Discorsi 2005-13 31508

PREGHIERA DEL ROSARIO PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE Basilica di Santa Maria Maggiore Sabato, 3 maggio 2008

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Cari fratelli e sorelle,

al termine di questo momento di preghiera mariana, desidero rivolgere a tutti voi il mio cordiale saluto e ringraziarvi per la vostra partecipazione. Saluto in particolare il Cardinale Bernard Francis Law, Arciprete di questa stupenda Basilica di Santa Maria Maggiore. Questo è, in Roma, il tempio mariano per eccellenza, in cui il popolo della Città venera con grande affetto l’icona di Maria Salus Populi Romani. Ho accolto volentieri l’invito che mi è stato rivolto nel primo sabato del mese di maggio, a guidare il santo Rosario, secondo la bella tradizione che ho vissuto fin dalla mia infanzia. Nell’esperienza della mia generazione, infatti, le sere di maggio rievocano dolci ricordi legati agli appuntamenti vespertini per rendere omaggio alla Madonna. Come, infatti, dimenticare la preghiera del Rosario in parrocchia oppure nei cortili delle case e nelle contrade dei paesi?

Oggi insieme confermiamo che il santo Rosario non è una pia pratica relegata al passato, come preghiera di altri tempi a cui pensare con nostalgia. Il Rosario sta invece conoscendo quasi una nuova primavera. Questo è senz’altro uno dei segni più eloquenti dell’amore che le giovani generazioni nutrono per Gesù e per la Madre sua Maria. Nel mondo attuale così dispersivo, questa preghiera aiuta a porre Cristo al centro, come faceva la Vergine, che meditava interiormente tutto ciò che si diceva del suo Figlio, e poi quello che Egli faceva e diceva. Quando si recita il Rosario si rivivono i momenti importanti e significativi della storia della salvezza; si ripercorrono le varie tappe della missione di Cristo. Con Maria si orienta il cuore al mistero di Gesù. Si mette Cristo al centro della nostra vita, del nostro tempo, delle nostre città, mediante la contemplazione e la meditazione dei suoi santi misteri di gioia, di luce, di dolore e di gloria. Ci aiuti Maria ad accogliere in noi la grazia che promana da questi misteri, affinché attraverso di noi possa “irrigare” la società, a partire dalle relazioni quotidiane, e purificarla da tante forze negative aprendola alla novità di Dio. Il Rosario, quando è pregato in modo autentico, non meccanico e superficiale ma profondo, reca infatti pace e riconciliazione. Contiene in sé la potenza risanatrice del Nome santissimo di Gesù, invocato con fede e con amore al centro di ogni Ave Maria.

Cari fratelli e sorelle, ringraziamo Dio che ci ha concesso di vivere questa sera un’ora così bella di grazia, e nelle prossime sere di questo mese mariano, anche se saremo distanti, ciascuno nelle proprie famiglie e comunità, sentiamoci ugualmente vicini e uniti nella preghiera. Specialmente in questi giorni che ci preparano alla solennità della Pentecoste restiamo uniti con Maria invocando per la Chiesa una rinnovata effusione dello Spirito Santo. Come alle origini, Maria Santissima aiuti i fedeli di ogni comunità cristiana a formare un cuore solo e un’anima sola. Vi affido le intenzioni più urgenti del mio ministero, le necessità della Chiesa, i grandi problemi dell’umanità: la pace nel mondo, l’unità dei cristiani, il dialogo fra tutte le culture. E pensando a Roma e all’Italia vi invito a pregare per gli obiettivi pastorali della Diocesi, e per lo sviluppo solidale di questo amato Paese. Al nuovo Sindaco di Roma, Onorevole Gianni Alemanno, che vedo qui presente, rivolgo l’augurio di un proficuo servizio per il bene dell’intera comunità cittadina. A tutti voi qui convenuti e a quanti si sono uniti a noi mediante la radio e la televisione, in particolare ai malati e agli infermi, imparto di cuore la Benedizione Apostolica.



INCONTRO CON L’AZIONE CATTOLICA ITALIANA Piazza San Pietro Domenica, 4 maggio 2008

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Cari ragazzi, giovani e adulti di Azione Cattolica!

E’ per me una grande gioia accogliervi quest’oggi qui, in Piazza San Pietro, dove in passato non poche volte la vostra benemerita Associazione ha incontrato il Successore di Pietro. Grazie per questa vostra visita. Saluto con affetto tutti voi, venuti da ogni parte d’Italia, come pure i membri del Forum Internazionale che provengono da quaranta Paesi del mondo. In particolare saluto il Presidente nazionale, Professor Luigi Alici, che ringrazio per le sentite espressioni che mi ha rivolto, l’Assistente generale, Monsignor Domenico Sigalini, e i responsabili nazionali e diocesani. Vi ringrazio anche per il particolare dono che mi avete voluto offrire attraverso i vostri rappresentanti e che testimonia la vostra solidarietà verso i più bisognosi. Viva riconoscenza esprimo al Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, che ha celebrato per voi la Santa Messa.

Siete venuti a Roma in spirituale compagnia dei vostri numerosi santi, beati, venerabili e servi di Dio: uomini e donne, giovani e bambini, educatori e sacerdoti assistenti, ricchi di virtù cristiane, cresciuti nelle file dell’Azione Cattolica, che in questi giorni compie 140 anni di vita. La magnifica corona dei volti che abbracciano simbolicamente Piazza San Pietro è una testimonianza tangibile di una santità ricca di luce e di amore. Questi testimoni, che hanno seguito Gesù con tutte le loro forze, che si sono prodigati per la Chiesa e per il Regno di Dio, rappresentano la vostra più autentica carta d’identità. Non è forse possibile, ancora oggi, per voi ragazzi, per voi giovani e adulti, fare della vostra vita una testimonianza di comunione con il Signore, che si trasformi in un autentico capolavoro di santità? Non è proprio questo lo scopo della vostra Associazione? Ciò sarà certamente possibile se l’Azione Cattolica continuerà a mantenersi fedele alle proprie profonde radici di fede, nutrite da un’adesione piena alla Parola di Dio, da un amore incondizionato alla Chiesa, da una partecipazione vigile alla vita civile e da un costante impegno formativo. Cari amici, rispondete generosamente a questa chiamata alla santità, secondo le forme più consone alla vostra condizione laicale! Continuate a lasciarvi ispirare dalle tre grandi "consegne" che il mio venerato predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II vi ha affidato a Loreto nel 2004: contemplazione, comunione e missione.

L’Azione Cattolica nacque come una particolare associazione di fedeli laici contrassegnata da uno speciale e diretto legame con il Papa, diventando ben presto una forma preziosa di "collaborazione dei laici all’apostolato gerarchico", raccomandata "vivamente" dal Concilio Vaticano II, che ne individuò le irrinunciabili "note caratteristiche" (cfr Decreto Apostolicam actuositatem
AA 20). Questa sua vocazione resta valida ancor oggi. Vi incoraggio pertanto a proseguire con generosità nel vostro servizio alla Chiesa. Assumendone il fine apostolico generale, in spirito di intima unione con il Successore di Pietro e di operosa corresponsabilità con i Pastori, voi incarnate una ministerialità in equilibrio fecondo tra Chiesa universale e Chiesa locale, che vi chiama ad offrire un contributo incessante e insostituibile alla comunione.

Questo ampio respiro ecclesiale, che identifica il vostro carisma associativo, non è il segno di un’identità incerta o sorpassata; attribuisce piuttosto una grande responsabilità alla vostra vocazione laicale: illuminati e sorretti dall’azione dello Spirito Santo e costantemente radicati nel cammino della Chiesa, siete provocati a ricercare con coraggio sintesi sempre nuove fra l’annuncio della salvezza di Cristo all’uomo del nostro tempo e la promozione del bene integrale della persona e dell’intera famiglia umana.

Nel mio intervento al IV Convegno ecclesiale nazionale, tenutosi a Verona nell’ottobre 2006, ho riconosciuto che la Chiesa in Italia "è una realtà molto viva, che conserva una presenza capillare in mezzo alla gente di ogni età e condizione. Le tradizioni cristiane sono spesso ancora radicate e continuano a produrre frutti, mentre è in atto un grande sforzo di evangelizzazione e catechesi, rivolto in particolare alle nuove generazioni, ma ormai sempre più anche alle famiglie" (Insegnamenti di Benedetto XVI, vol. II/2, 2006, PP 468-469). Come non vedere in questa presenza capillare anche un segno discreto e tangibile dell’Azione Cattolica? L’amata Nazione italiana, infatti, ha sempre potuto contare su uomini e donne formati nella vostra Associazione, disposti a servire disinteressatamente la causa del bene comune, per l’edificazione di un giusto ordine della società e dello Stato. Sappiate dunque vivere sempre all’altezza del vostro Battesimo, che vi ha immerso nella morte e risurrezione di Gesù, per la salvezza di ogni uomo che incontrate e di un mondo assetato di pace e verità. Siate "cittadini degni del Vangelo" e "ministri della sapienza cristiana per un mondo più umano": questo recita il tema della vostra Assemblea e questo è l’ impegno che oggi assumete davanti alla Chiesa italiana, qui rappresentata da voi, dai vostri presbiteri assistenti, dai Vescovi e dal loro Presidente.

In una Chiesa missionaria, posta dinanzi ad una emergenza educativa come quella che si riscontra oggi in Italia, voi che la amate e la servite sappiate essere annunciatori instancabili ed educatori preparati e generosi; in una Chiesa chiamata a prove anche molto esigenti di fedeltà e tentata di adattamento, siate testimoni coraggiosi e profeti di radicalità evangelica; in una Chiesa che quotidianamente si confronta con la mentalità relativistica, edonistica e consumistica, sappiate allargare gli spazi della razionalità nel segno di una fede amica dell’intelligenza, sia nell’ambito di una cultura popolare e diffusa, sia in quello di una ricerca più elaborata e riflessa; in una Chiesa che chiama all’eroismo della santità, rispondete senza timore, sempre confidando nella misericordia di Dio.

Cari amici dell’Azione Cattolica Italiana, nel cammino che avete davanti non siete soli: vi accompagnano i vostri santi. Altre figure ancora hanno avuto ruoli significativi nella vostra Associazione: penso ad esempio, tra gli altri, ad un Giuseppe Toniolo e ad una Armida Barelli. Stimolati da questi esempi di cristianesimo vissuto, voi avete intrapreso un anno straordinario, un anno che potremmo qualificare della santità, nel quale vi impegnate a tradurre nella vita concreta gli insegnamenti del Vangelo. Vi incoraggio in questo proposito. Intensificate la preghiera, rimodulate la vostra condotta sugli eterni valori del Vangelo, lasciandovi guidare dalla Vergine Maria, Madre della Chiesa. Il Papa vi accompagna con un costante ricordo al Signore, mentre di cuore imparte la Benedizione Apostolica a voi qui presenti e all’intera Associazione.



ALLA GUARDIA SVIZZERA PONTIFICIA, CON I FAMILIARI, IN OCCASIONE DELLA CERIMONIA DEL GIURAMENTO Sala Clementina Lunedì, 5 maggio 2008

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Signor Comandante,
care Guardie Svizzere e gentili familiari!

In occasione dell’annuale cerimonia del giuramento, che avrà luogo domani, sono lieto di potervi incontrare tutti insieme, per formulare i miei migliori auguri alle nuove reclute e per rinnovare all’intero Corpo della Guardia Svizzera Pontificia l’espressione del mio affetto e della mia riconoscenza. Saluto in particolare il Comandante e il Cappellano, assicurando ad essi la mia preghiera per il loro impegnativo servizio; ed estendo con gioia il mio pensiero alle Autorità Svizzere ed ai numerosi familiari, che in questi giorni rallegrano con la loro presenza il vostro piccolo Quartiere in Vaticano, care Guardie. Sono contento specialmente di accogliere tanti bambini, che sono i fiori più belli delle vostre famiglie e ci ricordano l’amore di predilezione che Gesù nutriva per i piccoli.

Due anni fa, nel 2006, è stato celebrato con importanti manifestazioni il quinto centenario di fondazione del vostro Corpo. Fu, quella, una circostanza propizia per osservare in prospettiva la vostra storia, cogliendo i profondi mutamenti del contesto sociale in cui, attraverso i secoli, la Santa Sede è stata chiamata a vivere e operare, secondo il mandato affidato da Cristo all’apostolo Pietro. Proprio sullo sfondo di tale impressionante evoluzione, ancor più risalta ciò che non muta, come anche l’identità del vostro piccolo ma qualificato Corpo, destinato a vigilare sulla sicurezza del Romano Pontefice e della sua dimora. A distanza di cinque secoli, immutato è rimasto lo spirito di fede che spinge giovani svizzeri a lasciare la loro bella terra per venire a prestare servizio al Papa in Vaticano. Uguale è l’amore per la Chiesa Cattolica, alla quale voi rendete testimonianza, più che con le parole, con le vostre persone, che, grazie alla caratteristica divisa, sono ben riconoscibili agli ingressi del Vaticano e nelle Udienze pontificie. Le vostre storiche uniformi parlano a pellegrini e turisti di ogni parte del mondo di qualcosa che malgrado tutto non muta, parlano cioè del vostro impegno di servire Dio servendo il “servo dei suoi servi”.

Mi rivolgo in particolare a voi, nuovi Alabardieri. Sappiate anzitutto assimilare questo spirito cristiano ed ecclesiale, che è la base e il motore di ogni attività che svolgerete. Coltivate sempre la preghiera e la vita spirituale, valorizzando per questo la preziosa presenza del Cappellano. Siate aperti, semplici e leali. Sappiate apprezzare anche le differenze di personalità e di carattere che ci sono tra di voi, perché sotto l’uniforme ognuno è una persona unica e irripetibile, chiamata da Dio a servire il suo Regno di amore e di pace. Come sapete, la Guardia Svizzera è anche una scuola di vita, e durante l’esperienza in Vaticano molti vostri predecessori hanno potuto scoprire la propria vocazione: al matrimonio cristiano, al sacerdozio, alla vita consacrata. E’ questo un motivo di lode a Dio, ma anche di apprezzamento per il vostro Corpo.

Cari amici, vi ringrazio tutti per la generosità e la dedizione con cui operate a servizio del Papa. Il Signore vi ricompensi e vi colmi di abbondanti favori celesti. Vi affido alla materna protezione di Maria Santissima, che veneriamo con speciale devozione in questo mese di maggio. A ciascuno di voi, alle Autorità, alle Personalità presenti, ai familiari e a tutte le persone a voi care imparto di cuore la mia Apostolica Benedizione.



AL TERMINE DEL CONCERTO OFFERTO ED ESEGUITO DALL'ORCHESTRA FILARMONICA CINESE E DAL CORO DELL'OPERA DI SHANGHAI Aula Paolo VI Mercoledì, 7 maggio 2008

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Gentili Signori e Signore,
cari amici!

Un nuovo evento musicale di alto livello ci vede ancora raccolti in quest’Aula Paolo VI. Esso riveste per me, e per tutti noi, un elevato valore e significato: è infatti un concerto offerto ed eseguito dall’Orchestra Filarmonica Cinese e dal Coro dell’Opera di Shanghai; un concerto che ci pone a contatto, in un certo modo, con la vivace realtà del mondo della Cina. Ringrazio l'Orchestra e il Coro per questo gradito omaggio e mi congratulo con gli organizzatori e gli artisti per aver eseguito, con grande competenza, finezza ed eleganza, un’opera musicale che fa parte del patrimonio artistico dell’umanità. In un gruppo di così validi artisti possiamo vedere rappresentata la grande tradizione culturale e musicale della Cina, e l’esecuzione da essi realizzata ci aiuta a meglio comprendere la storia di un Popolo, con i suoi valori e le sue nobili aspirazioni. Grazie di cuore per questo dono! Grazie anche per la melodia che sarà eseguita fra poco! Oltre che ai promotori e agli artisti, il mio vivo ringraziamento si estende a tutti coloro che, in vario modo, hanno collaborato alla messa in opera di questa manifestazione, per alcuni versi veramente unica.

Come non sottolineare poi che il concerto – realizzato da artisti cinesi su un capolavoro di Mozart - mette insieme il talento musicale loro proprio e la musica occidentale? Si tratta di una sfida che il Maestro Long Yu, la sua Orchestra, i Solisti e il Coro dell’Opera di Shanghai hanno superato felicemente. La musica, e più in generale l’arte, possono diventare quindi veicolo privilegiato di incontro e di reciproca conoscenza e stima fra popolazioni e culture diverse; un mezzo alla portata di tutti per valorizzare l’universale linguaggio dell’arte.

E c’è un altro aspetto che mi preme sottolineare. Noto con piacere l'interesse della vostra Orchestra e del vostro Coro per la musica religiosa europea. Un dato questo che mostra come sia possibile gustare ed apprezzare, in mondi culturali diversi, alte manifestazioni dello spirito, quale è appunto il “Requiem” di Mozart che è stato ora eseguito, proprio perché la musica interpreta gli universali sentimenti dell’animo umano, fra cui quello religioso che supera i confini di ogni singola cultura.

Una parola, infine, vorrei dire a proposito del luogo nel quale questa sera siamo riuniti. E’ la grande sala in cui il Papa riceve i suoi ospiti e incontra quanti vengono a fargli visita. Essa è come una finestra aperta sul mondo, un luogo in cui si incontrano spesso persone provenienti da ogni parte della terra, ognuna con la propria storia personale e con la propria cultura, ognuna accolta con stima ed affetto. Questa sera, accogliendo voi, cari artisti cinesi, il Papa intende accogliere idealmente l’intero vostro popolo, con un pensiero speciale ai vostri concittadini che condividono la fede in Gesù e sono uniti con un particolare legame spirituale al Successore di Pietro. Il “Requiem” è nato da questa fede, come preghiera al Dio giudice giusto e misericordioso, e proprio per questo tocca il cuore di tutti, proponendosi come espressione di un umanesimo universale. Infine, mentre ancora vi ringrazio per questo graditissimo omaggio, invio il mio saluto, attraverso di voi, a tutti gli abitanti della Cina che, con le prossime Olimpiadi, si preparano a vivere un evento di grande valore per l’intera umanità.

Saluto in lingua cinese:

[Ringrazio tutti e auguro ogni bene!]





AI PARTECIPANTI AL PELLEGRINAGGIO DEL PATRIARCATO GRECO-MELKITA Sala Clementina Giovedì, 8 maggio 2008

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Beatitudine,
Cari fratelli nell'episcopato,
Cari figli e figlie della Chiesa greco-melkita cattolica,

Sono lieto di accogliervi mentre realizzate un pellegrinaggio sulle tombe degli Apostoli. Saluto in modo particolare Sua Beatitudine Gregorios III, che ringrazio per le sue cordiali parole che manifestano la vitalità della Chiesa melkita, nonostante le difficoltà della situazione sociale e politica che vive la vostra regione. Porgo anche il mio fraterno saluto ai vescovi presenti, e a voi tutti cari amici, provenienti da diversi Paesi del Medio Oriente e della diaspora melkita in tutto il mondo, dove manifestate così, alla vostra maniera, l'universalità della Chiesa cattolica.

Mentre si avvicina l'apertura dell'anno che ho voluto dedicare a san Paolo, non posso dimenticare che la sede del vostro Patriarcato è nella città di Damasco, sulla cui via l'Apostolo ha vissuto l'evento che ha trasformato la sua esistenza e ha aperto le porte del cristianesimo a tutte le nazioni. Vi incoraggio dunque affinché, in quell'occasione, un lavoro pastorale intenso susciti nelle vostre diocesi, in ognuna delle vostre parrocchie e in tutti i fedeli, un nuovo slancio per una conoscenza sempre più intima della persona di Cristo, grazie a una lettura rinnovata dell'opera paolina. Ciò permetterà una testimonianza feconda fra gli uomini di oggi. È un simile slancio che potrà anche garantire un futuro fiorente alla Chiesa melkita.

In questa prospettiva, per assicurare il dinamismo evangelico delle comunità e la loro unità, e anche il buon svolgimento delle questioni ecclesiali nelle Chiese patriarcali, il ruolo del Sinodo dei vescovi ha un'importanza fondamentale. È opportuno pertanto, ogni volta che il diritto lo richiede, soprattutto se si tratta di questioni che riguardano i vescovi stessi, dare a questa venerabile istituzione, e non solo al sinodo permanente, il posto che le corrisponde.

Conosco l'attività ecumenica della Chiesa melkita cattolica e le relazioni fraterne che avete stabilito con i vostri fratelli ortodossi, e ne sono lieto. In effetti, l'impegno per la ricerca dell'unità di tutti i discepoli di Cristo è un obbligo urgente, che scaturisce dal desiderio ardente del Signore stesso. Dobbiamo dunque fare tutto il possibile per abbattere i muri di divisione e di diffidenza che ci impediscono di realizzarlo. Non possiamo però perdere di vista che la ricerca dell'unità è un compito che concerne non solo una Chiesa particolare, ma l'intera Chiesa, nel rispetto della sua stessa natura. Inoltre, come sottolinea l'enciclica Ut unum sint, l'unità non è il frutto dell'attività umana, essa è innanzitutto un dono dello Spirito Santo. Preghiamo dunque lo Spirito, del quale celebreremo fra qualche giorno la discesa sugli Apostoli, affinché ci aiuti a lavorare tutti insieme alla ricerca dell'unità.

Beatitudine, cari fratelli e sorelle, apprezzo altresì le buone relazioni che intrattenete con i musulmani, con i loro responsabili e con le loro istituzioni, e anche gli sforzi compiuti per risolvere i problemi che si possono porre, in uno spirito di dialogo fraterno, sincero e obiettivo. Sono pertanto lieto di constatare che, nella linea del Concilio Vaticano II, la Chiesa melkita si è impegnata con i musulmani a ricercare sinceramente la comprensione reciproca e anche a promuovere e a difendere insieme, a beneficio di tutti, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà.

Infine, nel compiere la sua missione nel contesto agitato e a volte drammatico del Medio Oriente, la Chiesa deve affrontare situazioni in cui la politica svolge un ruolo che non è indifferente alla sua vita. È dunque importante che mantenga contatti con le Autorità politiche, le istituzioni e i vari partiti. Non spetta però al clero impegnarsi nella vita politica. Resta una questione dei laici. La Chiesa deve tuttavia proporre a tutti la luce del Vangelo, affinché tutti s'impegnino a servire il bene comune e la giustizia prevalga sempre, di modo che il cammino della pace si possa infine aprire dinanzi ai popoli di questa amata regione.

Beatitudine, nel concludere il nostro incontro, affido la Chiesa greco-melkita cattolica all'intercessione della Vergine Maria e alla protezione di tutti i santi d'Oriente. Chiedendo a Dio di donare alla vostra Chiesa patriarcale la forza e la luce affinché possa proseguire la sua missione nella pace e nella serenità, imparto a voi, ai vescovi e a tutti i fedeli del vostro Patriarcato, un'affettuosa Benedizione apostolica.




CELEBRAZIONE ECUMENICA IN OCCASIONE DELLA VISITA DI SS KAREKIN II, PATRIARCA SUPREMO E CATHOLICOS DI TUTTI GLI ARMENI Sala Clementina Venerdì, 9 maggio 2008

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Santità,
Cari Fratelli in Cristo,

è con sincera gioia che porgo il benvenuto a Lei, Santità, e alla distinta delegazione che l'accompagna. Saluto cordialmente i prelati, i sacerdoti e i laici che rappresentano la famiglia del Catholicosato di tutti gli Armeni, diffusa in tutto il mondo. Ci riuniamo nel nome di nostro Signore Gesù Cristo, che ha promesso ai suoi discepoli che "dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a voi " (
Mt 18,20). Che lo spirito di amore e servizio fraterni, che Gesù ha insegnato ai suoi discepoli, illumini il nostro cuore e la nostra mente mentre ci scambiamo saluti, conversiamo e ci riuniamo in preghiera!

Con gratitudine ricordo le visite del Catholicos Vasken I e del Catholicos Karekin I alla Chiesa di Roma e i loro rapporti cordiali con i miei venerabili predecessori Papa Paolo VI e Papa Giovanni Paolo II. Il loro impegno per l'unità cristiana ha inaugurato una nuova era nei rapporti fra noi. Ricordo con particolare gioia la sua visita, Santità, nel 2000 a Roma e il suo incontro con Papa Giovanni Paolo II. La liturgia ecumenica nella Basilica vaticana, che ha celebrato il dono di una reliquia di san Gregorio Illuminatore, è stata uno degli eventi più memorabili del Grande Giubileo a Roma. Papa Giovanni Paolo II ha ricambiato quella visita recandosi nel 2001 in Armenia, dove lei lo ha accolto cortesemente nella Santa Etchmiadzin. L'affettuoso benvenuto che gli ha riservato in quell'occasione ha aumentato ulteriormente la sua stima e il suo rispetto per il popolo armeno. L'Eucaristia celebrata da Papa Giovanni Paolo II sul grande altare esterno, nella Santa Etchmiadzin, ha costituito un segno ulteriore di crescente accettazione reciproca, nell'attesa del giorno in cui potremo celebrare insieme presso un'unica mensa del Signore.

Domani sera, ognuno di noi, nelle nostre rispettive tradizioni, comincerà la celebrazione liturgica di Pentecoste. Cinquanta giorni dopo la resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, pregheremo sinceramente il Padre, chiedendogli di inviare il suo Santo Spirito, lo Spirito che ha il compito di conservarci nell'amore divino e di condurci alla verità. Il giorno della Pentecoste fu lo Spirito Santo a creare dalle molte lingue della folla riunita a Gerusalemme un'unica voce per professare la fede. È lo Spirito Santo che dona l'unità della Chiesa. Il cammino verso il ripristino della comunione piena e visibile fra tutti i cristiani può sembrare lungo e arduo. Bisogna ancora fare molto per sanare le profonde e dolorose divisioni che sfigurano il Corpo di Cristo. Lo Spirito Santo, tuttavia, continua a guidare la Chiesa in modi sorprendenti e spesso inattesi. Può aprire porte chiuse, ispirare parole dimenticate, sanare rapporti infranti. Se il nostro cuore e la nostra mente sono aperti allo Spirito di comunione, Dio può di nuovo operare miracoli nella Chiesa ripristinando i vincoli di unità. Adoperarsi per l'unità dei cristiani è un atto di fiducia obbediente nell'opera dello Spirito Santo, che conduce la Chiesa alla piena realizzazione del disegno del Padre, conformemente alla volontà di Cristo.

La storia recente della Chiesa apostolica armena è stata scritta nelle tinte contrastanti della persecuzione e del martirio, dell'oscurità e della speranza, dell'umiliazione e della rinascita spirituale. Lei, Santità, e i membri della sua delegazione avete vissuto personalmente queste esperienze contrastanti nelle vostre famiglie e nella vostra vita. La restituzione della libertà alla Chiesa in Armenia è stata fonte di grande gioia per tutti noi. Sulle vostre spalle è stato posto il pesante fardello di riedificare la Chiesa. Non posso che esprimere la mia grande stima per i notevoli risultati pastorali ottenuti in un tempo così breve, sia in Armenia sia all'estero, per l'educazione cristiana dei giovani, per la formazione del nuovo clero, per l'edificazione di nuove chiese e centri comunitari, per l'assistenza caritativa ai bisognosi e per la promozione dei valori cristiani nella vita sociale e culturale. Grazie alla vostra guida pastorale, la luce gloriosa di Cristo risplende di nuovo in Armenia ed è possibile ascoltare di nuovo le parole salvifiche del Vangelo. Di certo, state ancora affrontando molte sfide a livello sociale, culturale e spirituale. A questo proposito devo menzionare le recenti difficoltà affrontate dal popolo armeno ed esprimere il sostegno orante della Chiesa cattolica alla sua ricerca di giustizia e di pace e alla sua promozione del bene comune.

Nel nostro dialogo ecumenico, sono stati compiuti importanti progressi per risolvere le controversie dottrinali che tradizionalmente ci hanno diviso, in particolare su questioni di cristologia. Negli ultimi cinque anni, si è ottenuto molto grazie alla Commissione congiunta per il dialogo teologico fra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali, di cui il Catholicosato di tutti gli Armeni è membro a pieno titolo. Grazie, Santità, per il sostegno offerto all'opera della Commissione Congiunta e per il prezioso contributo dei suoi rappresentanti. Preghiamo affinché la sua attività ci avvicini alla comunione piena e visibile e venga il giorno in cui la nostra unità nella fede renderà possibile una celebrazione comune dell'Eucaristia. Fino a quel giorno, i vincoli fra noi saranno meglio consolidati ed estesi da accordi su questioni pastorali, in linea con il grado di accordo dottrinale già raggiunto. Solo se sostenuto dalla preghiera e supportato dall'effettiva cooperazione, il dialogo teologico potrà condurre all'unità che il Signore desidera per i suoi discepoli.

Santità, cari amici,

nel dodicesimo secolo, Nerses di Lambron parlò a un gruppo di Vescovi armeni. Concluse il suo famoso discorso sinodale sul ripristino dell'unità cristiana con parole visionarie che ci colpiscono ancora oggi: "Non siete in errore, Venerabili Padri: è meritorio piangere sui giorni trascorsi nella discordia. Tuttavia, oggi è il giorno che il Signore ha fatto, un giorno di gioia e letizia (...) preghiamo affinché nostro Signore ci doni tenerezza e dolcezza ancor più abbondanti e sviluppi sulla terra, con la rugiada dello Spirito Santo, questo seme; forse, grazie alla Sua forza, potrà anche recare frutti; per permetterci di ripristinare la pace della Chiesa di Cristo oggi nelle intenzioni e domani nei fatti". Questo è anche il mio desiderio orante in occasione della vostra visita. Vi ringrazio di cuore e vi assicuro del mio profondo affetto nel Signore.



AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI UNGHERIA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Sabato, 10 maggio 2008

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Cari e venerati Fratelli nell’Episcopato!

Con grande gioia accolgo tutti voi, Pastori della Chiesa che è in Ungheria, in occasione della vostra Visita ad limina Apostolorum. Vi saluto con affetto e sono grato al Cardinale Péter Erdo per le parole che mi ha rivolto a nome dell’intera Conferenza Episcopale. Oltre a manifestarmi i vostri sentimenti fraterni, di cui vi ringrazio cordialmente, egli ha con chiarezza tratteggiato le caratteristiche salienti della Comunità cattolica e della società nel vostro Paese, riassumendo quanto in questi giorni ho avuto modo di recepire negli incontri con ciascuno di voi. Così, cari Fratelli, il popolo a voi affidato è ora spiritualmente dinanzi a noi, con le sue gioie e i suoi progetti, i suoi dolori, i suoi problemi e le sue speranze. E noi anzitutto preghiamo perché, per intercessione dei Santi Pietro e Paolo, i fedeli possano trovare la forza, anche con l’aiuto di questa Sede Apostolica che presiede alla carità, di perseverare nel loro cammino verso la pienezza del Regno di Dio.

Purtroppo il lungo periodo del regime comunista ha segnato pesantemente la popolazione ungherese, così che ancora adesso se ne notano le conseguenze: in particolare, viene rilevata in molti una certa difficoltà a fidarsi degli altri, tipica di chi ha vissuto a lungo in un clima di sospetto. Il senso di insicurezza è poi accentuato dalla difficile congiuntura economica, che uno sconsiderato consumismo non contribuisce a migliorare. Le persone, compresi i cattolici, risentono in genere di quella "debolezza" di pensiero e di volontà che è assai comune nei nostri tempi. Come voi stessi avete osservato, è oggi spesso difficile impostare un serio approfondimento teologico e spirituale, perché sono non di rado carenti, da una parte, la preparazione intellettuale e, dall’altra, il riferimento oggettivo alle verità della fede. In questo contesto la Chiesa dev’essere certamente maestra, ma mostrandosi sempre e prima di tutto madre, così da favorire la crescita della reciproca fiducia e la promozione della speranza.

La prima realtà che purtroppo fa le spese della diffusa secolarizzazione è la famiglia, che anche in Ungheria attraversa una grave crisi. Ne sono sintomi la notevole diminuzione del numero dei matrimoni e l’impressionante aumento dei divorzi, molto spesso anche precoci. Si moltiplicano le cosiddette "coppie di fatto". Giustamente voi avere criticato il pubblico riconoscimento delle unioni omosessuali, perché contrario non solo all’insegnamento della Chiesa ma alla stessa Costituzione Ungherese. Tale situazione, unita alla carenza di sussidi per le famiglie numerose, ha portato ad un drastico calo delle nascite, reso ancor più drammatico dalla diffusa pratica dell’aborto. Naturalmente la crisi della famiglia costituisce un’enorme sfida per la Chiesa. Sono in questione la fedeltà coniugale e, più in generale, i valori su cui si fonda la società. E’ evidente perciò che, dopo la famiglia, a risentire di questa difficoltà sono i giovani. Nelle città essi sono attratti da nuove forme di divertimento e nei villaggi sono spesso abbandonati a se stessi. Esprimo pertanto il mio più vivo apprezzamento per le molteplici iniziative che la Chiesa promuove, pur con i mezzi limitati di cui dispone, per animare il mondo dei giovani, con momenti di formazione e di amicizia che stimolino la loro responsabilità. Penso ad esempio all’attività dei cori, che si inserisce nel lodevole impegno delle parrocchie per incentivare la diffusione della musica sacra. Sempre nella prospettiva dell’attenzione alle nuove generazioni, è lodevole il sostegno che offrite alla scuola cattolica, in particolare all’Università Cattolica di Budapest, che auspico sappia sempre custodire e sviluppare la sua identità originaria. Incoraggio a proseguire gli sforzi per la pastorale scolastica e universitaria, come pure, più in generale, per l’evangelizzazione della cultura, che ai nostri giorni si avvale anche dei mezzi della comunicazione sociale, nel cui campo la vostra Chiesa ha fatto ultimamente significativi progressi.

Venerati Fratelli, per tenere viva la fede del popolo voi giustamente cercate di valorizzare e aggiornare iniziative tradizionali, quali i pellegrinaggi e le espressioni di devozione ai Santi ungheresi, in particolare a Santa Elisabetta, a Sant’Emerico e, naturalmente, a Santo Stefano. A proposito di pellegrinaggi, mentre apprezzo il perdurare della consuetudine del pellegrinare alla Sede di Pietro (significativamente, nella Basilica dell’Apostolo esiste una suggestiva Cappella Ungherese), ho appreso con piacere che sono sempre più frequenti i pellegrinaggi a Mariazell, Czestochowa, Lourdes, Fatima, e al nuovo Santuario della Divina Misericordia a Cracovia, dove la vostra Conferenza Episcopale ha pure eretto recentemente una "Cappella Ungherese". Nel XX secolo non sono mancati nella vostra Comunità eroici testimoni della fede: vi esorto a custodire la loro memoria, affinché le sofferenze da essi affrontate con spirito cristiano continuino ad essere di stimolo al coraggio e alla fedeltà dei credenti e di quanti si impegnano per la verità e la giustizia.

C’è un’altra preoccupazione che condivido con voi: la mancanza di sacerdoti e il conseguente sovraccarico di lavoro pastorale per gli attuali ministri della Chiesa. E’ un problema che si riscontra in molti Paesi d’Europa. Occorre tuttavia far sì che i sacerdoti alimentino adeguatamente la propria vita spirituale, affinché, malgrado le difficoltà e il lavoro pressante, non smarriscano il centro della loro esistenza e del loro ministero e, di conseguenza, sappiano discernere l’essenziale dal secondario, individuando le giuste priorità nell’agire quotidiano. E’ doveroso ribadire che la gioiosa adesione a Cristo, testimoniata dal sacerdote in mezzo ai suoi fedeli, resta lo stimolo più efficace per risvegliare nei giovani la sensibilità per l’eventuale chiamata di Dio. In particolare, è fondamentale che i sacramenti dell’Eucaristia e della Penitenza siano praticati con la massima assiduità e devozione anzitutto dagli stessi sacerdoti e siano poi da loro amministrati con generosità ai fedeli. Indispensabile è altresì l’esercizio della fraternità presbiterale, per evitare ogni pericoloso isolamento. Ugualmente importante è incoraggiare positivi e rispettosi rapporti tra i presbiteri e i fedeli laici, secondo l’insegnamento del Decreto conciliare Presbyterorum ordinis. Anche le relazioni tra il clero e i religiosi, già buone, meritano di essere ulteriormente incrementate. A tal proposito desidero rivolgere il mio incoraggiamento alle Congregazioni religiose femminili, che con umile discrezione svolgono preziose attività in mezzo ai più poveri.

Venerati Fratelli, nonostante la secolarizzazione, la Chiesa Cattolica rimane per moltissimi ungheresi la Comunità religiosa di appartenenza o, per lo meno, un significativo punto di riferimento. E’ perciò quanto mai auspicabile che i rapporti con le Autorità statali siano caratterizzati da rispettosa collaborazione, grazie anche agli Accordi bilaterali, sul cui corretto adempimento veglia un’apposita Commissione Paritetica. Ciò non mancherà di recare beneficio all’intera società ungherese, in particolare nel campo dell’istruzione e della cultura. E poiché la Chiesa, grazie al suo impegno nelle scuole e nel servizio sociale, reca un notevole contributo alla comunità civile, come non auspicare che le sue attività siano sostenute dalle pubbliche Istituzioni, a vantaggio soprattutto dei ceti sociali meno abbienti? Da parte ecclesiale, nonostante le difficoltà economiche generali dell’attuale momento, non verrà meno l’impegno a servizio di chi si trova in situazioni di bisogno.

Venerati Fratelli, come infine non dire che l’unità che vi caratterizza nel seguire gli insegnamenti della Chiesa è per me motivo di serenità e di conforto? Possa essa sempre mantenersi e svilupparsi! Mi compiaccio inoltre perché ultimamente avete incrementato i contatti con le Conferenze Episcopali dei Paesi vicini, soprattutto con la Slovacchia e la Romania, dove c’è una presenza di minoranze ungheresi. Plaudo di cuore a questa linea d’azione, animata da sincero spirito evangelico e al tempo stesso da saggia preoccupazione per l’armoniosa convivenza. Le tensioni non sono certo facili da superare, ma la strada intrapresa dalla Chiesa è giusta e promettente. Per questo e per ogni altra vostra iniziativa pastorale assicuro il mio sostegno; in particolare, penso in questo momento all’"Anno della Bibbia", che molto opportunamente avete promosso nel 2008, in accordo con la prossima Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Questa è anche per voi un’ottima occasione per approfondire i già buoni rapporti con i fratelli cristiani delle altre confessioni. Nel rendere grazie a Dio per la sua costante assistenza, invoco su voi e sul vostro ministero la materna protezione di Maria Santissima. Da parte mia vi accompagno con la preghiera, mentre con affetto vi imparto la Benedizione Apostolica, che estendo volentieri alle vostre comunità diocesane e all’intera Nazione ungherese.






Discorsi 2005-13 31508