Discorsi 2005-13 26107

AI MEMBRI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL GABON IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Venerdì, 26 ottobre 2007

26107

Cari fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,

Vi accolgo con gioia, Pastori della Chiesa nel Gabon, auspicando che la vostra visita ad limina sia per voi un tempo forte di comunione ecclesiale e di vita spirituale. Rafforzate così la vostra missione apostolica, per essere sempre più servitori e guide del popolo che vi è stato affidato. Ringrazio Monsignor Timothée Modibo-Nzockena, Vescovo di Franceville e Presidente della vostra Conferenza Episcopale, per il quadro che mi ha delineato degli aspetti pastorali. Nel vostro ministero, con le forze vive delle vostre Diocesi, siete chiamati a sviluppare una pastorale, diocesana e nazionale, sempre più organica. Al contempo, dovete organizzare in modo sempre più appropriato la vostra Conferenza Episcopale, nei vostri incontri e nelle strutture da mettere in atto per assistervi. Condividendo le vostre ricchezze pastorali e i vostri progetti, potrete conferire alle vostre Diocesi un dinamismo rinnovato. Più sarà grande la comunione fra voi e fra tutti i cattolici, più l'evangelizzazione sarà forte ed efficace.

Gli abitanti del Gabon si lasciano a volte attirare dalla società del consumismo e del permissivismo, prestando di conseguenza meno attenzione ai più poveri del Paese. Li incoraggio a far crescere il loro senso fraterno e la loro solidarietà. Si osserva parimenti un certo rilassamento nella vita dei cristiani, presi dalle seduzioni del mondo. Auspico che abbiano sempre più una condotta esemplare in ciò che concerne i valori spirituali e morali.

Fra i compiti urgenti della Chiesa nel Gabon è opportuno citare innanzitutto la trasmissione della fede e l'approfondimento del mistero cristiano. Per far fronte alle sollecitazioni, i fedeli hanno bisogno di ricevere una formazione approfondita che darà loro la possibilità di fondare la propria vita cristiana su principi chiari. Ciò presuppone che organizziate le strutture di formazione in modo che siano realmente efficaci. Non abbiate paura di preparare a questo compito sacerdoti e laici che ne hanno le capacità. Così le comunità ecclesiali saranno più vive e i fedeli attingeranno dalla liturgia, dalla preghiera personale, familiare e comunitaria, forze per essere, in ogni ambito della vita sociale, testimoni della Buona Novella, artefici della riconciliazione, della giustizia e della pace, di cui il nostro mondo ha più che mai bisogno.

In quanto successori degli Apostoli, siete per tutti i vostri diocesani dei padri, chiamati a prestare un'attenzione particolare ai giovani del vostro Paese. Che tutti i cristiani, e in particolare i genitori, si mobilitino per invitare i giovani ad aprire il loro cuore a Cristo e a seguirLo! Il Signore vuole donare a ognuno la grazia di una vita bella e buona e la speranza che permette di trovare il significato autentico dell'esistenza, attraverso i pericoli della vita quotidiana. Auspico che i giovani non abbiano paura di essere anche i primi evangelizzatori dei compagni della loro età. È spesso grazie all'amicizia e alla condivisione che questi ultimi potranno scoprire la persona di Cristo e affezionarsi a Lui.

Nei vostri resoconti sottolineate che le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata sono ancora poco numerose. È sempre motivo di sofferenza per un Pastore il fatto che manchino giovani pronti ad ascoltare la chiamata del Signore. La presenza di un seminario a Libreville deve essere per voi oggetto di un'attenzione del tutto particolare, poiché è il futuro dell'evangelizzazione e della Chiesa ad essere in gioco; sarà inoltre uno stimolo affinché, in ogni Diocesi, la pastorale vocazionale si sviluppi e s'intensifichi. Possano i sacerdoti, i religiosi e le religiose, come anche le famiglie, mobilitarsi, attraverso la preghiera, l'accompagnamento dei più giovani, la preoccupazione per la trasmissione della chiamata di Cristo, affinché nascano e si schiudano le vocazioni di cui il vostro Paese ha bisogno. Non si deve neanche dimenticare il ruolo dell'insegnamento cattolico, dove professori ed educatori hanno come compito l'educazione integrale dei giovani, che necessita della testimonianza e della trasmissione della fede, e anche di un'attenzione per le vocazioni. Insieme a voi, desidero rendere grazie per tutti i missionari, uomini e donne, che hanno permesso al vostro Paese di ricevere il seme del Vangelo. Che siano ringraziati per l'opera che hanno svolto e che continuano a svolgere con fedeltà, in collaborazione con i Pastori del Gabon!

Il mio pensiero affettuoso va ai sacerdoti, alla cui generosità nel ministero rendo omaggio. Vivendo senza posa in intimità con Cristo, avranno una consapevolezza più viva dell'esigenza della fedeltà agli impegni presi dinanzi a Dio e dinanzi alla Chiesa, in particolare l'obbedienza e la castità nel celibato. Così vivranno sempre più il loro ministero sacerdotale come un servizio ai fedeli. Che ricordino anche che, nel ministero, fanno parte di un presbiterio attorno al Vescovo. Nella fraternità sacerdotale, confortati da voi che siete per loro padri e fratelli, troveranno un sostegno spirituale; potrete allora realizzare progetti pastorali comuni, che conferiranno un nuovo slancio alla missione. Esorto ogni sacerdote a ricercare prima di tutto il bene della Chiesa e non vantaggi personali, conformando la propria vita e la propria missione al gesto della lavanda dei piedi (cfr
Jn 13,1-11). Questo amore vissuto in una prospettiva di servizio disinteressato fa nascere una gioia profonda.

Trasmettete ai sacerdoti, a tutte le persone che collaborano alla vita pastorale, a tutti i fedeli e a tutti gli abitanti del Gabon i saluti affettuosi del Papa. Affidandovi all'intercessione della Vergine Maria, Stella dell'Evangelizzazione, imparto a voi e a tutti i vostri diocesani, la Benedizione Apostolica.



A S.E. IL SIGNOR FAUSTO CORDOVEZ CHIRIBOGA, AMBASCIATORE DELLA REPUBBLICA DELL'ECUADOR PRESSO LA SANTA SEDE Sabato, 27 ottobre 2007

27107
Signor Ambasciatore,

1. Mi è grato ricevere le Lettere che la accreditano come Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Repubblica dell'Ecuador presso la Santa Sede. Mentre le porgo il mio cordiale benvenuto in questo solenne atto, desidero esprimere ancora una volta il sincero affetto che nutro per tutti i figli e le figlie di questa nobile Nazione.

La ringrazio per il deferente saluto che ha voluto trasmettermi da parte del Signor Presidente Costituzionale, Dottor Rafael Correa Delgado, e anche per le cordiali espressioni verso questa Sede Apostolica e la mia persona, che testimoniano altresì i sentimenti filiali del popolo ecuadoriano. Le chiedo pertanto di trasmettergli cortesemente la mia sincera riconoscenza.

2. Durante la mia visita in Ecuador, come rappresentante di Papa Giovanni Paolo II nel 1978, ho avuto la gioia di incontrare un popolo pacifico, semplice e ospitale, ma soprattutto molto radicato nella fede cristiana che, come lei ha sottolineato nel suo discorso, ha dato tanti frutti nel corso di varie generazioni. In tal senso desidero ricordare Santa Marianita de Jesús e in modo particolare la giovane laica, la Beata Narcisa de Jesús, tanto amata dal popolo dei fedeli, che desidera poterla vedere presto canonizzata.

Nei loro Santi i fedeli cristiani scoprono il frutto maturo di una fede che ha segnato la loro storia. Si tratta di un patrimonio trasmesso nel corso dei secoli, e che sotto diverse espressioni di devozione popolare e di arte, insieme ai valori morali, civici e sociali, fa parte della loro identità come Nazione.

3. L'umanità si trova oggi dinanzi a nuovi scenari di libertà e di speranza, turbati spesso da situazioni politiche instabili e dalle conseguenze di strutture sociali deboli. Inoltre l'interdipendenza fra gli Stati sta aumentando sempre più. Per questo è necessario e urgente adoperarsi per l'edificazione di un ordine interno e internazionale che promuova la convivenza pacifica, la cooperazione, il rispetto dei diritti umani e il riconoscimento, innanzitutto, del posto centrale della persona e della sua inviolabile dignità.

In tal senso, e pensando ai numerosi ecuadoriani che emigrano in altri Paesi in condizioni difficili, alla ricerca di un futuro migliore, per se stessi e per le loro famiglie, non possiamo dimenticare che "l'amore - caritas - sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c'è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell'amore. Chi vuole sbarazzarsi dell'amore si dispone a sbarazzarsi dell'uomo in quanto uomo" (Deus Caritas est ). È la carità, quindi, quale generoso dono di sé agli altri, ad aver generato e a continuare a generare questa rete di opere educative, assistenziali, di promozione e di sviluppo, che rendono onore alla Chiesa e alla società ecuadoriana.

4. La Chiesa cattolica, mediante il suo ministero pastorale, e che "in forza della sua missione e della sua natura non è legata ad alcuna particolare forma di cultura umana o sistema politico, economico, o sociale" (Gaudium et spes
GS 42), offre un importante contributo al bene comune del Paese. Per questo è necessario promuovere e rafforzare l'ambito di libertà che i testi costituzionali e legali dell'Ecuador le hanno riconosciuto. Perciò è altresì auspicabile che il nuovo ordinamento costituzionale contempli le più ampie garanzie per la libertà religiosa degli ecuadoriani, di modo che la Nazione possa contare su un quadro legale conforme anche al contesto e agli accordi internazionali.

5. La libertà di azione della Chiesa, oltre a essere un diritto inalienabile, è la condizione primordiale perché possa portare a termine la sua missione fra il popolo, anche in circostanze difficili. Per questo, "non uno Stato che regoli e domini tutto è ciò che occorre, ma invece uno Stato che generosamente riconosca e sostenga, nella linea del principio di sussidiarietà le iniziative che sorgono nelle diverse forze sociali" (Deus Caritas est ).

Non può peraltro essere diversa l'aspirazione di un governo democratico impegnato a promuovere una cultura di rispetto e di uguaglianza di fronte alla legge, come anche un esercizio esemplare dell'autorità, volta a servire tutto il popolo. Per tutto ciò, il Governo ecuadoriano ha espresso la sua decisa volontà di assistere in modo prioritario i più bisognosi, ispirandosi alla Dottrina Sociale della Chiesa. È auspicabile, pertanto, che i cittadini possano godere di tutti i diritti, nell'osservanza degli obblighi corrispondenti, ottenendo così migliori condizioni di vita e un accesso più facile a un'abitazione degna e al lavoro, all'educazione e alla salute, nel pieno rispetto della vita dal suo concepimento fino alla sua fine naturale.

6. Signor Ambasciatore, prima di concludere questo incontro desidero formularle i miei migliori auspici per il felice svolgimento della sua alta missione, perché contribuisca a rafforzare i tradizionali vincoli di dialogo e di cooperazione fra l'Ecuador e la Santa Sede, chiedendole di farsi gentilmente interprete dei miei sentimenti presso il suo Governo e le altre autorità nazionali. Allo stesso tempo, ricordo nella mia preghiera l'amato popolo ecuadoriano e imploro abbondanti benedizioni dell'Altissimo sull'Ecuador, su di lei, sulla sua distinta famiglia e sui suoi collaboratori.




CONCERTO OFFERTO DALL’ORCHESTRA SINFONICA E DAL CORO DELLA RADIO DELLA BAVIERA Aula Paolo VI Sabato, 27 ottobre 2007

27207

Signori Cardinali,
onorevole Signor Ministro Presidente,
cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
illustre Signor Professore Gruber,
Signore e Signori!

Dopo questo toccante evento musicale desidero esprimere la mia profonda gratitudine a quanti hanno contribuito alla sua realizzazione. In primo luogo, naturalmente, ringrazio l’Orchestra sinfonica e il Coro della Radio Bavarese insieme con gli eccellenti solisti e il loro grande Direttore Mariss Jansons. L’interpretazione sensibile e coinvolgente della IX sinfonia di Beethoven – rinnovata prova del loro eccezionale talento – riecheggerà ancora per molto tempo nel mio intimo e mi resterà nella memoria come un regalo particolare. Vorrei, però, ringraziare anche per l’esecuzione eccellente del “Tu es Petrus” che fu composto qui a Roma, per la Basilica di S. Pietro, e fa parte delle grandi opere della letteratura corale. Infine ringrazio il Cardinale Friedrich Wetter e il Professore Thomas Gruber per le gentili e profonde parole con cui hanno, per così dire, “consegnato” il regalo di questo concerto.

La IX sinfonia, questo capolavoro imponente, che – come Lei, caro Cardinale, ha detto – appartiene al patrimonio universale dell’umanità, suscita sempre di nuovo la mia meraviglia: dopo anni di auto-isolamento e di vita ritirata, in cui Beethoven aveva da combattere con difficoltà interne ed esterne che gli procuravano depressione e profonda amarezza e minacciavano di soffocare la sua creatività artistica, il compositore ormai totalmente sordo, nell’anno 1824, sorprende il pubblico con una composizione che rompe la forma tradizionale della sinfonia e, nella cooperazione di orchestra, coro e solisti, si eleva ad uno straordinario finale di ottimismo e di gioia. Che cosa era accaduto?

Per ascoltatori attenti, la musica stessa lascia intuire qualcosa di ciò che sta alla base di questa esplosione inaspettata di giubilo. Il travolgente sentimento di gioia trasformato qui in musica non è qualcosa di leggero e di superficiale: è un sentimento conquistato con fatica, superando il vuoto interno di chi dalla sordità era stato spinto nell’isolamento – le quinte vuote all’inizio del primo movimento e l’irrompere ripetuto di un’atmosfera cupa ne sono l’espressione.

La solitudine silenziosa, però, aveva insegnato a Beethoven un modo nuovo di ascolto che si spingeva ben oltre la semplice capacità di sperimentare nell’immaginazione il suono delle note che si leggono o si scrivono. Mi si affaccia alla mente, in questo contesto, un’espressione misteriosa del profeta Isaia che, parlando di una vittoria della verità e del diritto, diceva: “Udranno in quel giorno i sordi le parole di un libro [cioè parole solamente scritte]; liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno“ (cfr 29, 18-24). Si accenna così ad una percettività che riceve in dono chi da Dio ottiene la grazia di una liberazione esterna ed interna.

Il Coro e l’Orchestra della Radio Bavarese, quando nel 1989 in occasione della “caduta del muro”, eseguendo sotto la guida di Leonard Bernstein la sinfonia appena ascoltata, cambiarono il testo della “Ode alla gioia” in “Libertà, bella scintilla di Dio”, espressero quindi più del semplice sentimento del momento storico: la vera gioia è radicata in quella libertà che, in fondo, solo Dio può donare. Egli – a volte proprio attraverso periodi di vuoto e di isolamento interni – vuole renderci attenti e capaci di “sentire” la sua presenza silenziosa non solo “sopra la volta stellata”, ma anche nell’intimo del nostro animo. È lì che arde la scintilla dell’amore divino che può liberarci a ciò che siamo veramente.

Con un “Vergelt’s Gott” di cuore – un “grazie” di cuore – imparto a tutti la mia Benedizione.



AI PARTECIPANTI AL 25° CONGRESSO INTERNAZIONALE DEI FARMACISTI CATTOLICI Sala del Concistoro Lunedì, 29 ottobre 2007

29107

Signor presidente,
cari amici,

sono lieto di accogliervi, membri del congresso internazionale dei farmacisti cattolici, in occasione del vostro venticinquesimo congresso, che ha per tema: "Le nuove frontiere dell'atto farmaceutico". Lo sviluppo attuale dell'arsenale di medicine e delle possibilità terapeutiche che ne derivano comporta che i farmacisti riflettano sulle funzioni sempre più ampie che sono chiamati a svolgere, in particolare quali intermediari fra il medico e il paziente. Essi hanno un ruolo educativo verso i pazienti per un uso corretto dell'assunzione dei farmaci e soprattutto per far conoscere le implicazioni etiche dell'utilizzazione di alcuni farmaci. In questo ambito, non è possibile anestetizzare le coscienze, ad esempio sugli effetti di molecole che hanno come fine quello di evitare l'annidamento di un embrione o di abbreviare la vita di una persona. Il farmacista deve invitare ognuno a un sussulto di umanità, affinché ogni essere sia tutelato dal suo concepimento fino alla sua morte naturale e i farmaci svolgano veramente il loro ruolo terapeutico. D'altro canto, nessuna persona può essere utilizzata, in modo sconsiderato, come un oggetto, per compiere esperimenti terapeutici; questi si devono svolgere secondo i protocolli rispettando le norme etiche fondamentali. Qualsiasi cura o sperimentazione deve avere come prospettiva un eventuale miglioramento della persona, e non solo la ricerca di avanzamenti scientifici. Il perseguimento di un bene per l'umanità non può avvenire a detrimento del bene dei pazienti. Nell'ambito morale, la vostra federazione è invitata ad affrontare la questione dell'obiezione di coscienza, che è un diritto che deve essere riconosciuto alla vostra professione, permettendovi di non collaborare, direttamente o indirettamente, alla fornitura di prodotti aventi come fine scelte chiaramente immorali, come ad esempio l'aborto e l'eutanasia.

È inoltre opportuno che le diverse strutture farmaceutiche, dai laboratori ai centri ospedalieri, e anche tutti i nostri contemporanei, si preoccupino della solidarietà nell'ambito terapeutico, per permettere l'accesso alle cure e ai farmaci di prima necessità a tutte le fasce della popolazione e in tutti i paesi, in particolare alle persone più povere.

In quanto farmacisti cattolici, che possiate, sotto la guida dello Spirito Santo, attingere dalla vita di fede e dall'insegnamento della Chiesa gli elementi che vi guideranno nel vostro cammino professionale accanto ai malati, che hanno bisogno di un sostegno umano e morale per vivere nella speranza e per trovare le risorse interiori che li aiuteranno giorno dopo giorno! Spetta a voi aiutare i giovani che s'inseriscono nelle diverse professioni farmaceutiche a riflettere sulle implicazioni etiche sempre più delicate delle loro attività e delle loro decisioni. A tal fine è importante che tutti i professionisti cattolici dell'ambito della salute e le persone di buona volontà si mobilitino e si riuniscano per approfondire la loro formazione non solo sul piano tecnico, ma anche in ciò che concerne le questioni di bioetica, e per proporre tale formazione a tutti coloro che svolgono questa professione. L'essere umano, poiché è immagine di Dio, deve essere sempre al centro delle ricerche e delle scelte in materia biomedica. Allo stesso tempo, il principio naturale del dovere di prestare cure al malato è fondamentale. Le scienze biomediche sono al servizio dell'uomo; se così non avverrà, avranno un carattere freddo e inumano. Ogni conoscenza scientifica nell'ambito della salute e ogni azione terapeutica sono al servizio dell'uomo malato, considerato nel suo essere integrale, che deve partecipare attivamente alle cure somministrategli ed essere rispettato nella sua autonomia.

Affidando voi, come anche i malati che dovete curare, all'intercessione di Nostra Signora e di sant'Alberto Magno, imparto a voi e a tutti i membri della vostra federazione e alle vostre famiglie, la benedizione apostolica.




AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO INTERNAZIONALE "FAMIGLIE NUOVE" PROMOSSO DAL MOVIMENTO DEI FOCOLARI Sala Clementina Sabato, 3 novembre 2007

31107

Cari fratelli e sorelle!

Benvenuti e grazie per questa vostra visita. Voi provenite dai cinque continenti ed appartenete al Movimento Famiglie Nuove, nato 40 anni or sono nell'ambito del Movimento dei Focolari. Siete pertanto una diramazione dei Focolari, ed oggi formate una rete di ben 800.000 famiglie operanti in 182 nazioni, tutte impegnate a fare della loro casa un "focolare" che irradi nel mondo la testimonianza di un vissuto familiare improntato al Vangelo. A ciascuno di voi il mio più cordiale saluto, che si estende pure a quanti hanno voluto accompagnarvi in questo nostro incontro. In modo particolare, saluto i vostri responsabili centrali, che si sono fatti interpreti dei comuni sentimenti e mi hanno illustrato lo stile con cui opera e gli scopi del vostro Movimento. Ringrazio per i saluti che mi sono stati recati da parte di Chiara Lubich, alla quale invio di cuore il mio beneaugurate pensiero, ringraziandola perché, con saggezza e ferma adesione alla Chiesa, continua a guidare la grande famiglia dei Focolari.

Come è stato poc'anzi ricordato, è proprio nell'ambito di questa vasta e benemerita istituzione che voi, care coppie di sposi, vi ponete a servizio del mondo delle famiglie con un'azione pastorale importante e sempre attuale, orientata secondo quattro direttrici: la spiritualità, l'educazione, la socialità e la solidarietà. Il vostro è in effetti un impegno di evangelizzazione silenzioso e profondo, che mira a testimoniare come solo l'unità familiare, dono di Dio-Amore, possa rendere la famiglia vero nido di amore, casa accogliente della vita e scuola di virtù e di valori cristiani per i figli. Di fronte alle tante sfide sociali ed economiche, culturali e religiose che la società contemporanea deve affrontare in ogni parte del mondo, la vostra opera, veramente provvidenziale, costituisce un segno di speranza e un incoraggiamento per le famiglie cristiane ad essere "spazio" privilegiato dove si proclami nella vita di ogni giorno e anche con tante difficoltà la bellezza del porre al centro Gesù Cristo e del seguirne fedelmente il Vangelo.

Il tema stesso del vostro incontro - "Una casa costruita sulla roccia -Il Vangelo vissuto, risposta ai problemi della famiglia oggi" - evidenzia l'importanza di questo itinerario ascetico e pastorale. Il segreto è proprio vivere il Vangelo! Giustamente, pertanto, nei lavori assembleari di questi giorni, oltre a contributi che illustrano la situazione in cui si trova oggi la famiglia nei diversi contesti culturali, voi avete previsto l'approfondimento della Parola di Dio e l'ascolto di testimonianze che mostrano come lo Spirito Santo agisce nei cuori e nel vissuto familiare, anche in situazioni complesse e difficili. Si pensi alle incertezze dei fidanzati dinanzi a scelte definitive per il futuro, alla crisi delle coppie, alle separazioni e ai divorzi, come pure alle unioni irregolari, alla condizione delle vedove, alle famiglie in difficoltà, all'accoglienza dei minori abbandonati. Auspico di cuore che, anche grazie al vostro impegno, possano essere individuate strategie pastorali tese a venire incontro ai crescenti bisogni della famiglia contemporanea e alle molteplici sfide a cui essa è posta di fronte, perché non venga meno la sua missione peculiare nella Chiesa e nella società.

Al riguardo, nell'Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici il mio venerato e amato predecessore Giovanni Paolo II annotava: "La Chiesa sostiene che la coppia e la famiglia costituiscono il primo spazio per l'impegno sociale dei fedeli" (n. 40). Per portare a compimento questa sua vocazione, la famiglia, consapevole di essere la cellula primaria della società, non deve dimenticare di poter attingere forza dalla grazia di un sacramento, voluto da Cristo per corroborare l'amore tra uomo e donna: un amore inteso come dono di sé, reciproco e profondo. Come ebbe ancora ad osservare Giovanni Paolo II, "la famiglia riceve la missione di custodire, rivelare e comunicare l'amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell'amore di Dio per l'umanità e dell'amore di Cristo Signore per la Chiesa sua sposa" (Familiaris consortio
FC 17). Secondo il progetto divino, la famiglia è dunque un luogo sacro e santificante e la Chiesa, da sempre vicina ad essa, la sostiene in questa sua missione ancor più oggi, poiché tante sono le minacce che la colpiscono dall'interno e dall'esterno. Per non cedere allo scoraggiamento occorre l'aiuto divino; per questo è necessario che ogni famiglia cristiana guardi con fiducia alla Santa Famiglia, questa originale "Chiesa domestica" nella quale "per un misterioso disegno di Dio è vissuto nascosto per lunghi anni il Figlio di Dio: essa, dunque, è il prototipo e l'esemplare di tutte le famiglie cristiane" (ibid. n. 86).

Cari fratelli e sorelle, l'umile e santa Famiglia di Nazaret, icona e modello di ogni umana famiglia, non vi farà mancare il suo celeste sostegno. Ma è indispensabile il costante vostro ricorso alla preghiera, all'ascolto della Parola di Dio e ad un'intensa vita sacramentale, insieme a uno sforzo mai abbandonato di vivere il comandamento di Cristo dell'amore e del perdono. L'amore non cerca il proprio interesse, non tiene conto del male ricevuto, ma si compiace della verità. L'amore "tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta" (cfr 1Co 13,5-7). Cari fratelli e sorelle, proseguite il vostro cammino e siate testimoni di questo Amore, che vi renderà sempre più "cuore" e "lievito" dell'intero Movimento Famiglie Nuove. Io assicuro il mio ricordo nella preghiera per ciascuno di voi, per le vostre attività e per quanti incontrate nel vostro apostolato, e con affetto a tutti ora imparto l'Apostolica Benedizione.





AI MEMBRI DELLA FEDERAZIONE UNIVERSITARIA CATTOLICA ITALIANA (F.U.C.I) Sala Clementina Venerdì, 9 novembre 2007

9117
Cari giovani amici della FUCI,

mi è particolarmente gradita questa vostra visita, che compite al termine delle celebrazioni per il centodecimo anniversario della nascita della vostra Associazione, la FUCI, Federazione Universitaria Cattolica Italiana. Rivolgo a ciascuno di voi il mio saluto cordiale, incominciando dai Presidenti Nazionali e dall’Assistente Ecclesiastico Centrale, e li ringrazio per le parole che mi hanno rivolto a vostro nome. Saluto Monsignor Giuseppe Betori, Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana, e Mons. Domenico Sigalini, Vescovo di Palestrina ed Assistente Ecclesiastico Generale dell'Azione Cattolica Italiana, che vi hanno accompagnato in questa Udienza e che con la loro presenza testimoniano il forte radicamento della FUCI nella Chiesa che è in Italia. Saluto gli Assistenti diocesani e i membri della Fondazione FUCI. A tutti e a ciascuno rinnovo l’apprezzamento della Chiesa per il lavoro che la vostra Associazione svolge nel mondo universitario al servizio del Vangelo.

La FUCI celebra i suoi 110 anni: un’occasione propizia per guardare al cammino percorso e alle prospettive future. La custodia della memoria storica rappresenta un prezioso valore perché, nel considerare la validità e la consistenza delle proprie radici, si è più facilmente spinti a proseguire con entusiasmo l’itinerario avviato. In questa lieta circostanza, riprendo volentieri le parole che dieci anni or sono ebbe a rivolgervi il mio venerato e amato predecessore Giovanni Paolo II, in occasione del vostro centenario: «La storia di questi 100 anni – egli disse - sta proprio a confermare che la vicenda della FUCI costituisce un significativo capitolo nella vita della Chiesa in Italia, in particolare in quel vasto e multiforme movimento laicale che ha avuto nell’Azione Cattolica il suo asse portante» (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIX,1 [1996], p. 1110).

Come non riconoscere che la FUCI ha contribuito alla formazione di intere generazioni di cristiani esemplari, che hanno saputo tradurre nella vita e con la vita il Vangelo, impegnandosi sul piano culturale, civile, sociale ed ecclesiale? Penso, in primo luogo, ai beati Piergiorgio Frassati e Alberto Marvelli, vostri coetanei; ricordo personalità illustri come Aldo Moro e Vittorio Bachelet, entrambi barbaramente uccisi; né posso dimenticare il mio venerato predecessore Paolo VI, che fu attento e coraggioso Assistente ecclesiastico centrale della FUCI nei difficili anni del fascismo, e poi Mons. Emilio Guano e Mons. Franco Costa. I recenti dieci anni sono stati inoltre caratterizzati dal deciso impegno della FUCI di riscoprire la propria dimensione universitaria. Dopo non pochi dibattiti e accese discussioni, a metà degli anni Novanta, in Italia si è posto mano ad una radicale riforma del sistema accademico, che ora presenta una nuova fisionomia, carica di promettenti prospettive insieme però ad elementi che suscitano una legittima preoccupazione. E voi, sia nei recenti Congressi che sulle pagine della rivista Ricerca, vi siete costantemente preoccupati della nuova configurazione degli studi accademici, delle relative modifiche legislative, del tema della partecipazione studentesca e dei modi in cui le dinamiche globali della comunicazione incidono sulla formazione e sulla trasmissione del sapere.

E’ proprio in questo ambito che la FUCI può esprimere appieno anche oggi il suo antico e sempre attuale carisma: e cioè la convinta testimonianza della “possibile amicizia” tra l’intelligenza e la fede, che comporta lo sforzo incessante di coniugare la maturazione nella fede con la crescita nello studio e l’acquisizione del sapere scientifico. In questo contesto acquista significativo valore l’espressione a voi cara: “credere nello studio”. In effetti, perchè ritenere che chi ha fede debba rinunciare alla ricerca libera della verità, e chi cerca liberamente la verità debba rinunciare alla fede? E’ invece possibile, proprio durante gli studi universitari e grazie ad essi, realizzare un’autentica maturazione umana, scientifica e spirituale. “Credere nello studio” vuol dire riconoscere che lo studio e la ricerca – specialmente durante gli anni dell’Università – posseggono un’intrinseca forza di allargamento degli orizzonti dell’intelligenza umana, purché lo studio accademico conservi un profilo esigente, rigoroso, serio, metodico e progressivo. A queste condizioni, anzi, esso rappresenta un vantaggio per la formazione globale della persona umana, come efficacemente ebbe a dire il beato Giuseppe Tovini: “Con lo studio i giovani non saranno mai poveri, senza lo studio non saranno mai ricchi”.

Lo studio costituisce, al tempo stesso, una provvidenziale opportunità per avanzare nel cammino della fede, perché l’intelligenza ben coltivata apre il cuore dell’uomo all’ascolto della voce di Dio, evidenziando l’importanza del discernimento e dell’umiltà. Proprio al valore dell’umiltà mi riferivo nella recente Agorà di Loreto, quando esortavo i giovani italiani a non seguire la strada dell’orgoglio, bensì quella di un realistico senso della vita aperto alla dimensione trascendente. Oggi, come in passato, chi vuole essere discepolo di Cristo è chiamato ad andare controcorrente, a non lasciarsi attrarre da richiami interessati e suadenti che provengono da diversi pulpiti dove sono propagandati comportamenti improntati all’arroganza e alla violenza, alla prepotenza e alla conquista del successo con ogni mezzo. Si registra nell’attuale società una corsa talora sfrenata all’apparire e all’avere a scapito purtroppo dell’essere, e la Chiesa, maestra di umanità, non si stanca di esortare specialmente le nuove generazioni, alle quali voi appartenete, a restare vigilanti e a non temere di scegliere vie “alternative” che solo Cristo sa indicare.

Sì, cari amici, Gesù chiama tutti i suoi amici a improntare la loro esistenza ad un modo di vivere sobrio e solidale, a tessere relazioni affettive sincere e gratuite con gli altri. A voi, cari giovani studenti, chiede di impegnarvi onestamente nello studio, coltivando un maturo senso di responsabilità ed un interesse condiviso per il bene comune. Gli anni dell’Università siano pertanto palestra di convinta e coraggiosa testimonianza evangelica. E per realizzare questa vostra missione, cercate di coltivare un’intima amicizia con il divino Maestro, ponendovi alla scuola di Maria, Sede della Sapienza. Alla sua materna intercessione vi affido e, mentre vi assicuro un ricordo nella preghiera, imparto di cuore a tutti con affetto una speciale Benedizione apostolica, che volentieri estendo alle vostre famiglie e alle persone a voi care.




Discorsi 2005-13 26107