Discorsi 2005-13 22056

AI SUPERIORI E SUPERIORE GENERALI DEGLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E DELLE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA Aula Paolo VI Lunedì, 22 maggio 2006

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Signor Cardinale,
venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Presbiterato,
cari fratelli e sorelle!

È per me una grande gioia incontrarmi con voi, Superiori e Superiore Generali, rappresentanti e responsabili della Vita Consacrata. A tutti rivolgo il mio cordiale saluto. Con fraterno affetto saluto, in particolare, il Signor Cardinale Franc Rodé, e lo ringrazio per essersi fatto interprete, unitamente ad altri vostri rappresentanti, dei vostri sentimenti. Saluto il Segretario e i Collaboratori della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e delle Società di Vita Apostolica, grato per il servizio che questo Dicastero rende alla Chiesa in un ambito tanto importante come è quello della Vita Consacrata. Il mio pensiero va, in questo momento, con viva gratitudine a tutti i religiosi e le religiose, i consacrati e le consacrate e i membri delle Società di vita apostolica che effondono nella Chiesa e nel mondo il bonus odor Christi (cfr
2Co 2,15). A voi, Superiore e Superiori Maggiori, chiedo di trasmettere una parola di speciale premura a quanti sono in difficoltà, agli anziani ed ammalati, a quelli che stanno passando momenti di crisi e di solitudine, a chi soffre e si sente smarrito e, insieme, ai giovani e alle giovani, che anche oggi bussano alla porta delle vostre Case per chiedere di poter donare se stessi a Gesù Cristo, nella radicalità del Vangelo.

Desidero che questo momento di incontro e di comunione profonda con il Papa possa essere per ciascuno di voi di incoraggiamento e di conforto nel compimento di un impegno sempre esigente e talvolta contrastato. Il servizio d'autorità richiede una presenza costante, capace di animare e di proporre, di ricordare la ragion d'essere della vita consacrata, di aiutare le persone a voi affidate a corrispondere con una fedeltà sempre rinnovata alla chiamata dello Spirito. Questo vostro compito è spesso accompagnato dalla Croce e a volte anche da una solitudine che richiede un senso profondo di responsabilità, una generosità che non conosce smarrimenti e un costante oblio di voi stessi. Siete chiamati a sostenere e a guidare i vostri fratelli e le vostre sorelle in un'epoca non facile, segnata da molteplici insidie. I consacrati e le consacrate oggi hanno il compito di essere testimoni della trasfigurante presenza di Dio in un mondo sempre più disorientato e confuso, un mondo in cui le sfumature hanno sostituito i colori ben netti e caratterizzati. Essere capaci di guardare questo nostro tempo con lo sguardo della fede significa essere in grado di guardare l'uomo, il mondo e la storia alla luce del Cristo crocefisso e risorto, l'unica stella capace di orientare "l'uomo che avanza tra i condizionamenti della mentalità immanentistica e le strettoie di una logica tecnocratica" (Enc. Fides et ratio FR 15).

La vita consacrata negli ultimi anni è stata ricompresa con spirito più evangelico, più ecclesiale e più apostolico; ma non possiamo ignorare che alcune scelte concrete non hanno offerto al mondo il volto autentico e vivificante di Cristo. Di fatto, la cultura secolarizzata è penetrata nella mente e nel cuore di non pochi consacrati, che la intendono come una forma di accesso alla modernità e una modalità di approccio al mondo contemporaneo. La conseguenza è che accanto ad un indubbio slancio generoso, capace di testimonianza e di donazione totale, la vita consacrata conosce oggi l'insidia della mediocrità, dell'imborghesimento e della mentalità consumistica. Nel Vangelo Gesù ci ha avvertito che due sono le vie: una è la via stretta che conduce alla vita, l'altra è la via larga che conduce alla perdizione (cfr Mt 7,13-14). La vera alternativa è, e sarà sempre, l'accettazione del Dio vivente attraverso il servizio obbediente per fede, o il rifiuto di Lui. Una condizione previa alla sequela di Cristo, quindi, è la rinuncia, il distacco da tutto ciò che non è Lui. Il Signore vuole uomini e donne liberi, non vincolati, capaci di abbandonare tutto per seguirLo e trovare solo in Lui il proprio tutto. C'è bisogno di scelte coraggiose, a livello personale e comunitario, che imprimano una nuova disciplina alla vita delle persone consacrate e le portino a riscoprire la dimensione totalizzante della sequela Christi.

Appartenere al Signore vuol dire essere bruciati dal suo amore incandescente, essere trasformati dallo splendore della sua bellezza: la nostra piccolezza è offerta a Lui quale sacrificio di soave odore, affinché diventi testimonianza della grandezza della sua presenza per il nostro tempo che tanto ha bisogno di essere inebriato dalla ricchezza della sua grazia. Appartenere al Signore: ecco la missione degli uomini e delle donne che hanno scelto di seguire Cristo casto, povero e obbediente, affinché il mondo creda e sia salvato. Essere totalmente di Cristo in modo da diventare una permanente confessione di fede, una inequivocabile proclamazione della verità che rende liberi di fronte alla seduzione dei falsi idoli da cui il mondo è abbagliato. Essere di Cristo significa mantenere sempre ardente nel cuore una viva fiamma d'amore, nutrita di continuo dalla ricchezza della fede, non soltanto quando porta con sé la gioia interiore, ma anche quando è unita alle difficoltà, all'aridità, alla sofferenza. Il nutrimento della vita interiore è la preghiera, intimo colloquio dell'anima consacrata con lo Sposo divino. Nutrimento ancor più ricco è la quotidiana partecipazione al mistero ineffabile della divina Eucaristia, in cui si rende costantemente presente nella realtà della sua carne il Cristo risorto.

Per appartenere totalmente al Signore le persone consacrate abbracciano uno stile di vita casto. La verginità consacrata non si può inscrivere nel quadro della logica di questo mondo; è il più "irragionevole" dei paradossi cristiani e non a tutti è dato di comprenderla e di viverla (cfr Mt 19,11-12). Vivere una vita casta vuol dire anche rinunciare al bisogno di apparire, assumere uno stile di vita sobrio e dimesso. I religiosi e le religiose sono chiamati a dimostrarlo anche nella scelta dell'abito, un abito semplice che sia segno della povertà vissuta in unione a Colui che da ricco che era si è fatto povero per farci ricchi con la sua povertà (cfr 2Co 8,9). Così, e solo così, si può seguire senza riserve Cristo crocifisso e povero, immergendosi nel suo mistero e facendo proprie le sue scelte di umiltà, di povertà e di mitezza.

L'ultima riunione plenaria della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica ha avuto come tema Il servizio d'autorità. Carissimi Superiori e Superiore Generali, è un'occasione per approfondire la riflessione su un esercizio dell'autorità e dell'obbedienza che sia sempre più ispirato al Vangelo. Il giogo di chi è chiamato ad assolvere il delicato compito di Superiore e di Superiora a tutti i livelli, sarà tanto più soave quanto più le persone consacrate sapranno riscoprire il valore dell'obbedienza professata, che ha come modello quella di Abramo, nostro padre nella fede, e ancor più quella di Cristo. Occorre rifuggire dal volontarismo e dallo spontaneismo per abbracciare la logica della Croce.

In conclusione, i consacrati e le consacrate sono chiamati ad essere nel mondo segno credibile e luminoso del Vangelo e dei suoi paradossi, senza conformarsi alla mentalità di questo secolo, ma trasformandosi e rinnovando continuamente il proprio impegno, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (cfr Rm 12,2). È proprio questo il mio augurio, cari fratelli e sorelle; un augurio sul quale invoco la materna intercessione della Vergine Maria, modello insuperabile di ogni vita consacrata. Con questi sentimenti vi imparto con affetto l'Apostolica Benedizione, che estendo volentieri a quanti fanno parte delle vostre molteplici Famiglie spirituali.



VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA




NELLA CERIMONIA DI BENVENUTO Warszawa, Aeroporto, Okecie, 25 maggio 2006

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Signor Presidente,
Illustri Signori e Signore,
Signori Cardinali
e Fratelli nell'Episcopato,
Cari fratelli e sorelle in Cristo,

Sono lieto di poter oggi essere tra voi sulla terra della Repubblica Polacca. Ho tanto desiderato questa visita nel Paese e tra la gente da cui proveniva il mio amato Predecessore, il servo di Dio Giovanni Paolo II. Sono venuto per seguire le sue orme lungo l'itinerario della sua vita, dalla fanciullezza fino alla partenza per il memorabile conclave del 1978. Su questo cammino voglio incontrare e conoscere meglio le generazioni dei credenti che lo hanno offerto al servizio di Dio e della Chiesa, e quelle che sono nate e maturate per il Signore sotto la sua guida pastorale da sacerdote, da Vescovo e da Papa. Il nostro comune cammino sarà accompagnato dal motto: "Rimanete forti nella fede". Lo ricordo fin dall'inizio per affermare che non si tratta semplicemente di un viaggio sentimentale, pur valido anche sotto questo aspetto, ma di un itinerario di fede, iscritto nella missione affidatami dal Signore nella persona di Pietro apostolo, che fu chiamato per confermare i fratelli nella fede (cfr
Lc 22,32). Anche io voglio attingere dalla fonte abbondante della vostra fede, che scaturisce ininterrottamente da più di un millennio.

Saluto il Signor Presidente e lo ringrazio di cuore per le parole che mi ha rivolto a nome delle autorità della Repubblica e della Nazione. Saluto i Signori Cardinali, gli Arcivescovi e i Vescovi. Un saluto rivolgo anche al Signor Primo Ministro e a tutto il Governo, ai rappresentanti del Parlamento e del Senato, ai membri del Corpo Diplomatico con il Decano, il Nunzio Apostolico in Polonia. Sono lieto della presenza delle Autorità regionali con il Sindaco di Varsavia. Voglio rivolgere un saluto anche ai rappresentanti della Chiesa ortodossa, della Chiesa evangelica-ausburgica e delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. Lo faccio anche nei confronti della comunità ebraica e dei seguaci dell'islam. Infine saluto di cuore tutta la Chiesa in Polonia: i sacerdoti, le persone consacrate, gli alunni dei Seminari, tutti i fedeli, e soprattutto i malati, i giovani e i bambini. Vi chiedo di accompagnarmi con il pensiero e con la preghiera, affinché questo viaggio sia fruttuoso per noi tutti e ci porti all'approfondimento e al rafforzamento della nostra fede.

Ho detto che il percorso del mio cammino in questo viaggio in Polonia è segnato dalle tracce della vita e del servizio pastorale di Karol Wojtyla e dall'itinerario che ha percorso da Papa pellegrino nella propria patria. Così ho scelto di fermarmi principalmente in due città così care a Giovanni Paolo II: la capitale della Polonia, Varsavia e la sua sede arcivescovile, Cracovia. A Varsavia mi incontrerò con i sacerdoti, con le diverse Chiese e Comunità ecclesiali non cattoliche, e con le Autorità statali. Spero che questi incontri portino abbondanti frutti per la nostra comune fede in Cristo e per le realtà sociali e politiche in cui vivono gli uomini e le donne di oggi. È prevista una breve sosta a Czestochowa e un incontro con i rappresentanti dei religiosi e religiose, con i seminaristi e con i membri dei movimenti ecclesiali. Lo sguardo benevolo di Maria ci accompagnerà nella nostra comune ricerca di un legame profondo e fedele a Cristo, suo Figlio. E infine mi fermerò a Cracovia, per poter da lì recarmi a Wadowice, a Kalwaria, a Lagiewniki, alla Cattedrale di Wawel. So bene che questi sono i luoghi più amati da Giovanni Paolo II, perché legati alla sua crescita nella fede e al suo servizio pastorale. Non mancherà un incontro con i malati e i sofferenti nel luogo forse più appropriato per un appuntamento con loro - il Santuario della Divina Misericordia in Lagiewniki. Non potrò neanche mancare, quando i giovani si raduneranno per la veglia di preghiera. Sarò con loro volentieri e spero di godere della loro testimonianza di fede giovane e vigorosa. La domenica ci incontreremo sul prato delle Blonia per celebrare la solenne S. Messa di ringraziamento per il pontificato del mio amato Predecessore e per la fede in cui ci ha sempre confermato con la parola e l'esempio della sua vita. E infine mi recherò ad Auschwitz. Lì spero di incontrare soprattutto i superstiti delle vittime del terrore nazista, provenienti da diverse nazioni, che hanno sofferto la tragica oppressione. Pregheremo tutti insieme affinché le piaghe del secolo scorso guariscano sotto la medicazione che il buon Dio ci indica chiamandoci al perdono reciproco, e ci offre nel mistero della sua misericordia.

"Rimanete forti nella fede" - ecco il motto di questo viaggio apostolico. Vorrei tanto che questi giorni portassero un consolidamento nella fede per noi tutti - per i fedeli della Chiesa che è in Polonia e per me stesso. Per coloro che non hanno la grazia della fede, ma nutrono nel cuore la buona volontà, sia questa mia visita un tempo di fratellanza, di benevolenza e di speranza. Questi eterni valori dell'umanità costituiscono un fondamento saldo per creare un mondo migliore, in cui ognuno possa trovare la prosperità materiale e la felicità spirituale. Lo auguro a tutto il popolo polacco. Ringraziando ancora una volta il Signor Presidente e l'Episcopato polacco per l'invito, abbraccio cordialmente tutti i polacchi e chiedo loro di accompagnarmi con la preghiera in questo cammino di fede.




INCONTRO CON IL CLERO Warszawa-Cattedrale 25 maggio 2006

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"Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi... Ho infatti un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati, o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io" (
Rm 1,8-12).

Con queste parole dell'apostolo Paolo mi rivolgo a voi, cari sacerdoti, perché in esse trovo perfettamente rispecchiati i miei odierni sentimenti e pensieri, i desideri e le preghiere. Saluto in particolare il Cardinale Józef Glemp, Arcivescovo di Varsavia e Primate di Polonia, al quale porgo le mie più cordiali felicitazioni per il 50° di Ordinazione sacerdotale che ricorre proprio oggi. Sono giunto in Polonia, nella diletta Patria del mio grande Predecessore Giovanni Paolo II, per attingere - come egli era solito fare - da questo clima di fede in cui vivete e per "comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati". Ho fiducia che il mio peregrinare di questi giorni "rinfrancherà la fede che abbiamo in comune, voi e io".

Mi incontro oggi con voi nell'arcicattedrale di Varsavia, la quale con ogni pietra ricorda la storia dolorosa della vostra capitale e del vostro Paese. A quali prove siete stati esposti in tempi non tanto lontani! Ricordiamo gli eroici testimoni della fede, che offrirono la loro vita a Dio e agli uomini, santi canonizzati e anche uomini comuni, che perseverarono nella rettitudine, nell'autenticità e nella bontà, senza cedere mai alla sfiducia. In questa cattedrale ricordo particolarmente il Servo di Dio Card. Stefan Wyszynski, da voi chiamato "il Primate del Millennio", il quale, abbandonandosi a Cristo e alla sua Madre, seppe servire fedelmente la Chiesa pur in mezzo a prove dolorose e prolungate. Ricordiamo con riconoscenza e gratitudine coloro che non si sono lasciati sopraffare dalle forze delle tenebre, da loro impariamo il coraggio della coerenza e della costanza nell'adesione al Vangelo di Cristo.

Mi incontro oggi con voi, sacerdoti chiamati da Cristo a servirlo nel nuovo millennio. Siete stati scelti tra il popolo, costituiti nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Credete nella potenza del vostro sacerdozio! In virtù del sacramento avete ricevuto tutto ciò che siete. Quando voi pronunciate le parole "io" o "mio" ("Io ti assolvo... Questo è il mio Corpo..."), lo fate non nel nome vostro, ma nel nome di Cristo, "in persona Christi", che vuole servirsi delle vostre labbra e delle vostre mani, del vostro spirito di sacrificio e del vostro talento. Al momento della vostra Ordinazione, mediante il segno liturgico dell'imposizione delle mani, Cristo vi ha preso sotto la sua speciale protezione; voi siete nascosti sotto le sue mani e nel suo Cuore. Immergetevi nel suo amore, e donate a Lui il vostro amore! Quando le vostre mani sono state unte con l'olio, segno dello Spirito Santo, sono state destinate a servire al Signore come le sue mani nel mondo di oggi. Esse non possono più servire all'egoismo, ma devono trasmettere nel mondo la testimonianza del suo amore.

La grandezza del sacerdozio di Cristo può incutere timore. Si può essere tentati di esclamare con Pietro: "Signore, allontanati da me che sono un peccatore" (Lc 5,8), perché facciamo fatica a credere che Cristo abbia chiamato proprio noi. Non avrebbe potuto scegliere qualcun altro, più capace, più santo? Ma Gesù ha fissato con amore proprio ciascuno di noi, e in questo suo sguardo dobbiamo confidare. Non lasciamoci prendere dalla fretta, quasi che il tempo dedicato a Cristo in silenziosa preghiera sia tempo perduto. È proprio lì, invece, che nascono i più meravigliosi frutti del servizio pastorale. Non bisogna scoraggiarsi per il fatto che la preghiera esige uno sforzo, né per l'impressione che Gesù taccia. Egli tace ma opera. Mi piace ricordare, a questo proposito, l'esperienza vissuta lo scorso anno a Colonia. Fui testimone allora di un profondo, indimenticabile silenzio di un milione di giovani, al momento dell'adorazione del Santissimo Sacramento! Quel silenzio orante ci unì, ci donò tanto sollievo. In un mondo in cui c'è tanto rumore, tanto smarrimento, c'è bisogno dell'adorazione silenziosa di Gesù nascosto nell'Ostia. Siate assidui nella preghiera di adorazione ed insegnatela ai fedeli. In essa troveranno conforto e luce soprattutto le persone provate.

Dai sacerdoti i fedeli attendono soltanto una cosa: che siano degli specialisti nel promuovere l'incontro dell'uomo con Dio. Al sacerdote non si chiede di essere esperto in economia, in edilizia o in politica. Da lui ci si attende che sia esperto nella vita spirituale. A tal fine, quando un giovane sacerdote fa i suoi primi passi, occorre che possa far riferimento ad un maestro sperimentato, che lo aiuti a non smarrirsi tra le tante proposte della cultura del momento. Di fronte alle tentazioni del relativismo o del permissivismo, non è affatto necessario che il sacerdote conosca tutte le attuali, mutevoli correnti di pensiero; ciò che i fedeli si attendono da lui è che sia testimone dell'eterna sapienza, contenuta nella parola rivelata. La sollecitudine per la qualità della preghiera personale e per una buona formazione teologica porta frutti nella vita. Il vivere sotto l'influenza del totalitarismo può aver generato un'inconsapevole tendenza a nascondersi sotto una maschera esteriore, con la conseguenza del cedimento ad una qualche forma di ipocrisia. È chiaro che ciò non giova all'autenticità delle relazioni fraterne e può condurre ad un'esagerata concentrazione su se stessi. In realtà, si cresce nella maturità affettiva quando il cuore aderisce a Dio. Cristo ha bisogno di sacerdoti che siano maturi, virili, capaci di coltivare un'autentica paternità spirituale. Perché ciò accada, serve l'onestà con se stessi, l'apertura verso il direttore spirituale e la fiducia nella divina misericordia.

Il Papa Giovanni Paolo II in occasione del Grande Giubileo ha più volte esortato i cristiani a far penitenza delle infedeltà passate. Crediamo che la Chiesa è santa, ma in essa vi sono uomini peccatori. Bisogna respingere il desiderio di identificarsi soltanto con coloro che sono senza peccato. Come avrebbe potuto la Chiesa escludere dalle sue file i peccatori? È per la loro salvezza che Gesù si è incarnato, è morto ed è risorto. Occorre perciò imparare a vivere con sincerità la penitenza cristiana. Praticandola, confessiamo i peccati individuali in unione con gli altri, davanti a loro e a Dio. Conviene tuttavia guardarsi dalla pretesa di impancarsi con arroganza a giudici delle generazioni precedenti, vissute in altri tempi e in altre circostanze. Occorre umile sincerità per non negare i peccati del passato, e tuttavia non indulgere a facili accuse in assenza di prove reali o ignorando le differenti pre-comprensioni di allora. Inoltre la confessio peccati, per usare un'espressione di sant'Agostino, deve essere sempre accompagnata dalla confessio laudis - dalla confessione della lode. Chiedendo perdono del male commesso nel passato dobbiamo anche ricordare il bene compiuto con l'aiuto della grazia divina che, pur depositata in vasi di creta, ha portato frutti spesso eccellenti.

Oggi la Chiesa in Polonia si trova dinanzi ad una grande sfida pastorale: quella di prendersi cura dei fedeli che hanno lasciato il Paese. La piaga della disoccupazione costringe numerose persone a partire verso l'estero. È un fenomeno diffuso su vasta scala. Quando le famiglie vengono in tal modo divise, quando si infrangono i legami sociali, la Chiesa non può rimanere indifferente. È necessario che le persone che partono siano accompagnate da sacerdoti che, collegandosi con le Chiese locali, assumano il lavoro pastorale in mezzo agli emigrati. La Chiesa che è in Polonia ha già dato numerosi sacerdoti e religiose, che svolgono il loro servizio non soltanto in favore dei Polacchi fuori dei confini del Paese, ma anche, e a volte in condizioni difficilissime, nelle missioni dell'Africa, dell'Asia, dell'America Latina e in altre regioni. Non dimenticate, cari sacerdoti, questi missionari. Il dono di numerose vocazioni, con cui Dio ha benedetto la vostra Chiesa, deve essere accolto in prospettiva veramente cattolica. Sacerdoti polacchi, non abbiate paura di lasciare il vostro mondo sicuro e conosciuto, per servire là dove mancano i sacerdoti e dove la vostra generosità può portare un frutto copioso.

Rimanete saldi nella fede! Anche a voi affido questo motto del mio pellegrinaggio. Siate autentici nella vostra vita e nel vostro ministero. Fissando Cristo, vivete una vita modesta, solidale con i fedeli a cui siete mandati. Servite tutti; siate accessibili nelle parrocchie e nei confessionali, accompagnate i nuovi movimenti e le associazioni, sostenete le famiglie, non trascurate il legame con i giovani, ricordatevi dei poveri e degli abbandonati. Se vivrete di fede, lo Spirito Santo vi suggerirà cosa dovrete dire e come dovrete servire. Potrete sempre contare sull'aiuto di Colei che precede la Chiesa nella fede. Vi esorto ad invocarla sempre con le parole a voi ben note: "Siamo vicino a Te, Ti ricordiamo, vegliamo".

A tutti la mia Benedizione!




INCONTRO ECUMENICO Warszawa, 25 maggio 2006

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Cari fratelli e sorelle in Cristo,

"Grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene, dai sette spiriti che stanno davanti al suo trono, e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra" (
Ap 1,4-5). Con le parole del Libro dell'Apocalisse, con cui San Giovanni saluta le sette Chiese dell'Asia, voglio rivolgere il mio caloroso saluto a tutti coloro che sono qui presenti, prima di tutto ai rappresentanti delle Chiese e delle Comunità Ecclesiali associate nel Consiglio Ecumenico Polacco. Ringrazio l'Arcivescovo Jeremiasz della Chiesa Ortodossa Autocefala e Presidente di questo Consiglio per il saluto e le parole di spirituale unione indirizzatemi poc'anzi. Saluto l'Arcivescovo Alfons Nossol, Presidente del Consiglio Ecumenico della Conferenza Episcopale Polacca.

Ci unisce oggi qui il desiderio di incontrarci, per rendere, nella comune preghiera, gloria e onore al nostro Signore Gesù Cristo: "A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati col suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre" (Ap 1,5-6). Siamo riconoscenti al nostro Signore, perché ci raccoglie insieme, ci concede il suo Spirito e ci permette - al di là di ciò che ancora ci separa - di invocare "Abbà, Padre". Siamo convinti che è Lui stesso ad intercedere incessantemente in nostro favore, chiedendo per noi: "Siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me" (Jn 17,23). Insieme a voi ringrazio per il dono di questo incontro di comune preghiera. Vedo in esso una delle tappe per realizzare il fermo proposito che ho fatto all'inizio del mio pontificato, quello di considerare una priorità del mio ministero la restituzione della piena e visibile unità tra i cristiani. Il mio amato Predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, quando visitò questa chiesa della Santissima Trinità, nell'anno 1991, sottolineò: "Per quanto noi ci impegniamo per l'unità, essa rimane sempre un dono dello Spirito Santo. Saremo disponibili a ricevere questo dono nella misura in cui avremo aperto le nostre menti e i nostri cuori a lui attraverso la vita cristiana e soprattutto attraverso la preghiera". Infatti, non sarà possibile per noi "fare" l'unità con le nostre sole forze. Come ho ricordato durante l'incontro ecumenico dello scorso anno a Colonia: "La possiamo soltanto ottenere come dono dello Spirito Santo". È per questo che le nostre aspirazioni ecumeniche devono essere pervase dalla preghiera, dal perdono reciproco e dalla santità della vita di ognuno di noi. Esprimo il mio compiacimento per il fatto che qui, in Polonia, il Consiglio Ecumenico Polacco e la Chiesa cattolica romana intraprendono numerose iniziative in questo ambito.

"Ecco, viene sulle nubi e ognuno lo vedrà; anche quelli che lo trafissero" (Ap 1,7). Le parole dell'Apocalisse ci ricordano che tutti siamo in cammino verso il definitivo incontro con Cristo, quando Egli svelerà dinanzi a noi il senso della storia umana, il cui centro è la croce del suo sacrificio salvifico. Come comunità di discepoli, siamo diretti verso quell'incontro con la speranza e la fiducia che sarà per noi il giorno della salvezza, il giorno del compimento di tutto ciò a cui aneliamo, grazie alla nostra disponibilità a lasciarci guidare dalla reciproca carità che suscita in noi il suo Spirito. Edifichiamo tale fiducia non sui meriti nostri, ma sulla preghiera nella quale Cristo svela il senso della sua venuta sulla terra e della sua morte redentrice: "Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato, siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo" (Jn 17,24). In cammino verso l'incontro con Cristo che "viene sulle nubi", con la nostra vita annunziamo la sua morte, proclamiamo la sua risurrezione, nell'attesa della sua venuta. Sentiamo il peso della responsabilità che tutto questo comporta; il messaggio di Cristo, infatti, deve giungere ad ogni uomo sulla terra, grazie all'impegno di coloro che credono in Lui e che sono chiamati a testimoniare che Lui è veramente mandato dal Padre (cfr Jn 17,23). Bisogna dunque che, annunziando il Vangelo, siamo mossi dall'aspirazione a coltivare relazioni reciproche di sincera carità, in modo che, alla luce di esse, tutti conoscano che il Padre ha mandato suo Figlio e ama la Chiesa e ognuno di noi, così come ha amato Lui (cfr Jn 17,23). Compito dei discepoli di Cristo, compito di ciascuno di noi, è dunque quello di tendere ad una tale unità, così da diventare, come cristiani, segno visibile del suo messaggio salvifico, indirizzato ad ogni essere umano.

Concedetemi di richiamarmi una volta ancora all'incontro ecumenico avvenuto in questa chiesa con la partecipazione del vostro grande Connazionale Giovanni Paolo II e al suo intervento, nel quale egli delineò nel modo seguente la visione degli sforzi miranti alla piena unità dei cristiani: "La sfida che si pone è di superare a poco a poco gli ostacoli (...) e crescere insieme in quella unità di Cristo che è una sola, quella unità della quale dotò la Chiesa sin dall'inizio. La serietà del compito vieta ogni precipitazione o impazienza, ma il dovere di rispondere alla volontà di Cristo esige che restiamo saldi sulla via verso la pace e l'unità tra tutti i cristiani. Sappiamo bene che non siamo noi quelli che rimargineranno le ferite della divisione e che ristabiliranno l'unità; siamo semplici strumenti che Dio potrà utilizzare. L'unità tra i cristiani sarà dono di Dio, nel suo tempo di grazia. Umilmente tendiamo a quel giorno, crescendo nell'amore, nel reciproco perdono e nella reciproca fiducia".

Da quell'incontro molto è cambiato. Dio ci ha concesso di fare molti passi verso la reciproca comprensione e l'avvicinamento. Permettetemi di richiamare alla vostra attenzione alcuni eventi ecumenici, che in quel tempo ebbero luogo nel mondo: la pubblicazione dell'Enciclica Ut unum sint; le concordanze cristologiche con le Chiese precalcedoniane; la sottoscrizione ad Augsburg della "Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione"; l'incontro in occasione del Grande Giubileo dell'Anno 2000 e la memoria ecumenica dei testimoni della fede del XX secolo; la ripresa del dialogo cattolico-ortodosso a livello mondiale, il funerale di Giovanni Paolo II con la partecipazione di quasi tutte le Chiese e Comunità ecclesiali. Sono a conoscenza del fatto che anche qui, in Polonia, questa aspirazione fraterna all'unità può vantare concreti successi. Vorrei menzionare in questo momento: la firma, nell'anno 2000, avvenuta anche in questo tempio, da parte della Chiesa cattolica romana e delle Chiese associate nel Consiglio Ecumenico Polacco, della dichiarazione del reciproco riconoscimento della validità del battesimo; l'istituzione della Commissione per i Rapporti tra la Conferenza Episcopale Polacca e il Consiglio Ecumenico Polacco, alla quale appartengono i Vescovi cattolici e i Capi di altre Chiese; l'istituzione delle commissioni bilaterali per il dialogo teologico tra cattolici e ortodossi, luterani, membri della Chiesa nazionale polacca, mariaviti e avventisti; la pubblicazione della traduzione ecumenica del Nuovo Testamento e del Libro dei Salmi; l'iniziativa chiamata "Opera natalizia di aiuto ai Bambini", nella quale collaborano le organizzazioni caritative delle Chiese: cattolica, ortodossa ed evangelica.

Notiamo molti progressi nel campo dell'ecumenismo e tuttavia attendiamo sempre ancora qualcosa di più. Concedetemi di far notare oggi due questioni, forse più dettagliatamente. La prima riguarda il servizio caritativo delle Chiese. Sono numerosi i fratelli che attendono da noi il dono dell'amore, della fiducia, della testimonianza, di un aiuto spirituale e materiale concreto. A tale problema ho fatto riferimento nella mia prima Enciclica Deus caritas est. Ho osservato in essa: "L'amore del prossimo radicato nell'amore di Dio è anzitutto un compito per ogni singolo fedele, ma è anche un compito per l'intera comunità ecclesiale, e questo a tutti i suoi livelli: dalla comunità locale alla Chiesa particolare, fino alla Chiesa universale nella sua globalità. Anche la Chiesa in quanto comunità deve praticare l'amore" (n. 20). Non possiamo dimenticare l'idea essenziale che fin dall'inizio costituì il fondamento molto forte dell'unità dei discepoli: "all'interno della comunità dei credenti non deve esservi una forma di povertà tale che a qualcuno siano negati i beni necessari per una vita dignitosa" (ibid.). Questa idea è sempre attuale, sebbene nell'arco dei secoli siano mutate le forme dell'aiuto fraterno; l'accettare le sfide caritative contemporanee dipende in grande misura dalla nostra reciproca collaborazione. Mi rallegro perché questo problema trova una vasta eco nel mondo sotto forma di numerose iniziative ecumeniche. Noto con apprezzamento che nella comunità della Chiesa cattolica e nelle altre Chiese e Comunità ecclesiali si sono diffuse diverse nuove forme di attività caritative e ne sono riapparse di antiche con slancio rinnovato. Sono forme che spesso uniscono l'evangelizzazione e le opere di carità (cfr ibid., 30b). Sembra che, nonostante tutte le differenze che vanno superate nell'ambito del dialogo interconfessionale, sia legittimo attribuire l'impegno caritativo alla comunità ecumenica dei discepoli di Cristo nella ricerca di una piena unità. Tutti possiamo inserirci nella collaborazione a favore dei bisognosi, sfruttando questa rete di reciproche relazioni, frutto del dialogo tra noi e dell'azione comune. Nello spirito del comandamento evangelico dobbiamo assumere questa premurosa sollecitudine nei riguardi dei fratelli che si trovano nel bisogno, chiunque essi siano. A questo proposito nella mia Enciclica ho scritto che: "Per uno sviluppo del mondo verso il meglio, è necessaria la voce comune dei cristiani, il loro impegno "per il rispetto dei diritti e dei bisogni di tutti, specie dei poveri, degli umiliati e degli indifesi"" (n. 30b). A tutti coloro che partecipano al nostro incontro auguro oggi che la pratica della caritas fraterna ci avvicini sempre più e renda più credibile la nostra testimonianza in favore di Cristo di fronte al mondo.

La seconda questione alla quale voglio far riferimento, riguarda la vita coniugale e quella familiare. Sappiamo che tra le comunità cristiane, chiamate a testimoniare l'amore, la famiglia occupa un posto particolare. Nel mondo di oggi, nel quale si stanno moltiplicando relazioni internazionali ed interculturali, sempre più spesso si decidono a fondare una famiglia giovani provenienti da diverse tradizioni, da diverse religioni, da diverse confessioni cristiane. Più volte, per i giovani stessi e per i loro cari, è una decisione difficile che comporta vari pericoli riguardanti sia la perseveranza nella fede sia la costruzione futura dell'ordine familiare, come anche la creazione di un clima di unità della famiglia e di condizioni opportune per la crescita spirituale dei figli. Tuttavia, proprio grazie alla diffusione su una più vasta scala del dialogo ecumenico, la decisione può dare origine al formarsi di un laboratorio pratico di unità. Per questo sono necessarie la vicendevole benevolenza, la comprensione e la maturità nella fede di entrambe le parti, come anche delle comunità da cui provengono. Voglio esprimere il mio apprezzamento per la Commissione Bilaterale del Consiglio per le Questioni dell'Ecumenismo della Conferenza Episcopale Polacca e del Consiglio Ecumenico Polacco che hanno avviato la elaborazione di un documento in cui viene presentata la comune dottrina cristiana sul matrimonio e sulla famiglia e vengono stabiliti principi, accettabili per tutti, per contrarre matrimoni interconfessionali, indicando un comune programma di sollecitudine pastorale per tali matrimoni. Auguro a tutti che in tale delicata questione, si accresca la reciproca fiducia tra le Chiese e la collaborazione che rispetta pienamente i diritti e la responsabilità dei coniugi per la formazione nella fede della propria famiglia e per l'educazione dei figli.

"Ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro" (Jn 17,26). Fratelli e sorelle, ponendo tutta la nostra fiducia in Cristo, che ci fa conoscere il suo nome, camminiamo ogni giorno verso la pienezza della riconciliazione fraterna. La sua preghiera faccia sì che la comunità dei suoi discepoli sulla terra, nel suo mistero e nella sua visibile unità, diventi sempre più una comunità d'amore in cui si rispecchia l'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.





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