Discorsi 2005-13 40107

VISITA ALLA MENSA DELLA CARITAS A COLLE OPPIO Giovedì, 4 gennaio 2007

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Cari amici,

sono venuto molto volentieri a farvi visita nel clima delle festività natalizie e all’inizio di un nuovo anno, che auguro a tutti di trascorrere serenamente. Il contesto natalizio rende ancor più familiare questo nostro incontro, che si svolge in un luogo significativo della città di Roma: un luogo ricco di umanità. Vi saluto tutti con affetto, a partire dal Cardinale Camillo Ruini e dal Vescovo Ausiliare del Settore Centro, Mons. Ernesto Mandara; saluto il Direttore della Caritas romana, Mons. Guerino Di Tora, che ringrazio per le cordiali parole rivoltemi, e il Vicedirettore, Mons. Angelo Bergamaschi, come pure gli operatori e i volontari. Saluto il responsabile, gli educatori e i ragazzi del Centro Giovanile “Il Centro”, ai quali sono grato per i bei canti con cui ci hanno rallegrati. Avete cantato anche il “Te Deum” in tedesco. Grazie per questo gesto speciale. Saluto il parroco dei Santi Silvestro e Martino ai Monti, i sacerdoti e le persone consacrate presenti. Uno speciale ringraziamento rivolgo alla Signora Capo Servizio della Mensa, al volontario e all’ospite che si sono fatti portavoce ed interpreti dei comuni sentimenti. Il saluto più caro va a voi, che quotidianamente usufruite del servizio di questa Mensa Caritas, e col pensiero vorrei raggiungere tutti i vostri amici che, provenendo da quasi tutti i Paesi del mondo, sono presenti in questa Città.

In questa Mensa, che in un certo modo potrebbe essere considerata il simbolo della Caritas di Roma, in questa locanda, come ha detto la vostra portavoce, è possibile toccare con mano la presenza di Cristo nel fratello che ha fame e in colui che gli offre da mangiare. Qui si può sperimentare che, quando amiamo il prossimo, conosciamo meglio Dio: nella grotta di Betlemme, infatti, Egli si è manifestato a noi nella povertà d’un neonato bisognoso di tutto. Il messaggio del Natale è semplice: Dio è venuto tra noi perché ci ama e aspetta il nostro amore. Dio è amore: non un amore sentimentale, ma un amore che si è fatto dono totale sino al sacrificio della Croce, cominciando con la nascita nella grotta di Betlemme.

Di questo amore, realistico e divino, ci parla il bel presepe che avete voluto allestire all’intero della vostra Mensa, e che poco fa ho potuto ammirare. Nella sua semplicità, il presepe ci dice che amore e povertà vanno insieme, come insegna anche un grande innamorato di Cristo, san Francesco d’Assisi. Nel Natale Dio si è fatto uomo, perché a Lui interessa l’uomo, ogni uomo. E San Gregoria Nazianzeno ha detto che si è fatto uomo perché voleva sperimentare personalmente come è l’essere uomo, come è realmente il vivere la povertà. Il grande Dio voleva fare esperienza personale della vita umana, di tutte le sofferenze e di tutti i bisogni umani. Appena nato, Gesù è stato deposto nella mangiatoia di Betlemme, parola che, come voi sapete, significa la Casa del pane. In realtà Gesù, “il pane disceso dal cielo”, “il pane della vita” (cfr
Jn 6,32-51), si rende in qualche modo visibile ogni giorno in questa Mensa, dove non si vuole dare soltanto da mangiare – certamente mangiare è importante -, ma si vuole servire la persona, senza distinzione di razza, religione e cultura. “L’uomo che soffre ci appartiene”, diceva il mio indimenticabile Predecessore, Giovanni Paolo II, al quale proprio oggi abbiamo intitolato la Mensa. Dalla grotta di Betlemme, da ogni presepe si diffonde un annuncio che vale per tutti: Gesù ci ama e ci insegna ad amare, ci provoca ad amare. I responsabili, i volontari e tutti coloro che frequentano la Mensa possano sperimentare la bellezza di questo amore; possano sentire la profondità della gioia che da esso deriva, una gioia certamente diversa da quella illusoria reclamizzata dalla pubblicità.

Concluderemo tra poco questo nostro incontro elevando al Signore la nostra preghiera. A Lui sono ben note le necessità materiali e spirituali di tutti i presenti. Io vorrei pregarlo, in particolare, perchè continui a proteggere quanti nella Caritas romana svolgono una preziosa opera di solidarietà qui e in altri punti della città. Lo Spirito Santo animi i cuori dei responsabili e di tutti gli operatori e volontari, perché compiano il loro servizio con dedizione sempre più consapevole, ispirandosi all’autentico stile dell’amore cristiano, che i Santi della carità hanno riassunto nel motto: il bene va fatto bene. Su tutti vegli con amore premuroso la Vergine Maria, Madre della Chiesa, Madre di ciascuno di noi.

Di cuore tutti vi benedico.



AL CORPO DIPLOMATICO ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE Sala Regia Lunedì, 8 gennaio 2007

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Signor Decano,
Eccellenze, Signore e Signori,

E’ con piacere che vi accolgo oggi, per questa tradizionale cerimonia di scambio degli auguri. Benché essa si rinnovi ogni anno, non si tratta tuttavia di una semplice formalità, ma di un’occasione per affermare la nostra speranza e per impegnarci sempre di più al servizio della pace e dello sviluppo delle persone e dei popoli.

In primo luogo, desidero ringraziare il vostro Decano, il Signor Ambasciatore Giovanni Galassi, per le gentili parole con le quali ha espresso i vostri auguri. Rivolgo un saluto particolare agli Ambasciatori che partecipano per la prima volta a questo incontro. Offro a tutti i miei auguri più cordiali e vi assicuro la mia preghiera, affinché il 2007 porti a voi, alle vostre famiglie, ai vostri collaboratori, a tutti i popoli ed ai loro dirigenti la felicità e la pace.

All’inizio dell’anno, siamo invitati a dare uno sguardo alla situazione internazionale per esaminare le sfide che siamo chiamati ad affrontare insieme. Tra le questioni essenziali, come non pensare ai milioni di persone, specialmente alle donne e ai bambini, che mancano di acqua, di cibo, di un tetto? Lo scandalo della fame, che tende ad aggravarsi, è inaccettabile in un mondo che dispone dei beni, delle conoscenze e dei mezzi per porvi fine. Esso ci spinge a cambiare i nostri modi di vita, ci richiama l’urgenza di eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell’economia mondiale e di correggere i modelli di crescita che sembrano incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente e uno sviluppo umano integrale per oggi e soprattutto per domani. Invito di nuovo i Responsabili della Nazioni più ricche a prendere i provvedimenti necessari affinché i paesi poveri, spesso pieni di ricchezze naturali, possano beneficiare dei frutti dei beni che appartengono loro in modo proprio. Da questo punto di vista, il ritardo nella messa in opera degli impegni presi dalla comunità internazionale nel corso di tutti gli ultimi anni è fonte di preoccupazione. E’ necessario augurarsi la ripresa dei negoziati commerciali del «Doha Development Round» dell’Organizzazione Mondiale del commercio, come il proseguimento e l’accelerazione del processo di cancellazione e di riduzione del debito dei paesi più poveri, senza che questo sia condizionato a misure di aggiustamento strutturale, nefaste per le popolazioni più vulnerabili.

Nell’ambito del disarmo, ugualmente, si moltiplicano sintomi di una crisi progressiva, legata alle difficoltà di negoziati sulle armi convenzionali così come sulle armi di distruzione di massa e, d’altra parte, all’aumento delle spese militari su scala mondiale. Le questioni di sicurezza, aggravate dal terrorismo, che bisogna condannare fermamente, devono essere trattate in un approccio globale e lungimirante.

Per quanto concerne le crisi umanitarie, occorre notare che le Organizzazioni che le affrontano hanno bisogno di un più forte sostegno, affinché siano in grado di fornire alle vittime protezione e assistenza. Un'altra questione che acquista sempre più rilievo è quella del movimento di persone: milioni di uomini e di donne sono costretti a lasciare le loro case e la loro patria a causa delle violenze oppure per ricercare condizioni di vita più dignitose. E’ illusorio pensare che i fenomeni migratori potranno essere bloccati o controllati semplicemente attraverso la forza. Le migrazioni e i problemi che esse creano devono essere affrontati con umanità, giustizia e compassione.

Come non preoccuparsi dei continui attentati portati alla vita, dal concepimento fino alla morte naturale? Non risparmiano tali attentati anche quelle regioni dove la cultura del rispetto della vita è tradizionale, come in Africa, dove si tenta di banalizzare surrettiziamente l’aborto attraverso il Protocollo di Maputo, così come attraverso il Piano d’Azione adottato dai Ministri della Sanità dell’Unione Africana, e che sarà tra poco sottoposto al Summit dei capi di Stato e di Governo. Allo stesso modo si sviluppano minacce contro la struttura naturale della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, e tentativi di relativizzarla conferendole lo stesso statuto di forme di unione radicalmente diverse. Tutto ciò costituisce una offesa alla famiglia e contribuisce a destabilizzarla, violandone la specificità ed il ruolo sociale unico. Altre forme di aggressione alla vita sono talvolta commesse sotto l’apparenza della ricerca scientifica. Si fa largo la convinzione che la ricerca non abbia altre leggi all’infuori di quelle che vuole darsi e che non abbia alcun limite alle proprie possibilità. E’ il caso, per esempio, dei tentativi di legittimare la clonazione umana per ipotetici fini terapeutici.

Questo quadro preoccupante non impedisce però di percepire gli elementi positivi che caratterizzano la nostra epoca. Vorrei citare in primo luogo la presa di coscienza crescente dell’importanza del dialogo tra le culture e tra le religioni. Si tratta di una necessità vitale, in particolare a motivo delle sfide comuni riguardanti la famiglia e la società. Rilevo del resto le numerose iniziative in questo senso, che mirano a costruire le basi comuni per vivere nella concordia.

Si deve anche notare lo sviluppo della presa di coscienza della comunità internazionale nei confronti delle enormi sfide del nostro tempo, così come gli sforzi perché si traduca in atti concreti. In seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite, è stato creato l’anno scorso il Consiglio dei Diritti dell’Uomo: occorre sperare che esso impernierà la sua attività verso la difesa e la promozione dei diritti fondamentali della persona, in particolare il diritto alla vita e alla libertà religiosa. Parlando delle Nazioni Unite, sento il dovere di salutare con gratitudine S.E. il Signor Kofi Annan per l’opera compiuta nel corso del suo mandato. Formulo i migliori auguri per il suo successore S.E. il Signor Ban Ki-moon, nel momento in cui assume le sue funzioni.

Nel quadro dello sviluppo, sono state lanciate diverse iniziative, alle quali la Santa Sede non ha mancato di portare il suo sostegno, richiamando in pari tempo che questi progetti non devono sopprimere l’impegno dei paesi sviluppati a destinare lo 0,7% del loro prodotto interno lordo all’aiuto internazionale. Un altro elemento importante nello sforzo comune per l’eliminazione della miseria richiede non solamente un’assistenza, della quale non si può non desiderare l’espansione, ma anche la presa di coscienza dell’importanza della lotta alla corruzione e la promozione del buon governo. Occorre anche incoraggiare e proseguire gli sforzi al fine di assicurare l’applicazione del diritto umanitario alle persone ed ai popoli per una protezione più efficace delle popolazioni civili.

Considerando la situazione politica nei diversi continenti, troviamo ancora motivi di preoccupazione e di speranza. Constatiamo in primo luogo che la pace è spesso fragile e anche derisa. Non possiamo dimenticare il Continente Africano: il dramma del Darfour prosegue e si estende alle regioni di confine del Tchad e della Repubblica Centroafricana. La comunità internazionale sembra impotente da ormai quattro anni, malgrado le iniziative destinate ad alleviare le popolazioni provate e a dare una soluzione politica. E’ solamente attraverso una collaborazione attiva tra le Nazioni Unite, l’Unione Africana, i Governi interessati e altri protagonisti che questi mezzi potranno divenire efficaci. Invito tutti ad agire con determinazione: non possiamo accettare che tanti innocenti continuino a soffrire e a morire.

La situazione nel Corno d’Africa si è recentemente aggravata con la ripresa delle ostilità e l’internazionalizzazione del conflitto. Nel rivolgere un appello a tutte le parti in causa ad abbandonare le armi e a scegliere il negoziato, mi sia permesso di ricordare la memoria di suor Leonella Sgorbati che ha donato la sua vita al servizio dei più svantaggiati, invocando il perdono per i suoi uccisori. Che il suo esempio e la sua testimonianza possano ispirare tutti coloro che cercano realmente il bene della Somalia!

In Uganda, occorre auspicare il progresso dei negoziati tra le parti, in vista della fine di un conflitto crudele che vede persino l’arruolamento di numerosi bambini costretti a farsi soldati. Ciò permetterà ai numerosi profughi di ritornare nelle loro case e di ritrovare una vita degna. Il contributo dei capi religiosi e la recente designazione di un Rappresentante del Segretario Generale delle Nazioni Unite sono di buon auspicio. Lo ripeto: non dimentichiamo l’Africa e le sue numerose situazioni di guerra e di tensione. Occorre ricordare che solo i negoziati tra i diversi protagonisti possono aprire la strada ad una giusta composizione dei conflitti e fare intravedere dei progressi verso il consolidamento della pace.

La regione dei Grandi Laghi è stata insanguinata da anni da guerre senza pietà. E’ con interesse e speranza che occorre accogliere i recenti sviluppi positivi, in particolare la conclusione della fase di transizione politica nel Burundi e più recentemente nella Repubblica Democratica del Congo. E’ tuttavia urgente che i Paesi si impegnino per il ritorno al funzionamento delle istituzioni dello stato di diritto, per porre un freno a tutti gli arbitrii e per permettere lo sviluppo sociale. Mi auguro che in Rwanda il lungo processo di riconciliazione nazionale dopo il genocidio trovi il suo sbocco nella giustizia, ma anche nella verità e nel perdono. La Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi, con la partecipazione di una delegazione della Santa Sede e dei rappresentanti di numerose conferenze episcopali nazionali e regionali dell’Africa centrale e orientale, lascia intravedere nuove speranze. Infine, vorrei menzionare la Costa d’Avorio, esortando le parti in causa a creare un clima di fiducia reciproca che possa condurre al disarmo e alla pacificazione, come pure l’Africa Australe: in questi paesi milioni di persone sono ridotte ad una situazione di grande vulnerabilità, che esige l’attenzione e l’appoggio della comunità internazionale.

Segnali positivi per l’Africa vengono anche dalla volontà espressa dalla comunità internazionale di mantenere questo continente al centro della sua attenzione, e anche dal rafforzamento delle istituzioni continentali e regionali, che testimoniano l’intenzione dei paesi coinvolti di diventare sempre più responsabili del loro proprio destino. Occorre anche lodare l’atteggiamento degno delle persone che, ogni giorno, s’impegnano con determinazione a promuovere progetti che contribuiscano allo sviluppo e all’organizzazione della vita economica e sociale.

Il viaggio apostolico che effettuerò nel prossimo mese di maggio in Brasile mi dà l’occasione di volgere il mio sguardo verso questo grande paese, che mi attende con gioia, e verso tutta l’America Latina e i Caraibi. Il miglioramento di alcuni indici economici, l’impegno nella lotta contro il traffico di droga e contro la corruzione, i diversi processi di integrazione, gli sforzi per migliorare l’accesso all’educazione, per combattere la disoccupazione e per ridurre le disuguaglianze nella distribuzione dei redditi, costituiscono degli indizi da rilevare con soddisfazione. Se queste evoluzioni dovessero consolidarsi, potrebbero contribuire in maniera determinante a vincere la povertà che affligge vasti settori della popolazione e ad accrescere la stabilità istituzionale. Parlando delle elezioni che si sono svolte l’anno scorso in molti paesi, occorre sottolineare che la democrazia è chiamata a considerare le aspirazioni dell’insieme dei cittadini, a promuovere lo sviluppo nel rispetto di tutte le componenti della società, secondo i principi della solidarietà, della sussidiarietà e della giustizia. Bisogna però mettere in guardia contro il rischio che l’esercizio della democrazia si trasformi nella dittatura del relativismo, proponendo modelli antropologici incompatibili con la natura e la dignità dell’uomo.

La mia attenzione si volge in modo particolare verso alcuni paesi, segnatamente la Colombia, dove il lungo conflitto interno ha provocato una crisi umanitaria, soprattutto per ciò che concerne i profughi. Si devono fare tutti gli sforzi per pacificare il paese, per restituire alle famiglie i loro parenti che sono stati rapiti, per ridare sicurezza e una vita normale a milioni di persone. Tali segni daranno fiducia a tutti, ivi compresi coloro che sono stati coinvolti nella lotta armata. Il nostro sguardo si rivolge anche verso Cuba. Auspicando che ciascuno dei suoi abitanti possa realizzare le sue aspirazioni legittime nell’impegno per il bene comune, permettetemi di ripetere l’appello del mio venerato Predecessore: “Che Cuba si apra al mondo e il mondo a Cuba”. L’apertura reciproca con gli altri paesi non potrà che essere a beneficio di tutti. Non lontano da lì, il popolo haitiano vive sempre in una grande povertà e nella violenza. Formulo voti affinché l’interesse della comunità internazionale, manifestato tra l’altro dalle conferenze dei donatori che si sono tenute nel 2006, conduca al consolidamento delle istituzioni e permetta al popolo di diventare artefice del proprio sviluppo, in un clima di riconciliazione e di concordia.

L’Asia presenta prima di tutto paesi che sono caratterizzati da una popolazione molto numerosa e da un grande sviluppo economico. Penso alla Cina e all’India, paesi in piena espansione, auspicando che la loro crescente presenza sulla scena internazionale determini dei benefici per le stesse popolazioni e per le altre nazioni. Così pure formulo voti augurali al Viet-Nâm, rammentando la sua recente adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Il mio pensiero si volge ora alle comunità cristiane. Nella maggior parte dei paesi dell’Asia si tratta spesso di comunità piccole ma vivaci, che desiderano legittimamente poter vivere e agire in un clima di libertà religiosa. E’ al tempo stesso un diritto naturale e una condizione che permetterà loro di contribuire al progresso materiale e spirituale della società, e di essere elemento di coesione e di concordia.

A Timor Est, la Chiesa cattolica intende continuare ad offrire il suo contributo in particolare nei settori dell’educazione, della sanità e della riconciliazione nazionale. La crisi politica attraversata da questo giovane Stato, come del resto, anche da altri paesi della regione, mette in evidenza una certa fragilità dei processi di democratizzazione. Pericolosi focolai di tensione covano nella penisola della Corea. L’obiettivo della riconciliazione del popolo coreano e della de-nuclearizzazione della Penisola, che avranno degli effetti benefici in tutta la regione, devono essere perseguiti nel quadro dei negoziati. Occorre evitare gesti che possano compromettere le trattative, senza tuttavia condizionare ai risultati gli aiuti umanitari destinati agli strati più vulnerabili della popolazione.

Vorrei attirare la vostra attenzione su altri due paesi asiatici che sono motivo di preoccupazione. In Afghanistan, nel corso degli ultimi mesi, occorre ahimè deplorare un aumento notevole della violenza e degli attacchi terroristici, che rendono difficile il cammino verso l’uscita dalla crisi e che pesano gravemente sulla popolazione locale. In Sri Lanka il fallimento dei negoziati di Ginevra tra il Governo e il Movimento Tamil ha prodotto una intensificazione del conflitto, che provoca immense sofferenze tra la popolazione civile. Solo la via del dialogo potrà assicurare un futuro migliore e più sicuro per tutti.

Anche il Medio Oriente è fonte di grandi inquietudini. Per questo ho voluto indirizzare una lettera ai cattolici della regione in occasione del Natale, per esprimere la mia solidarietà e la mia vicinanza spirituale con tutti, e per incoraggiarli a proseguire la loro presenza nella regione, sicuro che la loro testimonianza sarà un aiuto e un sostegno in vista di un futuro di pace e di fraternità. Rinnovo il mio pressante appello a tutte le parti in causa nel complesso scacchiere politico della regione, con la speranza che si consolidino i segni positivi tra Israeliani e Palestinesi registrati nel corso delle ultime settimane. La Santa Sede non smetterà di ripetere che le soluzioni militari non conducono a nulla, come si è potuto vedere in Libano l’estate scorsa. Il futuro di questo paese passa necessariamente attraverso l’unità di tutte le sue componenti e attraverso le relazioni fraterne tra i diversi gruppi religiosi e sociali. Ciò costituisce un messaggio di speranza per tutti. Non è possibile accontentarsi di soluzioni parziali o unilaterali. Per porre termine alla crisi e alle sofferenze che essa causa nelle popolazioni, bisogna procedere attraverso un approccio globale, che non escluda nessuno dalla ricerca di una soluzione negoziata e che tenga conto delle aspirazioni e degli interessi legittimi dei diversi popoli coinvolti; in modo particolare, i Libanesi hanno diritto a vedere rispettata l’integrità e la sovranità del loro paese; gli Israeliani hanno il diritto di vivere in pace nel loro Stato, i Palestinesi hanno il diritto ad una patria libera e sovrana. Se ciascuno dei popoli della regione vede le sue aspettative prese in considerazione e si sente meno minacciato, la fiducia reciproca si rafforzerà. Questa stessa fiducia si svilupperà se un paese come l’Iran, specialmente per quanto concerne il suo programma nucleare, accettasse una risposta soddisfacente alle preoccupazioni legittime della comunità internazionale. Dei passi compiuti in questo senso avranno senza alcun dubbio un effetto positivo per la stabilizzazione di tutta la regione, e dell’Iraq in particolare, mettendo fine alla spaventosa violenza che insanguina questo paese, e offrendo la possibilità di rilanciare la sua ricostruzione e la riconciliazione tra tutti i suoi abitanti.

Più vicino a noi, in Europa, nuovi paesi, la Bulgaria e la Romania, paesi di lunga tradizione cristiana, hanno fatto il loro ingresso nell’Unione europea. Nel momento in cui ci si appresta a celebrare il cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma, una riflessione si impone sul Trattato costituzionale. Mi auguro che i valori fondamentali che sono alla base della dignità umana siano pienamente protetti, in particolare la libertà religiosa in tutte le sue dimensioni e i diritti istituzionali delle Chiese. Allo stesso modo, non si può prescindere dall’innegabile patrimonio cristiano di questo continente, che ha largamente contribuito a modellare l’Europa delle nazioni e l’Europa dei popoli. Il cinquantesimo anniversario dell’insurrezione di Budapest, festeggiato nell’ottobre scorso, ci ha ricordato gli avvenimenti drammatici del ventesimo secolo che spingono tutti gli Europei a costruire un futuro libero da ogni oppressione e condizionamento ideologico, a tessere legami di amicizia e di fraternità, e a manifestare sollecitudine e solidarietà verso i più poveri e i più piccoli: allo stesso modo, è importante purificare le tensioni del passato, promuovendo la riconciliazione a tutti i livelli, perché essa sola permette di costruire il futuro e di aprirsi alla speranza. Faccio appello anche a tutti coloro che, nel continente europeo, sono tentati dal terrorismo, a cessare ogni attività di questo tipo, perché tali comportamenti, che fanno prevalere la violenza e che provocano paura presso le popolazioni, costituiscono una strada senza uscita. Penso anche ai diversi «conflitti congelati», auspicando che possano trovare rapidamente una soluzione definitiva, e alle tensioni ricorrenti, legati ai nostri giorni soprattutto alle risorse energetiche.

Mi auguro che la regione dei Balcani giunga alla stabilità che tutti sperano, in particolare grazie all’integrazione delle nazioni che la compongono nelle strutture continentali e al sostegno della comunità internazionale. L’allacciamento di relazioni diplomatiche con la Repubblica del Montenegro, appena entrata pacificamente nel concerto delle Nazioni, e l’Accordo di Base firmato con la Bosnia Erzegovina, costituiscono delle prove dell’attenzione costante della Santa Sede per la regione dei Balcani. Mentre si avvicina il momento in cui sarà definitivo lo statuto del Kosovo, la Santa Sede domanda a tutti coloro che sono coinvolti uno sforzo di saggezza lungimirante, di flessibilità e di moderazione affinché sia trovata una soluzione rispettosa dei diritti e della attese legittime di tutti.

Le situazioni che ho voluto evocare costituiscono una sfida che ci riguarda tutti; si tratta di una sfida che consiste nel promuovere e consolidare tutto ciò che c’è di positivo nel mondo e a superare, con buona volontà, saggezza e tenacia, tutto ciò che ferisce, degrada e uccide l’uomo. Solo rispettando la persona umana è possibile promuovere la pace, e solo costruendo la pace si pongono le basi per un autentico umanesimo integrale. Qui si trova la risposta alla preoccupazione di tanti nostri contemporanei sul futuro. Sì, l’avvenire potrà essere sereno se lavoriamo insieme per l’uomo. L’uomo, creato ad immagine di Dio, possiede una dignità incomparabile; l’uomo è così degno d’amore agli occhi del Suo Creatore, che Dio non ha esitato a donare per lui il suo proprio Figlio. E’ questo il grande mistero del Natale, che abbiamo appena celebrato e la cui atmosfera gioiosa si estende anche al nostro incontro odierno. Nel suo impegno al servizio dell’uomo e alla costruzione della pace, la Chiesa si pone al fianco di tutte le persone di buona volontà offrendo una collaborazione disinteressata. Che insieme, ciascuno al suo posto e con i suoi propri talenti, sappiamo lavorare alla costruzione di un umanesimo integrale che solo può assicurare un mondo pacifico, giusto e solidale. Questo augurio si accompagna con la preghiera che elevo al Signore per voi, per le vostre famiglie, per i vostri collaboratori e per i popoli che rappresentate.



AGLI AMMINISTRATORI DELLA REGIONE LAZIO DEL COMUNE E DELLA PROVINCIA DI ROMA Sala Clementina Giovedì, 11 gennaio 2007

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Illustri Signori e gentili Signore,

per la seconda volta ho il piacere di ricevervi, all’inizio dell’anno, per il tradizionale scambio di auguri. Vi ringrazio di essere qui e porgo il mio cordiale e deferente saluto al Presidente della Giunta regionale del Lazio, Signor Pietro Marrazzo, al Sindaco di Roma, Onorevole Walter Veltroni, e al Presidente della Provincia di Roma, Signor Enrico Gasbarra, esprimendo loro la mia sincera gratitudine per le gentili parole che mi hanno rivolto, anche a nome delle Amministrazioni da essi guidate. Insieme a loro, saluto i Presidenti delle rispettive Assemblee consiliari e tutti voi qui convenuti.

Questo nostro incontro è l’occasione propizia per rinsaldare e consolidare quei vincoli profondi, antichi e tenaci, che uniscono il Successore di Pietro a questa città, unica al mondo, alla sua provincia e a tutta la regione del Lazio. A ciascuno dei cittadini e degli abitanti di Roma e del Lazio giunga per vostro tramite l’espressione del mio affetto, della mia vicinanza e della mia sollecitudine pastorale. Roma, con la sua storia millenaria e il suo significato universale, e insieme a Roma l’intero Lazio, le sue città, i suoi borghi, le sue contrade, sono una terra nella quale con speciale evidenza il cristianesimo ha messo radici e ha prodotto attraverso i secoli opere di bellezza e frutti di bene, mostrando in concreto quanto il Dio fattosi uomo sia davvero amico dell’uomo. Questo patrimonio di bontà e di bellezza è ora in certo senso affidato anche a voi, come pubblici amministratori, nel pieno rispetto della sana laicità delle vostre funzioni. E questo è un naturale terreno di collaborazione tra la Chiesa e la società civile che voi rappresentate. Il bene umano integrale delle popolazioni di Roma e del Lazio viene sicuramente tutelato e incrementato da una simile collaborazione.

In questo spirito desidero richiamare la vostra attenzione su alcune materie di comune interesse e di grande importanza e attualità. Per farlo prendo spunto da un’esperienza assai recente, che mi ha intimamente rallegrato: la visita che ho compiuto la settimana scorsa alla Mensa della Caritas diocesana di Roma, a Colle Oppio. In quell’occasione, intitolando la Mensa stessa al mio indimenticabile predecessore Giovanni Paolo II, ho ripetuto le sue parole, pronunciate 15 anni prima in quel medesimo luogo: “L’uomo che soffre ci appartiene”. Sì, gentili rappresentanti delle Amministrazioni di Roma e del Lazio, ogni uomo che soffre appartiene alla Chiesa e al tempo stesso appartiene a tutti i fratelli in umanità. Appartiene dunque, e a un titolo preciso, anche alle vostre responsabilità di pubblici amministratori. Non posso non rallegrarmi, pertanto, della collaborazione da molto tempo in atto tra gli organismi ecclesiali e le vostre Amministrazioni, allo scopo di alleviare e soccorrere le molte forme di povertà, economica ma anche umana e relazionale, che affliggono un notevole numero di persone e di famiglie, specialmente tra gli immigrati.

Vi è poi il vastissimo campo della tutela della salute, che esige uno sforzo ingente e coordinato per assicurare a quanti soffrono di malattie fisiche o psichiche cure tempestive e adeguate: anche su questo terreno la Chiesa e le organizzazioni cattoliche sono liete di offrire la loro collaborazione, alla luce dei grandi principi della sacralità della vita umana, dal concepimento fino al suo termine naturale, e della centralità della persona del malato. Confido nella vostra disponibilità a favorire una tale collaborazione, che va sicuramente a vantaggio dell’intera popolazione.

Quella medesima sollecitudine per l’uomo che ci spinge ad essere vicini ai poveri e agli ammalati ci rende attenti a quel fondamentale bene umano che è la famiglia fondata sul matrimonio. Oggi il matrimonio e la famiglia hanno bisogno di essere meglio compresi nel loro intrinseco valore e nelle loro autentiche motivazioni, e a tal fine è grande e deve crescere ulteriormente l’impegno pastorale della Chiesa. Ma è ugualmente necessaria una politica della famiglia e per la famiglia, che chiama in causa, su un duplice versante, anche le responsabilità che vi sono proprie. Si tratta cioè di incrementare le iniziative che possono rendere meno difficile e gravosa per le giovani coppie la formazione di una famiglia, e poi la generazione e l’educazione dei figli, favorendo l’occupazione giovanile, contenendo per quanto possibile il costo degli alloggi, aumentando il numero delle scuole materne e degli asili-nido. Appaiono invece pericolosi e controproducenti quei progetti che puntano ad attribuire ad altre forme di unione impropri riconoscimenti giuridici, finendo inevitabilmente per indebolire e destabilizzare la famiglia legittima fondata sul matrimonio.

L’educazione delle nuove generazioni costituisce la priorità pastorale sulla quale la Diocesi di Roma sta attualmente concentrando la propria attenzione. Certamente non sfugge ad alcuno di voi l’importanza anche sociale e civile di una simile problematica. Pertanto, mentre vi sono grato per il sostegno che già offrite ad alcune forme di impegno educativo della Chiesa, tra cui in particolare gli oratori, confido che anche in questo ambito possa ulteriormente svilupparsi una proficua collaborazione, nel rispetto dell’indole e dei compiti propri di ciascuno dei soggetti interessati.

Distinte Autorità, molti altri, e non di rado assai complessi, sono i problemi che dovete quotidianamente affrontare, per promuovere lo sviluppo economico, sociale e culturale di Roma e del Lazio. Vi assicuro pertanto la mia vicinanza e la mia preghiera, per voi e per le alte responsabilità che siete chiamati ad esercitare. Il Signore guidi i vostri passi e illumini i vostri propositi. Con questi sentimenti, imparto di cuore a ciascuno di voi la Benedizione Apostolica, che estendo volentieri alle vostre famiglie e a quanti vivono e operano a Roma, nella sua provincia e in tutto il Lazio.




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