Discorsi 2005-13 18216

CONCERTO OFFERTO DAL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA Sala Clementina Sabato, 18 novembre 2006

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Signor Presidente della Repubblica,
Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell'Episcopato,
Illustri Signori e Signore!

Desidero anzitutto esprimere un grazie personale e particolare ai quattro musicisti del "Philharmonia Quartett Berlin", Daniel Stabrawa, Christian Stadelmann, Neithard Resa e Jan Diesselhorst, per questo concerto da loro magistralmente eseguito. Illustri Signori, negli ormai oltre vent'anni della Vostra comune attività concertistica come quartetto d'archi, Vi siete fatti un nome a livello internazionale, e l'avete confermato anche oggi con la raffinatezza stilistica, con un modo perfetto di suonare insieme, con la grande ricchezza di espressione nelle delicate sfumature del timbro e nella meravigliosa armonicità del Vostro ensemble. Il suonare insieme da solisti richiede dal singolo non solo l'impegno di tutte le sue capacità tecniche e musicali nell'esecuzione della propria parte, ma al contempo sempre anche il sapersi ritirare nell'ascolto attento degli altri. Solo se questo riesce, se cioè ciascuno non pone al centro se stesso, ma, in spirito di servizio, si inserisce nell'insieme e, per così dire, si mette a disposizione come "strumento", affinché il pensiero del compositore possa diventare suono e raggiungere così il cuore degli ascoltatori, solo allora si ha un'interpretazione veramente grande – come quella che abbiamo or ora sentito. È questa una bella immagine anche per noi che, nell'ambito della Chiesa, ci impegniamo ad essere "strumenti" per comunicare agli uomini il pensiero del grande "Compositore", la cui opera è l'armonia dell'universo.

La ringrazio, illustre Presidente della Repubblica, perché ha reso possibile a noi questa intensa esperienza di ascolto di musica preziosa, e Le sono altresì grato per le parole cordiali, con le quali ci ha salutato e preparato il nostro animo all'ascolto della magistrale esecuzione musicale. Anche a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione del concerto rivolgo il mio sentito ringraziamento. Caro Presidente, non avrebbe potuto farmi un regalo più bello di questo.

Le composizioni appena ascoltate ci hanno aiutato a meditare sulla complessità della vita e sulle piccole vicende quotidiane. Ogni giornata è un intreccio di gioie e dolori, di speranze e delusioni, di attese e sorprese, che si alternano in modo movimentato e che destano nel nostro intimo le domande fondamentali sul "da dove", sul "verso dove" e sul senso vero della stessa nostra esistenza. La musica, che esprime tutte queste percezioni dell’animo, offre in un'ora come questa all’ascoltatore la possibilità di scrutare come in uno specchio le vicende della storia personale e di quella universale. Ma ci offre ancora di più: mediante i suoi suoni ci porta come in un altro mondo ed armonizza il nostro intimo. Trovato così un momento di pace, siamo in grado di vedere, come da un punto elevato, le misteriose realtà che l’uomo cerca di decifrare e che la luce della fede ci aiuta a meglio comprendere. In effetti, possiamo immaginare la storia del mondo come una meravigliosa sinfonia che Dio ha composto e la cui esecuzione Egli stesso, da saggio maestro d’orchestra, dirige. Anche se a noi la partitura a volte sembra molto complessa e difficile, Egli la conosce dalla prima fino all'ultima nota. Noi non siamo chiamati a prendere in mano la bacchetta del direttore, e ancora meno a cambiare le melodie secondo il nostro gusto. Ma siamo chiamati, ciascuno di noi al suo posto e con le proprie capacità, a collaborare con il grande Maestro nell’eseguire il suo stupendo capolavoro. Nel corso dell'esecuzione ci sarà poi anche dato di comprendere man mano il grandioso disegno della partitura divina.

Così, cari amici, vediamo come la musica possa condurci alla preghiera: essa ci invita ad elevare la mente verso Dio per trovare in Lui le ragioni della nostra speranza e il sostegno nelle difficoltà della vita. Fedeli ai suoi comandamenti e rispettosi del suo piano salvifico, possiamo insieme costruire un mondo nel quale risuoni la melodia consolante di una trascendente sinfonia d’amore. Anzi, sarà lo stesso Spirito divino a renderci tutti strumenti ben armonizzati e collaboratori responsabili di una mirabile esecuzione in cui si esprime lungo i secoli il piano della salvezza universale.

Nel rinnovare l’attestazione della mia gratitudine ai componenti del "Philharmonia Quartett Berlin" e a coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questa serata musicale, assicuro per ciascuno il mio ricordo nella preghiera e a tutti imparto con affetto la mia Benedizione.



VISITA UFFICIALE DI S.E. IL SIGNOR GIORGIO NAPOLITANO, PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA Lunedì, 20 novembre 2006

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Signor Presidente della Repubblica,

Le sono vivamente grato per questa Sua visita, della quale Ella oggi mi onora, e rivolgo il mio cordiale saluto a Lei e, attraverso di Lei, a tutto il Popolo italiano, i cui rappresentanti - nello scorso mese di maggio - L’hanno chiamata a ricoprire la suprema carica dello Stato. Desidero, in questa solenne circostanza, rinnovarLe personalmente le mie vive felicitazioni per l’alto incarico conferitoLe. Estendo il mio saluto anche agli illustri Membri della Delegazione che L'accompagna. Nello stesso tempo vorrei anche manifestare di nuovo, nei confronti di tutti gli Italiani, quella gratitudine che già ho avuto modo di esprimere durante la mia visita al Quirinale, il 24 giugno 2005. Essi, infatti, fin dalla mia elezione mi dimostrano quasi quotidianamente, con calore ed entusiasmo, i loro sentimenti di accoglienza, di attenzione e di sostegno spirituale nell’adempimento della mia missione. Del resto, in questa sentita vicinanza al Papa trova una significativa espressione quel particolare legame di fede e di storia, che da secoli lega l’Italia al Successore dell’apostolo Pietro, il quale ha in questo Paese, non senza disposizione della Divina Provvidenza, la sua sede. Per assicurare alla Santa Sede "l’assoluta e visibile indipendenza" e "garantirLe una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale", col Trattato Lateranense si è costituito lo Stato della Città del Vaticano. In forza di tale Trattato, la Repubblica italiana offre a diversi livelli e con diverse modalità un prezioso e diuturno contributo allo svolgimento della mia missione di Pastore della Chiesa universale. La visita in Vaticano del Capo dello Stato italiano mi è, pertanto, gradita occasione per far giungere il mio deferente pensiero a tutte le istanze dello Stato, ringraziandole per la loro fattiva collaborazione a vantaggio del ministero petrino e dell’opera della Santa Sede.

La Sua odierna visita, Signor Presidente, non è solo la felice conferma di una ormai pluridecennale tradizione di reciproche visite, scambiate fra il Successore di Pietro e la più alta Carica dello Stato italiano, ma riveste un importante significato, perché consente una particolare sosta di riflessione sulle ragioni profonde degli incontri che avvengono fra i rappresentanti della Chiesa e quelli dello Stato. Esse mi sembrano chiaramente esposte dal Concilio Vaticano II, che nella Costituzione pastorale "Gaudium et spes" afferma: "La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace quanto meglio coltiveranno una sana collaborazione tra di loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo" (n. 76).

Si tratta di una visione condivisa anche dallo Stato italiano, che nella sua Costituzione afferma anzitutto che "lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani" e ribadisce poi che "i loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi" (art. 7). Questa impostazione delle relazioni fra la Chiesa e lo Stato ha ispirato anche l’Accordo che apporta modificazioni al Concordato Lateranense, firmato dalla Santa Sede e dall’Italia il 18 febbraio 1984, nel quale sono state riaffermate sia la indipendenza e sovranità dello Stato e della Chiesa sia la "reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese (art. 1). Mi associo volentieri all’auspicio formulato da Lei, Signor Presidente, all’inizio del Suo mandato, che questa collaborazione possa continuare a svilupparsi concretamente. Sì, Chiesa e Stato, pur pienamente distinti, sono entrambi chiamati, secondo la loro rispettiva missione e con i propri fini e mezzi, a servire l’uomo, che è allo stesso tempo destinatario e partecipe della missione salvifica della Chiesa e cittadino dello Stato. E’ nell’uomo che queste due società si incontrano e collaborano per meglio promuoverne il bene integrale.

Questa sollecitudine della comunità civile nei riguardi del bene dei cittadini non si può limitare ad alcune dimensioni della persona, quali la salute fisica, il benessere economico, la formazione intellettuale o le relazioni sociali. L’uomo si presenta di fronte allo Stato anche con la sua dimensione religiosa, che "consiste anzitutto in atti interni volontari e liberi, con i quali l'essere umano si dirige immediatamente verso Dio" (Dignitatis humanae
DH 3). Tali atti "non possono essere né comandati, né proibiti" dall’autorità umana, la quale, al contrario, è tenuta a rispettare e promuovere questa dimensione: come ha autorevolmente insegnato il Concilio Vaticano II a proposito del diritto alla libertà religiosa, nessuno può essere costretto "ad agire contro la sua coscienza" né si può "impedirgli di agire in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso" (ibid.). Sarebbe però riduttivo ritenere che sia sufficientemente garantito il diritto di libertà religiosa, quando non si fa violenza o non si interviene sulle convinzioni personali o ci si limita a rispettare la manifestazione della fede che avviene nell’ambito del luogo di culto. Non si può infatti dimenticare che "la stessa natura sociale dell'essere umano esige che egli esprima esternamente gli atti interni di religione, comunichi con altri in materia religiosa e professi la propria religione in modo comunitario" (ibid.). La libertà religiosa è pertanto un diritto non solo del singolo, ma altresì della famiglia, dei gruppi religiosi e della stessa Chiesa (cfr Dignitatis humanae DH 4-5 DH 13) e l’esercizio di questo diritto ha un influsso sui molteplici ambiti e situazioni in cui il credente viene a trovarsi e ad operare. Un adeguato rispetto del diritto alla libertà religiosa implica, dunque, l’impegno del potere civile a "creare condizioni propizie allo sviluppo della vita religiosa, cosicché i cittadini siano realmente in grado di esercitare i loro diritti attinenti la religione e adempiere i rispettivi doveri, e la società goda dei beni di giustizia e di pace che provengono dalla fedeltà degli uomini verso Dio e verso la sua santa volontà" (Dignitatis humanae DH 6).

Questi alti principi, proclamati dal Concilio Vaticano II, sono del resto patrimonio di molte società civili, compresa l’Italia. Essi sono, infatti, presenti sia nella Carta costituzionale italiana sia nei numerosi documenti internazionali che proclamano i diritti dell’uomo. Ed anche Lei, Signor Presidente, non ha mancato di richiamare opportunamente la necessità del riconoscimento da dare alla dimensione sociale e pubblica del fatto religioso. Il medesimo Concilio ricorda che, quando la società rispetta e promuove la dimensione religiosa dei suoi membri, essa riceve in cambio i "beni di giustizia e di pace che provengono dalla fedeltà degli uomini verso Dio e verso la sua santa volontà" (ibid.). La libertà, che la Chiesa e i cristiani rivendicano, non pregiudica gli interessi dello Stato o di altri gruppi sociali e non mira ad una supremazia autoritaria su di essi, ma è piuttosto la condizione affinché, come ho detto durante il recente Convegno Nazionale Ecclesiale svoltosi a Verona, si possa espletare quel prezioso servizio che la Chiesa offre all’Italia e ad ogni Paese in cui essa è presente. Tale servizio alla società, che consiste principalmente nel "dare risposte positive e convincenti alle attese e agli interrogativi della nostra gente" (cfr Discorso ai partecipanti al Convegno Nazionale Ecclesiale a Verona) offrendo alla loro vita la luce della fede, la forza della speranza e il calore della carità, si esprime anche nei riguardi dell’ambito civile e politico. Infatti, se è vero che per la sua natura e missione "la Chiesa non è e non intende essere un agente politico", tuttavia essa "ha un interesse profondo per il bene della comunità politica" (ibid.).

Questo apporto specifico viene dato principalmente dai fedeli laici, i quali, agendo con piena responsabilità e facendo uso del diritto di partecipazione alla vita pubblica, si impegnano con gli altri membri della società a "costruire un giusto ordine nella società" (ibid.). Nella loro azione, peraltro, essi poggiano sui "valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell'essere umano" (ibid.), riconoscibili anche attraverso il retto uso della ragione. Così, quando s’impegnano con la parola e con l’azione a fronteggiare le grandi sfide attuali, rappresentate dalle guerre e dal terrorismo, dalla fame e dalla sete, dalla estrema povertà di tanti esseri umani, da alcune terribili epidemie, ma anche dalla tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, e dalla promozione della famiglia, fondata sul matrimonio e prima responsabile dell’educazione, non agiscono per un loro interesse peculiare o in nome di principi percepibili unicamente da chi professa un determinato credo religioso: lo fanno, invece, nel contesto e secondo le regole della convivenza democratica, per il bene di tutta la società e in nome di valori che ogni persona di retto sentire può condividere. Ne è prova il fatto che la gran parte dei valori, che ho menzionato, sono proclamati dalla Costituzione italiana, che quasi sessant’anni or sono venne elaborata da uomini di diverse posizioni ideali.

Signor Presidente, vorrei concludere queste riflessioni con l'augurio cordiale che la Nazione italiana sappia avanzare sulla via dell'autentico progresso e possa offrire alla Comunità internazionale il suo prezioso contributo, promuovendo sempre quei valori umani e cristiani che sostanziano la sua storia, la sua cultura, il suo patrimonio ideale, giuridico e artistico, e che sono tuttora alla base dell’esistenza e dell’impegno dei suoi cittadini. In questo sforzo non mancherà, certo, il leale e generoso contributo dato dalla Chiesa cattolica attraverso l’insegnamento dei suoi Vescovi, che fra breve incontrerò nella loro visita ad Limina Apostolorum, e grazie all’opera di tutti i fedeli.

Quest’augurio lo formulo anche nella preghiera, con la quale imploro da Dio onnipotente una particolare benedizione su questo nobile Paese, sui suoi abitanti e in particolare su coloro che ne reggono le sorti.



DICHIARAZIONE COMUNE DEL PAPA BENEDETTO XVI E DELL'ARCIVESCOVO DI CANTERBURY SUA GRAZIA ROWAN WILLIAMS

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Quarant'anni fa, i nostri predecessori, il Papa Paolo VI e l'Arcivescovo Michael Ramsey, si incontrarono in questa città santificata dal ministero e dal sangue degli Apostoli Pietro e Paolo. Essi diedero inizio ad un nuovo cammino di riconciliazione basato sui Vangeli e sulle antiche tradizioni comuni. Secoli di estraniamento fra Anglicani e Cattolici furono sostituiti da un nuovo desiderio di collaborazione e cooperazione, dato che la comunione reale, anche se incompleta fra noi, fu riscoperta e affermata. Il Papa Paolo VI e l'Arcivescovo Ramsey si impegnarono allora ad instaurare un dialogo nel quale questioni che erano state motivo di divisione nel passato potessero essere affrontate da una nuova prospettiva con verità e carità.

Da quell'incontro, la Chiesa Cattolica Romana e la Comunione Anglicana sono entrate in un processo di dialogo fecondo contraddistinto dalla scoperta di elementi significativi di fede condivisa e da un desiderio di dare espressione, attraverso la preghiera comune, alla testimonianza e al servizio, a ciò che abbiamo in comune. Nell'arco dei trascorsi trentacinque anni, la Commissione Internazionale Anglicana - Cattolica romana (ARCIC) ha prodotto un certo numero di documenti importanti tesi ad articolare la fede che condividiamo.

Nei dieci anni trascorsi dalla firma della più recente Dichiarazione Comune da parte del Papa e dell'Arcivescovo di Canterbury, la seconda fase dell'ARCIC ha completato il suo mandato con la pubblicazione dei documenti The Gift of Authority (1999) e Mary: Grace and Hope in Christ (2005). Siamo grati ai teologi che hanno pregato e lavorato assieme nella redazione di questi testi che attendono ulteriore studio e riflessione.

L'ecumenismo autentico va oltre il dialogo teologico; esso tocca la nostra vita spirituale e la nostra comune testimonianza. Mentre il dialogo si sviluppava, molti Cattolici e Anglicani hanno trovato gli uni negli altri un amore per Cristo che ci invita a una cooperazione e a un servizio concreti. Questa comunanza nel servizio di Cristo, sperimentata da molte delle nostre comunità in tutto il mondo, aggiunge ulteriore impulso ai nostri rapporti. La Commissione Internazionale Anglicana - Cattolica Romana per l'Unità e la Missione (IARCCUM) si è impegnata nell'esplorazione di modi appropriati per promuovere ed alimentare la nostra comune missione di annunciare al mondo la nuova vita in Cristo. Il resoconto della Commissione, che comprende un sommario delle conclusioni principali dell'ARCIC e avanza proposte per progredire insieme nella missione e nella testimonianza, è stato completato di recente e sottoposto per la revisione all'Ufficio della Comunione Anglicana e al Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. Esprimiamo la nostra gratitudine per la loro opera.

In questa visita fraterna, celebriamo il bene scaturito da questi quattro decenni di dialogo. Siamo grati a Dio per i doni di grazia che li hanno accompagnati. Allo stesso tempo, il nostro lungo cammino comune rende necessario riconoscere pubblicamente la sfida rappresentata da nuovi sviluppi che, oltre a essere fonte di divisione per gli Anglicani, presentano seri ostacoli al nostro progresso ecumenico. E' dunque urgente che, nel rinnovare il nostro impegno a proseguire il cammino verso la piena e visibile comunione nella verità e nell'amore di Cristo, ci impegniamo anche a continuare il dialogo per affrontare le importanti questioni implicate negli emergenti fattori ecclesiologici ed etici, che rendono tale cammino più difficile e arduo.

Come capi cristiani che affrontano le sfide del nuovo millennio, riaffermiamo il nostro pubblico impegno alla rivelazione della vita divina, manifestata in modo unico da Dio nella divinità e nell'umanità del Signore Gesù Cristo. Crediamo che è attraverso Cristo e i mezzi di salvezza fondati su di Lui che sono offerte, sia a noi sia al mondo, guarigione e riconciliazione.

Ci sono molti ambiti di testimonianza e di servizio nei quali possiamo essere uniti e che, di fatto, richiedono una più stretta cooperazione fra noi: il perseguimento della pace in Terra Santa e in altre parti del mondo colpite da conflitti e dalla minaccia del terrorismo; la promozione del rispetto per la vita dal concepimento fino alla morte naturale; la tutela della santità del matrimonio e del benessere dei figli nel contesto di una sana vita familiare; l'aiuto ai poveri, agli oppressi e ai più vulnerabili, in particolare a coloro che sono perseguitati a motivo della propria fede; l'affrontare gli effetti negativi del materialismo; la tutela del creato e del nostro ambiente. Ci impegniamo anche nel dialogo interreligioso, attraverso il quale possiamo insieme avvicinarsi ai fratelli e alle sorelle non cristiani.
Memori dei nostri quaranta anni di dialogo e della testimonianza degli uomini e delle donne santi comuni alle nostre tradizioni, inclusi Maria la Theotókos, i santi Pietro e Paolo, Benedetto, Gregorio Magno, Agostino di Canterbury, ci impegniamo a una più fervente preghiera e a uno sforzo più intenso nell'accogliere quella verità alla quale lo Spirito del Signore desidera condurre i suoi discepoli (cfr
Jn 16,13) e nel vivere secondo essa. Fiduciosi nella speranza apostolica "che colui che ha iniziato in voi quest'opera buona la porterà a compimento" (cfr Ph 1,6), crediamo che se insieme possiamo essere strumenti di Dio per chiamare tutti i cristiani a un'obbedienza più profonda a nostro Signore, ci avvicineremo ulteriormente gli uni agli altri, trovando nella Sua volontà la pienezza di unità e di vita comune alla quale Egli ci invita.

Dal Vaticano, 23 novembre 2006


Benedictus PP. XVI


Sua Grazia Rowan Williams





ALL'ARCIVESCOVO DI CANTERBURY SUA GRAZIA ROWAN WILLIAMS Giovedì, 23 novembre 2006

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Vostra Grazia,
Cari amici,

grazia e pace a voi nel Signore Gesù Cristo! La vostra visita qui, oggi, ricorda l'importante consuetudine instaurata dai nostri predecessori negli ultimi decenni. Ci ricorda anche la storia molto più lunga dei rapporti fra la Sede di Roma e la Sede di Canterbury, iniziati quando il Papa Gregorio Magno inviò sant'Agostino nella terra degli Anglosassoni più di 1400 anni fa. Oggi, sono lieto di accogliere Lei e la distinta Delegazione che l'accompagna. Questo non è il nostro primo incontro. Infatti, sono stato grato per la presenza Sua e degli altri Rappresentanti della Comunione Anglicana in occasione delle esequie del Papa Giovanni Paolo II e poi, nuovamente, in occasione dell'inizio del mio Pontificato, un anno e mezzo fa.

Questa visita alla Santa Sede coincide con il quarantesimo anniversario di quella dell'allora Arcivescovo di Canterbury, Dott. Michael Ramsey, al Papa Paolo VI. Fu un'incontro colmo di grandi promesse perché la Comunione Anglicana e la Chiesa cattolica intrapresero dei passi per avviare un dialogo sulle questioni da affrontare, alla ricerca di una unità piena e visibile.

Nelle nostre relazioni degli ultimi quaranta anni c'è molto di cui rendere grazie. L'opera della Commissione per il dialogo teologico è stata una fonte di incoraggiamento dato che sono state affrontate le questioni dottrinali che in passato ci hanno separato. L'amicizia e i buoni rapporti esistenti in molti luoghi fra anglicani e cattolici hanno contribuito a creare un nuovo contesto in cui la nostra testimonianza condivisa del Vangelo di Gesù Cristo è stata alimentata e promossa. Le visite degli Arcivescovi di Canterbury alla Santa Sede sono servite a rafforzare questi rapporti e hanno svolto un ruolo importante nell'affrontare gli ostacoli che ci tengono distanti l'uno dall'altro. Questa tradizione ha contribuito all'organizzazione di un incontro costruttivo fra Vescovi anglicani e cattolici a Mississauga, in Canada, nel maggio del 2000, quando si stabilì di creare una Commissione congiunta di Vescovi per discernere modi adeguati attraverso i quali esprimere nella vita ecclesiale il progresso già compiuto. Per tutto ciò rendiamo grazie a Dio!

Nel contesto attuale, tuttavia, e in particolare nel mondo occidentale secolarizzato, esistono molte influenze e pressioni negative che colpiscono i cristiani e le loro comunità. Negli ultimi tre anni avete parlato apertamente delle tensioni e delle difficoltà che affliggono la Comunione Anglicana e, di conseguenza, dell'incertezza sul futuro della Comunione stessa. Sviluppi recenti, soprattutto relativi al ministero ordinato e a certi insegnamenti morali, hanno colpito non solo le relazioni interne alla Comunione Anglicana, ma anche i rapporti fra la Comunione Anglicana e la Chiesa cattolica. Riteniamo che tali questioni, che attualmente vengono dibattute in seno alla Comunione Anglicana, sono di importanza vitale per la predicazione del Vangelo nella sua integrità, e che i vostri attuali dibattiti plasmeranno il futuro dei nostri rapporti. E' auspicabile che l'impegno del dialogo teologico, che ha registrato una non piccola intesa su queste e altre importanti questioni teologiche, continuerà a essere preso seriamente nel vostro discernimento. In queste deliberazioni vi accompagniamo con convinta preghiera. Auspichiamo E' nostra fervida speranza che la Comunione Anglicana rimarrà fondata sui Vangeli e sulla Tradizione Apostolica, che costituiscono il nostro patrimonio comune e che sono la base della nostra aspirazione comune per operare a favore di una unità piena e visibile.

Il mondo ha bisogno della nostra testimonianza e della forza che scaturisce da una proclamazione indivisa del Vangelo. Le immense sofferenze della famiglia umana e le forme di ingiustizia che colpiscono la vita di così tante persone costituiscono un appello urgente alla nostra testimonianza e al nostro servizio condivisi. Proprio per questo motivo, ed anche nelle attuali difficoltà, è importante proseguire il nostro dialogo teologico. Auspico che la vostra visita contribuisca all'elaborazione di modi costruttivi per affrontare le circostanze attuali.

Che il Signore continui a benedire le e la Sua famiglia e che La rafforzi nel Suo ministero nella Comunione Anglicana!



AI DIRIGENTI E DIPENDENTI DEI MUSEI VATICANI Aula delle Benedizioni Giovedì, 23 novembre 2006

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Cari fratelli e sorelle!

Con grande gioia vi accolgo e rivolgo a ciascuno di voi il mio cordiale benvenuto. Saluto, in primo luogo, Mons. Giovanni Lajolo, Presidente del Governatorato, e lo ringrazio per le parole con cui si è fatto interprete del vostro affetto, sottolineando la speciale attenzione riservata dai Sommi Pontefici ai Musei Vaticani, che quest’anno celebrano il loro quinto centenario. Saluto pure il Segretario Generale, Mons. Renato Boccardo, e il Direttore dei Musei, Dottor Francesco Buranelli. L’incontro con voi, che formate il gruppo di dipendenti più numeroso della Città del Vaticano, era naturalmente nei miei propositi, e sono lieto che avvenga durante queste celebrazioni giubilari. Vorrei, inoltre, salutare i familiari presenti ed estendere il mio pensiero a tutte le vostre famiglie.

Ogni giorno migliaia di persone visitano i Musei Vaticani. Nell’anno 2005 se ne sono contati oltre 3 milioni e 800 mila, e nel corrente 2006 hanno già superato i 4 milioni. Questo fa pensare! Chi sono infatti questi visitatori? Sono una rappresentanza assai eterogenea dell’umanità. Tra di loro, molti non sono cattolici, tanti non sono cristiani e forse neppure credenti. Buona parte di essi si reca anche nella Basilica di San Pietro, ma parecchi visitano, del Vaticano, soltanto i Musei. Tutto ciò fa riflettere sulla straordinaria responsabilità che investe tale istituzione dal punto di vista del messaggio cristiano. Viene in mente l’iscrizione che il Papa Benedetto XIV, a metà del Settecento, fece porre all’ingresso del cosiddetto Museo Cristiano, per dichiararne la finalità: "Ad augendum Urbis splendorem / et asserendam Religionis veritatem", "Per promuovere lo splendore di Roma e affermare la verità della Religione cristiana". L’approccio alla verità cristiana mediato attraverso l’espressione artistica o storico-culturale ha una chance in più per parlare all’intelligenza e alla sensibilità di persone che non appartengono alla Chiesa cattolica e talvolta possono nutrire verso di essa pregiudizi e diffidenza. Coloro che visitano i Musei Vaticani hanno modo di "immergersi" in un concentrato di "teologia per immagini", sostando in questo santuario di arte e di fede. So quanto impegno costi la tutela, la conservazione e la custodia quotidiana di tali ambienti, e vi ringrazio per lo sforzo che fate affinché essi parlino a tutti e nel migliore dei modi. E’ un lavoro nel quale, cari amici, siete tutti coinvolti e tutti importanti: perché il buon funzionamento del Museo, voi lo sapete bene, dipende dall’apporto di ciascuno.

Permettetemi ora di evidenziare una verità che sta scritta nel "codice genetico" dei Musei Vaticani: che cioè la grande civiltà classica e quella ebraico-cristiana non si oppongono tra loro, ma convergono nell’unico piano di Dio. Lo dimostra il fatto che l’origine remota di questa istituzione risale ad un’opera che ben possiamo qualificare "profana" – il magnifico gruppo scultoreo del Laocoonte -, ma che, in realtà, inserita nel contesto vaticano, acquista la sua piena e più autentica luce. E’ la luce della creatura umana plasmata da Dio, della libertà nel dramma della sua redenzione, protesa tra terra e cielo, tra carne e spirito. E’ la luce di una bellezza che irradia dall’interno dell’opera artistica e conduce lo spirito ad aprirsi al sublime, là dove il Creatore incontra la creatura fatta a sua immagine e somiglianza. Tutto questo possiamo leggere in un capolavoro quale appunto il Laocoonte, ma si tratta di una logica propria all’intero Museo, che in questa prospettiva appare veramente un tutto unitario nella complessa articolazione delle sue sezioni, pur così differenti tra loro. La sintesi tra Vangelo e cultura appare ancor più esplicita in alcuni reparti e quasi "materializzata" in talune opere: penso ai sarcofagi del museo Pio-cristiano, o alle tombe della Necropoli sulla Via Trionfale, che quest’anno ha visto raddoppiare la sua area musealizzata, o all’eccezionale collezione etnologica di provenienza missionaria. Il Museo mostra veramente un intreccio continuo tra Cristianesimo e cultura, tra fede e arte, tra divino e umano. La Cappella Sistina costituisce, al riguardo, un vertice insuperabile.

Ritorniamo ora a voi, cari amici. I Musei Vaticani sono il vostro luogo di lavoro quotidiano. Molti di voi sono a contatto diretto con i visitatori: quanto è importante allora il vostro tratto e il vostro esempio per offrire a tutti una semplice, ma incisiva testimonianza di fede. Un tempio di arte e di cultura come i Musei Vaticani chiede che alla bellezza delle opere si accompagni quella delle persone che vi lavorano: bellezza spirituale, che rende davvero ecclesiale l’ambiente, impregnandolo di spirito cristiano. Il fatto di lavorare in Vaticano costituisce, pertanto, un impegno in più a coltivare la propria fede e testimonianza cristiana. A questo proposito, oltre che dalla partecipazione attiva alla vita delle vostre comunità parrocchiali, un utile aiuto vi è offerto anche dai momenti di celebrazione e di formazione spirituale animati dai vostri assistenti spirituali, che ringrazio per la loro dedizione. Soprattutto vi invito a far sì che ogni vostra famiglia sia una "piccola Chiesa", in cui la fede e la vita si intrecciano nello svolgersi delle vicende liete e tristi di tutti i giorni. E proprio per questo sono contento che sia presente quest’oggi una significativa rappresentanza dei vostri familiari. La Vergine Maria e san Giuseppe vi aiutino a vivere in perenne rendimento di grazie, gustando le gioie semplici di ogni giorno e moltiplicando le opere di bene. Assicuro la mia preghiera per ciascuno di voi, in special modo per gli anziani, i bambini e gli ammalati e, mentre vi ringrazio per la vostra gradita visita, con affetto vi benedico insieme a tutti i vostri cari.





AI PARTECIPANTI ALLA CONFERENZA INTERNAZIONALE PROMOSSA DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PASTORALE DELLA SALUTE Sala Clementina Venerdì, 24 novembre 2006

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Cari fratelli e sorelle,

sono lieto di incontrarvi in occasione della Conferenza Internazionale organizzata dal Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute. Rivolgo a ciascuno il mio cordiale saluto, e in primo luogo al Cardinale Javier Lozano Barragán, che ringrazio per le cortesi parole. La scelta del tema - "Gli aspetti pastorali della cura delle malattie infettive" - offre l’opportunità di riflettere, da vari punti di vista, su patologie infettive che hanno accompagnato da sempre il cammino dell’umanità. Impressionante è il numero e la varietà dei modi con cui esse minacciano, spesso mortalmente, la vita umana anche in questo nostro tempo. Termini quali lebbra, peste, tubercolosi, AIDS, ebola evocano drammatici scenari di dolore e di paura. Dolore per le vittime e per i loro cari, spesso schiacciati da un senso d’impotenza di fronte alla gravità inesorabile del male; paura per la popolazione in generale e per quanti, a motivo della professione o di scelte volontarie, avvicinano questi malati.

La persistenza delle malattie infettive che, nonostante i benefici effetti della prevenzione posta in essere sulla base del progresso della scienza, della tecnologia medica e delle politiche sociali, continuano a mietere numerose vittime, mette in risalto i limiti inevitabili della condizione umana. L’impegno umano, però, non deve mai arrendersi nel cercare mezzi e modalità d’intervento più efficaci per combattere questi mali e per ridurre i disagi di quanti ne sono vittime. Schiere di uomini e donne hanno, in passato, messo a disposizione di malati con patologie ripugnanti le loro competenze e la loro carica di umana generosità. Nell’ambito della Comunità cristiana numerose "sono state le persone consacrate che hanno sacrificato la loro vita nel servizio alle vittime di malattie contagiose, mostrando che la dedizione fino all'eroismo appartiene all'indole profetica della vita consacrata" (Esort. ap. postsin. Vita consecrata
VC 83). A così lodevoli iniziative e a così generosi gesti di amore si contrappongono tuttavia non poche ingiustizie. Come dimenticare i tanti malati infettivi costretti a vivere segregati, e talora segnati da uno stigma che li umilia? Tali deprecabili situazioni appaiono con maggiore gravità nella disparità delle condizioni sociali ed economiche tra il Nord e il Sud del mondo. Ad esse è importante rispondere con interventi concreti, che favoriscano la prossimità all’ammalato, rendano più viva l’evangelizzazione della cultura e propongano motivi ispiratori dei programmi economici e politici dei governi.

In primo luogo, la prossimità al malato colpito da malattie infettive: è questo un obiettivo a cui la Comunità ecclesiale deve sempre tendere. L’esempio del Cristo che, rompendo con le prescrizioni del tempo, non solo si lasciava avvicinare dai lebbrosi ma li ristabiliva nella salute e nella loro dignità di persone, ha "contagiato" molti suoi discepoli lungo gli oltre due mila anni di storia cristiana. Il bacio al lebbroso di Francesco d’Assisi ha trovato imitatori non solo in personaggi eroici come il beato Damiano De Veuster, morto nell’isola di Molokai mentre assisteva i lebbrosi, o come la beata Teresa di Calcutta, oppure le religiose italiane uccise qualche anno fa dal virus dell’ebola, ma pure in tanti promotori di iniziative a favore dei malati infettivi, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Questa ricca tradizione della Chiesa cattolica va tenuta viva perché, attraverso l’esercizio della carità verso chi soffre, siano resi visibili i valori ispirati ad autentica umanità e al Vangelo: la dignità della persona, la misericordia, l’identificazione di Cristo al malato. Ogni intervento resta insufficiente, se in esso non si rende percepibile l’amore per l’uomo, un amore che si nutre dell’incontro con Cristo.

All’insostituibile prossimità nei confronti del malato va unita l’evangelizzazione dell’ambiente culturale in cui viviamo. Tra i pregiudizi che ostacolano o limitano un aiuto efficace alle vittime di malattie infettive c’è l’atteggiamento di indifferenza e persino di esclusione e rigetto nei loro confronti, che emerge a volte nella società del benessere. Questo atteggiamento è favorito anche dall’immagine veicolata attraverso i media di uomo e donna preoccupati prevalentemente della bellezza fisica, della salute e della vitalità biologica. E’ una pericolosa tendenza culturale che porta a porre se stessi al centro, a chiudersi nel proprio piccolo mondo, a rifuggire dall’impegnarsi nel servire chi è nel bisogno. Il venerato mio predecessore Giovanni Paolo II, nella Lettera apostolica Salvifici doloris, auspica piuttosto che la sofferenza aiuti a "sprigionare nell'uomo l'amore, quel dono disinteressato del proprio «io» in favore degli altri uomini, degli uomini sofferenti". Ed aggiunge: "Il mondo dell'umana sofferenza invoca, per così dire, senza sosta un altro mondo: quello dell'amore umano; e quest'amore disinteressato che si desta nel suo cuore e nelle sue opere, l'uomo lo deve, in un certo senso, alla sofferenza " (n. 29). Occorre allora una pastorale capace di sostenere i malati nell’affrontare la sofferenza, aiutandoli a trasformare la propria condizione in un momento di grazia per sé e per gli altri, attraverso una viva partecipazione al mistero di Cristo.

Infine, vorrei ribadire quanto sia importante la collaborazione con le varie istanze pubbliche, perché venga attuata la giustizia sociale in un delicato settore come quello della cura e dell’assistenza ai malati infettivi. Vorrei accennare, ad esempio, alla equa distribuzione delle risorse per la ricerca e la terapia, come pure alla promozione di condizioni di vita che frenino l’insorgere e l’espandersi delle malattie infettive. In questo come in altri ambiti, alla Chiesa incombe il compito "mediato" di "contribuire alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali, senza le quali non vengono costruite strutture giuste, né queste possono essere operative a lungo". Mentre "il compito immediato di operare per un giusto ordine nella società è proprio dei fedeli laici… chiamati a partecipare in prima persona alla vita pubblica" (Enc. Deus caritas est ).

Grazie, cari amici, per l’impegno che ponete al servizio di una causa in cui trova la sua attualizzazione l’opera sanante e salvatrice di Gesù, divino Samaritano delle anime e dei corpi. Augurandovi una felice conclusione dei vostri lavori, imparto di cuore a voi e ai vostri cari una speciale Benedizione Apostolica.




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