Discorsi 2005-13 11067

AI PARTECIPANTI AL CORSO DI ASTRONOMIA PROMOSSO DALLA SPECOLA VATICANA Sala del Concistoro Lunedì, 11 giugno 2007

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Cari amici,

sono lieto di salutare la facoltà e gli studenti dell'XI Scuola Estiva della Specola Vaticana e ringrazio il Direttore, Padre José Funes, per le cortesi parole di saluto che mi ha rivolto a vostro nome.
Fin dalla sua creazione, nel 1891, la Specola Vaticana ha cercato di dimostrare il desiderio della Chiesa di accogliere, incoraggiare e promuovere lo studio scientifico sulla base della sua convinzione che "fede e ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità" (Fides et ratio, Introduzione). I Padri e i Fratelli Gesuiti che operano presso la Specola non si impegnano solo nella ricerca astronomica, ma anche nell'offerta di opportunità pedagogiche alla nuova generazione di astronomi. La Scuola Estiva della Specola Vaticana è un segno concreto di tale impegno.

Questo mese il vostro programma è dedicato allo studio dei pianeti extrasolari. Tuttavia, oltre alla vostra impegnativa ricerca, avrete la preziosa opportunità di imparare insieme ad altri studenti di 22 diversi Paesi. L'ampia varietà delle vostre esperienze individuali e tradizioni culturali può essere fonte di grande arricchimento per voi tutti. Vi incoraggio a trarre il massimo da questa esperienza e offro i miei buoni auspici oranti affinché la vostra piccola comunità internazionale possa divenire un segno promettente di una maggiore collaborazione scientifica a beneficio dell'intera famiglia umana.

Nei prossimi giorni, possiate trovare conforto spirituale nello studio delle stelle che "brillano di gioia per colui che le ha create" (
Ba 3,35). Su di voi e sulle vostre famiglie invoco di cuore le benedizioni divine di sapienza, gioia e pace.





APERTURA DEL CONVEGNO DELLA DIOCESI DI ROMA NELLA BASILICA DI SAN GIOVANNI IN LATERANO Lunedì, 11 giugno 2007

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Cari fratelli e sorelle,

per il terzo anno consecutivo il Convegno della nostra Diocesi mi offre la possibilità di incontrarvi e di rivolgermi a voi tutti, affrontando la tematica sulla quale la Chiesa di Roma si concentrerà nel prossimo anno pastorale, in stretta continuità con il lavoro svolto nell’anno che si sta concludendo. Saluto con affetto ciascuno di voi, Vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, laici che partecipate con generosità alla missione della Chiesa. Ringrazio in particolare il Cardinale Vicario per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti voi.

Il tema del Convegno è “Gesù è il Signore. Educare alla fede, alla sequela, alla testimonianza”: un tema che ci riguarda tutti, perché ogni discepolo confessa che Gesù è il Signore ed è chiamato a crescere nell’adesione a Lui, dando e ricevendo aiuto dalla grande compagnia dei fratelli nella fede. Il verbo “educare”, posto nel titolo del Convegno, sottintende però una speciale attenzione ai bambini, ai ragazzi e ai giovani e mette in evidenza quel compito che è proprio anzitutto della famiglia: rimaniamo così all’interno di quel percorso che ha caratterizzato negli ultimi anni la pastorale della nostra Diocesi. E’ importante soffermarci anzitutto sull’affermazione iniziale, che dà il tono e il senso del nostro Convegno: “Gesù è il Signore”. La ritroviamo già nella solenne dichiarazione che conclude il discorso di Pietro a Pentecoste, dove il primo degli Apostoli ha detto: “Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!” (
Ac 2,36). Analoga è la conclusione del grande inno a Cristo contenuto nella Lettera di Paolo ai Filippesi: “Ogni lingua proclami che Gesù è il Signore, a gloria di Dio Padre” (2,11). Ancora San Paolo, nel saluto finale della Prima Lettera ai Corinzi, esclama: “Se qualcuno non ama il Signore sia anàtema. Maranà tha: vieni, o Signore” (1Co 16,22), tramandandoci così l’antichissima invocazione in lingua aramaica di Gesù come Signore. Si potrebbero aggiungere diverse altre citazioni: penso al dodicesimo capitolo della stessa Lettera ai Corinzi, dove san Paolo dice: “Nessuno può dire: «Gesù è il Signore» se non sotto l’azione dello Spirito Santo” (1Co 12,3). E così dichiara che questa è la confessione fondamentale della Chiesa, guidata dallo Spirito Santo. Potremmo pensare anche al decimo capitolo della Lettera ai Romani, dove l’Apostolo dice: “Confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore” (Rm 10,9), ricordando anche ai cristiani di Roma che questa parola - «Gesù è il Signore» - è la confessione comune della Chiesa, il fondamento sicuro di tutta la vita della Chiesa. Da queste parole si è sviluppata tutta la confessione del Credo Apostolico, del Credo Niceno. Anche in un altro passo della Prima Lettera ai Corinzi Paolo afferma: “Anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra… ” – e sappiamo che anche oggi ci sono tanti cosiddetti dèi sulla terra – per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui” (1Co 8,5-6). Così, fin dall’inizio, i discepoli hanno riconosciuto in Gesù risorto colui che è nostro fratello in umanità, ma fa anche tutt’uno con Dio; colui che con la sua venuta nel mondo e in tutta la sua vita, la sua morte e risurrezione ci ha portato Dio, ha reso in maniera nuova e unica Dio presente nel mondo, colui dunque che dà significato e speranza alla nostra vita: in lui incontriamo infatti il vero volto di Dio, ciò di cui abbiamo realmente bisogno per vivere.

Educare alla fede, alla sequela e alla testimonianza vuol dire aiutare i nostri fratelli, o meglio aiutarci scambievolmente, ad entrare in un rapporto vivo con Cristo e con il Padre. E’ questo, fin dall’inizio, il compito fondamentale della Chiesa, come comunità dei credenti, dei discepoli e degli amici di Gesù. La Chiesa, corpo di Cristo e tempio dello Spirito Santo, è quella compagnia affidabile nella quale siamo generati ed educati per diventare, in Cristo, figli ed eredi di Dio. In lei riceviamo quello Spirito “per mezzo del quale gridiamo «Abbà, Padre!»” (Rm 8,14-17). Abbiamo sentito ora nell’omelia di sant’Agostino che Dio non è lontano, è divenuto “via” e la “via” stessa è venuta a noi. Egli dice: “Alzati, pigro, e comincia a camminare!”. Cominciare a camminare vuol dire inoltrarsi sulla “via” che è Cristo stesso, nella compagnia dei credenti; vuol dire camminare aiutandoci reciprocamente a divenire realmente amici di Gesù Cristo e figli di Dio.

L’esperienza quotidiana ci dice – e lo sappiamo tutti - che educare alla fede proprio oggi non è un’impresa facile. Oggi, in realtà, ogni opera di educazione sembra diventare sempre più ardua e precaria. Si parla perciò di una grande “emergenza educativa”, della crescente difficoltà che s’incontra nel trasmettere alle nuove generazioni i valori-base dell’esistenza e di un retto comportamento, difficoltà che coinvolge sia la scuola sia la famiglia e si può dire ogni altro organismo che si prefigga scopi educativi. Possiamo aggiungere che si tratta di un’emergenza inevitabile: in una società e in una cultura che troppo spesso fanno del relativismo il proprio credo - il relativismo è diventato una sorta di dogma -, in una simile società viene a mancare la luce della verità, anzi si considera pericoloso parlare di verità, lo si considera “autoritario”, e si finisce per dubitare della bontà della vita – è bene essere uomo? è bene vivere? - e della validità dei rapporti e degli impegni che costituiscono la vita. Come sarebbe possibile, allora, proporre ai più giovani e trasmettere di generazione in generazione qualcosa di valido e di certo, delle regole di vita, un autentico significato e convincenti obiettivi per l’umana esistenza, sia come persone sia come comunità? Perciò l’educazione tende ampiamente a ridursi alla trasmissione di determinate abilità, o capacità di fare, mentre si cerca di appagare il desiderio di felicità delle nuove generazioni colmandole di oggetti di consumo e di gratificazioni effimere. Così sia i genitori sia gli insegnanti sono facilmente tentati di abdicare ai propri compiti educativi e di non comprendere nemmeno più quale sia il loro ruolo, o meglio la missione ad essi affidata. Ma proprio così non offriamo ai giovani, alle nuove generazioni, quanto è nostro compito trasmettere loro. Noi siamo debitori nei loro confronti anche dei veri valori che danno fondamento alla vita.

Ma questa situazione evidentemente non soddisfa, non può soddisfare, perché lascia da parte lo scopo essenziale dell’educazione, che è la formazione della persona per renderla capace di vivere in pienezza e di dare il proprio contributo al bene della comunità. Cresce perciò, da più parti, la domanda di un’educazione autentica e la riscoperta del bisogno di educatori che siano davvero tali. Lo chiedono i genitori, preoccupati e spesso angosciati per il futuro dei propri figli, lo chiedono tanti insegnanti che vivono la triste esperienza del degrado delle loro scuole, lo chiede la società nel suo complesso, in Italia come in molte altre nazioni, perché vede messe in dubbio dalla crisi dell’educazione le basi stesse della convivenza. In un simile contesto l’impegno della Chiesa per educare alla fede, alla sequela e alla testimonianza del Signore Gesù assume più che mai anche il valore di un contributo per far uscire la società in cui viviamo dalla crisi educativa che la affligge, mettendo un argine alla sfiducia e a quello strano “odio di sé” che sembra diventato una caratteristica della nostra civiltà.

Tutto questo non diminuisce però le difficoltà che incontriamo nel condurre i fanciulli, gli adolescenti e i giovani ad incontrare Gesù Cristo e a stabilire con Lui un rapporto duraturo e profondo. Eppure proprio questa è la sfida decisiva per il futuro della fede, della Chiesa e del cristianesimo ed è quindi una priorità essenziale del nostro lavoro pastorale: avvicinare a Cristo e al Padre la nuova generazione, che vive in un mondo per gran parte lontano da Dio. Cari fratelli e sorelle, dobbiamo sempre essere consapevoli che una simile opera non può essere realizzata con le nostre forze, ma soltanto con la potenza dello Spirito. Sono necessarie la luce e la grazia che vengono da Dio e agiscono nell’intimo dei cuori e delle coscienze. Per l’educazione e formazione cristiana, dunque, è decisiva anzitutto la preghiera e la nostra amicizia personale con Gesù: solo chi conosce e ama Gesù Cristo può introdurre i fratelli in un rapporto vitale con Lui. E proprio mosso da questa necessità ho pensato: sarebbe utile scrivere un libro che aiuti a conoscere Gesù. Non dimentichiamoci mai della parola di Gesù: “Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Jn 15,15-16). Perciò le nostre comunità potranno lavorare con frutto ed educare alla fede e alla sequela di Cristo essendo esse stesse autentiche “scuole” di preghiera (cfr Lett. ap. Novo millennio ineunte, 33), nelle quali si vive il primato di Dio.

L’educazione inoltre, e specialmente l’educazione cristiana, l’educazione cioè a plasmare la propria vita secondo il modello del Dio che è amore (cfr 1Jn 4,8 1Jn 4,16), ha bisogno di quella vicinanza che è propria dell’amore. Soprattutto oggi, quando l’isolamento e la solitudine sono una condizione diffusa, alla quale non pongono un reale rimedio il rumore e il conformismo di gruppo, diventa decisivo l’accompagnamento personale, che dà a chi cresce la certezza di essere amato, compreso ed accolto. In concreto, questo accompagnamento deve far toccare con mano che la nostra fede non è qualcosa del passato, che essa può essere vissuta oggi e che vivendola troviamo realmente il nostro bene. Così i ragazzi e i giovani possono essere aiutati a liberarsi da pregiudizi diffusi e possono rendersi conto che il modo di vivere cristiano è realizzabile e ragionevole, anzi, di gran lunga il più ragionevole. L’intera comunità cristiana, nelle sue molteplici articolazioni e componenti, è chiamata in causa dal grande compito di condurre le nuove generazioni all’incontro con Cristo: su questo terreno, pertanto, deve esprimersi e manifestarsi con particolare evidenza la nostra comunione con il Signore e tra noi, la nostra disponibilità e prontezza a lavorare insieme, a “fare rete”, a realizzare con animo aperto e sincero ogni utile sinergia, cominciando dal contributo prezioso di quelle donne e di quegli uomini che hanno consacrato la propria vita all’adorazione di Dio e all’intercessione per i fratelli.

E’ del tutto evidente, però, che nell’educazione e nella formazione alla fede una missione propria e fondamentale ed una responsabilità primaria competono alla famiglia. I genitori infatti sono coloro attraverso i quali il bambino che si affaccia alla vita fa la prima e decisiva esperienza dell’amore, di un amore che in realtà non è soltanto umano ma è un riflesso dell’amore che Dio ha per lui. Perciò tra la famiglia cristiana, piccola “Chiesa domestica” (cfr Lumen gentium LG 11), e la più grande famiglia della Chiesa deve svilupparsi la collaborazione più stretta, anzitutto riguardo all’educazione dei figli. Tutto quello che è maturato nei tre anni che la nostra pastorale diocesana ha dedicato specificamente alla famiglia va dunque non solo messo a frutto ma incrementato ulteriormente. Ad esempio, i tentativi di coinvolgere maggiormente i genitori e gli stessi padrini e madrine prima e dopo il battesimo, per aiutarli a capire e ad attuare la loro missione di educatori della fede, hanno già dato risultati apprezzabili e meritano di essere continuati e di diventare patrimonio comune di ciascuna parrocchia. Lo stesso vale per la partecipazione delle famiglie alla catechesi e a tutto l’itinerario di iniziazione cristiana dei fanciulli e degli adolescenti.

Sono molte, certamente, le famiglie impreparate a un tale compito e non mancano quelle che sembrano non interessate, se non contrarie, all’educazione cristiana dei propri figli: si fanno sentire qui anche le conseguenze della crisi di tanti matrimoni. Raramente si incontrano però genitori del tutto indifferenti riguardo alla formazione umana e morale dei figli, e quindi non disponibili a farsi aiutare in un’opera educativa che essi avvertono come sempre più difficile. Si apre pertanto uno spazio di impegno e di servizio per le nostre parrocchie, oratori, comunità giovanili, e anzitutto per le stesse famiglie cristiane, chiamate a farsi prossimo di altre famiglie per sostenerle ed assisterle nell’educazione dei figli, aiutandole così a ritrovare il senso e lo scopo della vita di coppia. Passiamo adesso ad altri soggetti dell’educazione alla fede.

Man mano che i ragazzi crescono aumenta naturalmente in loro il desiderio di autonomia personale, che diventa facilmente, soprattutto nell’adolescenza, presa di distanza critica dalla propria famiglia. Si rivela allora particolarmente importante quella vicinanza che può essere assicurata dal sacerdote, dalla religiosa, dal catechista o da altri educatori capaci di rendere concreto per il giovane il volto amico della Chiesa e l’amore di Cristo. Per generare effetti positivi che durino nel tempo, la nostra vicinanza deve essere consapevole che il rapporto educativo è un incontro di libertà e che la stessa educazione cristiana è formazione all’autentica libertà. Non c’è infatti vera proposta educativa che non stimoli a una decisione, per quanto rispettosamente e amorevolmente, e proprio la proposta cristiana interpella a fondo la libertà, chiamandola alla fede e alla conversione. Come ho detto al Convegno ecclesiale di Verona, “un’educazione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni definitive, che oggi vengono considerate un vincolo che mortifica la nostra libertà, ma in realtà sono indispensabili per crescere e raggiungere qualcosa di grande nella vita, in particolare per far maturare l’amore in tutta la sua bellezza: quindi per dare consistenza e significato alla stessa libertà” (Discorso del 19 ottobre 2006). Quando avvertono di essere rispettati e presi sul serio nella loro libertà, gli adolescenti e i giovani, pur con la loro incostanza e fragilità, non sono affatto indisponibili a lasciarsi interpellare da proposte esigenti: anzi, si sentono attratti e spesso affascinati da esse. Vogliono anche mostrare la loro generosità nella dedizione ai grandi valori che sono perenni e costituiscono il fondamento della vita.

L’educatore autentico prende ugualmente sul serio la curiosità intellettuale che esiste già nei fanciulli e con il passare degli anni assume forme più consapevoli. Sollecitato e spesso confuso dalla molteplicità di informazioni e dal contrasto delle idee e delle interpretazioni che gli vengono continuamente proposte, il giovane di oggi conserva tuttavia dentro di sé un grande bisogno di verità: è aperto quindi a Gesù Cristo che, come ci ricorda Tertulliano (De virginibus velandis, I,1), “ha affermato di essere la verità, non la consuetudine”. E’ nostro compito cercare di rispondere alla domanda di verità ponendo senza timori la proposta della fede a confronto con la ragione del nostro tempo. Aiuteremo così i giovani ad allargare gli orizzonti della loro intelligenza, aprendosi al mistero di Dio, nel quale si trova il senso e la direzione dell’esistenza, e superando i condizionamenti di una razionalità che si fida soltanto di ciò che può essere oggetto di esperimento e di calcolo. E’ quindi molto importante sviluppare quella che già lo scorso anno abbiamo chiamato “pastorale dell’intelligenza”.

Il lavoro educativo passa attraverso la libertà, ma ha anche bisogno di autorevolezza. Perciò, specialmente quando si tratta di educare alla fede, è centrale la figura del testimone e il ruolo della testimonianza. Il testimone di Cristo non trasmette semplicemente informazioni, ma è coinvolto personalmente con la verità che propone e attraverso la coerenza della propria vita diventa attendibile punto di riferimento. Egli non rimanda però a se stesso, ma a Qualcuno che è infinitamente più grande di lui, di cui si è fidato ed ha sperimentato l’affidabile bontà. L’autentico educatore cristiano è dunque un testimone che trova il proprio modello in Gesù Cristo, il testimone del Padre che non diceva nulla da se stesso, ma parlava così come il Padre gli aveva insegnato (cfr Jn 8,28). Questo rapporto con Cristo e con il Padre è per ciascuno di noi, cari fratelli e sorelle, la condizione fondamentale per essere efficaci educatori alla fede.

Il nostro Convegno parla molto giustamente di educazione non solo alla fede e alla sequela, ma anche alla testimonianza di Gesù Signore. La testimonianza attiva da rendere a Cristo non riguarda dunque soltanto i sacerdoti, le religiose, i laici che hanno nelle nostre comunità compiti di formatori, ma gli stessi ragazzi e giovani e tutti coloro che vengono educati alla fede. La consapevolezza di essere chiamati a diventare testimoni di Cristo non è pertanto qualcosa che si aggiunge dopo, una conseguenza in qualche modo esterna alla formazione cristiana, come purtroppo spesso si è pensato e anche oggi si continua a pensare, ma al contrario è una dimensione intrinseca ed essenziale dell’educazione alla fede e alla sequela, così come la Chiesa è missionaria per sua stessa natura (cfr Ad gentes AGD 2). Fin dall’inizio della formazione dei fanciulli, per arrivare, con un cammino progressivo, alla formazione permanente dei cristiani adulti, bisogna quindi che mettano radici nell’animo dei credenti la volontà e la convinzione di essere partecipi della vocazione missionaria della Chiesa, in tutte le situazioni e circostanze della propria vita: non possiamo infatti tenere per noi la gioia della fede, dobbiamo diffonderla e trasmetterla, e così rafforzarla anche nel nostro cuore. Se la fede realmente diviene gioia di aver trovato la verità e l’amore, è inevitabile provare desiderio di trasmetterla, di comunicarla agli altri. Passa di qui, in larga misura, quella nuova evangelizzazione a cui il nostro amato Papa Giovanni Paolo II ci ha chiamati. Un’esperienza concreta, che potrà far crescere nei giovani delle parrocchie e delle varie aggregazioni ecclesiali la volontà di testimoniare la propria fede, è la “Missione giovani” che state progettando, dopo il felice risultato della grande “Missione cittadina”.

Nell’educazione alla fede un compito molto importante è affidato alla scuola cattolica. Essa infatti adempie alla propria missione basandosi su un progetto educativo che pone al centro il Vangelo e lo tiene come decisivo punto di riferimento per la formazione della persona e per tutta la proposta culturale. In convinta sinergia con le famiglie e con la comunità ecclesiale, la scuola cattolica cerca dunque di promuovere quell’unità tra la fede, la cultura e la vita che è obiettivo fondamentale dell’educazione cristiana. Anche le scuole statali, secondo forme e modi diversi, possono essere sostenute nel loro compito educativo dalla presenza di insegnanti credenti – in primo luogo, ma non esclusivamente, i docenti di religione cattolica – e di alunni cristianamente formati, oltre che dalla collaborazione di tante famiglie e della stessa comunità cristiana. La sana laicità della scuola, come delle altre istituzioni dello Stato, non implica infatti una chiusura alla Trascendenza e una falsa neutralità rispetto a quei valori morali che sono alla base di un’autentica formazione della persona. Un discorso analogo vale naturalmente per le Università ed è davvero di buon auspicio che a Roma la pastorale universitaria abbia potuto svilupparsi in tutti gli Atenei, tanto tra i docenti che tra gli studenti, e sia in atto una feconda collaborazione tra le istituzioni accademiche civili e pontificie.

Oggi più che nel passato l’educazione e la formazione della persona sono influenzate da quei messaggi e da quel clima diffuso che vengono veicolati dai grandi mezzi di comunicazione e che si ispirano ad una mentalità e cultura caratterizzate dal relativismo, dal consumismo e da una falsa e distruttiva esaltazione, o meglio profanazione, del corpo e della sessualità. Perciò, proprio per quel grande “sì” che come credenti in Cristo diciamo all’uomo amato da Dio, non possiamo certo disinteressarci dell’orientamento complessivo della società a cui apparteniamo, delle tendenze che la animano e degli influssi positivi o negativi che essa esercita sulla formazione delle nuove generazioni. La presenza stessa della comunità dei credenti, il suo impegno educativo e culturale, il messaggio di fede, di fiducia e di amore di cui è portatrice sono in realtà un servizio inestimabile verso il bene comune e specialmente verso i ragazzi e i giovani che si stanno formando e preparando alla vita.

Cari fratelli e sorelle, c’è un ultimo punto sul quale desidero attirare la vostra attenzione: esso è sommamente importante per la missione della Chiesa e chiede il nostro impegno e anzitutto la nostra preghiera. Mi riferisco alle vocazioni a seguire più da vicino il Signore Gesù nel sacerdozio ministeriale e nella vita consacrata. La Diocesi di Roma negli ultimi decenni è stata allietata dal dono di molte ordinazioni sacerdotali, che hanno consentito di colmare le lacune del periodo precedente e anche di venire incontro alle richieste di non poche Chiese sorelle bisognose di clero; ma i segnali più recenti sembrano meno favorevoli e stimolano tutta la nostra comunità diocesana a rinnovare al Signore, con umiltà e fiducia, la richiesta di operai per la sua messe (cfr Mt 9,37-38 Lc 10,2). In maniera sempre delicata e rispettosa, ma anche chiara e coraggiosa, dobbiamo rivolgere un peculiare invito alla sequela di Gesù a quei giovani e a quelle giovani che appaiono più attratti e affascinati dall’amicizia con Lui. In questa prospettiva la Diocesi destinerà qualche nuovo sacerdote specificamente alla cura delle vocazioni, ma sappiamo bene che in questo campo sono decisivi la preghiera e la qualità complessiva della nostra testimonianza cristiana, l’esempio di vita dei sacerdoti e delle anime consacrate, la generosità delle persone chiamate e delle famiglie da cui esse provengono.

Cari fratelli e sorelle, vi affido queste riflessioni come contributo per il dialogo di queste serate e per il lavoro del prossimo anno pastorale. Il Signore ci doni sempre la gioia di credere in Lui, di crescere nella sua amicizia, di seguirlo nel cammino della vita e di rendergli testimonianza in ogni situazione, così che possiamo trasmettere a chi verrà dopo di noi l’immensa ricchezza e bellezza della fede in Gesù Cristo. Il mio affetto e la mia benedizione vi accompagnano nel vostro lavoro. Grazie per la vostra attenzione!





AI PARTECIPANTI ALLA RIUNIONE DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE DELLA FONDAZIONE "POPULORUM PROGRESSIO" PER L’AMERICA LATINA Sala del Concistoro Giovedì, 14 giugno 2007

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Cari Fratelli nell'Episcopato,
Amati fratelli e sorelle,

Sono lieto di ricevere e di salutare con affetto i membri del Consiglio di Amministrazione della Fondazione "Populorum Progressio" per i Paesi dell'America Latina e dei Caraibi, in occasione della sua riunione annuale. Quest'anno celebriamo il quarantesimo anniversario dell'Enciclica del mio predecessore Paolo VI, che dà il nome alla Fondazione. Desidero ringraziare il suo Presidente, l'Arcivescovo Monsignor Paul Josef Cordes, per le cordiali parole che mi ha rivolto a nome anche di tutti voi. Ringrazio inoltre per la presenza di vari Vescovi che provengono dal "Continente della Speranza", alcuni dei quali ho potuto salutare nella mia recente visita apostolica in Brasile. Saluto parimenti i rappresentanti della Conferenza Episcopale Italiana, che tanto generosamente contribuisce a far sì che divengano realtà le parole di Sant'Ignazio di Antiochia, quando dice che la Chiesa di Roma "presiede alla carità" (Ai Romani, Proemio). In modo particolare, rendo grazie a tutti coloro che ci aiutano a compiere questa missione tanto significativa. Desidero salutare, infine, i collaboratori del Pontificio Consiglio Cor Unum, presenti anche in questo incontro con il Successore di Pietro. Grazie per il costante lavoro che state portando avanti a favore dei più poveri.

Da quindici anni, quando il mio amato predecessore Giovanni Paolo II ha creato la Fondazione "Populorum Progressio", affidandola alla responsabilità del Pontificio Consiglio Cor Unum, questa si è dedicata a promuovere la missione della Chiesa sostenendo iniziative specifiche a favore delle popolazioni indigene, contadine e afroamericane dei Paesi latinoamericani e caraibici.

Nell'istituire questa Fondazione, il Papa aveva in mente i popoli che, minacciati nei loro costumi ancestrali da una cultura postmoderna, possono vedere distrutte le loro tradizioni, così disposte ad accogliere la verità del Vangelo. La Fondazione è frutto della grande sensibilità che Giovanni Paolo II dimostrava per gli uomini e le donne che più soffrono nella nostra società. Questa opera, intrapresa quindici anni fa, deve continuare a seguire i principi che hanno contraddistinto il suo impegno a favore della dignità di ogni essere umano e della lotta contro la povertà.

Desidero sottolineare qui due caratteristiche della Fondazione. In primo luogo lo sviluppo dei popoli deve avere come principio pastorale una visione antropologica globale della persona umana, aspetto che l'articolo secondo degli Statuti della Fondazione chiama "promozione integrale". In tal senso, nel definire questo concetto, Papa Paolo VI affermava nella sua Enciclica: "È un umanesimo plenario che occorre promuovere. Che vuol dire ciò, se non lo sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini? Un umanesimo chiuso, insensibile ai valori dello spirito e a Dio che ne è fonte, potrebbe apparentemente avere maggiori possibilità di trionfare.... Non v'è dunque umanesimo vero se non aperto verso l'Assoluto, nel riconoscimento d'una vocazione, che offre l'idea vera della vita umana" (n. 42). Questa promozione integrale tiene conto dell'aspetto sociale e materiale della vita, come anche dell'annuncio di fede, che dà all'uomo il significato pieno del suo essere. Spesso la vera povertà dell'uomo è la mancanza di speranza, l'assenza di un Padre che dia senso alla sua esistenza: "Spesso è proprio l'assenza di Dio la radice più profonda della sofferenza" (Deus caritas est ).

La seconda caratteristica è l'esemplarità del metodo di lavoro della Fondazione, modello per qualsiasi struttura di aiuto. I progetti vengono studiati da un Consiglio di Amministrazione, composto da Vescovi di diverse aree dell'America Latina, i quali ne fanno una valutazione. In tal modo, la decisione è in mano a quanti conoscono bene i problemi di quelle popolazioni e i loro bisogni concreti. Così, da un lato si evita un certo paternalismo, sempre umiliante per i poveri e che frena le loro iniziative, e dall'altro i fondi giungono nella loro totalità ai più bisognosi senza perdersi in complessi iter burocratici.

Come ho affermato nel mio recente viaggio pastorale ad Aparecida, la Chiesa in quelle nazioni affronta enormi sfide, ma allo stesso tempo è la "Chiesa della speranza", che sente il bisogno di lottare a favore della dignità di ogni uomo, di una vera giustizia e contro la miseria dei nostri simili.

L'America Latina è una parte del mondo, ricca per le sue risorse naturali, dove le disparità nel livello di vita devono lasciare il posto a questo spirito di condivisione dei beni, che si manifesta nella conversione e nel successivo atteggiamento di Zaccheo, il pubblicano del Vangelo: "Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto" (
Lc 19,8). Di fronte alla secolarizzazione, alla proliferazione delle sette e all'indigenza di tanti fratelli, è urgente formare comunità unite nella fede, come la Santa Famiglia di Nazaret, nelle quali la testimonianza gioiosa di chi ha incontrato il Signore sia la luce che illumini quanti stanno cercando una vita più degna.

Affido i lavori di questo Pontificio Consiglio Cor Unum e della Fondazione "Populorum Progressio" all'intercessione di Nostra Signora di Guadalupe, patrona di tutta l'America. Che Ella vi assista e vi guidi sempre! Quale espressione di questi vivi auspici, imparto con affetto a tutti voi, ai vostri familiari e collaboratori, la Benedizione Apostolica.



AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DELLA REPUBBLICA SLOVACCA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Venerdì, 15 giugno 2007

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Cari Fratelli nell’Episcopato!

Con grande gioia vi incontro tutti insieme, in occasione della Visita ad Limina che state compiendo in questi giorni e rivolgo a ciascuno di voi il mio saluto cordiale, estendendolo volentieri alle vostre rispettive Comunità diocesane. Attraverso di voi vorrei inviare il mio saluto all’intero Popolo slovacco, evangelizzato dai Santi Cirillo e Metodio, e che, nel secolo scorso, ha dovuto patire pesanti sofferenze e persecuzioni da parte del regime totalitario comunista. Mi piace ricordare come tra i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i laici che hanno reso in quegli anni non lontani una testimonianza eroica, vi sia anche il Cardinale Ján Chryzostom Korec, al quale vi prego di recare il mio abbraccio fraterno. Alla vostra amata Nazione era molto legato Giovanni Paolo II, che nella sua terza visita in Slovacchia, nel settembre del 2003, scelse come motto: “Fedeli a Cristo, fedeli alla Chiesa”. Questo motto continua ad essere un autentico programma apostolico e missionario non solo per la Chiesa in Slovacchia, ma per tutto il Popolo di Dio, sottoposto com’è, specialmente in Europa, ad una insistente pressione ideologica che vorrebbe il cristianesimo ridotto alla mera dimensione “privata”.

In effetti, la Slovacchia sta entrando sempre di più, dal punto di vista religioso-culturale, nella dinamica tipica di altri Paesi europei di antica tradizione cristiana, fortemente segnati, in questa nostra epoca, da un vasto processo di secolarizzazione. Le comunità cristiane, che hanno conservato antiche e radicate pratiche religiose cattoliche, dopo essere uscite dal tunnel della persecuzione, si trovano oggi a percorrere il cammino del rinnovamento promosso dal Concilio Vaticano II. Esse si preoccupano giustamente di custodire il proprio prezioso patrimonio spirituale e in pari tempo di aggiornarlo; si sforzano di rimanere fedeli alle proprie radici e di condividere le loro esperienze con le altre Chiese che sono in Europa, in un fraterno “scambio di doni” atto ad arricchire tutti. La Slovacchia e la Polonia, che nell’Est dell’Europa sono i due Paesi portatori della più ricca eredità di tradizione cattolica, sono attualmente esposte al rischio di vedere tale patrimonio, che il regime comunista non è riuscito a distruggere, pesantemente intaccato dai fermenti caratteristici delle società occidentali: il consumismo, l’edonismo, il laicismo, il relativismo ecc. Ho ascoltato in questi giorni le vostre testimonianze ed ho appreso, ad esempio, che molte parrocchie di campagna – quelle che più conservano la tradizionale cultura e spiritualità cristiane – vedono diminuire la loro popolazione, che tende ad accentrarsi nelle città più grandi, in cerca di maggior benessere e di più redditizie occupazioni lavorative.

Questa, venerati e cari Fratelli, è la situazione in cui il Signore vi chiama a svolgere il vostro ministero episcopale. So che, proprio per rispondere alle mutate esigenze pastorali, da tempo siete impegnati nell’elaborazione del Piano per la Pastorale e l’Evangelizzazione (P.E.P.) della Chiesa cattolica in Slovacchia per gli anni 2007-2013, piano che dovrebbe essere approvato nel prossimo mese di ottobre. In vista del 2013, anno in cui commemorerete il 1150° anniversario dell’inizio della missione dei Santi Cirillo e Metodio nelle vostre Terre, vi siete così proposti di far rivivere e rendere attuale l’azione evangelizzatrice dei due santi Fratelli di Salonicco. E come punto di partenza di questa corale mobilitazione missionaria avete posto la riscoperta della tradizione e delle radici cristiane, vive e profonde nel vostro popolo.

Si tratta di un’impresa pastorale che vuole abbracciare tutti gli ambiti della società e rispondere alle attese del Popolo slovacco, prestando singolare attenzione alle esigenze spirituali dei giovani e delle famiglie. Ecco perché dedicate grande cura alla pastorale giovanile sia nell’ambito scolastico che in quello parrocchiale. L’esperienza vi dice che una formazione di qualità nell’ambito scolastico è quanto mai utile per il futuro delle nuove generazioni e, al riguardo, un contributo prezioso lo offrono le scuole cattoliche, che in Slovacchia sono numerose. Incominciando dalle scuole materne fino alle superiori, esse si sforzano di assicurare agli studenti un’istruzione di qualità e, al tempo stesso, un’educazione spirituale, morale e umana integrale. Per quanto poi riguarda la pastorale giovanile parrocchiale, so che potete contare sul ministero di numerosi sacerdoti giovani per offrire ai ragazzi e alle ragazze, oltre alla dovuta preparazione ai Sacramenti dell’iniziazione cristiana, un vero e proprio itinerario di crescita spirituale e comunitaria. Raccomando vivamente che ogni proposta sia sempre inserita in organici progetti di formazione, così da educare i giovani a collegare sempre la fede con la vita. Solo così, infatti, potrete aiutarli a formarsi una coscienza cristiana capace di resistere alle lusinghe del consumismo sempre più insidiose ed invasive.

Per quanto, poi, riguarda la realtà delle famiglie, ho appreso che anche la Slovacchia comincia a risentire della crisi del matrimonio e della natalità e ciò, in primo luogo, per cause di carattere economico, che inducono le giovani coppie di fidanzati a rimandare il loro matrimonio. Si registra, inoltre, una diminuita considerazione sociale del valore del matrimonio, a cui si unisce una fragilità delle nuove generazioni, timorose spesso di assumere stabili decisioni e impegni per tutta la vita. Altro fattore destabilizzante è senz’altro l’attacco sistematico al matrimonio e alla famiglia condotto nell’ambito di una certa cultura e dei mass-media. In questo quadro, che cosa deve fare la Chiesa se non intensificare la preghiera e continuare ad impegnarsi con forza per sostenere le famiglie nell’affrontare le sfide del presente? Grazie a Dio, nel vostro Paese è ben strutturata la pastorale dei Sacramenti legata a quella della famiglia: Matrimonio, Battesimo dei bambini, Prima Comunione e Confermazione prevedono una preparazione obbligatoria ed è impegno costante di voi Pastori, e dei sacerdoti che vi coadiuvano, quello di aiutare le famiglie a percorrere un autentico cammino di fede e di vita cristiana comunitaria. A questa vostra azione pastorale possono offrire un valido sostegno i gruppi, i movimenti e le associazioni laicali ecclesiali, impegnati in prima linea nella promozione della vita coniugale e familiare e nella diffusione dell’insegnamento della Chiesa sul matrimonio, sulla famiglia, sulla morale sessuale e sui temi della bioetica.

All’incrocio tra la pastorale della famiglia e quella dei giovani sta la pastorale delle vocazioni. La Slovacchia è una nazione che, dopo il 1990, ha conosciuto una rigogliosa fioritura di vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. All’unico Seminario rimasto aperto durante la dittatura, se ne sono aggiunti altri cinque in questi anni, e oggi quasi tutte le parrocchie sono provviste del loro pastore. Ringraziamo il Signore per questa ricchezza di sacerdoti e, in particolare, di giovani sacerdoti. Tuttavia, come era prevedibile, tale primavera non poteva durare a lungo e quindi ogni comunità cristiana è oggi stimolata a dare priorità ad un’attenta pastorale vocazionale. La formazione dei ministranti è, in tale direzione, una buona via; molte parrocchie la seguono, in collaborazione con i Seminari. Naturalmente l’aumento numerico e qualitativo delle vocazioni dipende pure dalla vita spirituale delle famiglie: lavorare per e con le famiglie è pertanto un modo quanto mai opportuno per favorire il nascere e il consolidarsi delle vocazioni al sacerdozio ed alla vita consacrata. Non si dimentichi, inoltre, che tutto deve essere alimentato da costante e intensa preghiera.

Cari e venerati Fratelli, continuate ad intrattenere rapporti paterni e aperti con i vostri sacerdoti; cercate di farvi carico delle loro difficoltà, sosteneteli e preoccupatevi della loro formazione spirituale, promovendo per loro opportuni incontri pastorali, ritiri ed esercizi spirituali. Mi rallegro perché, secondo le direttive del Concilio Vaticano II, ogni vostra Diocesi ha elaborato un piano formativo che prevede una saggia collaborazione tra sacerdoti anziani e giovani, per venire incontro alle diverse esigenze di ciascuno. Recate a questi vostri primi collaboratori il mio cordiale saluto ed assicurate loro che li ricordo nella preghiera. Fatevi poi interpreti del mio affetto spirituale con tutti i fedeli affidati alle vostre cure pastorali, specialmente con i malati e le persone più bisognose. Su ciascuno invoco la celeste protezione della Vergine Addolorata, Patrona della Slovacchia. Con questi sentimenti, imparto di cuore a voi, cari Confratelli, una speciale Benedizione Apostolica, che volentieri estendo ai fedeli delle vostre Comunità cristiane ed a tutti gli abitanti del vostro amato Paese.




Discorsi 2005-13 11067