Discorsi 2005-13 15105

INCONTRO DI CATECHESI E DI PREGHIERA CON I BAMBINI DELLA PRIMA COMUNIONE Piazza San Pietro Sabato, 15 ottobre 2005

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CATECHESI DEL SANTO PADRE

Andrea: «Caro Papa, quale ricordo hai del giorno della tua prima Comunione?»

Innanzitutto vorrei dire grazie per questa festa della fede che mi offrite, per la vostra presenza e la vostra gioia. Ringrazio e saluto per l'abbraccio che ho avuto da alcuni di voi, un abbraccio che simbolicamente vale per voi tutti, naturalmente. Quanto alla domanda, mi ricordo bene del giorno della mia Prima Comunione. Era una bella domenica di marzo del 1936, quindi 69 anni fa. Era un giorno di sole, la chiesa molto bella, la musica, erano tante le belle cose delle quali mi ricordo. Eravamo una trentina di ragazzi e di ragazze del nostro piccolo paese, di non più di 500 abitanti. Ma nel centro dei miei ricordi gioiosi e belli sta questo pensiero - la stessa cosa è già stata detta dal vostro portavoce - che ho capito che Gesù è entrato nel mio cuore, ha fatto visita proprio a me. E con Gesù Dio stesso è con me. E che questo è un dono di amore che realmente vale più di tutto il resto che può essere dato dalla vita; e così sono stato realmente pieno di una grande gioia perché Gesù era venuto da me. E ho capito che adesso cominciava una nuova tappa della mia vita, avevo 9 anni, e che adesso era importante rimanere fedele a questo incontro, a questa Comunione. Ho promesso al Signore, per quanto potevo: "Io vorrei essere sempre con te" e l'ho pregato: "Ma sii soprattutto tu con me". E così sono andato avanti nella mia vita. Grazie a Dio, il Signore mi ha sempre preso per la mano, mi ha guidato anche in situazioni difficili. E così questa gioia della Prima Comunione era un inizio di un cammino fatto insieme. Spero che, anche per tutti voi, la Prima Comunion e che avete ricevuto in quest'Anno dell'Eucaristia sia l’inizio di un'amicizia per tutta la vita con Gesù. Inizio di un cammino insieme, perché andando con Gesù andiamo bene e la vita diventa buona.

Livia: «Santo Padre, prima del giorno della mia Prima Comunione mi sono confessata. Mi sono poi confessata altre volte. Ma volevo chiederti: devo confessarmi tutte le volte che faccio la Comunione? Anche quando ho fatto gli stessi peccati? Perché mi accorgo che sono sempre quelli».

Direi due cose: la prima, naturalmente, è che non devi confessarti sempre prima della Comunione, se non hai fatto peccati così gravi che sarebbe necessario confessarsi. Quindi, non è necessario confessarsi prima di ogni Comunione eucaristica. Questo è il primo punto. Necessario è soltanto nel caso che hai commesso un peccato realmente grave, che hai offeso profondamente Gesù, così che l’amicizia è distrutta e devi ricominciare di nuovo. Solo in questo caso, quando si è in peccato "mortale", cioè grave, è necessario confessarsi prima della Comunione. Questo è il primo punto. Il secondo: anche se, come ho detto, non è necessario confessarsi prima di ogni Comunione, è molto utile confessarsi con una certa regolarità. È vero, di solito, i nostri peccati sono sempre gli stessi, ma facciamo pulizia delle nostre abitazioni, delle nostre camere, almeno ogni settimana, anche se la sporcizia è sempre la stessa. Per vivere nel pulito, per ricominciare; altrimenti, forse la sporcizia non si vede, ma si accumula. Una cosa simile vale anche per l'anima, per me stesso, se non mi confesso mai, l'anima rimane trascurata e, alla fine, sono sempre contento di me e non capisco più che devo anche lavorare per essere migliore, che devo andare avanti. E questa pulizia dell'anima, che Gesù ci dà nel Sacramento della Confessione, ci aiuta ad avere una coscienza più svelta, più aperta e così anche di maturare spiritualmente e come persona umana. Quindi due cose: confessarsi è necessario soltanto in caso di un peccato grave, ma è molto utile confessarsi regolarmente per coltivare la pulizia, la bellezza dell'anima e maturare man mano nella vita.

Andrea: «La mia catechista, preparandomi al giorno della mia Prima Comunione, mi ha detto che Gesù è presente nell'Eucaristia. Ma come? Io non lo vedo!»

Sì, non lo vediamo, ma ci sono tante cose che non vediamo e che esistono e sono essenziali. Per esempio, non vediamo la nostra ragione, tuttavia abbiamo la ragione. Non vediamo la nostra intelligenza e l'abbiamo. Non vediamo, in una parola, la nostra anima e tuttavia esiste e ne vediamo gli effetti, perché possiamo parlare, pensare, decidere ecc... Così pure non vediamo, per esempio, la corrente elettrica, e tuttavia vediamo che esiste, vediamo questo microfono come funziona; vediamo le luci. In una parola, proprio le cose più profonde, che sostengono realmente la vita e il mondo, non le vediamo, ma possiamo vedere, sentire gli effetti. L'elettricità, la corrente non le vediamo, ma la luce la vediamo. E così via. E così anche il Signore risorto non lo vediamo con i nostri occhi, ma vediamo che dove è Gesù, gli uomini cambiano, diventano migliori. Si crea una maggiore capacità di pace, di riconciliazione, ecc... Quindi, non vediamo il Signore stesso, ma vediamo gli effetti: così possiamo capire che Gesù è presente. Come ho detto, proprio le cose invisibili sono le più profonde e importanti. Andiamo dunque incontro a questo Signore invisibile, ma forte, che ci aiuta a vivere bene.

Giulia: «Santità, tutti ci dicono che è importante andare a Messa alla domenica. Noi ci andremmo volentieri ma spesso i nostri genitori non ci accompagnano perché alla domenica dormono, il papà e la mamma di un mio amico lavorano in un negozio e noi spesso andiamo fuori città per trovare i nonni. Puoi dire a loro una parola perché capiscano che è importante andare a Messa insieme, ogni domenica?»

Riterrei di sì, naturalmente, con grande amore, con grande rispetto per i genitori che, certamente, hanno tante cose da fare. Ma tuttavia, con il rispetto e l’amore di una figlia, si può dire: cara mamma, caro papà, sarebbe così importante per noi tutti, anche per te incontrarci con Gesù. Questo ci arricchisce, porta un elemento importante alla nostra vita. Insieme troviamo un po' di tempo, possiamo trovare una possibilità. Forse anche dove abita la nonna si troverà la possibilità. In una parola direi, con grande amore e rispetto per i genitori, direi loro: "Capite che questo non è solo importante per me, non lo dicono solo i catechisti, è importante per tutti noi; e sarà una luce della domenica per tutta la nostra famiglia".

Alessandro: «A cosa serve andare alla Santa Messa e ricevere la Comunione per la vita di tutti i giorni?»

Serve per trovare il centro della vita. Noi la viviamo in mezzo a tante cose. E le persone che non vanno in chiesa non sanno che a loro manca proprio Gesù. Sentono però che manca qualcosa nella loro vita. Se Dio resta assente nella mia vita, se Gesù è assente dalla mia vita, mi manca una guida, mi manca una amicizia essenziale, mi manca anche una gioia che è importante per la vita. La forza anche di crescere come uomo, di superare i miei vizi e di maturare umanamente. Quindi, non vediamo subito l'effetto dell'essere con Gesù quando andiamo alla Comunione; lo si vede col tempo. Come anche, nel corso delle settimane, degli anni, si sente sempre più l'assenza di Dio, l'assenza di Gesù. È una lacuna fondamentale e distruttiva . Potrei adesso facilmente parlare dei Paesi dove l'ateismo ha governato per anni; come ne sono risultate distrutte le anime, ed anche la terra; e così possiamo vedere che è importante, anzi, direi, fondamentale, nutrirsi di Gesù nella comunione. E’ Lui che ci dà la luce, ci offre la guida per la nostra vita, una guida della quale abbiamo bisogno.

Anna: «Caro Papa, ci puoi spiegare cosa voleva dire Gesù quando ha detto alla gente che lo seguiva: "Io sono il pane della vita"»?

Allora dobbiamo forse innanzitutto chiarire che cos'è il pane. Noi abbiamo oggi una cucina raffinata e ricca di diversissimi cibi, ma nelle situazioni più semplici il pane è il fondamento della nutrizione e se Gesù si chiama il pane della vita, il pane è, diciamo, la sigla, un'abbreviazione per tutto il nutrimento. E come abbiamo bisogno di nutrirci corporalmente per vivere, così anche lo spirito, l'anima in noi, la volontà, ha bisogno di nutrirsi. Noi, come persone umane, non abbiamo solo un corpo, ma anche un'anima; siamo persone pensanti con una volontà, un’intelligenza, e dobbiamo nutrire anche lo spirito, l'anima, perché possa maturare, perché possa realmente arrivare alla sua pienezza. E, quindi, se Gesù dice io sono il pane della vita, vuol dire che Gesù stesso è questo nutrimento della nostra anima, dell'uomo interiore del quale abbiamo bisogno, perché anche l'anima deve nutrirsi. E non bastano le cose tecniche, pur tanto importanti. Abbiamo bisogno proprio di questa amicizia di Dio, che ci aiuta a prendere le decisioni giuste. Abbiamo bisogno di maturare umanamente. Con altre parole, Gesù ci nutre così che diventiamo realmente persone mature e la nostra vita diventa buona.

Adriano: «Santo Padre, ci hanno detto che oggi faremo l'Adorazione Eucaristica? Che cosa è? Come si fa? Ce lo puoi spiegare? Grazie»

Allora, che cos'è l'adorazione, come si fa, lo vedremo subito, perché tutto è ben preparato: faremo delle preghiere, dei canti, la genuflessione e siamo così davanti a Gesù. Ma, naturalmente, la tua domanda esige una risposta più profonda: non solo come fare, ma che cosa è l'adorazione. Io direi: adorazione è riconoscere che Gesù è mio Signore, che Gesù mi mostra la via da prendere, mi fa capire che vivo bene soltanto se conosco la strada indicata da Lui, solo se seguo la via che Lui mi mostra. Quindi, adorare è dire: «Gesù, io sono tuo e ti seguo nella mia vita, non vorrei mai perdere questa amicizia, questa comunione con te». Potrei anche dire che l'adorazione nella sua essenza è un abbraccio con Gesù, nel quale gli dico: «Io sono tuo e ti prego sii anche tu sempre con me».




PAROLE DEL SANTO PADRE AL TERMINE DELL’INCONTRO


Carissimi ragazzi e ragazze, fratelli e sorelle, alla fine di questo bellissimo incontro trovo solo una parola: grazie.

Grazie per questa festa della fede.

Grazie per questo incontro tra di noi e con Gesù.

E grazie, naturalmente, a tutti che hanno reso possibile questa festa: ai catechisti, ai sacerdoti, alle suore; a tutti voi.

Ripeto, alla fine, le parole d’inizio di ogni liturgia e vi dico: "La pace sia con voi"; cioè il Signore sia con voi, la gioia sia con voi e così la vita sia buona.

Buona domenica, buona notte e arrivederci tutti insieme con il Signore.

Grazie tante!



ALLA DELEGAZIONE DELL’«ISTITUTO PER I DIRITTI DELL’UOMO» DI AUSCHWITZ Domenica, 16 ottobre 2005

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Signore e Signori,

vi saluto cordialmente e sono lieto di ricevere oggi i membri dell'Auschwitzer Menschenrechts-Institut, diretto dal Cardinale Macharski. In particolare sono lieto di poter insignire del Premio Giovanni Paolo II per i diritti dell'uomo Sua Eccellenza il Vescovo Václav Malý e il Professor Stefan Wilkanowicz.

Questo premio, che viene conferito a personalità eccezionali, che si impegnano in diverse parti del mondo per i diritti dell'uomo, intende contribuire a richiamare l'attenzione su tutte quelle situazioni nelle quali viene violata la dignità dell'uomo e regnano la violenza e la sopraffazione. Questo appello acquisisce tanta più forza in quanto si leva da una città che ha dovuto vivere il terrore e il dolore di milioni di vittime innocenti dell'odio.

Il mio amato predecessore, Papa Giovanni Paolo II, non si è mai stancato di condannare con veemenza le ingiustizie, la disuguaglianza e le necessità materiali e morali sofferte da singole persone e da interi popoli. Per questo motivo il premio porta il suo nome.

Serdecznie Panstwa pozdrawiam. Laureatom szczerze gratuluje. Wszystkim z serca blogoslawie.

[Vi saluto cordialmente. Ai premiati sincere congratulazioni. Vi benedico tutti di cuore.]





INTERVISTA ALLA TELEVISIONE POLACCA Domenica, 16 ottobre 2005

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L'intervista è stata realizzata in lingua italiana da Padre Andrzej Majewski, Responsabile dei Programmi Cattolici della televisione pubblica Polacca

Il 16 ottobre del 1978, il cardinale Karol Wojityla diventò Papa e da quel giorno Giovanni Paolo II, per oltre 26 anni, da Successore di San Pietro, come è Lei adesso, ha guidato la Chiesa assieme ai vescovi e ai cardinali. Tra i cardinali vi era anche la Vostra Santità, persona singolarmente apprezzata e stimata dal suo predecessore; persona di cui il Pontefice Giovanni Paolo II ebbe a scrivere nel libro “Alzatevi, andiamo” - e qui cito – “Ringrazio Iddio per la presenza e l’aiuto del cardinale Ratzinger. E’ un amico provato”, ha scritto Giovanni Paolo II.

D. – Padre Santo come è iniziata questa amicizia e quando Vostra Santità ha conosciuto il cardinale Karol Wojityla?

R. – Personalmente lo ho conosciuto soltanto nei due pre-conclave e conclave del ’78. Avevo naturalmente sentito parlare del cardinale Wojityla, inizialmente soprattutto nel contesto della corrispondenza fra vescovi polacchi e tedeschi nel ’65. I cardinali tedeschi mi hanno raccontato come era grandissimo il merito e il contributo dell’arcivescovo di Cracovia e che era proprio l’anima di questa corrispondenza realmente storica. Da amici universitari avevo anche sentito della sua filosofia e della grandezza della sua figura di pensatore. Ma come ho detto l’incontro personale la prima volta si è realizzato per il conclave del ’78. Dall’inizio ho sentito una grande simpatia e, grazie a Dio, immeritatamente, il cardinale di quel tempo mi ha donato fin dall’inizio la sua amicizia. Sono grato per questa fiducia che mi ha donato, senza i miei meriti. Soprattutto vedendolo pregare, ho visto e non solo capito, ho visto che era un uomo di Dio. Questa era l’impressione fondamentale: un uomo che vive con Dio, anzi in Dio. Mi ha poi impressionato la cordialità, senza pregiudizi, con la quale si è incontrato con me. In questi incontri del pre-conclave dei cardinali, ha preso diverse volte la parola e qui ho avuto anche la possibilità di sentire la statura del pensatore. Senza grandi parole, era così nata un’amicizia che veniva proprio dal cuore e, subito dopo la sua elezione, il Papa mi ha chiamato diverse volte a Roma per colloqui e alla fine mi ha nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

D. – Dunque non è stata una sorpresa questa nomina e questa convocazione a Roma?

R. – Per me era un po’ difficile, perché dall’inizio del mio episcopato a Monaco, con la solenne consacrazione a vescovo nella cattedrale di Monaco, vi era per me un obbligo, quasi un matrimonio con questa diocesi ed avevano anche sottolineato che dopo decenni ero il primo vescovo originario della diocesi. Mi sentivo quindi molto obbligato e legato a questa diocesi. C’erano poi dei problemi difficili che non erano ancora risolti e non volevo lasciare la diocesi con dei problemi non risolti. Di tutto questo ho discusso con il Santo Padre, con grande apertura e con questa fiducia che aveva il Santo Padre, che era molto paterno con me. Mi ha dato quindi tempo di riflettere, egli stesso voleva riflettere. Alla fine mi ha convinto, perché questa era la volontà di Dio. Potevo così accettare questa chiamata e questa responsabilità grande, non facile, che di per sé superava le mie capacità. Ma nella fiducia alla paterna benevolenza del Papa e con la guida dello Spirito Santo, potevo dire di sì.

D. – Questa esperienza durò per più di 20 anni…

R. - Sì, sono arrivato nel febbraio dell’82 ed è durata fino alla morte del Papa nel 2005.

D. – Quali sono, secondo Lei, Santo Padre, i punti più significativi del Pontificato di Giovanni Paolo II?

R. – Possiamo avere, direi, due punti di vista: uno ad extra - al mondo -, ed uno ad intra - alla Chiesa -. Riguardo al mondo, mi sembra che il Santo Padre, con i suoi discorsi, la sua persona, la sua presenza, la sua capacità di convincere, ha creato una nuova sensibilità per i valori morali, per l’importanza della religione nel mondo. Questo ha fatto sì che si creasse una nuova apertura, una nuova sensibilità per i problemi della religione, per la necessità della dimensione religiosa nell’uomo e soprattutto è cresciuta – in modo inimmaginabile – l’importanza del Vescovo di Roma. Tutti i cristiani hanno riconosciuto – nonostante le differenze e nonostante il loro non riconoscimento del Successore di Pietro – che è lui il portavoce della cristianità. Nessun altro al mondo, a livello mondiale può parlare così nel nome della cristianità e dar voce e forza nell’attualità del mondo alla realtà cristiana. Ma anche per la non cristianità e per le altre religioni, era lui il portavoce dei grandi valori dell’umanità. E’ anche da menzionare che è riuscito a creare un clima di dialogo fra le grandi religioni e un senso di comune responsabilità che tutti abbiamo per il mondo, ma anche che le violenze e le religioni sono incompatibili e che insieme dobbiamo cercare la strada per la pace, in una responsabilità comune per l’umanità. Spostiamo l’attenzione ora verso la situazione della Chiesa. Io direi che, anzitutto, ha saputo entusiasmare la gioventù per Cristo. Questa è una cosa nuova, se pensiamo alla gioventù del ’68 e degli anni Settanta. Che la gioventù si sia entusiasmata per Cristo e per la Chiesa ed anche per valori difficili, poteva ottenerlo soltanto una personalità con quel carisma; soltanto Lui poteva in tal modo riuscire a mobilitare la gioventù del mondo per la causa di Dio e per l’amore di Cristo. Nella Chiesa ha creato – penso – un nuovo amore per l’Eucaristia. Siamo ancora nell’Anno dell’Eucaristia, voluto da lui, con tanto amore; ha creato un nuovo senso per la grandezza della Misericordia Divina; e ha anche approfondito molto l’amore per la Madonna e ci ha così guidato ad una interiorizzazione della fede e, allo stesso tempo, ad una maggiore efficienza. Naturalmente bisogna menzionare – come sappiamo tutti - anche quanto sia stato essenziale il suo contributo per i grandi cambiamenti nel mondo nell’89, per il crollo del cosiddetto socialismo reale.

D. – Nel corso dei suoi incontri personali e dei colloqui con Giovanni Paolo II, che cosa faceva maggior impressione a Vostra Santità? Potrebbe raccontarci i suoi ultimi incontri, forse di quest’anno, con Giovanni Paolo II?

R. – Sì. Gli ultimi due incontri li ho avuti, un primo, al Policlinico “Gemelli”, intorno al 5-6 febbraio; e, un secondo, il giorno prima della sua morte, nella sua stanza. Nel primo incontro il Papa soffriva visibilmente, ma era pienamente lucido e molto presente. Io era andato semplicemente per un incontro di lavoro, perché avevo bisogno di alcune sue decisioni. Il Santo Padre - benché soffrendo – seguiva con grande attenzione quanto dicevo. Mi comunicò in poche parole le sue decisioni, mi diede la sua benedizione, mi salutò in tedesco, accordandomi tutta la sua fiducia e la sua amicizia. Per me è stato molto commovente vedere, da una parte, come la sua sofferenza fosse in unione col Signore sofferente, come portasse la sua sofferenza con il Signore e per il Signore; e, dall’altra, vedere come risplendesse di una serenità interiore e di una lucidità completa. Il secondo incontro è stato il giorno prima della morte: era ovviamente più sofferente, visibilmente, circondato da medici ed amici. Era ancora molto lucido, mi ha dato la sua benedizione. Non poteva più parlare molto. Per me questa sua pazienza nel soffrire è stato un grande insegnamento, soprattutto riuscire a vedere e a sentire come fosse nella mani di Dio e come si abbandonasse alla volontà di Dio. Nonostante i dolori visibili, era sereno, perché era nelle mani dell’Amore Divino.

D. – Lei, Santo Padre, spesso nei suoi discorsi evoca la figura di Giovanni Paolo II, e di Giovanni Paolo II dice che era un Papa grande, un predecessore compianto e venerato. Ricordiamo sempre le parole di Vostra Santità espresse alla Messa del 20 aprile scorso, parole dedicate proprio a Giovanni Paolo II. E’ stato Lei, Santo Padre, a dire – e qui cito – “sembra che egli mi tenga forte per mano, vedo i suoi occhi ridenti e sento le sue parole, che in quel momento rivolge a me in particolare: ‘non aver paura!’”. Santo Padre, una domanda alla fine molto personale: Lei continua ad avvertire la presenza di Giovanni Paolo II, e se è così, in che modo?

R. – Certo. Comincio a rispondere alla prima parte della sua domanda. Avevo inizialmente, parlando dell’eredità del Papa, dimenticato di parlare dei tanti documenti che ci ha lasciato – 14 Encicliche, tante Lettere Pastorali e tanti altri – e tutto questo rappresenta un patrimonio ricchissimo che non è ancora sufficientemente assimilato nella Chiesa. Io considero proprio una mia missione essenziale e personale di non emanare tanti nuovi documenti, ma di fare in modo che questi documenti siano assimilati, perché sono un tesoro ricchissimo, sono l’autentica interpretazione del Vaticano II. Sappiamo che il Papa era l’uomo del Concilio, che aveva assimilato interiormente lo spirito e la lettera del Concilio e con questi testi ci fa capire veramente cosa voleva e cosa non voleva il Concilio. Ci aiuta ad essere veramente Chiesa del nostro tempo e del tempo futuro. Adesso vengo alla seconda parte della sua domanda. Il Papa mi è sempre vicino attraverso i suoi testi: io lo sento e lo vedo parlare, e posso stare in dialogo continuo col Santo Padre, perché con queste parole parla sempre con me, conosco anche l’origine di molti testi, ricordo i dialoghi che abbiamo avuto su uno o sull’altro testo. Posso continuare il dialogo con il Santo Padre. Naturalmente questa vicinanza attraverso le parole è una vicinanza non solo con i testi, ma con la persona, dietro i testi sento il Papa stesso. Un uomo che va dal Signore, non si allontana: sempre più sento che un uomo che va dal Signore si avvicina ancora di più e sento che dal Signore è vicino a me in quanto io sono vicino al Signore, sono vicino al Papa e lui ora mi aiuta ad essere vicino al Signore e cerco di entrare nella sua atmosfera di preghiera, di amore del Signore, di amore della Madonna e mi affido alla sue preghiere. C’è così un dialogo permanente ed anche un essere vicini, in un nuovo modo, ma in modo molto profondo.

D. – Padre Santo, la aspettiamo ora in Polonia. Tanti domandano quando il Papa verrà in Polonia?

R. – Sì, l’intenzione di venire in Polonia, se Dio vuole, se i tempi me lo permetteranno, c’è. Ho parlato con mons. Dziwisz riguardo alla data e mi dicono che giugno sarebbe il periodo più adeguato. Tutto è ancora naturalmente da organizzare con tutte le istanze competenti. In questo senso è una parola provvisoria, ma sembra che forse il prossimo giugno, se il Signore lo concede, potrei venire in Polonia.

Santo Padre, a nome di tutti i telespettatori, la ringrazio di cuore per questa intervista. Grazie, Padre Santo.

Grazie a Lei.



A CONCLUSIONE DELLA VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" DEI VESCOVI DELL'ETIOPIA E DELL'ERITREA Pontificio Collegio Etiopico in Vaticano Lunedì, 17 ottobre 2005

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Cari Fratelli Vescovi,

vi saluto con gioia, Vescovi dell'Etiopia e dell'Eritrea, in occasione della vostra visita ad limina Apostolorum e vi ringrazio per le parole cordiali che a vostro nome mi ha rivolto l'Arcivescovo Berhaneyesus Souraphiel, Presidente della vostra Conferenza Episcopale. È particolarmente opportuno che questo incontro si svolga qui, nel Pontificio Collegio Etiopico, mentre celebrate il settantacinquesimo anniversario dell'inaugurazione dell'edificio attuale. Il sito del collegio, qui, all'interno della Città del Vaticano, è un segno eloquente degli stretti vincoli di comunione che uniscono la Chiesa nei vostri Paesi con la Sede di Roma. Siete eredi di una tradizione antica e venerabile di testimonianza cristiana, i cui semi sono stati piantati quando il ministro dell'Etiopia Queen chiese di venire battezzato (cfr
Ac 8,36). In secoli recenti, i popoli del Corno d'Africa hanno accolto missionari europei la cui opera ha rafforzato i vincoli fra la Sede di Pietro e la Chiesa locale. Sono lieto di osservare che oggi i cattolici nei vostri territori continuano a proclamare all'unisono la fede apostolica trasmessa "perché il mondo creda" (Jn 17,21).

Infatti, la testimonianza congiunta che recate, trascendendo qualsiasi divisione politica ed etica, ha un ruolo vitale da svolgere nel portare conforto e riconciliazione nella regione inquieta in cui vivete. Quando esiste un impegno autentico nella sequela di Cristo "la via, la verità, la vita" (Jn 14,6), le difficoltà e le incomprensioni di qualunque genere possono essere superate perché in Lui Dio ha riconciliato il mondo con se stesso (cfr 2Co 5,19) e in Lui tutti i popoli possono trovare la risposta alle loro più profonde aspirazioni. In particolare, vi incoraggio a esprimere solidarietà in qualunque modo potete ai vostri fratelli e alle vostre sorelle sofferenti in Somalia, dove l'instabilità politica rende quasi impossibile vivere con la dignità propria di ogni persona umana. In quanto autentici maestri di fede, aiutate il vostro popolo a comprendere che non può esistere la pace senza la giustizia né la giustizia senza il perdono (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002). In questo modo sarete figli autentici del vostro Padre celeste (cfr Mt 5,45).

Nei vostri Paesi, dove i cattolici sono una piccola minoranza, l'opera di dialogo ecumenico assume una particolare urgenza, e sono lieto del fatto che la Conferenza Episcopale stia affrontando questa sfida. Indipendentemente dagli ostacoli che incontrerete, non fatevi scoraggiare dal portare avanti questo compito vitale. Fra i cristiani, la fraternità autentica non è un mero sentimento né implica indifferenza per la verità. È radicata nel Sacramento del Battesimo che ci rende membri del Corpo di Cristo (cfr 1Co 12,13 Ep 4,4-6). Poiché il progresso ecumenico dipende anche da una buona formazione teologica, bisognerebbe promuoverlo mediante la creazione di una università cattolica in Etiopia. Rendo grazie a Dio perché le lunghe negoziazioni relative a tale progetto hanno recentemente recato frutto. L'ecumenismo concreto sotto forma di sforzi umanitari congiunti servirà a rafforzare i vincoli di comunione nel raggiungere con compassione cristiana i malati, coloro che soffrono la fame, i rifugiati, i dislocati e le vittime della guerra.

Come sapete, di recente, ho avuto la gioia di celebrare la Giornata Mondiale della Gioventù con una moltitudine di giovani di tutto il mondo. Nei vostri Paesi, nei quali circa metà della popolazione è al di sotto dei vent'anni, anche voi avete numerose opportunità per raccogliere la vitalità e l'entusiasmo della nuova generazione. Con i loro ideali, la loro energia e il loro desiderio di impegnarsi profondamente in tutto ciò che è buono e vero, i giovani devono essere aiutati a scoprire che l'amicizia con Cristo offre loro quanto essi cercano (cfr Omelia per l'inaugurazione del Pontificato, 24 aprile 2005). Incoraggiateli a intraprendere l'avventura della sequela di Cristo e a riconoscere la chiamata di Dio a servirlo nel sacerdozio e nella vita religiosa e a rispondere a essa. Mentre onoro l'opera di generazioni di missionari, inclusi quelli attuali, prego anche affinché i semi che sono stati piantati continuino a recare frutto in un abbondante raccolto di vocazioni indigene.

La vostra visita a Roma si svolge durante le giornate conclusive di questo Anno dell'Eucaristia. Concludendo le mie osservazioni oggi, vi esorto ad approfondire la vostra devozione personale per questo grande mistero, mediante il quale Cristo si dona totalmente a noi per nutrirci e per trasformarci a sua immagine. Il vostro popolo ha vissuto la carestia, l'oppressione e la guerra. Aiutatelo a scoprire nell'Eucaristia l'atto centrale della trasformazione che da sola può veramente rinnovare il mondo, mutando la violenza in amore, la schiavitù in libertà, la morte in vita (cfr Omelia in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, 21 agosto 2005). Affido voi e i vostri sacerdoti, i diaconi, i religiosi e i laici all'intercessione di Maria, Donna dell'Eucaristia, e imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica quale pegno di grazia e di forza nel nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo.



SALUTO AL TERMINE DEL CONCERTO ESEGUITO IN SUO ONORE DALL'ORCHESTRA FILARMONICA DI MONACO DI BAVIERA Aula Paolo VI Giovedì, 20 ottobre 2005

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
gentili Signori e Signore!

Al termine del concerto, desidero salutare cordialmente tutti coloro che lo hanno preparato ed eseguito, come pure quanti con la loro presenza hanno onorato questa interessante manifestazione artistica e musicale. Vorrei esprimere viva riconoscenza a quanti ci hanno offerto questo dono da tutti apprezzato.

Ringrazio innanzitutto il Sig. Christian Thielemann, Direttore generale, e tutti i componenti dell' Orchestra Filarmonica di Monaco di Baviera, la cui maestria musicale è sempre motivo di nuovo entusiasmo. Esprimo, altresì, il mio ringraziamento all'Athestis Chorus, formato da cantori professionisti costantemente selezionati in base al repertorio da eseguire, in modo da corrispondere sempre alle più esigenti attese di qualità musicale. Infine ringrazio di cuore i Regensburger Domspatzen e il loro Direttore, il Maestro del Coro della Cattedrale, Roland Büchner. Sono fiero e grato che questo magnifico coro, che può vantare una ininterrotta tradizione millenaria, per trent'anni sia stato guidato con passione dal mio fratello Georg e ora, sotto Roland Büchner, si trovi nuovamente in ottime mani. La mia gratitudine si estende a coloro che hanno contribuito all'organizzazione e alla realizzazione di questo importante evento musicale, ripreso dal Bayerischer e dal Saarländischer Rundfunk, in collaborazione con Columbia Artists e Unitel.

Stendendo un ampio arco da Palestrina fino a Richard Wagner, da Wolfgang Amadeus Mozart fino a Giuseppe Verdi e Hans Pfitzner, Voi ci avete fatto sperimentare qualcosa della vastità della creatività musicale che, in definitiva, è sempre stata nutrita dalle radici cristiane dell'Europa. Anche se Wagner, Pfitzner, Verdi ci conducono in nuove zone dell'esperienza della realtà, rimane tuttavia sempre presente ed efficace il fondamento comune dello spirito europeo formato dal cristianesimo. Anche in questo concerto, ancora una volta, abbiamo potuto sperimentare, come una musica di alto livello ci purifichi e ci sollevi, in definitiva ci faccia sentire la grandezza e la bellezza di Dio.

E proprio per aver aiutato anche noi ad elevare lo spirito verso Dio, rinnovo a nome dei presenti un cordiale ringraziamento ai valenti orchestrali, ai cantori e agli ideatori e realizzatori della serata. Formulo voti che l'armonia del canto e della musica, che non conosce barriere sociali e religiose, rappresenti un costante invito per i credenti e per tutte le persone di buona volontà a ricercare insieme l'universale linguaggio dell'amore che rende gli uomini capaci di costruire un mondo di giustizia e di solidarietà, di speranza e di pace. Con tali auspici, invoco ciascuno l'assistenza divina, mentre di cuore benedico voi qui presenti e quanti seguono il concerto attraverso la radio e la televisione.



AL TERMINE DEL PRANZO CON I PADRI SINODALI Sabato, 22 ottobre 2005

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Cari Confratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
Fratelli e Sorelle,

Con questo pranzo solenne siamo arrivati, per così dire, al punto dell'«Ite, Missa est» del nostro Sinodo, anche se la vera conclusione la celebreremo domani con la Sacra Eucaristia. In un certo senso qui terminano il nostro essere insieme, la nostra discussione, i nostri momenti conviviali.

Nell'uso precristiano della parola, «Ite, missa est» era solo una formula per dire: «l'assemblea è sciolta, è finita». La Liturgia romana ha scelto questa parola così sobria per dire: «questa nostra assemblea adesso è finità». Tuttavia essa ha trovato mano mano un significato più profondo. Per l'antica Roma voleva soltanto dire: «è finita». «Missa» significava «dimissione». Adesso non è più «dimissione» ma «missione», perché questa assemblea non è un'assemblea tecnica, burocratica, ma è un essere insieme con il Signore che tocca i nostri cuori e ci dà una nuova vita.

Così anche noi, dopo questo Sinodo, ritorniamo a casa non soltanto con molta carta stampata — anche se preziosa — ma soprattutto con un amore rinnovato e approfondito per il Signore, per la sua Chiesa, e in questo senso anche con un nuovo impegno da fare nostro, affinché la missione del Signore sia realizzata e il Vangelo arrivi a tutti.

Ma in questo momento conviene non solo parlare di queste cose alte, che sono il cuore del nostro essere insieme, ma anche esprimere gioia e gratitudine per le cose di questo mondo, per così dire. Il Signore non avrebbe scelto l'immagine del banchetto per prefigurare il Cielo, se non avesse approvato anche la bellezza di un pranzo, dello stare insieme, del mangiare insieme, la gioia anche delle cose di questo mondo, che sono da Lui create. Così dico grazie a tutti coloro che hanno imbandito questo pranzo, a tutti quelli che lo hanno servito, che lo hanno preparato. Mi sembra di poter dire a nome di tutti che era un pranzo realmente degno di questo Sinodo!

Rinnovo il mio grazie a tutti, cominciando dai Presidenti Delegati, dai Relatori, dal Segretario Generale, da tutti i Padri che hanno contribuito al Sinodo, fino a tutti quelli che hanno lavorato dietro le quinte. Un grande grazie per tutto! Portiamo con noi, nel nostro cuore, questa gratitudine, anche per questa esperienza di fraternità.

Ritorno ancora una volta all'«Ite, Missa est». Molte traduzioni moderne hanno aggiunto a questa sobria parola del rito romano la parola di conclusione del rito bizantino: «Andate in pace». Faccio mie queste parole in questo momento. Cari Fratelli e Sorelle, andate in pace! Siamo consapevoli che questa pace di Cristo non è una pace statica, solo un specie di riposo, ma una pace dinamica che vuole trasformare il mondo perché sia un mondo di pace animato dalla presenza del Creatore e Redentore. In questo senso, con un grande grazie, dico: andiamo in pace!




Discorsi 2005-13 15105