Discorsi 2005-13 9297

CERIMONIA DI CONGEDO Aeroporto internazionale di Vienna/Schwechat Domenica, 9 settembre 2007

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Onorevole Signor Presidente Federale!

Nel momento del congedo dall’Austria, a conclusione del mio pellegrinaggio in occasione dell’850o anniversario del Santuario nazionale di Mariazell, ripercorro mentalmente con animo grato queste giornate ricche di esperienze. Sento che questo Paese così bello e la sua gente mi sono diventati ancora più familiari.

Ringrazio di cuore i miei Confratelli nell’Episcopato, il Governo, come anche tutti i responsabili della vita pubblica e, non da ultimo, i numerosi volontari che hanno contribuito alla riuscita dell’organizzazione di questa visita. Auguro a tutti una ricca partecipazione alla grazia che ci è stata donata in questi giorni. Un particolare e caloroso ringraziamento personale a Lei, Onorevole Signor Presidente Federale, per le parole di cui mi ha fatto dono in questo congedo, per il suo accompagnamento durante il pellegrinaggio e per tutta l’attenzione. Grazie!

Ho potuto nuovamente sperimentare Mariazell come particolare luogo di grazia, un luogo che in questi giorni ha attratto a sé tutti noi e ci ha interiormente rafforzati per il nostro ulteriore cammino. Il grande numero di coloro che hanno partecipato alla festa insieme con noi presso la Basilica, nella cittadina e nell’intera Austria ci deve incoraggiare a guardare con Maria a Cristo e ad affrontare pieni di fiducia il cammino verso il futuro. È stato bello che il vento e il maltempo non abbiano potuto fermarci, ma abbiano in fondo accresciuto ulteriormente la nostra gioia.

Già l’inizio con la preghiera comune sulla Piazza “am Hof” ci ha riuniti al di là dei confini nazionali e ci ha mostrato l’apertura ospitale dell’Austria, che è una delle grandi qualità di questo Paese.

La ricerca di una comprensione vicendevole e la formazione creativa di sempre nuove vie per favorire la fiducia tra gli uomini e i popoli continuino ad ispirare la politica nazionale ed internazionale di questo Paese! Vienna, nello spirito della sua esperienza storica e della sua posizione nel centro vivo dell’Europa, può recare a ciò il suo contributo, facendo valere conseguentemente la penetrazione dei valori tradizionali del Continente, permeati di fede cristiana, nelle istituzioni europee e nell’ambito della promozione delle relazioni internazionali, interculturali ed interreligiose.

Nel pellegrinaggio della nostra vita ogni tanto ci fermiamo, grati per il cammino fatto e sperando e pregando in vista della strada che abbiamo ancora davanti. Una sosta di questo genere ho fatto anch’io nell’Abbazia di Heiligenkreuz. La tradizione coltivata lì dai monaci cistercensi ci collega con le nostre radici, la cui forza e bellezza provengono in fondo da Dio stesso.

Oggi ho potuto celebrare con voi la Domenica, il Giorno del Signore – in rappresentanza di tutte le parrocchie dell’Austria – nel Duomo di Santo Stefano. Così, nell’occasione, ero collegato in modo particolare con i fedeli di tutte le parrocchie dell’Austria.

Un momento commovente, infine, è stato per me l’incontro con i volontari delle Organizzazioni assistenziali, che in Austria sono cosi numerose e multiformi. Le migliaia di volontari che ho potuto vedere rappresentano le migliaia e migliaia di colleghi che, in tutto il Paese, nella loro disponibilità all’aiuto mostrano i tratti più nobili dell’uomo e rendono riconoscibile ai credenti l’amore di Cristo.

Gratitudine e gioia colmano in questo momento il mio animo. A voi tutti che avete seguito queste giornate, che avete impegnato molta fatica e molto lavoro affinché il denso programma potesse svolgersi senza attriti, che avete partecipato al pellegrinaggio ed alle celebrazioni con tutto il cuore, giunga ancora una volta il mio ringraziamento più sentito. Congedandomi affido il presente ed il futuro di questo Paese all’intercessione della Madre della Grazia di Mariazell, la Magna Mater Austriae, e a tutti i santi e beati dell’Austria. Insieme con loro vogliamo guardare a Cristo, nostra vita e nostra speranza. Con sincero affetto dico a Voi e a tutti un cordialissimo “Vergelt’s Gott”.




ALLA COMUNITÀ DELLE MONACHE CLARISSE DEL MONASTERO "IMMACOLATA CONCEZIONE" DI ALBANO LAZIALE Sala del Concistoro, Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo Sabato, 15 settembre 2007

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Care Sorelle,

benvenute nel Palazzo Apostolico! Con grande piacere vi accolgo, vi ringrazio per la vostra visita e saluto cordialmente ciascuna di voi. Si può dire che la vostra Comunità, che si trova nel territorio delle Ville Pontificie, vive all’ombra della casa del Papa ed è, pertanto, molto stretto il legame spirituale che esiste tra voi e il Successore di Pietro, come dimostrano i numerosi contatti che, sin dalla fondazione, avete avuto con i Papi durante il loro soggiorno qui, a Castel Gandolfo. Lo ha ricordato poco fa la vostra Madre Abbadessa, che ringrazio di cuore per le gentili espressioni che mi ha indirizzato a nome di voi tutte. Incontrandovi questa mattina, vorrei rinnovare anch’io la mia sincera gratitudine alla vostra Fraternità per il sostegno quotidiano della preghiera e per l’intensa vostra partecipazione spirituale alla missione del Pastore della Chiesa universale. Nel silenzio della clausura e nel dono totale ed esclusivo di voi stesse a Cristo secondo il carisma francescano, voi rendete alla Chiesa un prezioso servizio.

Ripercorrendo la storia del vostro Monastero, ho notato che tanti miei Predecessori, incontrando la vostra Fraternità, hanno ribadito sempre l’importanza della vostra testimonianza di contemplative "contente di Dio solo". In particolare, ripenso a quanto vi disse il Servo di Dio Paolo VI, il 3 settembre del 1971, e cioè che di fronte a quanti considerano le claustrali come emarginate dalla realtà e dall’esperienza del nostro tempo, la vostra esistenza ha il valore di una singolare testimonianza che tocca intimamente la vita della Chiesa. "Voi rappresentate – sottolineò Paolo VI - tante cose che la Chiesa apprezza e che il Concilio Vaticano II ha confermato. Fedeli alla regola, alla vita comune, alla povertà, voi siete un seme e un segno". Quasi proseguendo queste riflessioni, alcuni anni dopo, il 14 agosto del 1979, l’amato Giovanni Paolo II, celebrando la santa Messa nella vostra cappella, volle affidare alla vostra preghiera la sua persona, la Chiesa e l’intera umanità. "Voi non avete abbandonato il mondo – egli osservò - per non avere i crucci del mondo…voi li portate tutti nel cuore e, nel travagliato scenario della storia, voi accompagnate l’umanità con la vostra preghiera.. Per questa vostra presenza, nascosta ma autentica, nella società e tanto più nella Chiesa, anch’io guardo con fiducia alle vostre mani giunte".

Ecco dunque, care Sorelle, ciò che il Papa attende da voi: che siate fiaccole ardenti di amore, "mani giunte" che vegliano in preghiera incessante, distaccate totalmente dal mondo, per sostenere il ministero di colui che Gesù ha chiamato a guidare la sua Chiesa. "Sorelle povere" che, seguendo l’esempio di san Francesco e di santa Chiara, osservano "il santo Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità". Non ha sempre eco nella pubblica opinione l’impegno silenzioso di coloro che, come voi, cercano di mettere in pratica con semplicità e gioia il Vangelo "sine glossa", ma – siatene certe – è veramente straordinario l’apporto che voi date all’opera apostolica e missionaria della Chiesa nel mondo, e Iddio continuerà a benedirvi con il dono di tante vocazioni come ha fatto sinora.

Care Sorelle Clarisse, san Francesco, santa Chiara e i tanti santi e sante del vostro Ordine vi aiutino a "perseverare fedelmente sino alla fine" nella vostra vocazione. Vi protegga, in modo speciale, la Vergine Maria, che quest’oggi la liturgia ci fa contemplare ai piedi della croce, associata intimamente alla missione di Cristo e compartecipe dell’opera della salvezza con il suo dolore di madre. Sul Calvario Gesù L’ha donata a noi come madre e ci ha affidati a Lei come figli. Vi ottenga la Vergine Addolorata il dono di seguire il suo divin Figlio crocifisso e di abbracciare con serenità le difficoltà e le prove dell’esistenza quotidiana. Con questi sentimenti imparto a tutte voi una speciale Benedizione Apostolica, che estendo volentieri alle persone che si affidano alle vostre preghiere.




AGLI OFFICIALI E AI COLLABORATORI DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE Sala del Concistoro, Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo Lunedì, 17 settembre 2007

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IN OCCASIONE DEL QUINTO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DEL CARDINALE FRANÇOIS-XAVIER NGUYÊN VAN THUÂN



Signor Cardinale,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Rivolgo un cordiale benvenuto a tutti di voi, riuniti per far memoria del carissimo Card. François-Xavier Nguyên Van Thuân, che il Signore ha chiamato a sé il 16 settembre di cinque anni fa. Sono trascorsi cinque anni, ma è ancora viva nella mente e nel cuore di quanti l’hanno conosciuto la nobile figura di questo fedele servitore del Signore. Anch’io conservo non pochi personali ricordi degli incontri che ho avuto con lui durante gli anni del suo servizio qui, nella Curia Romana.

Saluto il Signor Cardinale Renato Raffaele Martino e il Vescovo Mons. Giampaolo Crepaldi, rispettivamente Presidente e Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, insieme ai loro collaboratori. Saluto i membri della Fondazione San Matteo istituita in memoria del Cardinale Van Thuân, dell’Osservatorio Internazionale, che porta il suo nome, creato per la diffusione della dottrina sociale della Chiesa, come pure i parenti e gli amici del defunto Cardinale. Al Signor Cardinale Martino esprimo sentimenti di viva gratitudine anche per le parole che ha voluto rivolgermi a nome dei presenti.

Colgo volentieri l’occasione per porre in luce, ancora una volta, la luminosa testimonianza di fede che ci ha lasciato questo eroico Pastore. Il Vescovo Francesco Saverio - così egli amava presentarsi - è stato chiamato alla casa del Padre nell’autunno del 2002, dopo una lungo periodo di sofferta malattia affrontata nel totale abbandono alla volontà di Dio. Qualche tempo prima era stato nominato dal mio venerato predecessore Giovanni Paolo II Vicepresidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace di cui divenne poi Presidente, avviando la pubblicazione del Compendio della dottrina sociale della Chiesa. Come dimenticare gli spiccati tratti della sua semplice ed immediata cordialità? Come non porre in luce la capacità che egli aveva di dialogare e di farsi prossimo di tutti? Lo ricordiamo con tanta ammirazione, mentre ci tornano in mente le grandi visioni, colme di speranza, che lo animavano e che egli sapeva proporre in modo facile e avvincente; il suo fervoroso impegno per la diffusione della dottrina sociale della Chiesa tra i poveri del mondo, l’anelito per l’evangelizzazione nel suo Continente, l’Asia, la capacità che aveva di coordinare le attività di carità e di promozione umana che promuoveva e sosteneva nei posti più reconditi della terra.

Il Cardinale Van Thuân era un uomo di speranza, viveva di speranza e la diffondeva tra tutti coloro che incontrava. Fu grazie a quest’energia spirituale che resistette a tutte le difficoltà fisiche e morali. La speranza lo sostenne come Vescovo isolato per 13 anni dalla sua comunità diocesana; la speranza lo aiutò a intravedere nell’assurdità degli eventi capitatigli – non fu mai processato durante la sua lunga detenzione – un disegno provvidenziale di Dio. La notizia della malattia, il tumore, che lo condusse poi alla morte, gli giunse quasi assieme alla nomina a Cardinale da parte del Papa Giovanni Paolo II, che nutriva nei suoi confronti grande stima ed affetto. Amava ripetere il Cardinale Van Thuân che il cristiano è l’uomo dell’ora, dell’adesso, del momento presente da accogliere e vivere con l’amore di Cristo. In questa capacità di vivere l’ora presente traspare l’intimo suo abbandono nelle mani di Dio e la semplicità evangelica che tutti abbiamo ammirato in lui. E’ forse possibile - si chiedeva - che chi si fida del Padre celeste rifiuti poi di lasciarsi stringere tra le sue braccia?

Cari fratelli e sorelle ho accolto con intima gioia la notizia che prende avvio la Causa di beatificazione di questo singolare profeta della speranza cristiana e, mentre ne affidiamo al Signore l’anima eletta, preghiamo perché il suo esempio sia per noi di valido insegnamento. Con tale auspicio di cuore tutti vi benedico.



AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL BENIN IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo Giovedì, 20 settembre 2007

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Cari Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,

Sono lieto di accogliervi mentre realizzate la vostra visita ad limina, manifestazione di comunione fra i Vescovi e la Sede di Pietro, e strumento efficace per rispondere all'esigenza di conoscenza reciproca che scaturisce dalla realtà stessa di questa comunione (cfr Pastores gregis ). Il Presidente della vostra Conferenza Episcopale, Monsignor Antoine Ganyé, mi ha presentato a nome vostro alcune realtà della vita della Chiesa in Benin, e io lo ringrazio cordialmente per questo. Per mezzo di voi, desidero salutare calorosamente tutti i membri delle vostre comunità diocesane, sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi, catechisti e tutti i laici, invitandoli a crescere nella fede in Gesù, unico Salvatore degli uomini. Vogliate trasmettere il mio saluto affettuoso anche al caro Cardinale Bernardin Gantin. Infine, a tutti gli abitanti del Benin rivolgo i miei cordiali auspici affinché proseguano coraggiosamente il loro impegno in vista dell'edificazione di una società sempre più fraterna e più rispettosa di ogni persona.

Nel corso degli anni appena trascorsi, avete dato prova di grande coraggio evangelico nel guidare il popolo di Dio in mezzo alle numerose difficoltà che la vostra società ha conosciuto, mostrando così il vostro interesse pastorale per le grandi questioni che essa ha dovuto affrontare, in particolare nel campo della giustizia e dei diritti umani. In tutte queste situazioni, avete proposto senza posa l'insegnamento della Chiesa fondato sul Vangelo, suscitando così la speranza nel cuore del vostro popolo e contribuendo a mantenere l'unità e la concordia nazionali. Di fronte alle numerose sfide che vi si presentano oggi, vi incoraggio vivamente a sviluppare un'autentica spiritualità di comunione, al fine di "fare della Chiesa la scuola e la casa della comunione" (Novo millennio ineunte
NM 43). In effetti questa comunione che i Vescovi sono chiamati a vivere prima di tutto fra di essi, per trovarvi forza e sostegno nel loro ministero, favorisce il dinamismo missionario, "garantendo sempre la testimonianza dell'unità affinché il mondo creda, e dilatando gli spazi dell'amore affinché tutti raggiungano la comunione trinitaria, dalla quale procedono e alla quale sono destinati" (Pastores gregis ).

Vi invito a sviluppare questa comunione anche nei vostri presbyterium, aiutando i sacerdoti, attraverso la qualità dei rapporti che mantenete con essi, ad assumere pienamente il loro ministero sacerdotale. Desidero incoraggiare calorosamente ognuno di essi a conservare nella sua vita apostolica un equilibrio che dia a un'intensa vita spirituale il posto che le corrisponde, per credere e per rafforzare la relazione di amicizia con Cristo, al fine di servire generosamente la parte del popolo di Dio che gli è stata affidata, come anche l'annuncio del Regno di Dio a tutti. È allora che il Vangelo sarà reso concretamente presente nella società. In conformità alla saggezza della Chiesa, che sappiano pure discernere nelle "tradizioni" del loro popolo il bene autentico, che permette di crescere nella fede e in un'autentica conoscenza di Dio, e di rifiutare ciò che è in contraddizione con il Vangelo.

D'altro canto, i vostri resoconti quinquennali mostrano come l'influenza delle tradizioni sia ancora molto presente nella vita sociale. Se i loro aspetti migliori devono essere incoraggiati, è necessario però ricusare le loro manifestazioni che servono a nuocere, ad alimentare la paura e a escludere l'altro. La fede cristiana deve inculcare nei cuori la libertà interiore e la responsabilità che ci affida Cristo dinanzi agli eventi della vita. Una salda formazione cristiana sarà dunque un sostegno indispensabile per aiutare i fedeli a confrontare la fede con le credenze della "tradizione". Questa formazione deve anche permettere loro di imparare a pregare con fiducia, al fine di restare sempre vicini a Cristo e, nei momenti di disperazione, di trovare nelle comunità cristiane un sostegno, attraverso segni effettivi dell'amore di Dio che rende liberi. In questo gravoso compito, la collaborazione dei catechisti è un apporto prezioso. Conosco la loro dedizione e l'attenzione che voi prestate alla loro formazione e per permettere loro di condurre una vita degna. Li saluto cordialmente, esprimendo la riconoscenza della Chiesa per il loro impegno al suo servizio.

Cari Fratelli, nelle vostre Diocesi gli istituti di vita consacrata apportano un generoso contributo alla missione. Che i religiosi e le religiose conservino sempre il cuore e lo sguardo fissi sul Signore Gesù, affinché, mediante le loro opere e il dono totale di sé, comunichino a tutti l'amore di Dio che ricevono nella propria esistenza! Il servizio ai più bisognosi della società, senza distinzioni, che è l'impegno fondamentale per la maggior parte di essi, non deve mai trascurare Dio e Cristo, che è opportuno annunciare, senza tuttavia voler imporre la fede della Chiesa. "Il cristiano sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di Lui e lasciar parlare solamente l'amore" (Deus Caritas est ). Invito anche i membri delle comunità contemplative a restare, con la loro presenza discreta, un appello permanente per tutti i cristiani a ricercare senza posa il volto di Dio e a renderGli grazie per tutti i suoi benefici.

Nel contesto culturale del vostro Paese, è necessario che la presenza della Chiesa si manifesti attraverso segni visibili, che indichino il senso autentico della sua missione fra gli uomini. Fra di essi le celebrazioni liturgiche ferventi e calorose occupano un posto eminente. Nel cuore stesso della società, sono un'eloquente testimonianza della fede resa dalle vostre comunità. È dunque importante che i fedeli partecipino alla liturgia in modo pieno, attivo e fecondo. Per favorire questa partecipazione, è legittimo far ricorso ad alcuni adeguamenti consoni ai diversi contesti culturali, nel rispetto delle norme stabilite dalla Chiesa. Tuttavia, affinché elementi culturali incompatibili con la fede cristiana o azioni che favoriscono la confusione non siano introdotti nella liturgia, una salda formazione liturgica deve essere garantita ai seminaristi e ai sacerdoti, permettendo l'approfondimento della conoscenza dei fondamenti, del significato e del valore teologico dei riti liturgici.

Inoltre la presenza della Chiesa nella società si manifesta anche attraverso gli interventi pubblici dei suoi Pastori. In diverse occasioni, voi avete difeso coraggiosamente i valori della famiglia e del rispetto della vita, quando sono stati minacciati da ideologie che proponevano modelli e atteggiamenti opposti a un'autentica concezione della vita umana. Vi incoraggio a proseguire questo impegno, che è un servizio reso alla società intera. In questa prospettiva, la formazione dei giovani è parimenti una delle vostre priorità pastorali. Desidero rendere omaggio qui al lavoro realizzato da tutte le persone che contribuiscono alla loro educazione umana e religiosa, in particolare nell'insegnamento cattolico, il cui livello qualitativo è largamente riconosciuto. Aiutando i giovani ad acquisire una maturità umana e spirituale, fate scoprire loro Dio, fate scoprire loro che è nel dono di se stessi al servizio degli altri che diverranno più liberi e più maturi! D'altro canto gli ostacoli che incontrano per impegnarsi nel matrimonio cristiano e per vivere nella fedeltà agli impegni presi, ostacoli spesso legati alla cultura e alle tradizioni, esigono non solo una seria preparazione a questo sacramento, ma anche un accompagnamento permanente delle famiglie, in particolare nei momenti di maggiore difficoltà.

Desidero infine esprimervi la mia soddisfazione nel constatare che, generalmente, le relazioni fra cristiani e musulmani si svolgono in un'atmosfera di comprensione reciproca. Così, per evitare di vedere svilupparsi qualche forma d'intolleranza e per prevenire qualsiasi violenza, è opportuno incoraggiare un dialogo sincero, fondato su una conoscenza reciproca sempre più vera, in particolare attraverso relazioni umane rispettose, un'intesa sui valori della vita e una cooperazione reciproca in tutto ciò che promuove il benessere comune. Un tale dialogo esige anche la preparazione di persone competenti per contribuire a conoscere e a comprendere i valori religiosi che abbiamo in comune e a rispettare lealmente le differenze.

Cari Fratelli, mentre il nostro incontro sta per concludersi, vi incoraggio a proseguire la vostra missione al servizio del popolo di Dio in Benin, vivendo sempre più intensamente il mistero di Cristo. Non abbiate paura di proporre la novità radicale della vita introdotta da Cristo e offerta a ogni uomo per realizzare la sua vocazione integrale! Affido ognuno di voi all'intercessione materna di Maria Regina dell'Africa. Che Ella interceda per i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i seminaristi, i catechisti e i fedeli di ognuna delle vostre Diocesi! A tutti imparto di cuore un'affettuosa Benedizione Apostolica.


AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO PROMOSSO DALL'INTERNAZIONALE DEMOCRATICA DI CENTRO E DEMOCRATICO CRISTIANA Sala degli Svizzeri, Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo Venerdì, 21 settembre 2007

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Signor Presidente,
onorevoli Parlamentari,
distinti Signore e Signori!

Sono lieto di accogliervi durante i lavori del Comitato Esecutivo dell’Internazionale Democratica di Centro e Democratico Cristiana e desidero, anzitutto, rivolgere un cordiale saluto alle numerose Delegazioni presenti, che provengono da tante nazioni del mondo. Un particolare saluto dirigo al Presidente, On. Pier Ferdinando Casini, e lo ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto a nome dei presenti. La vostra visita mi dà l’opportunità di offrire alla vostra attenzione alcune considerazioni su valori e ideali che sono stati forgiati o approfonditi in maniera decisiva dalla tradizione cristiana in Europa e nel mondo intero.

So che voi, pur nella varietà delle vostre provenienze, condividete non pochi dei suoi principi, come ad esempio la centralità della persona ed il rispetto dei diritti umani, l’impegno per la pace e la promozione della giustizia per tutti. Voi fate pertanto riferimento a principi fondamentali, che sono tra loro correlati, come dimostra l’esperienza della storia. Quando, in effetti, i diritti umani sono violati, è la stessa dignità della persona ad essere ferita; se la giustizia vacilla, la pace è in pericolo. D’altra parte, la giustizia, dal canto suo, può dirsi veramente umana, solo se la visione etica e morale sulla quale si fonda è centrata sulla persona e sulla sua inalienabile dignità.

Onorevoli Signori e Signore, la vostra attività, che si ispira a tali principi, oggi è resa ancor più difficile dal clima di profondi mutamenti che vivono le nostre comunità. Per questo vorrei ancor più incoraggiarvi a proseguire nello sforzo di servire il bene comune, adoperandovi a far sì che non si diffondano, né si rafforzino ideologie che possono oscurare o confondere le coscienze e veicolare una illusoria visione della verità e del bene. Esiste, ad esempio, in campo economico una tendenza che identifica il bene con il profitto e in tal modo dissolve la forza dell’ethos dall’interno, finendo per minacciare il profitto stesso. Alcuni ritengono che la ragione umana sia incapace di cogliere la verità e, pertanto, di perseguire il bene corrispondente alla dignità della persona. C’è poi chi valuta legittima l’eliminazione della vita umana nella sua fase prenatale o in quella terminale. Preoccupante è inoltre la crisi in cui versa la famiglia, cellula fondamentale della società fondata sul matrimonio indissolubile di un uomo e di una donna. L’esperienza dimostra che quando la verità dell’uomo è oltraggiata, quando la famiglia è minata nelle sue fondamenta, la pace stessa è minacciata, il diritto rischia di essere compromesso e, come logica conseguenza, si va incontro a ingiustizie e violenze.

C’è un altro ambito che a voi sta a cuore ed è quello della difesa della libertà religiosa, diritto fondamentale insopprimibile, inalienabile ed inviolabile, radicato nella dignità di ogni essere umano e riconosciuto da vari documenti internazionali, fra i quali, anzitutto, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. L’esercizio di tale libertà comprende anche il diritto di cambiare religione, che va garantito non soltanto giuridicamente, bensì pure nella pratica quotidiana. La libertà religiosa risponde, infatti, all’intrinseca apertura della creatura umana a Dio, Verità piena e Bene sommo e la sua valorizzazione costituisce un’espressione fondamentale di rispetto della ragione umana e della sua capacità di verità. L’apertura alla trascendenza costituisce una garanzia indispensabile per la dignità umana perché ci sono aneliti ed esigenze del cuore di ogni persona che solo in Dio trovano comprensione e risposta. Non si può pertanto escludere Dio dall’orizzonte dell’uomo e della storia! Ecco perché va accolto il desiderio comune a tutte le tradizioni autenticamente religiose di mostrare pubblicamente la propria identità, senza essere costretti a nasconderla o mimetizzarla.

Il rispetto della religione contribuisce, inoltre, a smentire il ripetuto rimprovero di aver dimenticato Dio, con cui alcune reti terroristiche cercano pretestuosamente di giustificare le loro minacce alla sicurezza delle società occidentali. Il terrorismo rappresenta un fenomeno gravissimo, che spesso arriva a strumentalizzare Dio e disprezza in maniera ingiustificabile la vita umana. La società ha certo il diritto di difendersi, ma questo diritto, come ogni altro, va sempre esercitato nel pieno rispetto delle regole morali e giuridiche anche per quanto concerne la scelta degli obiettivi e dei mezzi. Nei sistemi democratici l'uso della forza non giustifica mai la rinuncia ai principi dello stato di diritto. Si può, infatti, proteggere la democrazia minacciandone le fondamenta? Occorre dunque tutelare strenuamente la sicurezza della società e dei suoi membri, salvaguardando tuttavia i diritti inalienabili di ogni persona. Il terrorismo va combattuto con determinazione ed efficacia, nella consapevolezza che, se il male è un mistero pervasivo, la solidarietà degli uomini nel bene è un mistero ancor più diffusivo.

La dottrina sociale della Chiesa Cattolica offre, al riguardo, elementi di riflessione utili per promuovere la sicurezza e la giustizia, sia a livello nazionale che internazionale, a partire dalla ragione, dal diritto naturale ed anche dal Vangelo, a partire cioè da quanto è conforme alla natura di ogni essere umano ed anche la trascende. La Chiesa sa che non è suo compito far essa stessa valere politicamente questa sua dottrina: del resto suo obbiettivo è servire la formazione della coscienza nella politica e contribuire affinché cresca la percezione delle vere esigenze della giustizia e, insieme, la disponibilità ad agire in base ad esse, anche quando ciò contrastasse con situazioni di interesse personale (cfr Deus caritas est ). In questa sua missione, la Chiesa è mossa dall’amore per Dio e per l’uomo e dal desiderio di collaborare con tutte le persone di buona volontà per costruire un mondo dove vengano salvaguardati la dignità e i diritti inalienabili di tutte le persone. A quanti condividono la fede in Cristo, la Chiesa chiede di testimoniarla oggi, con ancor più grande coraggio e generosità. La coerenza dei cristiani è infatti indispensabile anche nella vita politica, perché il “sale” dell’impegno apostolico non perda il suo “sapore” e la “luce” degli ideali evangelici non venga oscurata nella loro azione quotidiana.

Onorevoli Signori e Signore, grazie ancora una volta per questa vostra gradita visita. Mentre formulo fervidi voti per il vostro lavoro, assicuro un ricordo nella preghiera perché Iddio benedica voi, le vostre famiglie e vi ottenga saggezza, coerenza e vigore morale per servire la grande e nobile causa dell’uomo e del bene comune.



AI PARTECIPANTI ALLA RIUNIONE DEI VESCOVI DI RECENTE NOMINA Sala degli Svizzeri, Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo Sabato, 22 settembre 2007

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Carissimi Fratelli nell’episcopato,

è ormai consuetudine da diversi anni che i Vescovi di recente nomina si ritrovino insieme a Roma per un incontro che viene vissuto come un pellegrinaggio alla tomba di San Pietro. Vi accolgo con particolare affetto. L’esperienza che state facendo, oltre che a stimolarvi nella riflessione sulle responsabilità ed i compiti di un Vescovo, vi consente di ravvivare nei vostri animi la consapevolezza che non siete soli nel reggere la Chiesa di Dio, ma avete, insieme con l’aiuto della grazia, il sostegno del Papa e quello dei vostri Confratelli. L’essere al centro della cattolicità, in questa Chiesa di Roma, apre i vostri animi ad una più viva percezione dell’universalità del Popolo di Dio e fa crescere in voi la sollecitudine per tutta la Chiesa. Ringrazio il Cardinale Giovanni Battista Re per le parole con cui ha interpretato i vostri sentimenti e rivolgo un particolare pensiero a Mons. Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, mentre saluto ciascuno di voi andando con il pensiero alle vostre diocesi.

Il giorno dell’Ordinazione episcopale, prima dell’imposizione delle mani, la Chiesa chiede al candidato di assumere alcuni impegni fra i quali, oltre quello di annunziare con fedeltà il Vangelo e custodire la fede, vi è anche quello di “perseverare nella preghiera a Dio onnipotente per il bene del suo popolo santo”. Vorrei soffermarmi con voi proprio sul carattere apostolico e pastorale della preghiera del Vescovo.

L’evangelista Luca scrive che Gesù Cristo scelse i dodici Apostoli dopo aver passato sul monte tutta la notte a pregare (
Lc 6,12); e l’evangelista Marco precisa che i Dodici furono scelti perchè “stessero con lui e per mandarli” (Mc 3,14). Come gli Apostoli anche noi, carissimi Confratelli, in quanto loro successori, siamo stati chiamati innanzitutto per stare con Cristo, per conoscerlo più profondamente ed essere partecipi del suo mistero di amore e della sua relazione piena di confidenza con il Padre. Nella preghiera intima e personale il Vescovo, come e più di tutti i fedeli, è chiamato a crescere nello spirito filiale verso Dio, apprendendo da Gesù stesso la confidenza, la fiducia e la fedeltà, atteggiamenti suoi propri nel rapporto col Padre.

E gli Apostoli avevano compreso bene come l’ascolto nella preghiera e l’annuncio delle cose ascoltate dovevano avere il primato sulle molte cose da fare, perché decisero: “Noi ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola” (Ac 6,4). Questo programma apostolico è quanto mai attuale. Oggi, nel ministero di un Vescovo, gli aspetti organizzativi sono assorbenti, gli impegni sono molteplici, le necessità sempre tante, ma il primo posto nella vita di un successore degli Apostoli deve essere riservato a Dio. Già San Gregorio Magno nella “Regola pastorale” avvertiva che il pastore “in modo singolare deve essere capace di elevarsi su tutti gli altri per la preghiera e la contemplazione (II, 5). È quanto la tradizione ha poi formulato con la nota espressione: “Contemplata aliis tradere” (cfr San Tommaso, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 188, art. 6).

Nell’Enciclica “Deus caritas est ”, riferendomi alla narrazione dell’episodio biblico della scala di Giacobbe, ho voluto evidenziare come proprio attraverso la preghiera il pastore divenga sensibile e misericordioso verso tutti (cfr n. 7). E ho ricordato il pensiero di San Gregorio Magno, secondo il quale il pastore radicato nella contemplazione sa accogliere le necessità degli altri, che nella preghiera diventano sue: “per pietatis viscera in se infirmitatem caeterorum transferat ” (Regola pastorale, ibid.). La preghiera educa all’amore e apre il cuore alla carità pastorale per accogliere tutti coloro che ricorrono al Vescovo. Egli, plasmato interiormente dallo Spirito Santo, consola con il balsamo della grazia divina, illumina con la luce della Parola, riconcilia ed edifica nella comunione fraterna. Nella vostra preghiera, cari Confratelli, un particolare posto devono avere i vostri sacerdoti, affinché siano sempre perseveranti nella vocazione e fedeli alla missione presbiterale loro affidata. È quanto mai edificante per ogni sacerdote sapere che il Vescovo, dal quale ha ricevuto il dono del sacerdozio o che comunque è il suo padre e amico, gli è vicino nella preghiera, nell’affetto ed è sempre pronto ad accoglierlo, ascoltarlo, sostenerlo ed incoraggiarlo. Ugualmente non deve mai mancare nella preghiera del Vescovo la supplica per le nuove vocazioni. Esse devono essere chieste con insistenza a Dio, affinché chiami “quelli che egli vuole” per il sacro ministero.

Il munus santificandi che avete ricevuto vi impegna, inoltre, ad essere animatori di preghiera nella società. Nelle città in cui vivete e operate, spesso convulse e rumorose, dove l’uomo corre e si smarrisce, dove si vive come se Dio non esistesse, sappiate creare luoghi ed occasioni di preghiera, dove nel silenzio, nell’ascolto di Dio mediante la lectio divina, nella preghiera personale e comunitaria, l’uomo possa incontrare Dio e fare l’esperienza viva di Gesù Cristo che rivela l’autentico volto del Padre. Non stancatevi di procurare che le parrocchie ed i Santuari, gli ambienti di educazione e di sofferenza, ma anche le famiglie diventino luoghi di comunione con il Signore. In modo particolare vorrei esortarvi a fare della Cattedrale un esemplare casa di preghiera, soprattutto liturgica, dove la comunità diocesana riunita con il suo Vescovo possa lodare e ringraziare Dio per l’opera della salvezza e intercedere per tutti gli uomini. Sant’Ignazio di Antiochia ci ricorda la forza della preghiera comunitaria: “Se la preghiera di uno o di due ha tanta forza, quanto più quella del Vescovo e di tutta la Chiesa!” (Lettera agli Ep 5).

In breve, carissimi Vescovi, siate uomini di preghiera! La “fecondità spirituale del ministero del Vescovo dipende dall’intensità della sua unione col Signore. È dalla preghiera che un Vescovo deve attingere luce, forza, e conforto nella sua attività pastorale”, come scrive il Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi (Apostolorum successores ). Nel rivolgervi a Dio per voi stessi e per i vostri fedeli abbiate la fiducia dei figli, l’audacia dell’amico, la perseveranza di Abramo, che fu instancabile nell’intercessione. Come Mosè abbiate le mani alzate verso il cielo, mentre i vostri fedeli combattono la buona battaglia della fede. Come Maria sappiate ogni giorno lodare Dio per la salvezza che egli opera nella Chiesa e nel mondo, convinti che nulla è impossibile a Dio (Lc 1,37).

Con questi sentimenti imparto a ciascuno di voi, ai vostri sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai seminaristi e ai fedeli delle vostre Diocesi una speciale Benedizione Apostolica.





Discorsi 2005-13 9297