Discorsi 2005-13 8046

INCONTRO CON LA DELEGAZIONE DELLA CASA EDITRICE ZNAK DI CRACOVIA Sabato, 8 aprile 2006

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[Illustri Signori e Signore, Vi ringrazio per essere venuti e per le parole che mi sono state appena rivolte. Ricordo i nostri precedenti incontri e sono lieto di potervi ospitare qui.]

Rappresentate l’ambiente che da anni esiste intorno alla Casa Editrice ZNAK. So che quest’ambiente non si limita all’attività connessa alla pubblicazione di libri, ma si impegna nella promozione della cultura cristiana intesa in senso largo, e anche intraprende opere caritative. E’ un valido contributo alla formazione del volto spirituale di Cracovia, della Polonia e della Chiesa.

Voglio approfittare dell’opportunità per ringraziare la Vostra Casa Editrice per la pubblicazione in lingua polacca dei miei libri. Sono grato per l’accuratezza con la quale questi testi sono stati preparati per la stampa.

Siete giunti a Roma in connessione con l’anniversario della morte del mio grande predecessore Giovanni Paolo II. So che già come Vescovo di Cracovia egli ha avuto per ZNAK particolare sollecitudine. E’ rimasto fedele a quest’ambiente anche quando la Provvidenza Divina l’ha chiamato alla Sede di Pietro. Ha sempre apprezzato l’attiva partecipazione dei laici alla vita della Chiesa e ha sorretto le loro opportune iniziative. Non a caso ha affidato appunto alla Vostra Casa Editrice il suo ultimo libro intitolato “Memoria e identità”. Con riconoscenza ha accolto le sue prime copie quando era ricoverato nel Policlinico Gemelli, poco prima della sua dipartita per la casa del Padre. Sono certo che il suo patrocinio perdura ancora e che egli implora per voi la benedizione e le grazie di Dio. A Voi chiedo di rimanere – per onorare la sua memoria – fedeli a Cristo e alla Chiesa. Non si spenga il Vostro zelo nel propagare la cultura basata sui valori eterni!

[Ancora una volta Vi ringrazio per la visita e vi benedico di cuore: nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.]





AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO INTERNAZIONALE "UNIV 2006" Aula Paolo VI Lunedì, 10 aprile 2006

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Cari amici,

porgo un cordiale saluto a tutti voi che, proseguendo una tradizione che dura ormai da alcuni anni, siete venuti a Roma per vivere la Settimana Santa e per partecipare all’incontro internazionale UNIV. Voi appartenete, come si può vedere, a numerosi Paesi e con assiduità vi interessate alle attività di formazione cristiana che la Prelatura dell’Opus Dei promuove nelle vostre città. Benvenuti a questo incontro e grazie per la vostra visita. Saluto, in particolare, il vostro Prelato Mons. Javier Echevarría Rodríguez, come pure il giovane vostro rappresentante, esprimendo loro gratitudine per i sentimenti manifestati a nome di tutti.

La vostra presenza a Roma, cuore del mondo cristiano, vi dà modo, durante la Settimana Santa, di vivere intensamente il mistero pasquale. Vi permette, in particolare, di incontrare Cristo più intimamente, specialmente attraverso la contemplazione della sua passione, morte e risurrezione. E’ Lui che, come ho scritto nel Messaggio per la XXI Giornata Mondiale della Gioventù, orienta i vostri passi, i vostri studi universitari e le vostre amicizie, negli andirivieni della vita quotidiana. Anche per ciascuno di voi, come avvenne per gli Apostoli, l’incontro personale con il divin Maestro che vi chiama amici (cfr
Jn 15,15) può essere l’inizio di un’avventura straordinaria: quella di diventare apostoli tra i vostri coetanei, per condurli a fare la vostra stessa esperienza di amicizia con il Dio fatto Uomo, con Dio che si è fatto mio amico. Non dimenticate mai, cari giovani, che dall’incontro e dall’amicizia con Gesù dipende, in fin dei conti, la vostra, la nostra felicità.

Di grande interesse trovo il tema che state approfondendo nel vostro Congresso, e cioè la cultura e i mezzi di comunicazione sociale. Dobbiamo purtroppo constatare che non sempre in questo nostro tempo le nuove tecnologie e i mass media favoriscono le relazioni personali, il dialogo sincero, l’amicizia tra le persone; non sempre aiutano a coltivare l’interiorità del rapporto con Dio. Per voi, lo so bene, l’amicizia e i contatti con gli altri, specialmente con i vostri coetanei, rappresentano una parte importante della vita di ogni giorno. E’ necessario che riteniate Gesù come uno dei vostri amici più cari, anzi il primo. Vedrete allora come l’amicizia con Lui vi condurrà ad aprirvi agli altri, che considererete fratelli, intrattenendo con ciascuno un rapporto di amicizia sincera. Gesù Cristo, infatti, è proprio “l’amore incarnato di Dio” (cfr Deus caritas est ), e solo in Lui è possibile trovare la forza per offrire ai fratelli affetto umano e carità soprannaturale, in uno spirito di servizio che si manifesta soprattutto nella comprensione. E’ una grande cosa vedersi compreso dall'altro e cominciare a comprendere l'altro.

Cari giovani, permettete che vi ripeta quanto ebbi a dire ai vostri coetanei radunati a Colonia nell’agosto dello scorso anno: chi ha scoperto Cristo non può non portare anche altri verso di Lui, dato che una grande gioia non va tenuta per sé ma va comunicata. E’ questo il compito al quale vi chiama il Signore; è questo l’“apostolato di amicizia”, che san Josemaría, Fondatore dell’Opus Dei, descrive come “amicizia ‘personale’, abnegata, sincera: a tu per tu, da cuore a cuore” (Solco, n. 191). Ogni cristiano è invitato ad essere amico di Dio e, con la sua grazia, ad attrarre a Lui i propri amici. L’amore apostolico diventa in tal modo un’autentica passione che si esprime nel comunicare agli altri la felicità che si è trovata in Gesù. E’ ancora san Josemaría a ricordarvi alcune parole chiavi di questo vostro itinerario spirituale: “Comunione, unione, comunicazione, confidenza: Parola, Pane, Amore” (Cammino, n. 535), le grandi parole che esprimono i punti essenziali del nostro cammino. Se coltiverete l’amicizia con Gesù, se sarete assidui nella pratica dei Sacramenti, e specialmente dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, sarete in grado di diventare la “nuova generazione di apostoli, radicati nella parola di Cristo, capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo e pronti a diffondere dappertutto il Vangelo” (Messaggio per la XXI Giornata Mondiale della Gioventù).

Vi aiuti la Vergine Santa a dire sempre il vostro “sì” al Signore che vi chiama a seguirlo, ed interceda per voi san Josemaría. Augurandovi di trascorrere la Settimana Santa nella preghiera e nella riflessione, a contatto con tante vestigia di fede cristiana presenti in Roma, con affetto benedico voi, quanti si occupano della vostra formazione e tutte le persone a voi care.




VIA CRUCIS AL COLOSSEO Venerdì Santo, 14 aprile 2006

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Cari fratelli e sorelle,

abbiamo accompagnato Gesù nella «Via Crucis». Lo abbiamo accompagnato qui, sulla strada dei martiri, nel Colosseo, dove tanti hanno sofferto per Cristo, hanno dato la vita per il Signore, dove il Signore stesso ha sofferto di nuovo in tanti.

E così abbiamo capito che la «Via Crucis» non è una cosa del passato, e di un determinato punto della terra. La Croce del Signore abbraccia il mondo; la sua «Via Crucis» attraversa i continenti ed i tempi. Nella «Via Crucis» non possiamo essere solo spettatori. Siamo coinvolti pure noi, perciò dobbiamo cercare il nostro posto: dove siamo noi?

Nella «Via Crucis» non c'è la possibilità di essere neutrali. Pilato, l'intellettuale scettico, ha cercato di essere neutrale, di stare fuori; ma, proprio così, ha preso posizione contro la giustizia, per il conformismo della sua carriera.

Dobbiamo cercare il nostro posto.

Nello specchio della Croce abbiamo visto tutte le sofferenze dell'umanità di oggi. Nella Croce di Cristo oggi abbiamo visto la sofferenza dei bambini abbandonati, abusati; le minacce contro la famiglia; la divisione del mondo nella superbia dei ricchi che non vedono Lazzaro davanti alla porta e la miseria di tanti che soffrono fame e sete.

Ma abbiamo anche visto "stazioni" di consolazione. Abbiamo visto la Madre, la cui bontà rimane fedele fino alla morte, e oltre la morte. Abbiamo visto la donna coraggiosa, che sta davanti al Signore e non ha paura di mostrare la solidarietà con questo Sofferente. Abbiamo visto Simone il Cireneo, un africano, che porta con Gesù la Croce.

Abbiamo visto, infine, attraverso queste "stazioni" di consolazione che, come non finisce la sofferenza, anche le consolazioni non finiscono. Abbiamo visto come, sulla "via della Croce", Paolo ha trovato lo zelo della sua fede e ha acceso la luce dell'amore. Abbiamo visto come sant'Agostino ha trovato la sua strada: così san Francesco d'Assisi, san Vincenzo de' Paoli, san Massimiliano Kolbe, Madre Teresa di Calcutta. E così anche noi siamo invitati a trovare la nostra posizione, a trovare con questi grandi, coraggiosi santi, la strada con Gesù e per Gesù: la strada della bontà, della verità; il coraggio dell'amore.

Abbiamo capito che la «Via Crucis» non è semplicemente una collezione delle cose oscure e tristi del mondo. Non è neppure un moralismo alla fine inefficiente. Non è un grido di protesta che non cambia niente. La «Via Crucis» è la via della misericordia, e della misericordia che pone il limite al male: così abbiamo imparato da Papa Giovanni Paolo II. È la via della misericordia e così la via della salvezza. E così veniamo invitati a prendere la via della misericordia e a porre con Gesù il limite al male.

Preghiamo il Signore perché ci aiuti, perché ci aiuti ad essere "contagiati" dalla sua misericordia. Preghiamo la Santa Madre di Gesù, la Madre della Misericordia, affinché anche noi possiamo essere uomini e donne della misericordia e così contribuire alla salvezza del mondo; alla salvezza delle creature; per essere uomini e donne di Dio.

Amen!



CONCERTO OFFERTO DAL COMUNE DI ROMA IN OCCASIONE DEL 2759° "NATALE DI ROMA" Auditorium-Parco della Musica Venerdì, 21 aprile 2006

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Signor Presidente della Repubblica e distinte Autorità,
Signor Sindaco, Signori e Signore!

Ho accolto volentieri con grande gioia l'invito ad assistere a questo concerto nel nuovo Auditorium e sento il dovere di rivolgere un vivo ringraziamento al Signor Sindaco, che si è fatto promotore dell'iniziativa. Mentre lo saluto cordialmente, gli manifesto pure sincera gratitudine per le deferenti espressioni che mi ha indirizzato a nome di tutti i presenti. Il mio cordiale saluto si rivolge poi al Signor Presidente della Repubblica Italiana, che mi fa l'onore di essere presente, insieme con le altre Autorità che sono qui convenute. Un grazie particolare rivolgo infine al Prof. Bruno Cagli, sovrintendente dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, all'orchestra e al coro diretto dal Maestro Vladimir Jurowski ed al soprano Laura Aikin, che hanno eseguito celebri brani ed arie di quel genio musicale che fu Wolfang Amadeus Mozart. Molto volentieri ho accettato di presenziare alla manifestazione di questa sera, che diversi motivi concorrono a rendere solenne e al tempo stesso familiare.

Si celebra proprio oggi il Natale di Roma, a ricordo del tradizionale anniversario della fondazione dell'Urbe, ricorrenza storica che, riportandoci col pensiero alle origini della Città, diventa occasione propizia per comprendere meglio la vocazione di Roma ad essere faro di civiltà e di spiritualità per il mondo intero. Grazie all'incontro tra le sue tradizioni e il cristianesimo, Roma ha svolto nel corso dei secoli una peculiare missione, e continua ancor oggi ad essere importante richiamo per tanti visitatori attratti da un così ricco patrimonio artistico, in gran parte legato alla storia cristiana della Città.

Il concerto di questa sera vuole poi ricordare il primo anniversario del mio Pontificato. Da un anno la comunità cattolica di Roma, dopo la morte dell'amato e indimenticato Giovanni Paolo II, è stata affidata, sorprendentemente devo dire, dalla Provvidenza divina alle mie cure pastorali. Quanto sia generoso, aperto ed accogliente il popolo romano l'ho potuto io stesso sperimentare già dal primo incontro con i fedeli raccolti in Piazza san Pietro, la sera del 19 aprile dello scorso anno. Altre occasioni mi hanno permesso in seguito di incontrare ancora questo singolare calore umano e spirituale. Come non ricordare, ad esempio, l'abbraccio con tanta gente che ogni domenica si rinnova nel tradizionale appuntamento della preghiera di mezzogiorno? Colgo anche questa opportunità per ringraziare della cordialità da cui mi sento circondato e che ricambio volentieri.

Un grazie sentito vorrei rivolgere questa sera a tutta la comunità cittadina, che ha voluto unire il ricordo del Natale di Roma a quello dell'anniversario della mia elezione a Vescovo di Roma. Grazie per questo gesto che apprezzo vivamente. Grazie inoltre perché è stato scelto un programma musicale tratto dalle opere di Mozart, grande compositore che ha lasciato un segno indelebile nella storia. Quest'anno ricorre il 250 anniversario della sua nascita e per questo varie iniziative sono programmate lungo tutto il 2006 che a giusto titolo viene chiamato anche "anno mozartiano". Le composizioni eseguite dall'orchestra e dal coro dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia sono brani di Mozart meravigliosi e assai noti, tra i quali alcuni di notevole afflato religioso. L'"Ave verum", ad esempio, che spesso viene cantato nelle celebrazioni liturgiche, è un mottetto con parole dense di teologia e un accompagnamento musicale che tocca il cuore e invita alla preghiera. Così la musica, elevando l'anima alla contemplazione, ci aiuta a cogliere anche le sfumature più intime del genio umano, in cui si riflette qualcosa della bellezza senza confronti del Creatore dell'universo.

Ancora grazie a coloro che a vario titolo hanno reso possibile l'odierna manifestazione di alto valore artistico, in particolare agli interpreti e ai musicisti e a quanti lavorano in questo Auditorium. A ciascuno assicuro il mio ricordo nella preghiera, avvalorato da una speciale benedizione che a tutti ora imparto volentieri, estendendola all'intera e cara città di Roma.



AI PADRI E FRATELLI DELLA COMPAGNIA DI GESÙ Basilica Vaticana Sabato, 22 aprile 2006

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Cari Padri e Fratelli della Compagnia di Gesù,

è con grande gioia che vi incontro in questa storica Basilica di San Pietro, dopo la Santa Messa celebrata per voi dal Card. Angelo Sodano, mio Segretario di Stato, in occasione di varie ricorrenze giubilari della Famiglia Ignaziana. A tutti rivolgo il mio cordiale saluto. Saluto in primo luogo il Preposito Generale, P. Peter-Hans Kolvenbach, e lo ringrazio per le cortesi parole con cui mi ha manifestato i vostri comuni sentimenti. Saluto i Signori Cardinali con i Vescovi ed i sacerdoti e quanti hanno voluto partecipare all'odierna manifestazione. Insieme ai Padri e ai Fratelli, saluto anche gli amici della Compagnia di Gesù qui presenti, e tra loro i molti religiosi e religiose, i membri delle Comunità di Vita Cristiana e dell'Apostolato della Preghiera, gli alunni ed ex-alunni con le loro famiglie di Roma, d'Italia e di Stonyhurst in Inghilterra, i docenti e gli studenti delle istituzioni accademiche, i numerosi collaboratori e collaboratrici. L'odierna vostra visita mi offre l'opportunità di ringraziare insieme a voi il Signore per aver concesso alla vostra Compagnia il dono di uomini di straordinaria santità e di eccezionale zelo apostolico quali sono sant'Ignazio di Loyola, san Francesco Saverio e il beato Pietro Favre. Essi sono per voi i Padri e i Fondatori: è giusto, perciò, che in quest'anno centenario li ricordiate con gratitudine e guardiate a loro come a guide illuminate e sicure del vostro cammino spirituale e della vostra attività apostolica.

Sant'Ignazio di Loyola fu anzitutto un uomo di Dio, che pose al primo posto nella sua vita Dio, la sua maggior gloria e il suo maggior servizio; fu un uomo di profonda preghiera, che aveva il suo centro e il suo culmine nella Celebrazione Eucaristica quotidiana. In tal modo egli ha lasciato ai suoi seguaci un'eredità spirituale preziosa che non deve essere smarrita o dimenticata. Proprio perché uomo di Dio, sant'Ignazio fu fedele servitore della Chiesa, nella quale vide e venerò la sposa del Signore e la madre dei cristiani. E dal desiderio di servire la Chiesa nella maniera più utile ed efficace è nato il voto di speciale obbedienza al Papa, da lui stesso qualificato come "il nostro principio e principale fondamento" (MI, Serie III,
1P 162). Questo carattere ecclesiale, così specifico della Compagnia di Gesù, continui ad essere presente nelle vostre persone e nella vostra attività apostolica, cari Gesuiti, affinché possiate venire incontro fedelmente alle urgenti attuali necessità della Chiesa. Tra queste mi pare importante segnalare l'impegno culturale nei campi della teologia e della filosofia, tradizionali ambiti di presenza apostolica della Compagnia di Gesù, come pure il dialogo con la cultura moderna, che se da una parte vanta meravigliosi progressi in campo scientifico, resta fortemente segnata dallo scientismo positivista e materialista.

Certamente, lo sforzo di promuovere in cordiale collaborazione con le altre realtà ecclesiali, una cultura ispirata ai valori del Vangelo, richiede una intensa preparazione spirituale e culturale. Proprio per questo, sant'Ignazio volle che i giovani gesuiti fossero formati per lunghi anni nella vita spirituale e negli studi. È bene che questa tradizione sia mantenuta e rafforzata, data pure la crescente complessità e vastità della cultura moderna. Un'altra grande preoccupazione per lui fu l'educazione cristiana e la formazione culturale dei giovani: di qui l'impulso che egli diede all'istituzione dei "collegi", i quali, dopo la sua morte, si diffusero in Europa e nel mondo. Continuate, cari Gesuiti, questo importante apostolato mantenendo inalterato lo spirito del vostro Fondatore.

Parlando di sant'Ignazio non posso tralasciare il ricordo di san Francesco Saverio, di cui lo scorso 7 aprile si è celebrato il quinto centenario della nascita: non solo la loro storia si è intrecciata per lunghi anni da Parigi e Roma, ma un unico desiderio - si potrebbe dire, un'unica passione - li mosse e sostenne nelle loro pur differenti vicende umane: la passione di dare a Dio-Trinità una gloria sempre più grande e di lavorare per l'annunzio del Vangelo di Cristo ai popoli che lo ignoravano. San Francesco Saverio, che il mio predecessore Pio XI di venerata memoria ha proclamato "patrono delle Missioni cattoliche", avvertì come sua missione quella di "aprire vie nuove" al Vangelo "nell'immenso continente asiatico". Il suo apostolato in Oriente durò appena dieci anni, ma la sua fecondità si è rivelata mirabile nei quattro secoli e mezzo di vita della Compagnia di Gesù, poiché il suo esempio ha suscitato tra i giovani gesuiti moltissime vocazioni missionarie, e tuttora egli resta un richiamo perché si continui l'azione missionaria nei grandi Paesi del continente asiatico.

Se san Francesco Saverio lavorò nei Paesi d'Oriente, il suo confratello e amico fin dagli anni parigini, il beato Pietro Favre, savoiardo, nato il 13 aprile 1506, operò nei Paesi europei, dove i fedeli cristiani aspiravano ad una vera riforma della Chiesa. Uomo modesto, sensibile, di profonda vita interiore e dotato del dono di stringere rapporti di amicizia con persone di ogni genere, attirando in tal modo molti giovani alla Compagnia, il beato Favre trascorse la sua breve esistenza in diversi Paesi europei, specialmente in Germania, dove per ordine di Paolo III prese parte, nelle diete di Worms, di Ratisbona e di Spira, ai colloqui con i capi della Riforma. Ebbe così modo di praticare in maniera eccezionale il voto di speciale obbedienza al Papa "circa le missioni", divenendo per tutti i gesuiti del futuro un modello da seguire.

Cari Padri e Fratelli della Compagnia, quest'oggi voi guardate con particolare devozione alla Beata Vergine Maria, ricordando che il 22 aprile del 1541 Ignazio e i suoi primi compagni emisero i voti solenni dinanzi all'immagine di Maria nella Basilica di San Paolo fuori le Mura. Continui Maria a vegliare sulla Compagnia di Gesù perché ogni suo membro porti nella sua persona l'"immagine" di Cristo Crocifisso per aver parte alla sua risurrezione. Assicuro per questo un ricordo nella preghiera, mentre a ciascuno di voi qui presente ed all'intera vostra famiglia spirituale imparto volentieri la mia benedizione, che estendo anche a tutte le altre persone religiose e consacrate che sono intervenute a questa Udienza.


AI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL GHANA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Lunedì 24 aprile 2006

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Cari Fratelli Vescovi,

In questi giorni di gioiosa celebrazione della Risurrezione di nostro Signore e Salvatore, vi porgo il benvenuto, Vescovi del Ghana, in occasione del vostro pellegrinaggio a Roma per la visita ad Limina Apostolorum. Mediante voi esprimo il mio affetto profondo per i sacerdoti, i religiosi e i laici delle vostre Diocesi. In particolare, ringrazio il Vescovo Lucas Abadamloora per le cordiali parole di saluto che mi ha porto a nome vostro. Desidero menzionare in particolare il figlio del Ghana, Cardinale Peter Poreku Dery, che recentemente è entrato a far parte del collegio dei Cardinali, e colgo anche quest'occasione per salutare il Cardinale Peter Turkson, Arcivescovo di Cape Coast. Siete tutti giunti a Roma, in questa città in cui gli Apostoli Pietro e Paolo si sono donati completamente a imitazione di Cristo: Pietro proprio vicino al luogo in cui ci troviamo oggi e Paolo lungo la via ostiense. In quanto buoni servitori fedeli del Vangelo, prego affinché, come i Principi degli Apostoli, "il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e porti a compimento, con la sua potenza, ogni vostra volontà di bene e l'opera della vostra fede; perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo" (
2Th 1,11-12).

Negli ultimi anni, il vostro Paese ha compiuto grandi passi avanti nell'affrontare la piaga della povertà e nel rafforzare l'economia. Nonostante questo lodevole progresso, resta ancora molto da fare per superare questa condizione che ostacola una vasta porzione della popolazione.

La povertà estrema e diffusa spesso produce un declino morale generale che conduce al crimine, alla corruzione, ad attacchi alla santità della vita umana o perfino a un ritorno alle pratiche superstiziose del passato. In questa situazione, le persone possono facilmente perdere la fiducia nel futuro. La Chiesa, tuttavia, risplende quale faro di speranza nella vita del cristiano. Uno dei modi più efficaci in cui lo fa è di aiutare i fedeli a comprendere meglio le promesse di Gesù Cristo. Di conseguenza, la Chiesa, quale faro di speranza, ha il bisogno urgente e particolare di intensificare gli sforzi per offrire ai cattolici programmi esaurienti di formazione che li aiutino ad approfondire la loro fede cristiana e quindi permettano loro di assumere il loro giusto posto sia nella Chiesa di Cristo sia nella società.

Una parte essenziale di ogni adeguato processo formativo è il ruolo del catechista laico. È giusto, quindi, esprimere gratitudine ai numerosi laici, uomini e donne, che servono con abnegazione la vostra Chiesa locale in questo modo. Come ha osservato Papa Giovanni Paolo II nella sua Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa: "Il loro compito sia riconosciuto e onorato all'interno della comunità cristiana" (n. 91).

So che questi uomini e queste donne fedeli incontrano spesso ostacoli nello svolgimento del loro compito a causa della mancanza di risorse o di ambienti ostili e tuttavia rimangono messaggeri coraggiosi della gioia di Cristo.

Consapevole della gratitudine che le Chiese locali provano per l'assistenza offerta dai catechisti, incoraggio voi e i vostri sacerdoti a continuare a fare quanto potete per garantire che questi evangelizzatori ricevano il sostegno spirituale, dottrinale, morale e materiale di cui necessitano per compiere correttamente la loro missione.

In molti Paesi, incluso il vostro, i giovani costituiscono quasi la metà della popolazione. La Chiesa in Ghana è giovane. Per raggiungere i giovani di oggi la Chiesa deve affrontare i loro problemi in modo sincero e amorevole. Un saldo fondamento catechetico rafforzerà la loro identità cattolica e darà loro gli strumenti necessari per affrontare le sfide delle realtà economiche in mutamento, della globalizzazione e della malattia. Li aiuterà anche a controbattere alle argomentazioni spesso presentate dalle sette religiose. Di conseguenza, è importante che la futura pianificazione pastorale, a livello sia nazionale sia locale, prenda attentamente in considerazione le necessità dei giovani e elabori programmi giovanili che soddisfino appropriatamente queste necessità (cfr Christifideles laici CL 46).

La Chiesa ha anche il compito di aiutare le famiglie cristiane a vivere in fedeltà e generosità come autentiche "chiese domestiche" (cfr Lumen gentium LG 11). Infatti, una sana catechesi si basa sul sostegno di salde famiglie cristiane che non sono mai egoiste, sono sempre rivolte verso il prossimo e basate sul Sacramento del Matrimonio. Nell'esaminare i vostri rapporti quinquennali ho osservato che molti di voi sono preoccupati per la corretta celebrazione del matrimonio cristiano in Ghana.
Condivido la vostra preoccupazione e quindi invito i fedeli a porre il Sacramento del Matrimonio al centro della vostra vita familiare. Sebbene il cristianesimo cerchi sempre di rispettare le venerabili tradizioni delle culture e dei popoli, cerca anche di purificare quelle pratiche che sono il contrario del Vangelo. Per questo motivo è essenziale che tutta la comunità ecclesiale continui a sottolineare l'importanza dell'unione monogama e indissolubile fra uomo e donna, consacrata nel santo matrimonio. Per il cristiano, le forme tradizionali di matrimonio non possono mai essere sostitutive del matrimonio sacramentale.

Il dono di sé all'altro è anche al centro del Sacramento degli Ordini Santi. Chi riceve questo Sacramento è configurato in modo particolare a Cristo, Capo della Chiesa. Quindi, è chiamato a dare completamente se stesso per il bene dei suo fratelli e delle sue sorelle. Ciò può accadere soltanto se la volontà di Dio non viene più considerata come qualcosa di imposto dall'esterno, ma diviene "la mia stessa volontà, in base all'esperienza che, di fatto, Dio è più intimo a me di quanto lo sia io stesso" (Deus caritas est ). Il sacerdozio non va mai considerato come un modo per migliorare la propria posizione sociale o la propria qualità della vita. Se così fosse, il dono sacerdotale di sé e la disponibilità verso il disegno di Dio darebbero libero sfogo a desideri personali, rendendo il sacerdote inefficace e irrealizzato. Per questo, vi incoraggio nei vostri sforzi costanti volti a garantire l'idoneità dei candidati al sacerdozio e a una corretta formazione sacerdotale per quanti studiano per il ministero sacro. Dobbiamo aiutarli a discernere la volontà di Cristo e ad alimentare questo dono cosicché possano divenire ministri efficaci e realizzati della sua gioia.

Miei cari Fratelli, so che questo anno è un giubileo speciale per la Chiesa in Ghana. Infatti, proprio ieri, il 23 aprile, si è celebrato il centenario dell'arrivo dei missionari nella parte settentrionale del vostro Paese. Prego in particolare affinché lo zelo missionario continui a riempire voi e il vostro amato popolo, rafforzandovi nei vostri sforzi volti a diffondere il Vangelo. Tornando nel vostro Paese, vi chiedo di trarre conforto dalle parole dell'Apostolo Pietro ai primi cristiani: "Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti" (1P 1,3). Affidando il vostro ministero a Maria, Regina degli Apostoli, imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.



AI MEMBRI DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA Sala dei Papi Giovedì, 27 aprile 2006

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Signor Cardinale,
cari Membri della Pontificia Commissione Biblica,

è per me motivo di grande gioia incontrarvi al termine della vostra annuale Sessione Plenaria. Ricordo con affetto ciascuno di voi, per avervi personalmente conosciuto durante gli anni del mio incarico come Presidente di questa stessa Commissione. Desidero parteciparvi i miei sentimenti di riconoscenza e apprezzamento per l'importante lavoro che state svolgendo al servizio della Chiesa e per il bene delle anime, in sintonia con il Successore di Pietro. Ringrazio il Signor Cardinale William Joseph Levada per il suo indirizzo di saluto e per la concisa esposizione del tema che è stato oggetto di attenta riflessione nel corso della vostra riunione.

Vi siete nuovamente radunati per approfondire un argomento molto importante: il rapporto tra Bibbia e morale. Si tratta di un tema che riguarda non soltanto il credente, ma ogni persona come tale. L'impulso primordiale dell'uomo, infatti, è il suo desiderio di felicità e di una vita pienamente riuscita. Oggi, tuttavia, sono molti a pensare che tale realizzazione debba essere raggiunta in maniera autonoma, senza nessun riferimento a Dio e alla sua legge. Alcuni sono arrivati a teorizzare un’assoluta sovranità della ragione e della libertà nell'ambito delle norme morali: tali norme costituirebbero l'ambito di un'etica solamente «umana», sarebbero cioè l'espressione di una legge che l'uomo autonomamente dà a se stesso: i fautori di questa «morale laica» affermano che l'uomo, come essere razionale, non solo può ma addirittura deve decidere liberamente il valore dei suoi comportamenti.

Questa errata convinzione si basa su un presunto conflitto tra la libertà umana ed ogni forma di legge. In realtà, il Creatore ha iscritto nel nostro stesso essere la “legge naturale”, riflesso della sua idea creatrice nel nostro cuore, come bussola e misura interiore della nostra vita. Proprio per questo la Sacra Scrittura, la Tradizione e il Magistero della Chiesa ci dicono che la vocazione e la piena realizzazione dell'uomo consistono non nel rifiuto della legge di Dio, ma nella vita secondo la legge nuova, che consiste nella grazia dello Spirito Santo: insieme con la Parola di Dio e l’insegnamento della Chiesa, questa si manifesta nella “fede che opera per mezzo della carità” (
Ga 5,6). Ed è proprio in questa accoglienza della carità che viene da Dio (Deus caritas est!) che la libertà dell'uomo trova la sua più alta realizzazione. La legge di Dio non attenua né tanto meno elimina la libertà dell'uomo, ma, al contrario, la garantisce e la promuove, poiché, come ci ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica, «la libertà raggiunge la sua perfezione quando è ordinata a Dio, nostra beatitudine» (n. 1731). La legge morale, stabilita da Dio nella creazione e confermata nella rivelazione veterotestamentaria, trova in Cristo il suo compimento e la sua grandezza. Gesù Cristo è la via della perfezione, la sintesi viva e personale della perfetta libertà nell'obbedienza totale alla volontà di Dio. La funzione originaria del Decalogo non è abolita dall'incontro con Cristo, ma condotta alla sua pienezza. Un'etica che, nell'ascolto della rivelazione, vuole essere anche autenticamente razionale, trova nell'incontro con Cristo, che ci dona la nuova alleanza, la sua perfezione.

Modello di questo autentico agire morale è il comportamento dello stesso Verbo incarnato, che fa coincidere la sua volontà con la volontà di Dio Padre nell'accettazione e nell'espletamento della sua missione: suo cibo è fare la volontà del Padre (cfr Jn 4,34); Egli fa sempre le cose che sono gradite al Padre mettendo in pratica la sua parola (cfr Jn 8,29 Jn 8,55); riferisce le cose che il Padre gli ha comandato di dire e annunziare (cfr Jn 12,49). Rivelando il Padre e il suo modo di agire, Gesù allo stesso tempo rivela le norme del giusto agire umano. Egli afferma questa connessione in modo esplicito ed esemplare quando, concludendo il suo insegnamento sull'amore dei nemici (cfr Mt 5,43-47), dice: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,48). Questa perfezione divina diventa possibile per noi, se siamo strettamente uniti con Cristo, nostro Salvatore.

Il cammino tracciato da Gesù con il suo insegnamento non è una norma imposta dall'esterno. Gesù stesso percorre questo cammino e non ci chiede altro che di seguirlo. Egli inoltre non si limita a chiedere: innanzitutto ci dona nel Battesimo la partecipazione alla sua stessa vita, rendendoci così capaci di accogliere e di mettere in pratica i suoi insegnamenti. Ciò appare con crescente evidenza negli scritti del Nuovo Testamento. Il suo rapporto con i discepoli non consiste in un ammaestramento esteriore, ma vitale: li chiama «figlioli» (Jn 13,33 Jn 21,5), «amici» (Jn 15,14-15), «fratelli» (Mt 12,50 Mt 28,10 Jn 20,17), invitandoli ad entrare in comunione di vita con Lui e ad accogliere nella fede e nella gioia il suo giogo «dolce» e il suo carico «leggero» (cfr Mt 11,28-30). Nella ricerca di un'etica cristologicamente ispirata occorre dunque tenere sempre presente che Cristo è il Logos incarnato che ci rende partecipi della sua vita divina e con la sua grazia ci sostiene nel cammino verso la nostra vera realizzazione. Che cosa sia realmente l'uomo, appare in modo definitivo nel Logos fattosi uomo; la fede in Cristo ci dona il compimento dell'antropologia. Perciò il rapporto con Cristo definisce la più alta realizzazione dell'agire morale dell'uomo. Questo agire umano è direttamente fondato sull'obbedienza alla legge di Dio, sull'unione con Cristo e sull'inabitazione dello Spirito nell'anima del credente. Non è un agire dettato da norme soltanto esteriori, ma proviene dal rapporto vitale che connette i credenti a Cristo e a Dio.

Augurandovi un fruttuoso proseguimento della vostra riflessione, invoco su di voi e sul vostro lavoro la luce dello Spirito Santo e imparto a tutti, quale conferma della mia fiducia e del mio affetto, l'Apostolica Benedizione.






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