Discorsi 2005-13 50606

AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO ECCLESIALE DELLA DIOCESI DI ROMA Basilica di San Giovanni in Laterano Lunedì, 5 giugno 2006

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Cari fratelli e sorelle,

sono lieto di essere nuovamente con voi per introdurre con una mia riflessione questo nostro Convegno Diocesano, dedicato a una tematica di grande bellezza e primaria importanza pastorale: la gioia che proviene dalla fede e il suo rapporto con l'educazione delle nuove generazioni. Riprendiamo così e sviluppiamo ulteriormente, in un'ottica che riguarda più direttamente i giovani, il discorso iniziato un anno fa, in occasione del precedente Convegno Diocesano, nel quale ci siamo occupati del ruolo della famiglia e della comunità cristiana nella formazione della persona e nella trasmissione della fede. Saluto con affetto ciascuno di voi, Vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, laici, impegnati a testimoniare la nostra fede. In particolare, saluto voi giovani che intendete unire al vostro personale itinerario formativo l'assunzione di una responsabilità ecclesiale e missionaria nei confronti di altri ragazzi e giovani. Ringrazio di cuore il Cardinale Vicario per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti voi.

Con questo Convegno, e con l'anno pastorale che si ispirerà ai suoi contenuti, la Diocesi di Roma prosegue in quell'itinerario di lungo periodo che ha iniziato, ormai dieci anni fa, con la Missione cittadina voluta dal mio amato Predecessore Giovanni Paolo II. Lo scopo infatti è sempre il medesimo: ravvivare la fede nelle nostre comunità e cercare di risvegliarla, o suscitarla, in tutte le persone e le famiglie di questa grande città, dove la fede è stata predicata e la Chiesa è stata impiantata già dalla prima generazione cristiana, e in particolare dagli Apostoli Pietro e Paolo. Negli ultimi tre anni la vostra attenzione si è concentrata soprattutto sulla famiglia, per consolidare con la verità del Vangelo questa fondamentale realtà umana, oggi purtroppo pesantemente insidiata e minacciata, e per aiutarla ad adempiere la sua insostituibile missione nella Chiesa e nella società. Mettendo ora in primo piano l'educazione alla fede delle nuove generazioni, non abbandoniamo certo l'impegno per la famiglia, alla quale appartiene la primaria responsabilità educativa. Veniamo incontro piuttosto ad una preoccupazione diffusa in tante famiglie credenti, che nel contesto sociale e culturale di oggi temono di non riuscire a trasmettere la preziosa eredità della fede ai propri figli.

In realtà, scoprire la bellezza e la gioia della fede è un cammino che ogni nuova generazione deve percorrere in proprio, perché nella fede viene messo in gioco quanto abbiamo di più nostro e di più intimo, il nostro cuore, la nostra intelligenza, la nostra libertà, in un rapporto profondamente personale con il Signore che opera dentro di noi. Ma la fede è, altrettanto radicalmente, atto ed atteggiamento comunitario, è il "noi crediamo" della Chiesa. La gioia della fede è dunque una gioia che va condivisa: come afferma l'apostolo Giovanni, "quello che abbiamo veduto e udito (il Verbo della vita), noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi... Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta" (
1Jn 1,3-4). Perciò educare le nuove generazioni alla fede è un compito grande e fondamentale che coinvolge l'intera comunità cristiana. Cari fratelli e sorelle, voi toccate con mano come questo compito sia diventato oggi per vari aspetti particolarmente difficile, ma proprio per questo ancora più importante e quanto mai urgente. È possibile individuare infatti due linee di fondo dell'attuale cultura secolarizzata, tra loro chiaramente interdipendenti, che spingono in direzione contraria all'annuncio cristiano e non possono non avere un'incidenza su coloro che stanno maturando i propri orientamenti e scelte di vita. Una di esse è quell'agnosticismo che scaturisce dalla riduzione dell'intelligenza umana a semplice ragione calcolatrice e funzionale e che tende a soffocare il senso religioso iscritto nel profondo della nostra natura. L'altra è quel processo di relativizzazione e di sradicamento che corrode i legami più sacri e gli affetti più degni dell'uomo, col risultato di rendere fragili le persone, precarie e instabili le nostre reciproche relazioni.

Proprio in questa situazione tutti noi abbiamo bisogno, e specialmente i nostri ragazzi, adolescenti e giovani hanno bisogno, di vivere la fede come gioia, di assaporare quella serenità profonda che nasce dall'incontro con il Signore. Ho scritto nell'Enciclica Deus caritas est: "Abbiamo creduto all'amore di Dio - così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita. All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva" (n. 1). La fonte della gioia cristiana è questa certezza di essere amati da Dio, amati personalmente dal nostro Creatore, da Colui che tiene nelle sue mani l'universo intero e che ama ciascuno di noi e tutta la grande famiglia umana con un amore appassionato e fedele, un amore più grande delle nostre infedeltà e peccati, un amore che perdona. Questo amore "è talmente grande da rivolgere Dio contro se stesso", come appare in maniera definitiva nel mistero della Croce: "Dio ama tanto l'uomo che, facendosi uomo Egli stesso, lo segue fin nella morte e in questo modo riconcilia giustizia e amore" (Deus caritas est ).

Cari fratelli e sorelle, questa certezza e questa gioia di essere amati da Dio deve essere resa in qualche modo palpabile e concreta per ciascuno di noi, e soprattutto per le giovani generazioni che stanno entrando nel mondo della fede. In altre parole: Gesù ha detto di essere la "via" che conduce al Padre, oltre che la "verità" e la "vita" (cfr Jn 14,5-7). La domanda è dunque: come possono i nostri ragazzi e i nostri giovani trovare in Lui, praticamente ed esistenzialmente, questa via di salvezza e di gioia? È proprio questa la grande missione per la quale esiste la Chiesa, come famiglia di Dio e compagnia di amici nella quale veniamo inseriti con il Battesimo già da piccoli bambini e nella quale deve crescere la nostra fede e la gioia e la certezza di essere amati dal Signore. È indispensabile quindi - ed è il compito affidato alle famiglie cristiane, ai sacerdoti, ai catechisti, agli educatori, ai giovani stessi nei confronti dei loro coetanei, alle nostre parrocchie, associazioni e movimenti, finalmente all'intera comunità diocesana - che le nuove generazioni possano fare esperienza della Chiesa come di una compagnia di amici davvero affidabile, vicina in tutti i momenti e le circostanze della vita, siano esse liete e gratificanti oppure ardue e oscure, una compagnia che non ci abbandonerà mai nemmeno nella morte, perché porta in sé la promessa dell'eternità. A voi, cari ragazzi e giovani di Roma, vorrei chiedere di fidarvi a vostra volta della Chiesa, di volerle bene e di avere fiducia in lei, perché in essa è presente il Signore e perché essa non cerca altro che il vostro vero bene.

Colui che sa di essere amato è a sua volta sollecitato ad amare. Proprio così il Signore, che ci ha amati per primo, ci domanda di mettere a nostra volta al centro della nostra vita l'amore per Lui e per gli uomini che Egli ha amato. Specialmente gli adolescenti e i giovani, che avvertono prepotente dentro di sé il richiamo dell'amore, hanno bisogno di essere liberati dal pregiudizio diffuso che il cristianesimo, con i suoi comandamenti e i suoi divieti, ponga troppi ostacoli alla gioia dell'amore, in particolare impedisca di gustare pienamente quella felicità che l'uomo e la donna trovano nel loro reciproco amore. Al contrario, la fede e l'etica cristiana non vogliono soffocare ma rendere sano, forte e davvero libero l'amore: proprio questo è il senso dei dieci Comandamenti, che non sono una serie di "no", ma un grande "sì" all'amore e alla vita. L'amore umano infatti ha bisogno di essere purificato, di maturare e anche di andare al di là di se stesso, per poter diventare pienamente umano, per essere principio di una gioia vera e duratura, per rispondere quindi a quella domanda di eternità che porta dentro di sé e alla quale non può rinunciare senza tradire se stesso. È questo il motivo sostanziale per il quale l'amore tra l'uomo e la donna si realizza pienamente solo nel matrimonio.

In tutta l'opera educativa, nella formazione dell'uomo e del cristiano, non dobbiamo dunque, per paura o per imbarazzo, lasciare da parte la grande questione dell'amore: se lo facessimo presenteremmo un cristianesimo disincarnato, che non può interessare seriamente il giovane che si apre alla vita. Dobbiamo anche, però, introdurre alla dimensione integrale dell'amore cristiano, dove amore per Dio e amore per l'uomo sono indissolubilmente uniti e dove l'amore del prossimo è un impegno quanto mai concreto. Il cristiano non si accontenta di parole, e nemmeno di ideologie ingannatrici, ma va incontro alle necessità del fratello mettendo in gioco davvero se stesso, senza accontentarsi di qualche sporadica buona azione. Proporre ai ragazzi e ai giovani esperienze pratiche di servizio al prossimo più bisognoso fa dunque parte di un'autentica e piena educazione alla fede. Insieme al bisogno di amare, il desiderio della verità appartiene alla natura stessa dell'uomo. Perciò, nell'educazione delle nuove generazioni, la questione della verità non può certo essere evitata: deve anzi occupare uno spazio centrale. Ponendo la domanda intorno alla verità allarghiamo infatti l'orizzonte della nostra razionalità, iniziamo a liberare la ragione da quei limiti troppo angusti entro i quali essa viene confinata quando si considera razionale soltanto ciò che può essere oggetto di esperimento e di calcolo. E proprio qui avviene l'incontro della ragione con la fede: nella fede accogliamo infatti il dono che Dio fa di se stesso rivelandosi a noi, creature fatte a sua immagine; accogliamo e accettiamo quella Verità che la nostra mente non può comprendere fino in fondo e non può possedere, ma che proprio per questo dilata l'orizzonte della nostra conoscenza e ci permette di giungere al Mistero in cui siamo immersi e di ritrovare in Dio il senso definitivo della nostra esistenza.

Cari amici, sappiamo bene che non è facile acconsentire a questo superamento dei limiti della nostra ragione. Perciò la fede, che è un atto umano molto personale, rimane una scelta della nostra libertà, che può anche essere rifiutata. Qui però viene alla luce una seconda dimensione della fede, quella di affidarsi ad una persona: non ad una persona qualsiasi ma a Gesù Cristo, e al Padre che lo ha inviato. Credere vuol dire stabilire un personalissimo legame con il nostro Creatore e Redentore, in virtù dello Spirito Santo che opera nei nostri cuori, e fare di questo legame il fondamento di tutta la vita. Gesù Cristo, infatti, "è la Verità fatta Persona, che attira a sé il mondo... Ogni altra verità è un frammento della Verità che Egli è ed a Lui rimanda" (Discorso alla Congregazione per la Dottrina della Fede CDF 10 febbraio 2006). Così Egli riempie il nostro cuore, lo dilata e lo colma di gioia, spinge la nostra intelligenza verso orizzonti inesplorati, offre alla nostra libertà il suo decisivo punto di riferimento, risollevandola dalle angustie dell'egoismo e rendendola capace di amore autentico.

Nell'educazione delle nuove generazioni non dobbiamo dunque avere alcun timore di porre la verità della fede a confronto con le autentiche conquiste della conoscenza umana. I progressi della scienza sono oggi molto rapidi e non di rado vengono presentati come contrapposti alle affermazioni della fede, provocando confusione e rendendo più difficile l'accoglienza della verità cristiana. Ma Gesù Cristo è e rimane il Signore di tutta la creazione e di tutta la storia: "Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui... e tutte sussistono in Lui" (Col 1,16 Col 1,17). Perciò il dialogo tra fede e ragione, se condotto con sincerità e rigore, offre la possibilità di percepire, in modo più efficace e convincente, la ragionevolezza della fede in Dio - non in un Dio qualsiasi ma in quel Dio che si è rivelato in Gesù Cristo - e altresì di mostrare che nello stesso Gesù Cristo si trova il compimento di ogni autentica aspirazione umana. Cari giovani di Roma, inoltratevi dunque con fiducia e coraggio sulla via della ricerca del vero. E voi, cari sacerdoti ed educatori, non esitate a promuovere una vera e propria "pastorale dell'intelligenza", e più ampiamente della persona, che prenda sul serio le domande dei giovani - sia quelle esistenziali sia quelle che nascono dal confronto con le forme di razionalità oggi diffuse - per aiutarli a trovare delle valide e pertinenti risposte cristiane, e finalmente a far propria quella risposta decisiva che è Cristo Signore.

Abbiamo parlato della fede come incontro con Colui che è Verità e Amore. Abbiamo anche visto che si tratta di un incontro al tempo stesso comunitario e personale, che deve avere luogo in tutte le dimensioni della nostra vita, attraverso l'esercizio dell'intelligenza, le scelte della libertà, il servizio dell'amore. Esiste però uno spazio privilegiato nel quale questo incontro si realizza nella maniera più diretta, si rafforza e si approfondisce, e diventa così davvero in grado di permeare e caratterizzare l'intera esistenza: questo spazio è la preghiera. Cari giovani, molti di voi erano certamente presenti alla Giornata Mondiale della Gioventù, a Colonia. Là, insieme, abbiamo pregato il Signore, lo abbiamo adorato presente nell'Eucaristia, abbiamo offerto il suo santo Sacrificio. Abbiamo meditato su quel decisivo atto di amore con il quale Gesù nell'ultima Cena anticipa la propria morte, l'accetta nel suo intimo e la trasforma in azione di amore, in quella rivoluzione che, unica, è veramente capace di rinnovare il mondo e di liberare l'uomo, vincendo la potenza del peccato e della morte. Chiedo a voi giovani e a tutti voi che siete qui, cari fratelli e sorelle, chiedo a tutta l'amata Chiesa di Roma, in particolare alle anime consacrate, specialmente dei Monasteri di clausura, di essere assidui nella preghiera, spiritualmente uniti a Maria nostra Madre, di adorare Cristo vivo nell'Eucaristia, di innamorarvi sempre più di Lui, che è il nostro fratello e amico vero, lo sposo della Chiesa, il Dio fedele e misericordioso che ci ha amati per primo. Così voi giovani sarete pronti e disponibili ad accogliere la sua chiamata, se Egli vi vorrà totalmente per sé, nel sacerdozio o nella vita consacrata.

Nella misura in cui ci nutriamo di Cristo e siamo innamorati di Lui, avvertiamo anche dentro di noi lo stimolo a portare altri verso di Lui: la gioia della fede infatti non possiamo tenerla per noi, dobbiamo trasmetterla. Questo bisogno diventa ancora più forte e urgente in presenza di quella strana dimenticanza di Dio che esiste oggi in vaste parti del mondo, e in certa misura anche qui a Roma. Da questa dimenticanza nasce molto rumore effimero, molte inutili contese, ma anche una grande insoddisfazione e un senso di vuoto. Perciò, cari fratelli e sorelle, nel nostro umile servizio di testimoni e missionari del Dio vivo dobbiamo essere portatori di quella speranza che nasce dalla certezza della fede: aiuteremo così i nostri fratelli e concittadini a ritrovare il senso e la gioia della propria vita. So che lavorate con impegno nei cari ambiti della pastorale: me ne rallegro e rendo con voi grazie al Signore. In particolare nel mio primo anno di Pontificato ho già potuto sperimentare e apprezzare la vivacità della presenza cristiana tra i giovani e gli universitari di Roma, come tra i bambini della Prima Comunione. Vi chiedo di continuare con fiducia, rendendo sempre più profondo il vostro legame con il Signore e così più efficace il vostro apostolato. Non trascurate, in questo impegno, alcuna dimensione della vita, perché Cristo è venuto per salvare tutto l'uomo, nell'intimo delle coscienze come nelle espressioni della cultura e nei rapporti sociali.

Cari fratelli e sorelle, vi affido con animo amico queste riflessioni, come contributo al vostro lavoro nelle serate del Convegno e poi durante il prossimo anno pastorale. Il mio affetto e la mia benedizione vi accompagnano oggi e per il futuro.

Grazie per la vostra attenzione!





AI MEMBRI DELL’ASSOCIAZIONE SANTI PIETRO E PAOLO Aula delle Benedizioni Sabato, 17 giugno 2006

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Cari amici,

nell’approssimarsi della solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo è per me un piacere incontrarvi insieme alle vostre famiglie. L’odierna vostra visita mi permette di rinnovarvi la mia gratitudine per il servizio che da molti anni rendete al Successore di Pietro. Vi saluto tutti con affetto, ringraziando il vostro Presidente che si è fatto gentile interprete dei comuni sentimenti.

La vostra Associazione SS. Pietro e Paolo, che nel 1970 ha raccolto l’eredità della Guardia Palatina, svolge con dedizione un servizio di volontariato alla Santa Sede. Le tre sezioni che ne formano l’articolazione operativa – mi riferisco alla sezione liturgica, caritativa e culturale – riflettono tre aspetti complementari della vita e dell’azione delle comunità ecclesiali. In primo luogo è per voi importante curare la liturgia, la quale, come insegna il Concilio Vaticano II, "mentre ogni giorno edifica quelli che sono dentro la Chiesa in tempio santo nel Signore… fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo, nello stesso tempo irrobustisce in modo mirabile le loro forze perché possano predicare il Cristo" (Cost. Sacrosanctum Concilium
SC 2). Un’intensa vita di preghiera e l’assidua partecipazione alla liturgia continui ad essere il vostro primo impegno come singoli e come associazione.

Cari amici, solo se ci lasciamo costantemente formare dall’ascolto della Parola di Dio e ci nutriamo con assiduità del Corpo e Sangue di Cristo possiamo trasmettere agli altri l’amore di Dio, che è dono dello Spirito Santo. Nell’Enciclica Deus caritas est ho voluto ricordare che l’amore del prossimo radicato nell’amore divino è anzitutto un compito per ogni singolo fedele, ma lo è anche per l’intera comunità ecclesiale, e questo a tutti i suoi livelli (cfr n. 20). Voi cercate di essere testimoni di quest’amore verso i poveri, nella mensa della Casa "Dono di Maria" e nel dispensario pediatrico di Santa Marta, come pure nelle iniziative sociali promosse nelle vostre parrocchie. La carità animi ogni vostra attività. Regola della vostra esistenza sia l’esortazione che l’apostolo Paolo rivolge ai Colossesi: "al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione" (3,14).

Non è poi meno importante l’attenzione che voi intendete riservare ad una adeguata formazione culturale per poter maturare nella fede. Evangelizzare oggi richiede una responsabile conoscenza delle istanze culturali moderne e un approfondimento costante della sana dottrina cattolica. Bene dunque voi fate, cari amici, a non trascurare anche quest’aspetto ed io vi incoraggio a proseguire nel cammino che già con frutto state percorrendo. Voi siete nati per essere al servizio del Successore di Pietro ed io vi ringrazio per la generosità con cui adempite questo vostro compito. Il Signore lo renda sempre più fecondo e, con la forza del suo Spirito, vi faccia autentici suoi discepoli. La Vergine Maria, Virgo fidelis, la cui immagine venerate nella vostra Cappella, vi protegga e sempre vi accompagni. Io vi assicuro la mia preghiera e con affetto imparto la Benedizione Apostolica a voi tutti, estendendola volentieri alle vostre famiglie e alle persone a voi care.





AI MEMBRI DELLA RIUNIONE DELLE OPERE PER L'AIUTO ALLE CHIESE ORIENTALI (R.O.A.C.O.) Sala Clementina Giovedì, 22 giugno 2006

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Beatitudine,
venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Presbiterato,
cari membri e amici della ROACO!

Vi accolgo con gioia e vi saluto con affetto. Ringrazio cordialmente il Cardinale Ignace Moussa Daoud, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, che si è fatto interprete dei comuni sentimenti. Estendo il mio saluto al Segretario, Mons. Antonio Maria Vegliò, ai Collaboratori del Dicastero, agli altri Presuli provenienti dalle amate Chiese della Terra Santa e di altre regioni del Medio Oriente, come pure ai responsabili e agli amici di ciascuna delle Agenzie qui rappresentate. Vi ringrazio, cari amici della ROACO, per il servizio che svolgete dal 1968, dando voce alle Chiese delle diverse tradizioni orientali e a quelle latine dei territori affidati alla competenza della Congregazione per le Chiese Orientali, sostenendone le attività pastorali, educative e assistenziali e venendo incontro alle loro urgenti necessità. Vi ha sempre guidati l'ispirazione evangelica e una spiccata sensibilità ecclesiale che scaturisce dal legame esistente tra voi ed il Successore di Pietro. L’odierno incontro mi offre la gradita opportunità di rendere grazie a Dio, Padre provvido e misericordioso, per l'azione apostolica compiuta in questi anni dai discepoli di Cristo in Medio Oriente impegnati, pur tra molte difficoltà, a testimoniare il vangelo della pace e dell’amore con fraterna sollecitudine.

Vi sono inoltre grato per gli sforzi che non vi stancate di compiere per salvaguardare il profilo specifico dell'attività caritativa ecclesiale. Continuate a coltivare negli educatori e negli operatori della carità, che ricevono il vostro sostegno, la “formazione del cuore” per giungere, come ho ricordato nell’Enciclica Deus caritas est, “a quell'incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l'amore e apra il loro animo all'altro, così che per loro l'amore del prossimo non sia più un comandamento imposto per così dire dall'esterno, ma una conseguenza derivante dalla loro fede che diventa operante nell'amore” (n. 31).

Alle venerande Comunità cattoliche Orientali rivolgo con affetto il mio pensiero, ed in primo luogo a quelle di Terra Santa, a cui dedicate costante sollecitudine. E’ desiderio di tutti i cristiani poter trovare sempre nella terra che diede i natali al nostro Redentore una viva comunità cristiana. Le gravi difficoltà che essa sta vivendo per il clima di pesante insicurezza, per la mancanza di lavoro, per le innumerevoli restrizioni con la crescente povertà che ne consegue, costituiscono per tutti noi motivo di sofferenza. Si tratta di una situazione che rende alquanto incerto il futuro educativo, professionale e familiare delle giovani generazioni purtroppo fortemente tentate di lasciare per sempre la tanto amata terra natale. Questo si verifica anche in altre aree del Medio Oriente, quali l'Iraq e l'Iran, che beneficiano provvidenzialmente della vostra generosa considerazione.

Come far fronte a problematiche tanto gravi? Nostro primo e fondamentale dovere resta perseverare in una fiduciosa preghiera al Signore che mai abbandona i suoi figli nella prova. Ad essa va unita un’attiva fraterna sollecitudine capace di trovare vie sempre nuove e talora insperate per venire incontro ai bisogni di quelle popolazioni. Rivolgo un invito ai pastori e ai fedeli, a tutti coloro che rivestono ruoli di responsabilità nella comunità civile, perché, favorendo il mutuo rispetto tra culture e religioni, si creino quanto prima in tutta la regione del Medio Oriente le condizioni di una serena e pacifica convivenza. Assicuro a tal fine un quotidiano ricordo al Signore e invoco la protezione di Maria, Madre di Dio, su ciascuno di voi, cari amici della ROACO, su quanti vi stanno a cuore come sulle benemerite istituzioni che rappresentate. Iddio renda feconda la vostra attività. Accompagno questi sentimenti con una speciale Benedizione Apostolica, che imparto volentieri a voi qui presenti e a quanti vi sono cari.





AI VESCOVI DELLE CONFERENZE EPISCOPALI DI LITUANIA, LETTONIA, ESTONIA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Venerdì, 23 giugno 2006

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell'Episcopato!

Grazie per questa vostra gradita visita. Dalle pacifiche terre del Baltico siete venuti ad limina Apostolorum per confermare la vostra comunione con il Successore di Pietro e per recargli il saluto cordiale di quanti sono affidati alle vostre cure pastorali. A ciascuno di voi il mio grato pensiero, che si rivolge anzitutto al Signor Cardinale Janis Pujats, Arcivescovo di Riga, e a Mons. Sigitas Tamkevicius, Arcivescovo Metropolita di Kaunas. Essi hanno espresso sentimenti di convinta adesione al ministero del Vescovo di Roma a nome vostro e delle vostre Comunità diocesane, alle quali assicuro il mio ricordo nella preghiera. Nei giorni scorsi ho ascoltato con partecipe attenzione quanto ciascuno di voi ha voluto personalmente segnalarmi sull’andamento della propria Diocesi, sull'impegno generoso dei sacerdoti, sulle speranze del laicato, sugli orientamenti delle società civili. Mentre vi ringrazio per la spontanea fiducia, in spirito di collegiale correponsabilità per il Popolo di Dio, vi incoraggio a discernere i germi di bene che Dio ha seminato nelle vostre Comunità, per condurre un'azione missionaria sempre più convinta, coraggiosa e instancabile.

Tra i tanti temi che vorrei trattare con voi, mi soffermo oggi su uno di grande attualità anche nei vostri Paesi, e cioè quello della famiglia. Accanto a nuclei familiari esemplari, ve ne sono sovente altri segnati purtroppo dalla fragilità dei legami coniugali, dalla piaga dell'aborto e dalla crisi demografica, dalla poca attenzione alla trasmissione di valori autentici ai figli, dalla precarietà del lavoro, dalla mobilità sociale che affievolisce i legami fra le generazioni, e da un crescente senso di smarrimento interiore dei giovani. Una modernità che non è radicata in autentici valori umani è destinata ad esser dominata dalla tirannia dell'instabilità e dello smarrimento. Per questo ogni comunità ecclesiale, ricca della propria fede e sorretta dalla grazia di Dio, è chiamata ad essere punto di riferimento e a dialogare con la società in cui è inserita. La Chiesa, maestra di vita, attinge dalla legge naturale e dalla Parola di Dio quei principi che indicano le basi irrinunciabili per edificare la famiglia secondo il disegno del Creatore. Cari e venerati Fratelli, non stancatevi di essere sempre coraggiosi difensori della vita e della famiglia; proseguite gli sforzi intrapresi per la formazione umana e religiosa dei fidanzati e delle giovani famiglie. E’ questa un’opera altamente meritoria, che spero sia apprezzata e sostenuta anche dalle istituzioni della società civile.

A voi Pastori è affidato il compito di guidare il Popolo di Dio, proteggerlo, difenderlo e ammaestrarlo nella verità e nell’amore. Cristo, Sommo Sacerdote, è il suo vero Capo e, come insegna il Concilio Vaticano II, è presente in mezzo ai credenti nella persona dei Vescovi, assistiti dai presbiteri (cfr Lumen gentium
LG 21). "Come san Pietro e gli altri Apostoli costituiscono, per istituzione del Signore, un unico collegio apostolico – ricorda il Concilio – similmente il Romano Pontefice, Successore di Pietro, e i Vescovi, successori degli Apostoli, sono congiunti tra loro" (ibid., 22). Preposti alle Chiese particolari i Vescovi "esercitano il loro governo pastorale sulla parte di Popolo di Dio loro affidata, non sulle altre Chiese né sulla Chiesa universale" (ibid., 23). E’ importante, pertanto, che nel pieno rispetto del ministero di ognuno si rafforzi tra il Successore di Pietro e tutti i Pastori un collegialità affettiva ed effettiva. Corpo ben compaginato ed armonico, il Popolo di Dio può così crescere in santità e vitalità missionaria grazie al contributo di ogni suo membro. Venerati Fratelli, alimentate instancabilmente la comunione tra voi e all’interno di ognuna delle vostre Diocesi, valorizzando l’apporto di tutti. Amate i sacerdoti, primi vostri collaboratori e corresponsabili nella pastorale, sosteneteli spiritualmente e, se necessario, materialmente. Quanto più essi disporranno delle indispensabili garanzie per un tenore di vita dignitoso, tanto più serenamente potranno dedicarsi al ministero pastorale loro affidato. Curatene la costante formazione, grazie anche a corsi di aggiornamento, che li aiutino ad approfondire gli insegnamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II e a valorizzare la ricchezza contenuta nei testi liturgici e nei documenti della Chiesa tradotti nelle vostre rispettive lingue. Favorite in essi l’ardore missionario, perché annuncino e testimonino con gioia ed entusiasmo la Buona Novella. Ogni sacerdote sia come "pupilla" del Vescovo, seguito sempre con paterno affetto e stima. Se i presbiteri saranno animati da fiducia e autentico spirito evangelico, sapranno accompagnare validamente il promettente risveglio del laicato, già attivo nelle vostre circoscrizioni ecclesiastiche.

Venerati Fratelli, so che alla sollecitudine per i sacerdoti voi unite opportunamente un’altra importante preoccupazione, quella cioè delle vocazioni e della formazione dei seminaristi e degli aspiranti alla vita consacrata. Anche presso le vostre comunità purtroppo l'irruzione di una mentalità secolarizzata scoraggia vieppiù la risposta positiva dei giovani all'invito di Cristo a seguirlo più da vicino, e per questo va promossa un’attenta pastorale giovanile e vocazionale. Non esitate a proporre esplicitamente alla gioventù l’ideale evangelico, la bellezza della sequela Christi sine glossa, senza compromessi; aiutate quanti si incamminano sulla strada del sacerdozio e della vita consacrata a rispondere con generosità al Signore Gesù, che non cessa di guardare con amore alla sua Chiesa e all’umanità. Quanto ai seminari, assicurate la presenza di formatori dotati di solida umanità e di profonda pietà, aperti al dialogo e alla collaborazione; docenti fedeli all'insegnamento del Magistero e testimoni credibili del Vangelo.

Venerati Fratelli, il Signore vi ha scelti a lavorare nella sua vigna in una società uscita da non molti anni dal triste inverno della persecuzione. Mentre non sono del tutto rimarginate le ferite che il comunismo ha prodotto nelle vostre popolazioni, va crescendo l’influenza di un secolarismo che esalta i miraggi del consumismo e che fa dell’uomo la misura di se stesso. Tutto ciò rende ancor più difficile la vostra azione pastorale, ma senza perdere la fiducia, proseguite instancabili nell’annunciare il Vangelo di Cristo, parola di salvezza per gli uomini di ogni tempo e di ogni cultura. Il Vangelo non mortifica la libertà dell’uomo e l’autentico progresso sociale; al contrario aiuta l’essere umano a realizzarsi pienamente e rinnova la società attraverso la dolce ed esigente legge dell’amore. Vi sostenga nella vostra missione l'intercessione potente di Maria, nostra Madre celeste, e vi sia d’incoraggiamento l'esempio dei martiri rimasti fedeli a Cristo durante le terribili persecuzioni del tempo passato. Io vi assicuro la mia fraterna ed orante vicinanza, mentre di cuore benedico voi, i sacerdoti, i religiosi, le religiose e tutti i fedeli laici affidati alle vostre cure pastorali.



CONCERTO OFFERTO IN ONORE DEL SANTO PADRE DALLA FONDAZIONE DOMENICO BARTOLUCCI Cappella Sistina Sabato, 24 giugno 2006

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
fratelli e sorelle nel Signore!

Al termine di questo concerto, suggestivo per il luogo in cui ci troviamo – la Cappella Sistina – e per l’intensità spirituale delle composizioni eseguite, l’animo avverte spontaneo il bisogno di lodare, di benedire, di ringraziare. Questo sentimento si rivolge innanzitutto al Signore, somma bellezza e armonia, che ha dato all’uomo la capacità di esprimersi con il linguaggio della musica e del canto. “Ad Te levavi animam meam”, diceva poc’anzi l’Offertorio di Giovanni Pierluigi da Palestrina, riecheggiando il salmo (24,1). Veramente le nostre anime si sono elevate verso Dio, e perciò desidero manifestare la mia riconoscenza al Maestro Domenico Bartolucci e alla Fondazione a lui intitolata, che ha progettato e realizzato questa iniziativa. Caro Maestro, Ella ha offerto a me e a tutti noi un dono prezioso, preparando il programma nel quale ha sapientemente accostato una scelta di capolavori del “Principe” della musica sacra polifonica ad alcune tra le opere da Lei stesso composte. In particolare, La ringrazio per aver voluto dirigere personalmente il concerto e per il mottetto Oremus pro Pontifice, che Ella ha scritto subito dopo la mia elezione alla Sede di Pietro. Le sono anche riconoscente per le amabili parole che ha voluto poc’anzi rivolgermi, testimoniando il suo amore per l’arte della musica e la sua passione per il bene della Chiesa. Mi congratulo poi vivamente con il Coro della Fondazione ed estendo il mio “grazie” a quanti hanno in vario modo collaborato. Un saluto cordiale indirizzo infine a quanti con la loro presenza hanno onorato questo nostro incontro.

Tutti i brani ascoltati – e soprattutto il loro insieme, dove stanno in parallelo i secoli XVI e XX – concorrono a confermare la convinzione che la polifonia sacra, in particolare quella della cosiddetta “scuola romana”, costituisce un’eredità da conservare con cura, da tenere viva e da far conoscere, a beneficio non solo degli studiosi e dei cultori, ma della Comunità ecclesiale nel suo insieme, per la quale costituisce un inestimabile patrimonio spirituale, artistico e culturale. La Fondazione Bartolucci mira proprio a custodire e diffondere la tradizione classica e contemporanea di questa celebre scuola polifonica, che si è sempre contraddistinta per l’impostazione incentrata sul puro canto, senza accompagnamento di strumenti. Un autentico aggiornamento della musica sacra non può avvenire che nel solco della grande tradizione del passato, del canto gregoriano e della polifonia sacra. Per questo motivo, nel campo musicale, come anche in quelli delle altre forme artistiche, la Comunità ecclesiale ha sempre promosso e sostenuto quanti ricercano nuove vie espressive senza rinnegare il passato, la storia dello spirito umano, che è anche storia del suo dialogo con Dio.

Lei, venerato Maestro, ha cercato sempre di valorizzare il canto sacro, anche come veicolo di evangelizzazione. Mediante gli innumerevoli concerti eseguiti in Italia e all’estero, con il linguaggio universale dell’arte, la Cappella musicale pontificia da Lei guidata ha così cooperato alla stessa missione dei Pontefici, che è quella di diffondere nel mondo il messaggio cristiano. E tale opera essa continua a svolgere ancora sotto l’attenta direzione del Maestro Giuseppe Liberto.

Cari fratelli e sorelle, in conclusione di questa gradita elevazione musicale, volgiamo lo sguardo alla Vergine Maria, posta alla destra di Cristo Signore nel “Giudizio” michelangiolesco: alla sua materna protezione affidiamo in modo particolare tutti i cultori del canto sacro, affinché, sempre animati da genuina fede e da sincero amore per la Chiesa, offrano il loro prezioso contributo alla preghiera liturgica e concorrano efficacemente all’annuncio del Vangelo. Al Maestro Domenico Bartolucci, ai membri della Fondazione e a tutti voi qui presenti imparto di cuore la Benedizione Apostolica.




Discorsi 2005-13 50606