Discorsi 2005-13 19106


VISITA ALLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE Aula Magna della Pontificia Università Lateranense Sabato, 21 ottobre 2006

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Saluto improvvisato all'arrivo all'università:

Sono felice di essere qui nella "mia" Università, perché questa è l’Università del Vescovo di Roma. So che qui si cerca la verità e così, in ultima analisi, si cerca Cristo, perché è Lui la Verità in persona. Questo cammino verso la verità - cercare di conoscere meglio la verità in tutte le sue espressioni - è in realtà un servizio fondamentalmente ecclesiale. Un grande teologo belga ha scritto un libro: "L’amore delle lettere e il desiderio di Dio", e ha mostrato che nella tradizione del monachesimo le due cose vanno insieme, perché Dio è Parola e parla a noi tramite la Scrittura. Quindi suppone che noi cominciamo a leggere, a studiare, ad approfondire la conoscenza delle lettere e così approfondiamo la nostra conoscenza della Parola. In questo senso, l’apertura della Biblioteca è un avvenimento sia universitario, accademico, sia anche spirituale e teologico, perché proprio leggendo, in cammino verso la verità, studiando le parole per trovare la Parola, siamo al servizio del Signore. Un servizio del Vangelo per il mondo, perché il mondo ha bisogno della verità. Senza verità non c’è libertà, non siamo completamente nell’idea originaria del Creatore.

Grazie a voi per il vostro lavoro! Il Signore vi benedica in tutto questo anno accademico.

***


Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Illustri Signori e gentili Signore,
Carissimi studenti!

Mi è particolarmente gradito poter condividere con voi l'inizio dell'Anno Accademico, che coincide con la solenne inaugurazione della nuova Biblioteca e di questa Aula Magna. Ringrazio il Gran Cancelliere, il Signor Cardinale Camillo Ruini, per le parole di benvenuto che così gentilmente ha voluto rivolgermi a nome di tutta la comunità accademica. Saluto il Rettore Magnifico, Mons. Rino Fisichella, e lo ringrazio di quanto ha detto dando inizio a questo solenne atto accademico. Saluto i Cardinali, gli Arcivescovi e Vescovi, le Autorità accademiche e tutti i Professori, come anche quanti operano all’interno dell’Università. Saluto poi con speciale affetto tutti gli studenti, perchè l'Università è creata per loro.

Ricordo con piacere la mia ultima visita al Laterano e, come se il tempo non fosse passato, vorrei ricollegarmi al tema allora in oggetto, quasi lo avessimo interrotto solo per qualche istante. Un contesto come quello accademico invita in modo del tutto peculiare ad entrare di nuovo nel tema della crisi di cultura e di identità, che questi decenni pongono non senza drammaticità sotto i nostri occhi. L'Università è uno dei luoghi più qualificati per tentare di trovare le strade opportune per uscire da questa situazione. Nell’Università, infatti, si custodisce la ricchezza della tradizione che permane viva nei secoli - e proprio la Biblioteca è uno strumento essenziale per custodire la ricchezza della tradizione -; in essa può essere illustrata la fecondità della verità quando viene accolta nella sua autenticità con animo semplice ed aperto. Nell’Università si formano le nuove generazioni, che attendono una proposta seria, impegnativa e capace di rispondere in nuovi contesti alla perenne domanda sul senso della propria esistenza. Questa attesa non dev’essere delusa. Il contesto contemporaneo sembra dare il primato a un’intelligenza artificiale che diventa sempre più succube della tecnica sperimentale e dimentica in questo modo che ogni scienza deve pur sempre salvaguardare l’uomo e promuovere la sua tensione verso il bene autentico. Sopravvalutare il "fare" oscurando l’"essere" non aiuta a ricomporre l’equilibrio fondamentale di cui ognuno ha bisogno per dare alla propria esistenza un solido fondamento e una valida finalità.

Ogni uomo, infatti, è chiamato a dare senso al proprio agire soprattutto quando questo si pone nell’orizzonte di una scoperta scientifica che inficia l’essenza stessa della vita personale. Lasciarsi prendere dal gusto della scoperta senza salvaguardare i criteri che vengono da una visione più profonda farebbe cadere facilmente nel dramma di cui parlava il mito antico: il giovane Icaro, preso dal gusto del volo verso la libertà assoluta e incurante dei richiami del vecchio padre Dedalo, si avvicina sempre di più al sole, dimenticando che le ali con cui si è alzato verso il cielo sono di cera. La caduta rovinosa e la morte sono lo scotto che egli paga a questa sua illusione. La favola antica ha una sua lezione di valore perenne. Nella vita vi sono altre illusioni a cui non ci si può affidare, senza rischiare conseguenze disastrose per la propria ed altrui esistenza.

Il docente universitario ha il compito non solo di indagare la verità e di suscitarne perenne stupore, ma anche di promuoverne la conoscenza in ogni sfaccettatura e di difenderla da interpretazioni riduttive e distorte. Porre al centro il tema della verità non è un atto meramente speculativo, ristretto a una piccola cerchia di pensatori; al contrario, è una questione vitale per dare profonda identità alla vita personale e suscitare la responsabilità nelle relazioni sociali (cfr
Ep 4,25). Di fatto, se si lascia cadere la domanda sulla verità e la concreta possibilità per ogni persona di poterla raggiungere, la vita finisce per essere ridotta ad un ventaglio di ipotesi, prive di riferimenti certi. Come diceva il famoso umanista Erasmo: "Le opinioni sono fonte di felicità a buon prezzo! Apprendere la vera essenza delle cose, anche se si tratta di cose di minima importanza, costa una grande fatica" (Elogio della follia, XL VII). E’ questa fatica che l’Università deve impegnarsi a compiere; essa passa attraverso lo studio e la ricerca, in spirito di paziente perseveranza. Questa fatica, comunque, abilita ad entrare progressivamente nel cuore delle questioni e apre alla passione per la verità e alla gioia per averla trovata. Permangono con la loro carica di attualità le parole del santo Vescovo Anselmo di Aosta: "Che io ti cerchi desiderando, che ti desideri cercando, che ti trovi amando, che ti ami ritrovandoti" (Proslogion, l). Lo spazio del silenzio e della contemplazione, che sono lo scenario indispensabile su cui collocare gli interrogativi che la mente suscita, possa trovare tra queste mura persone attente che ne sappiano valutare l’importanza, l’efficacia e le conseguenze per il vivere personale e sociale.

Dio è la verità ultima a cui ogni ragione naturalmente tende, sollecitata dal desiderio di compiere fino in fondo il percorso assegnatole. Dio non è una parola vuota né un’ipotesi astratta; al contrario, è il fondamento su cui costruire la propria vita. Vivere nel mondo "veluti si Deus daretur" comporta l’assunzione di una responsabilità che sa farsi carico di indagare ogni percorso fattibile pur di avvicinarsi il più possibile a Lui, che è il fine verso cui tutto tende (cfr 1Co 15,24). Il credente sa che questo Dio ha un volto e che, una volta per sempre, con Gesù Cristo si è fatto vicino ad ogni uomo. Lo ha ricordato con acutezza il Concilio Vaticano II: "Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, Egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile, fuorché nel peccato" (Gaudium et spes GS 22). Conoscere Lui è conoscere la verità piena, grazie alla quale si trova la libertà: "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Jn 8,32).

Prima di concludere, desidero esprimere vivo apprezzamento per la realizzazione del nuovo complesso edilizio che ben completa le strutture universitarie, rendendole sempre più atte allo studio, alla ricerca e all’animazione della vita dell’intera comunità. Avete voluto dedicare alla mia povera persona questa Aula Magna. Vi ringrazio per il pensiero; mi auguro che possa essere un centro fecondo di attività scientifica attraverso cui l’Università del Laterano possa farsi strumento di un fruttuoso dialogo tra le diverse realtà religiose e culturali, nella comune ricerca di percorsi che favoriscano il bene e il rispetto di tutti.

Con questi sentimenti, mentre chiedo al Signore di effondere in questo luogo l’abbondanza dei suoi lumi, affido il cammino di questo Anno accademico alla protezione della Vergine Santissima, e a tutti imparto la propiziatrice Benedizione Apostolica.



PER IL VENTICINQUESIMO ANNIVERSARIO DELLA FONDAZIONE GIOVANNI PAOLO II Aula delle Benedizioni Lunedì, 23 ottobre 2006

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Illustri Signori e Signore!

Saluto cordialmente tutti voi, giunti a Roma, per celebrare solennemente il venticinquesimo anniversario della Fondazione Giovanni Paolo II. Ringrazio il Signor Cardinale Stanislaw Dziwisz, metropolita di Cracovia, per le parole appena rivoltemi. Do il benvenuto al Signor Cardinale Adam Maida e a tutti gli Arcivescovi e Vescovi qui presenti. Saluto il Consiglio della Fondazione con a capo il suo presidente, l'arcivescovo Szczepan Wesoly, i direttori delle singole istituzioni della Fondazione, come anche i presidenti e i membri dei Circoli degli Amici della Fondazione, che sono giunti da diversi paesi del mondo.

Sono lieto di poter ospitare oggi i rappresentanti di coloro che in tutto il mondo si impegnano per mantenere viva la memoria di Giovanni Paolo II, del suo insegnamento e dell’opera apostolica da Lui svolta nel corso del Pontificato. E bisogna dire che questo è un impegno veramente promettente, perché non si riferisce soltanto all’archivistica o alla ricerca, ma ormai tocca il mistero della santità del Servo di Dio. Grazie al vostro sostegno spirituale ed economico, la Fondazione continua l’attività delineata dagli Statuti nel campo sia culturale e scientifico, che sociale e pastorale. Raccoglie la documentazione riguardante il pontificato di Giovanni Paolo II, studia e diffonde l'insegnamento pontificio e il magistero della Chiesa, allacciando i contatti e collaborando con i centri scientifici e artistici polacchi ed internazionali. Quest’impegno della Fondazione assume un nuovo significato dopo la scomparsa del Pontefice. La raccolta dei scritti pontifici e della ricca documentazione dell’attività della Santa Sede, nonché delle opere letterarie e degli commenti presentati nei mezzi di comunicazione sociale, sicuramente è un archivio completo, ben organizzato, e costituisce una base per lo studio accurato e approfondito del patrimonio spirituale di Giovanni Paolo II. Proprio questa dimensione dell’attività della Fondazione vorrei oggi sottolineare, perché di primaria importanza: lo studio del Pontificato. Giovanni Paolo II, filosofo e teologo, grande pastore della Chiesa, ha lasciato una ricchezza di scritti e di gesti che esprimono il suo desiderio di diffondere il Vangelo di Cristo nel mondo, adoperando i metodi indicati dal Concilio Vaticano II e di tracciare le linee di sviluppo della vita della Chiesa nel nuovo millennio. Questi doni preziosi non possono essere dimenticati. Oggi affido a voi, cari membri e amici della Fondazione Giovanni Paolo II, il compito di approfondire e manifestare alle future generazioni la ricchezza del suo messaggio.

Infine un’opera di particolare rilievo è costituita dall'aiuto offerto ai giovani, in modo particolare dell’Europa Centro-Orientale, nel conseguimento dei vari gradi di istruzione nei diversi campi del sapere.

Il mio grazie va a tutti coloro che nell’arco di questi venticinque anni hanno sostenuto in vari modi l'attività della Fondazione e a coloro che guidarono tale attività con saggezza e dedizione. Vi prego, non desistete da questa buona opera. Che essa continui a svilupparsi. Che il comune sforzo, sostenuto dall’aiuto di Dio, continui a produrre magnifici frutti.

Vi ringrazio per essere venuti e per questo incontro. Dio vi benedica!



AGLI STUDENTI DELLE PONTIFICIE UNIVERSITÀ DI ROMA PER L'APERTURA DELL'ANNO ACCADEMICO Basilica Vaticana Lunedì, 23 ottobre 2006

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Signor Cardinale,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari fratelli e sorelle!

Signori Cardinali, Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio, Cari fratelli e sorelle! Sono lieto di incontrarvi al termine della Santa Messa e di potervi così porgere i miei auguri per il nuovo Anno accademico. Saluto in primo luogo il Signor Cardinale Zenon Grocholewski, Prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica, che ha presieduto la Concelebrazione eucaristica e lo ringrazio cordialmente per le parole che mi ha indirizzato a nome vostro. Saluto il Segretario e gli altri collaboratori del Dicastero per l'Educazione Cattolica, rinnovando a tutti l'espressione della mia riconoscenza per il prezioso servizio che rendono alla Chiesa in un ambito tanto importante per la formazione delle nuove generazioni. Il mio saluto si estende ai Rettori, ai Docenti e agli alunni di ogni Pontificia Università e Ateneo qui presenti e a quanti sono idealmente uniti a noi nella preghiera.

Come ogni anno, anche questa sera si è data appuntamento la comunità accademica ecclesiastica romana formata da circa quindicimila persone e caratterizzata da un'ampia molteplicità di provenienze. Dalle Chiese di ogni parte del mondo, in particolare dalle Diocesi di recente costituzione e dai territori missionari, vengono a Roma seminaristi e diaconi per frequentare gli Atenei pontifici, come pure presbiteri, diaconi, religiosi e religiose e non pochi laici per ultimare gli studi superiori di licenza e di dottorato, o per partecipare ad altri corsi di specializzazione e di aggiornamento. Essi trovano qui professori e formatori che a loro volta sono di diverse nazionalità e differenti culture. Tale varietà, però, non produce dispersione perché, come esprime nella forma più alta anche l'odierna celebrazione liturgica, tutti gli Atenei, le Facoltà e i Collegi tendono ad una superiore unità, obbedendo a comuni criteri di formazione, principalmente a quello della fedeltà al Magistero. Pertanto, all'inizio di un nuovo anno, rendiamo lode al Signore per questa singolare comunità di docenti e studenti, che manifesta in modo eloquente l'universalità e l'unità della Chiesa cattolica. Una comunità tanto più bella perché si rivolge prevalentemente a giovani, dando loro l'opportunità di entrare in contatto con istituzioni di alto valore teologico e culturale, ed offrendo loro, al tempo stesso, la possibilità di arricchenti esperienze ecclesiali e pastorali.

Vorrei ribadire anche in questa occasione, come ho avuto modo di fare in vari incontri con sacerdoti e seminaristi, l'importanza prioritaria della vita spirituale e la necessità di curare, accanto alla crescita culturale, un'equilibrata maturazione umana e una profonda formazione ascetica e religiosa. Chi vuole essere amico di Gesù e diventare suo autentico discepolo - sia egli seminarista, sacerdote, religioso, religiosa o laico - non può non coltivare un'intima amicizia con Lui nella meditazione e nella preghiera. L'approfondimento delle verità cristiane e lo studio della teologia o di altra disciplina religiosa presuppongono un'educazione al silenzio e alla contemplazione, perché occorre diventare capaci di ascoltare con il cuore Dio che parla. Il pensiero ha sempre bisogno di purificazione per poter entrare nella dimensione in cui Dio pronuncia la sua Parola creatrice e redentrice, il suo Verbo "uscito dal silenzio", per usare la bella espressione di sant'Ignazio di Antiochia (Lettera ai Magnesii, VIII, 2). Solo se provengono dal silenzio della contemplazione le nostre parole possono avere qualche valore e utilità, e non ricadere nell'inflazione dei discorsi del mondo, che ricercano il consenso dell'opinione comune. Chi studia in un Istituto ecclesiastico deve pertanto disporsi all'obbedienza alla verità e quindi coltivare una speciale ascesi del pensiero e della parola. Tale ascesi si basa sulla familiarità amorosa con la Parola di Dio e direi prima ancora con quel "silenzio" da cui la Parola prende origine nel dialogo d'amore tra il Padre e il Figlio nello Spirito Santo. A tale dialogo anche noi abbiamo accesso mediante la santa umanità di Cristo. Perciò, cari amici, come fecero i discepoli del Signore, domandate a Lui: Maestro "insegnaci a pregare" (
Lc 11,1), ed anche: insegnaci a pensare, a scrivere e a parlare, perché queste cose sono tra loro strettamente connesse.

Sono questi i suggerimenti che rivolgo a ognuno di voi, cari fratelli e sorelle, all'inizio di questo nuovo anno accademico. Li accompagno volentieri con l'assicurazione di un particolare ricordo nella preghiera, perché lo Spirito Santo illumini i vostri cuori e vi conduca ad una chiara conoscenza di Cristo, capace di trasformare la vostra esistenza, perché Lui solo ha parole di vita eterna (cfr Jn 6,68). Il vostro apostolato sarà domani ricco e fruttuoso nella misura in cui, in questi anni, vi preparate studiando con serietà, e soprattutto alimentate il vostro personale rapporto con Lui, tendendo alla santità ed avendo come unico scopo della vostra esistenza la realizzazione del Regno di Dio. Affido questi miei auspici alla materna intercessione di Maria Santissima, Sede della Sapienza: sia Lei ad accompagnarvi lungo questo nuovo anno di studio e ad esaudire ogni vostra attesa e speranza. Con affetto imparto a ciascuno di voi e alle vostre Comunità di studi, come anche ai vostri cari, una speciale Benedizione Apostolica.



AI PARTECIPANTI AL V CONVEGNO INTERNAZIONALE DEGLI ORDINARIATI MILITARI Sala Clementina Giovedì, 26 ottobre 2006

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio!

E’ per me un piacere incontrarvi in occasione del quinto Convegno Internazionale degli Ordinariati Militari e rivolgo a ciascuno di voi il mio saluto. Saluto in special modo il Cardinale Giovanni Battista Re e lo ringrazio per le sue cordiali parole. Vent’anni fa, precisamente il 21 aprile 1986, l’amato Giovanni Paolo II promulgava la Costituzione apostolica Spirituali militum curae, con la quale veniva aggiornata la regolamentazione canonica dell’assistenza spirituale dei militari, alla luce del Concilio Vaticano II, tenendo conto delle trasformazioni riguardanti le forze armate e la loro missione sul piano nazionale e internazionale. In verità, negli ultimi decenni lo scenario mondiale è ulteriormente mutato. Perciò il Documento pontificio, pur conservando piena attualità perché l’orientamento pastorale della Chiesa non cambia, esige di essere sempre meglio adattato alle necessità del momento presente. E’ quanto assai opportunamente avete voluto fare con questo Convegno, organizzato dalla Congregazione per i Vescovi.

Anzitutto, è importante rileggere il Proemio della Costituzione apostolica: esso contiene le motivazioni dell’intervento magisteriale ed esprime lo spirito pastorale che anima, ispira e orienta tutte le disposizioni normative. Due sono i valori fondamentali che il Documento pone in evidenza: il valore della persona e il valore della pace. Tutta la revisione strutturale che assimila gli Ordinariati alle diocesi, l’Ordinario al Vescovo diocesano e il Cappellano al parroco, obbedisce al criterio del servizio alle persone dei militari, i quali “necessitano di una concreta e specifica forma di assistenza pastorale” (Proemio). Al tempo stesso, però, si afferma che le persone a cui l’Ordinariato si rivolge non cessano di essere fedeli della Chiesa particolare in cui abitano o al cui rito appartengono (cfr IV). Ciò pone un’esigenza di comunione e di coordinamento tra l’Ordinariato militare e le altre Chiese particolari (cfr II, 4). Tutto questo evidenzia l’obiettivo prioritario della cura dei christifideles, che è quello di rendere loro possibile di vivere in pienezza la vocazione battesimale e l’appartenenza ecclesiale. Ci troviamo così nella medesima prospettiva in cui si pose lo stesso servo di Dio Giovanni Paolo II in occasione del terzo Convegno degli Ordinari Militari, nel 1994 (cfr Insegnamenti, XVII, 1 [1994], p. 656-657). Mettere al primo posto le persone significa privilegiare la formazione cristiana del militare, accompagnando lui e i suoi familiari nel percorso dell’iniziazione cristiana, del cammino vocazionale, della maturazione nella fede e nella testimonianza; e contemporaneamente favorire le forme di fraternità e di comunità, come pure di preghiera liturgica e non, che siano appropriate all’ambiente e alle condizioni di vita dei militari.

Il secondo aspetto che vorrei evidenziare è la fondamentale importanza del valore della pace. A questo proposito la Spirituali militum curae cita espressamente nel Proemio la Costituzione conciliare Gaudium et spes, ricordando che quelli che prestano servizio militare possono considerarsi «come ministri della sicurezza e della libertà dei popoli», perché «se adempiono il loro dovere rettamente, concorrono anch’essi veramente alla stabilità della pace» (Gaudium et spes
GS 79). Se dunque il Concilio chiama ministri della pace i militari, quanto più lo saranno i Pastori a cui essi sono affidati! Pertanto, esorto tutti voi a far sì che i Cappellani militari siano autentici esperti e maestri di quanto la Chiesa insegna e pratica in ordine alla costruzione della pace nel mondo. La Costituzione Apostolica del Papa Giovanni Paolo II costituisce una tappa significativa di questo magistero e il suo contributo al riguardo si lascia sintetizzare nella espressione che giustamente voi avete ripreso e posto a tema del presente Convegno: “Ministerium pacis inter arma - Servizio di pace tra le armi”. Il mio Predecessore lo prospettava come “nuovo annuncio del Vangelo nel mondo militare, di cui i militari cristiani e le loro comunità non possono non essere i primi araldi” (Discorso al III Convegno degli Ordinari militari, 4: in Insegnamenti, cit., p. 657).

La Chiesa è per sua natura missionaria e il suo primo compito è l’evangelizzazione, che mira ad annunciare e testimoniare Cristo e a promuovere in ogni ambiente e cultura il suo Vangelo di pace e amore. Anche nel mondo militare la Chiesa è chiamata ad essere “sale”, “luce” e “lievito”, per usare le immagini a cui Gesù stesso fa riferimento, affinché le mentalità e le strutture siano sempre più pienamente orientate alla costruzione della pace, cioè di quell’“ordine disegnato e voluto dall’amore di Dio” (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2006, 3), in cui le persone e i popoli possono svilupparsi integralmente e vedere riconosciuti i propri diritti fondamentali (ivi, 4).

Il magistero della Chiesa sul tema della pace costituisce un aspetto essenziale della sua dottrina sociale e, a partire da radici antichissime, è andato sviluppandosi nell’ultimo secolo in una sorta di “crescendo” culminato nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, nelle Encicliche del beato Giovanni XXIII e dei servi di Dio Paolo VI e Giovanni Paolo II, come pure nei loro interventi all’ONU e nei Messaggi per le Giornate Mondiali della Pace. Questo insistente richiamo alla pace ha influito sulla cultura occidentale promuovendo l’ideale che le forze armate siano “a servizio esclusivo di difesa e di sicurezza e della libertà dei popoli” (cfr Giovanni Paolo II, Discorso al III Convegno degli Ordinari Militari, 4: in Insegnamenti, cit., p. 657). Purtroppo talora altri interessi – economici e politici – fomentati dalle tensioni internazionali, fanno sì che questa tendenza costruttiva trovi ostacoli e ritardi, come traspare anche dalle difficoltà che incontrano i processi di disarmo. Dall’interno del mondo militare, la Chiesa continuerà ad offrire il proprio servizio alla formazione delle coscienze, certa che la Parola di Dio, generosamente seminata e coraggiosamente accompagnata dal servizio della carità e della verità, produce frutto a suo tempo.

Cari e venerati Fratelli, per offrire alle persone un’adeguata cura pastorale e per adempiere la missione evangelizzatrice, gli Ordinariati militari hanno bisogno di presbiteri e diaconi motivati e formati, come pure di laici che collaborino attivamente e responsabilmente con i Pastori. Mi unisco pertanto a voi nella preghiera al Padrone della messe, perché mandi operai in questa messe, nella quale voi già lavorate con ammirevole zelo. I luminosi esempi di tanti Cappellani militari, come il Beato don Secondo Pollo, che hanno servito con eroica dedizione Dio e i fratelli, incoraggino i giovani a mettere tutta la loro vita al servizio del Regno di Dio, Regno di amore, di giustizia e di pace. Vegli sempre sul vostro ministero la Vergine Maria e vi accompagni la mia Benedizione, che imparto di cuore a tutti voi e alle vostre rispettive Comunità ecclesiali.



AI PARTECIPANTI ALLA RIUNIONE DELLE "CHRISTIAN WORLD COMMUNIONS" Venerdì, 27 ottobre 2006

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Cari Amici,

"Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo" (
Rm 1,7). Con queste parole l'Apostolo Paolo salutò la comunità cristiana primordiale a Roma, e con questa stessa preghiera oggi vi porgo il benvenuto qui, nella città in cui Pietro e Paolo hanno svolto il loro ministero e hanno versato il loro sangue per Cristo.

Per decenni la Conferenza dei Segretari delle Comunioni Cristiane Mondiali è stata un forum per contatti fecondi tra le diverse comunità ecclesiali. Ciò ha consentito ai loro rappresentanti di costruire quella fiducia reciproca che è necessaria per impegnarsi seriamente a far sì che la ricchezza delle diverse tradizioni cristiane serva la chiamata comune al discepolato. Sono lieto di incontrarvi tutti qui, oggi, e di incoraggiarvi nel vostro lavoro. Ogni passo verso l'unità cristiana serve a proclamare il Vangelo, ed è reso possibile dalla grazia di nostro Signore Gesù Cristo, che ha pregato affinché i suoi discepoli fossero una cosa sola "perché il mondo creda" (Jn 17,21).

È chiaro a tutti noi che il mondo attuale ha bisogno di una nuova evangelizzazione, che i cristiani diano nuovamente conto della speranza che è in loro (cfr 1P 3,15). Tuttavia, coloro che professano che Gesù Cristo è il Signore sono tragicamente divisi e non sempre possono dare una testimonianza comune coerente. Questa è un'enorme responsabilità per tutti noi.

In questa luce, sono lieto di vedere che il tema del vostro incontro, Visioni dell'unità cristiana, s'incentra su una questione ecumenica fondamentale. I dialoghi teologici intrapresi da molte Comunioni Cristiane Mondiali sono caratterizzati dall'impegno ad andare oltre le cose che dividono, verso l'unità in Cristo che noi cerchiamo. Per quanto il cammino possa apparire scoraggiante, non dobbiamo perdere di vista l'obiettivo finale: la piena e visibile comunione in Cristo e nella Chiesa.

Possiamo sentirci scoraggiati quando i progressi sono lenti, ma la posta in gioco è troppo alta per tornare indietro. Al contrario, vi sono buone ragioni per andare avanti, come ha sottolineato il mio predecessore Papa Giovanni Paolo II nella sua Lettera Enciclica Ut unum sint sull'impegno ecumenico della Chiesa cattolica, dove parla di fraternità ritrovata e di maggiore solidarietà nel servizio dell'umanità (n. 41 ss.).

La Conferenza dei Segretari delle Comunioni Cristiane Mondiali continua ad essere alle prese con domande importanti riguardanti la sua identità e il suo ruolo specifico nel movimento ecumenico. Preghiamo affinché queste riflessioni portino nuove intuizioni sulla perenne questione ecumenica del "recepire" (cfr ibidem, n. 80 s.) e affinché aiutino a rafforzare la testimonianza comune, oggi tanto necessaria.

L'Apostolo ci assicura che "lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza" (Rm 8,26). Sebbene vi siano ancora molti ostacoli da superare, crediamo fermamente che lo Spirito Santo sia sempre presente e che ci guiderà sul giusto cammino. Continuiamo il nostro viaggio con pazienza e determinazione mentre offriamo tutti i nostri sforzi a Dio, "per mezzo di Gesù Cristo, la gloria nei secoli dei secoli" (Rm 16,27).




AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI IRLANDA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Sabato, 28 ottobre 2006

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Cari Fratelli Vescovi,

Nelle parole di un saluto tradizionale irlandese, siate centomila volte benvenuti, Vescovi dell'Irlanda, in occasione della vostra visita ad Limina. Mentre venerate le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, possiate trarre ispirazione dal coraggio e dalla visione di questi due grandi Santi, che con tanta fedeltà hanno guidato il cammino della missione della Chiesa di proclamare Cristo al mondo. Oggi siete venuti per rafforzare i vincoli di comunione con il Successore di Pietro e con piacere esprimo il mio apprezzamento per le gentili parole che a nome vostro mi ha rivolto l'Arcivescovo Seán Brady, Presidente della vostra Conferenza Episcopale. La costante testimonianza di innumerevoli generazioni di irlandesi della loro fede in Cristo e la loro fedeltà alla Santa Sede hanno forgiato l'Irlanda al livello più profondo della sua storia e della sua cultura. Siamo tutti consapevoli dell'eccezionale contributo che l'Irlanda ha dato alla vita della Chiesa, e dello straordinario coraggio dei suoi figli e delle sue figlie missionari, che hanno portato il messaggio del Vangelo ben oltre le sue coste. Nel mentre, la fiamma della fede ha continuato ad ardere audacemente nel vostro Paese, attraverso tutte le prove che il vostro popolo ha dovuto affrontare nel corso della sua storia. Secondo le parole del Salmista, "Canterò senza fine le grazie del Signore, con la mia bocca annunzierò la tua fedeltà nei secoli" (
Ps 89,2).

I tempi attuali offrono molte nuove opportunità per rendere testimonianza a Cristo e nuove sfide per la Chiesa in Irlanda. Avete parlato delle conseguenze che ha avuto sulla società l'aumento della prosperità verificatosi negli ultimi quindici anni. Dopo secoli di emigrazione, che hanno significato il dolore della separazione per tante famiglie, per la prima volta state sperimentando un'ondata di immigrazione. La tradizionale ospitalità irlandese trova nuovi e inattesi sbocchi. Come il saggio padrone di casa che estrae dal suo tesoro "cose nuove e cose antiche" (Mt 13,52), la vostra gente deve guardare ai cambiamenti nella società con discernimento, ed è in questo che guardano a voi come guida. Aiutatela a riconoscere l'incapacità della cultura secolare e materialistica a dare una gioia e una soddisfazione autentiche. Siate audaci nel parlarle della gioia che viene dal seguire Cristo e dal vivere secondo i suoi comandamenti. Ricordatele che il nostro cuore è stato fatto per il Signore e che non troverà pace fino a quando non riposerà in Lui (cfr Sant'Agostino, Confessioni 1, 1).

Molto spesso la testimonianza controcorrente della Chiesa è male interpretata come qualcosa di arretrato e negativo nella società attuale. Per questo è importante sottolineare la Buona Novella, il messaggio del Vangelo che dà e accresce la vita (cfr Jn 10,10). Sebbene sia necessario esprimersi con forza contro i mali che ci minacciano, dobbiamo correggere l'idea che il cattolicesimo sia solo "una serie di proibizioni". Occorrono qui una solida catechesi e un'attenta "formazione del cuore", e a questo proposito in Irlanda siete benedetti da solide risorse nella vostra rete di scuole cattoliche e da tanti insegnanti religiosi e laici impegnati, che si dedicano con serietà all'educazione dei giovani. Continuate ad incoraggiarli nel loro lavoro e assicuratevi che i loro programmi catechetici siano fondati sul Catechismo della Chiesa Cattolica, come pure sul nuovo Compendio.Bisogna evitare una presentazione superficiale dell'insegnamento cattolico, perché solo la pienezza della fede può comunicare la forza liberatrice del Vangelo. Esercitando la vostra vigilanza sulla qualità dei programmi di studio e dei libri di testo utilizzati, e proclamando la dottrina della Chiesa nella sua interezza, esercitate la vostra responsabilità di annunciare "la parola (...) in ogni occasione opportuna e non opportuna (...) con ogni magnanimità e dottrina" (2Tm 4,2).

Nell'esercizio del vostro ministero pastorale, negli ultimi anni avete dovuto rispondere a molti casi dolorosi di abusi sessuali su minori. Questi sono ancora più tragici quando a compierli è un ecclesiastico. Le ferite causate da simili atti sono profonde, ed è urgente il compito di ristabilire la confidenza e la fiducia quando queste sono state lese. Nei vostri sforzi continui di affrontare in modo efficace questo problema, è importante stabilire la verità di ciò che è accaduto in passato, prendere tutte le misure atte ad evitare che si ripeta in futuro, assicurare che i principi di giustizia vengano pienamente rispettati e, soprattutto, guarire le vittime e tutti coloro che sono colpiti da questi crimini abnormi. In tal modo la Chiesa in Irlanda si rafforzerà e sarà sempre più capace di dare testimonianza della forza redentrice della Croce di Cristo. Prego affinché per grazia dello Spirito Santo questo tempo di purificazione consenta a tutto il popolo di Dio in Irlanda di "mantenere e perfezionare con la loro vita la santità che hanno ricevuto" (Lumen gentium LG 40).

L'ottimo lavoro e il generoso impegno della grande maggioranza dei sacerdoti e dei religiosi in Irlanda non devono essere oscurati dalle trasgressioni di alcuni loro fratelli. Sono certo che la gente lo capisce e che continua a guardare al suo clero con affetto e stima. Incoraggiate i vostri sacerdoti a cercare sempre il rinnovamento spirituale e a scoprire di nuovo la gioia di prendersi cura del loro gregge in seno alla grande famiglia della Chiesa. Un tempo l'Irlanda era benedetta da una tale abbondanza di vocazioni sacerdotali e religiose, che buona parte del mondo ha potuto beneficiare del loro lavoro apostolico. In anni recenti, però, il numero delle vocazioni è diminuito drasticamente.

Quanto è urgente, quindi, ascoltare le parole del Signore: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe" (Mt 9,37-38). Sono dunque lieto di apprendere che molte vostre Diocesi hanno adottato la pratica della preghiera silenziosa per le vocazioni dinanzi al Santissimo Sacramento. Occorre incoraggiarla caldamente. Ma soprattutto spetta a voi, Vescovi, e al vostro clero, offrire ai giovani un'immagine ispiratrice e attraente del sacerdozio ordinato. La nostra preghiera per le vocazioni deve portare all'azione "affinché dal nostro cuore orante scocchi poi la scintilla della gioia in Dio, della gioia per il Vangelo, e susciti in altri cuori la disponibilità a dire un loro "sì"" (Discorso ai sacerdoti e ai diaconi permanenti, Freising, 14 settembre 2006). Anche se in alcuni ambienti l'impegno cristiano è considerato poco di moda, molti giovani irlandesi provano un'autentica fame spirituale e il desiderio generoso di servire gli altri. La vocazione al sacerdozio o alla vita religiosa offre l'opportunità di rispondere a questo desiderio in una maniera che porta gioia profonda e realizzazione personale.

Consentitemi di aggiungere un'osservazione che mi sta molto a cuore. Per molti anni, i rappresentanti cristiani di tutte le denominazioni, i leader politici e molti uomini e donne di buona volontà sono stati impegnati a cercare i mezzi per assicurare un futuro più luminoso all'Irlanda del Nord. Sebbene il cammino sia arduo, in tempi recenti sono stati compiuti molti progressi. Prego affinché l'impegno delle persone coinvolte porti alla creazione di una società caratterizzata da uno spirito di riconciliazione, da rispetto reciproco e dalla volenterosa cooperazione per il bene di tutti.

Mentre vi preparate a ritornare alle vostre Diocesi, affido il vostro ministero apostolico all'intercessione di tutti i Santi d'Irlanda e vi assicuro del mio profondo affetto e della mia costante preghiera per voi e per il popolo irlandese. Possa Nostra Signora di Knock vegliare su di voi e proteggervi sempre! A tutti voi e ai sacerdoti, ai religiosi e ai fedeli laici della vostra amata isola imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica come pegno di pace e gioia nel Signore Gesù Cristo.




Discorsi 2005-13 19106