo qualche corda è rotta, e quindi la musica di Dio che dovrebbe suonare dal profondo della nostra anima non può echeggiare bene. Rifare questo strumento, conoscere le lacerazioni, le distruzioni, le negligenze, quanto è trascurato, e cercare che questo strumento sia perfetto, sia completo perché serva a ciò per cui è creato dal Signore.

E così questo imperativo può essere anche un invito all'esame di coscienza regolare, per vedere come sta questo mio strumento, fino a quale punto è trascurato, non funziona più, per cercare di ritornare alla sua integrità. È anche un invito al Sacramento della Riconciliazione, nel quale Dio stesso rifà questo strumento e ci dà di nuovo la completezza, la perfezione, la funzionalità, affinché in quest'anima possa risuonare la lode di Dio.

Poi «exortamini invicem». La correzione fraterna è un'opera di misericordia. Nessuno di noi vede bene se stesso, vede bene le sue mancanze. E così è un atto di amore, per essere di complemento l'uno all'altro, per aiutarsi a vederci meglio, a correggerci. Penso che proprio una delle funzioni della collegialità è quella di aiutarci, nel senso anche dell'imperativo precedente, di conoscere le lacune che noi stessi non vogliamo vedere — «ab occultis meis munda me» dice il Salmo — di aiutarci perché diventiamo aperti e possiamo vedere queste cose.

Naturalmente, questa grande opera di misericordia, aiutarci gli uni con gli altri perché ciascuno possa realmente trovare la propria integrità, la propria funzionalità come strumento di Dio, esige molta umiltà e amore. Solo se viene da un cuore umile che non si pone al di sopra dell'altro, non si considera meglio dell'altro, ma solo umile strumento per aiutarsi reciprocamente. Solo se si sente questa profonda e vera umiltà, se si sente che queste parole vengono dall'amore comune, dall'affetto collegiale nel quale vogliamo insieme servire Dio, possiamo in questo senso aiutarci con un grande atto di amore. Anche qui il testo greco aggiunge qualche sfumatura, la parola greca è «paracaleisthe»; è la stessa radice dalla quale viene anche la parola «Paracletos, paraclesis», consolare. Non solo correggere, ma anche consolare, condividere le sofferenze dell'altro, aiutarlo nelle difficoltà. E anche questo mi sembra un grande atto di vero affetto collegiale. Nelle tante situazioni difficili che nascono oggi nella nostra pastorale, qualcuno si trova realmente un po' disperato, non vede come può andare avanti. In quel momento ha bisogno della consolazione, ha bisogno che qualcuno sia con lui nella sua solitudine interiore e compia l'opera dello Spirito Santo, del Consolatore: quella di dare coraggio, di portarci insieme, di appoggiarci insieme, aiutati dallo Spirito Santo stesso che è il grande Paraclito, il Consolatore, il nostro Avvocato che ci aiuta. Quindi è un invito a fare noi stessi «ad invicem» l'opera dello Spirito Santo Paraclito.

«Idem sapite»: sentiamo dietro la parola latina la parola «sapor», «sapore»: Abbiate lo stesso sapore per le cose, abbiate la stessa visione fondamentale della realtà, con tutte le differenze che non solo sono legittime ma anche necessarie, ma abbiate «eundem sapore», abbiate la stessa sensibilità. Il testo greco dice «froneite», la stessa cosa. Cioè abbiate lo stesso pensiero sostanzialmente. Come potremmo avere in sostanza un pensiero comune che ci aiuti a guidare insieme la Santa Chiesa se non condividendo insieme la fede che non è inventata da nessuno di noi, ma è la fede della Chiesa, il fondamento comune che ci porta, sul quale stiamo e lavoriamo? Quindi è un invito ad inserirci sempre di nuovo in questo pensiero comune, in questa fede che ci precede. «Non respicias peccata nostra sed fidem Ecclesiae tuae»: è la fede della Chiesa che il Signore cerca in noi e che è anche il perdono dei peccati. Avere questa stessa fede comune. Possiamo, dobbiamo vivere questa fede, ognuno nella sua originalità, ma sempre sapendo che questa fede ci precede. E dobbiamo comunicare a tutti gli altri la fede comune. Questo elemento ci fa passare già all'ultimo imperativo, che ci dà la pace profonda tra di noi.

E a questo punto possiamo pensare anche a «touto froneite», ad un altro testo della Lettera ai Filippesi, all'inizio del grande inno sul Signore, dove l'Apostolo ci dice: abbiate gli stessi sentimenti di Cristo, entrare nella «fronesis», nel «fronein», nel pensare di Cristo. Quindi possiamo avere la fede della Chiesa insieme, perché con questa fede entriamo nei pensieri, nei sentimenti del Signore. Pensare insieme con Cristo.

Questo è l'ultimo affondo di questo avvertimento dell'Apostolo: pensare con il pensiero di Cristo. E possiamo farlo leggendo la Sacra Scrittura nella quale i pensieri di Cristo sono Parola, parlano con noi. In questo senso dovremmo esercitare la «Lectio Divina», sentire nelle Scritture il pensiero di Cristo, imparare a pensare con Cristo, a pensare il pensiero di Cristo e così avere i sentimenti di Cristo, essere capaci di dare agli altri anche il pensiero di Cristo, i sentimenti di Cristo.

E così l'ultimo imperativo «pacem habete et eireneuete», è quasi il riassunto dei quattro imperativi precedenti, essendo così in unione con Dio che è la pace nostra, con Cristo che ci ha detto: «pacem dabo vobis». Siamo nella pace interiore, perché essere nel pensiero di Cristo unisce il nostro essere. Le difficoltà, i contrasti della nostra anima si uniscono, si è uniti all'originale, a quello di cui siamo immagine con il pensiero di Cristo. Così nasce la pace interiore e solo se siamo fondati su una profonda pace interiore possiamo essere persone della pace anche nel mondo, per gli altri.

Qui la domanda, questa promessa è condizionata dagli imperativi? Cioè solo nella misura nella quale noi possiamo realizzare gli imperativi, questo Dio della pace è con noi? Come è la relazione tra imperativo e promessa?

Io direi che è bilaterale, cioè la promessa precede gli imperativi e rende realizzabili gli imperativi e segue anche tale realizzazione degli imperativi. Cioè, prima di tutto quanto facciamo noi, il Dio dell'amore e della pace si è aperto a noi, è con noi. Nella Rivelazione cominciata nell'Antico Testamento Dio è venuto incontro a noi con il suo amore, con la sua pace.

E finalmente nell'Incarnazione si è fatto Dio con noi, Emmanuele, è con noi questo Dio della pace che si è fatto carne con la nostra carne, sangue del nostro sangue. È uomo con noi e abbraccia tutto l'essere umano. E nella crocifissione e nella discesa alla morte, totalmente si è fatto uno con noi, ci precede con il suo amore, abbraccia prima di tutto il nostro agire. E questa è la nostra grande consolazione. Dio ci precede. Ha già fatto tutto. Ci ha dato pace e perdono e amore. È con noi. E solo perché è con noi, perché nel Battesimo abbiamo ricevuto la sua grazia, nella Cresima lo Spirito Santo, nel Sacramento dell'Ordine abbiamo ricevuto la sua missione, possiamo adesso fare noi, cooperare con questa sua presenza che ci precede. Tutto questo nostro agire del quale parlano i cinque imperativi è un cooperare, un collaborare con il Dio della pace che è con noi.

Ma vale, dall'altra parte, nella misura nella quale noi realmente entriamo in questa presenza che ha donato, in questo dono già presente nel nostro essere. Cresce naturalmente la sua presenza, il suo essere con noi.

E preghiamo il Signore che ci insegni a collaborare con la sua precedente grazia e di essere così realmente sempre con noi. Amen!




BEATIFICAZIONE DEL SERVO DI DIO CLEMENS AUGUST GRAF VON GALEN

PAROLE DI SALUTO AL TERMINE DELLA CELEBRAZIONE Altare della Confessione, Basilica Vaticana Domenica, 9 ottobre 2005

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Al termine di questa celebrazione, durante la quale è stato iscritto nell’albo dei Beati il Cardinale Clemens August Graf von Galen, ho la gioia di unirmi a voi, convenuti numerosi nella Basilica di San Pietro, per rendere omaggio al nuovo Beato. Ai venerati Fratelli Cardinali e Vescovi, alle distinte Autorità e a tutti i presenti rivolgo il mio saluto cordiale.

Sehr herzlich grüße ich die Bischöfe und Priester, die Vertreter des öffentlichen Lebens und alle Pilger, die aus Münster und aus ganz Deutschland nach Rom gekommen sind. Mit Freude vereine ich mich mit euch allen in der Verehrung des neuen Seligen Kardinal Clemens August Graf von Galen. Wir alle, und besonders wir Deutschen, sind dankbar, daß uns der Herr diesen großen Zeugen des Glaubens geschenkt hat, der in finsterer Zeit das Licht der Wahrheit aufgerichtet und den Mut des Widerstands gegen die Macht der Tyrannei gezeigt hat. Aber wir sollen uns auch fragen: "Von woher kam ihm diese Einsicht in einer Zeit, in der gescheite Leute der Verblendung verfielen? Und von woher kam ihm die Kraft zum Widerstand in einem Augenblick, in dem auch starke Menschen sich schwach und feige gezeigt haben? " Einsicht und Mut sind ihm aus dem Glauben gekommen, der ihm die Wahrheit gezeigt, das Herz und die Augen dafür geöffnet hat, und weil er Gott mehr fürchtete als die Menschen, der ihm den Mut gegeben hat, zu tun und zu sagen, was andere nicht zu tun und zu sagen wagten. So gibt er uns Mut, ja er trägt uns auf, heute wieder den Glauben neu zu leben, und er zeigt uns auch, wie das geht – in ganz einfachen, demütigen und doch großen und tiefreichenden Dingen. Denken wir daran, daß er sehr oft zu Fuß zur Muttergottes nach Telgte gepilgert ist, daß er die ewige Anbetung in St. Servatius eingeführt hat, daß er oft im Sakrament der Buße die Gnade der Vergebung erbeten und geschenkt bekommen hat. So zeigt er uns diese einfache Katholizität, in der der Herr uns begegnet, in der er uns das Herz aufmacht und uns so Unterscheidung der Geister, Mut des Glaubens und die Freude daran gibt, daß wir Erlöste sind. Wir danken dem Herrn für diesen großen Zeugen und bitten darum, daß er uns leuchte und führe. Seliger Kardinal Graf von Galen, bitte gerade in dieser Stunde für uns, für die Kirche in Deutschland und in der ganzen Welt. Amen.

Traduzione italiana del saluto pronunciato in lingua tedesca:

Con grande affetto saluto i Vescovi e i sacerdoti, i rappresentanti della vita pubblica e i pellegrini venuti a Roma da Münster e dall’intera Germania. Con gioia mi unisco a tutti voi nella venerazione del nuovo beato Clemens August Graf von Galen. Noi tutti, e in particolare noi tedeschi, siamo grati perché il Signore ci ha donato questo grande testimone della fede, che in tempi bui ha fatto splendere la luce della verità e ha mostrato il coraggio di opporsi al potere della tirannide. Ma dobbiamo anche chiederci: da dove gli giunse questa intuizione in un tempo in cui persone intelligenti erano come cieche? E da dove gli giunse la forza di opporsi in un momento in cui anche i forti si dimostrarono deboli e vili? Ha tratto intuizione e coraggio dalla fede, che gli ha mostrato la verità, gli ha aperto il cuore e gli occhi. Più degli uomini egli temeva Dio, che gli ha concesso il coraggio di fare e di dire ciò che altri non osavano dire e fare. Così egli ci dona coraggio, ci esorta a vivere di nuovo la fede oggi e ci mostra anche come ciò sia realizzabile nelle cose semplici e umili e tuttavia grandi e profonde. Ricordiamo il fatto che egli tanto spesso si è recato a piedi in pellegrinaggio presso la Madre di Dio a Telgte, che ha introdotto l'adorazione perpetua a san Servazio, che spesso nel Sacramento della Penitenza ha chiesto la grazia del perdono e l'ha ottenuta. Egli ci mostra dunque questa cattolicità semplice, nella quale il Signore ci incontra, nella quale schiude il nostro cuore e ci dona il discernimento degli spiriti, il coraggio della fede e la gioia di essere salvati. Rendiamo grazie a Dio per questo grande testimone della fede e preghiamolo affinché ci illumini e ci guidi. Beato Cardinale von Galen, proprio in quest'ora prega per noi, per la Chiesa in Germania e in tutto il mondo. Amen.






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