Discorsi 2005-13 10117

AI MEMBRI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL PORTOGALLO IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Sala del Concistoro Sabato, 10 novembre 2007

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Signor Cardinale Patriarca,

Amati vescovi portoghesi!

Provo grande gioia nel ricevervi oggi nella Casa di Pietro, con la forza di Dio, saldo pilastro di quel ponte che siete chiamati a essere e a creare fra l'umanità e il suo supremo destino, la Santissima Trinità. Otto anni dopo la vostra ultima visita ad Limina, trovate cambiato il volto di Pietro ma non il cuore e neppure le braccia che vi accolgono e vi confermano nella forza di Dio che ci sostiene e ci rende fratelli in Cristo Signore: "grazia e pace a voi in abbondanza" (
1P 1,2). Con queste parole di benvenuto, saluto tutti, ringraziando il presidente della Conferenza Episcopale, monsignor Jorge Ortiga, per il quadro presentato della vita e della situazione delle vostre diocesi e per i devoti sentimenti che ha espresso a nome di tutti e che contraccambio con vivo affetto e con la certezza delle mie preghiere per voi e per quanti sono affidati alla vostra sollecitudine pastorale.

Amati vescovi del Portogallo, avete varcato la Porta Santa del Giubileo dell'anno 2000 a capo del pellegrinaggio dei vostri diocesani, invitandoli a entrare e a restare in Cristo come nella Casa dei loro desideri più profondi e autentici, ossia, la Casa di Dio, e a misurare fino a dove tali desideri erano già divenuti realtà, ossia, fino a dove la vita e l'essere di ognuno incarna il verbo di Dio, sull'esempio di San Paolo che diceva: "non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Ga 2,20). Segno concreto di questa incarnazione è il far traboccare per gli altri la vita di Cristo che irrompe in me. Poiché "io non posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi... Diventiamo un "solo corpo", fusi insieme in un'unica esistenza" (Deus caritas est ). Questo "corpo" di Cristo che abbraccia l'umanità di tutti i tempi e i luoghi è la Chiesa. Sant'Ambrogio vide la sua prefigurazione in quella "terra santa" indicata da Dio a Mosè: "Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è la terra santa!" (Ex 3,5); e lì, in seguito, gli fu ordinato: "Ma tu resta qui con me" (Dt 5,30), ordine che il santo vescovo di Milano rende attuale per i fedeli in questi termini: "Tu resti con me (con Dio) se resti nella Chiesa (...) Resta, quindi, nella Chiesa; resta dove ti sono apparso; lì io sono con te. Dove è la Chiesa lì trovi il punto di appoggio più fermo per la tua mente; dove ti sono apparso nel roveto ardente, lì è il fondamento della tua anima. Di fatto, Io ti sono apparso nella Chiesa, come in passato nel roveto ardente. Tu sei il roveto, Io sono il fuoco; fuoco nel roveto, sono Io nella tua carne. Per questo, Io sono il fuoco; per illuminarti, per distruggere le tue spine, i tuoi peccati, e mostrarti la mia benevolenza" (Epistolae extra collectionem: Ep 14,41-42). Queste parole traducono bene il modo di vita e l'appello lasciati da Dio ai pellegrini del Grande Giubileo.

In questo momento, desidero rendere grazie insieme a voi a Cristo Signore per la grande misericordia che ha usato verso la sua Chiesa pellegrina in Portogallo nei giorni dell'Anno Santo e negli anni successivi permeati dello stesso spirito giubilare, che vi ha fatto vedere, senza paura, i limiti e le mancanze che vi hanno lasciato senza pane, e convinti a prendere il cammino del ritorno alla Casa del Padre, dove vi è pane in abbondanza. Di fatto, si sente lo stesso clima del Giubileo perdurare in numerose iniziative da voi intraprese in questi recenti anni: il censimento generale della pratica domenicale, la ripresa del cammino sinodale fatto o da fare, la convocazione in diverse diocesi della statio eucaristica o della missione generale secondo modalità nuove e antiche, la realizzazione nazionale dell'incontro di movimenti e nuove comunità ecclesiali e del congresso della famiglia, la volontà di servire l'uomo espressa dalla Chiesa e dalla Stato in un nuovo Concordato, l'acclamazione della santità esemplare nella persona dei nuovi Beati... In questo lungo pellegrinare, la confessione più frequente sulle labbra dei cristiani è stata la mancanza di partecipazione alla vita comunitaria, riproponendosi di trovare nuove forme di integrazione nella comunità. La parola d'ordine è stata, ed è, costruire cammini di comunione. È necessario cambiare lo stile di organizzazione della comunità ecclesiale portoghese e la mentalità dei suoi membri per avere una Chiesa in sintonia con il Concilio Vaticano II, nella quale sia ben definita la funzione del clero e del laicato, tenendo conto del fatto che tutti siamo uno, fin da quando siamo stati battezzati e integrati nella famiglia dei figli di Dio, e tutti siamo corresponsabili della crescita della Chiesa.

Questa ecclesiologia della comunione nel cammino aperto dal Concilio, dalla quale la Chiesa portoghese si sente particolarmente interpellata sulla scia del Grande Giubileo, è, miei amati Fratelli, la rotta certa da seguire, senza perdere di vista eventuali scogli, come l'orizzontalismo nella sua fonte, la democratizzazione nell'attribuzione dei ministeri sacramentali, l'equiparazione fra l'Ordine conferito e i servizi emergenti, il dibattito su quale dei membri della comunità sia il primo (dibattito inutile in quanto il Signore Gesù ha già deciso che è l'ultimo). Con ciò non voglio dire che non si debba discutere sul retto ordinamento nella Chiesa e sull'attribuzione delle responsabilità: sempre vi saranno squilibri, che esigono correzioni. Simili questioni non possono però distrarci dalla vera missione della Chiesa: questa non deve parlare primariamente di se stessa, ma di Dio.
Gli elementi essenziali del concetto cristiano di "comunione" si trovano nel testo della prima Lettera di San Giovanni: "quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi" (1, 3). Risalta qui il punto di partenza della comunione: è nell'unione di Dio con l'uomo, che è Cristo in persona; l'incontro con Cristo crea la comunione con Lui e, in Lui, con il Padre nello Spirito Santo. Vediamo così - come ho scritto nella prima Enciclica - che "all'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva" (Deus caritas est ). L'evangelizzazione della persona e delle comunità umane dipende, in assoluto, dall'esistenza o meno di questo incontro con Gesù Cristo.

Sappiamo che il primo incontro si può rivestire di una pluralità di forme, come dimostrano innumerevoli vite di Santi (la loro presentazione fa parte dell'evangelizzazione, che deve essere accompagnata da modelli di pensiero e di condotta), ma l'iniziazione cristiana della persona passa, normalmente, per la Chiesa: l'economia divina della salvezza richiede la Chiesa. Vista la marea crescente di cristiani non praticanti nelle vostre diocesi, forse vale la pena verificare: "l'efficacia degli attuali percorsi di iniziazione, affinché il cristiano dall'azione educativa nelle nostre comunità sia aiutato a maturare sempre di più, giungendo ad assumere nella sua vita un'impostazione autenticamente eucaristica, così da essere in grado di dare ragione della propria speranza in modo adeguato per il nostro tempo" (Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis, n. 18).

Amati vescovi del Portogallo, quattro settimane fa vi siete riuniti nel Santuario di Fatima con il Cardinale Segretario di Stato che ho inviato lì come mio Legato Speciale per la chiusura delle celebrazioni per i 90 anni delle Apparizioni di Nostra Signora. Mi è grato pensare a Fatima come scuola di fede con la Vergine Maria come Maestra; lì Lei ha eretto la sua cattedra per insegnare ai piccoli Veggenti, e poi alle moltitudini, le verità eterne e l'arte di pregare, credere e amare. Con l'atteggiamento umile di alunni che hanno bisogno di imparare la lezione, affidate ogni giorno alla Maestra tanto insigne e Madre del Cristo totale, ognuno di voi e i sacerdoti vostri diretti collaboratori nella guida del gregge, i consacrati e le consacrate, che anticipano il Cielo in terra, e i fedeli laici che modellano la terra a immagine del Cielo. Implorando su tutti, con la protezione di Nossa Senhora de Fátima, la luce e la forza dello Spirito, vi imparto la mia Benedizione Apostolica.





ALLA CONFEDERAZIONE DELLE CONFRATERNITE DELLE DIOCESI D’ITALIA Piazza San Pietro Sabato, 10 novembre 2007

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Cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di accogliervi e saluto tutti voi, che idealmente rappresentate il vasto e variegato mondo delle Confraternite presenti in ogni regione e diocesi d’Italia. Saluto i Presuli che vi accompagnano ed in particolare Mons. Armando Brambilla, Vescovo ausiliare di Roma e Delegato della Conferenza Episcopale Italiana per le Confraternite e i Sodalizi, ringraziandolo per le parole che mi ha rivolto a vostro nome. Saluto il dott. Francesco Antonetti, Presidente della Confederazione che raccoglie le Confraternite italiane, come pure i membri dei Consigli Direttivi e i vostri Assistenti Ecclesiastici. Voi, cari amici, siete convenuti in Piazza San Pietro con i vostri caratteristici abiti, che richiamano antiche tradizioni cristiane ben radicate nel Popolo di Dio. Grazie per la vostra visita, che vuole essere una corale manifestazione di fede e nel contempo un gesto che esprime filiale attaccamento al Successore di Pietro.

Come non ricordare subito l’importanza e l’influsso che le Confraternite hanno esercitato nelle comunità cristiane d’Italia sin dai primi secoli dello scorso millennio? Molte di esse, suscitate da persone ripiene di zelo, sono presto diventate aggregazioni di fedeli laici dediti a porre in luce alcuni tratti della religiosità popolare legati alla vita di Gesù Cristo, specialmente la sua passione, morte e risurrezione, alla devozione verso la Vergine Maria ed i Santi, unendo quasi sempre concrete opere di misericordia e di solidarietà. Così, fin dalle origini, le vostre Confraternite si sono distinte per le loro tipiche forme di pietà popolare, a cui venivano unite tante iniziative caritatevoli verso i poveri, i malati e i sofferenti, coinvolgendo in questa gara di generoso aiuto ai bisognosi numerosi volontari di ogni ceto sociale. Si comprende meglio questo spirito di fraterna carità se si tiene conto che esse cominciarono a sorgere durante il Medio Evo, quando ancora non esistevano forme strutturate di assistenza pubblica che garantissero interventi sociali e sanitari per le fasce più deboli delle collettività. Una tale situazione è andata perdurando nei secoli successivi sino, potremmo dire, ai nostri giorni quando, pur essendo cresciuto il benessere economico, non sono tuttavia scomparse le sacche di povertà e quindi, oggi come in passato, c’è ancora molto da fare nel campo della solidarietà.

Le Confraternite non sono però semplici società di mutuo soccorso oppure associazioni filantropiche, ma un insieme di fratelli che, volendo vivere il Vangelo nella consapevolezza di essere parte viva della Chiesa, si propongono di mettere in pratica il comandamento dell’amore, che spinge ad aprire il cuore agli altri, particolarmente a chi si trova in difficoltà. L’amore evangelico – amore per Dio e per i fratelli – è il segno distintivo e il programma di vita di ogni discepolo di Cristo come di ogni comunità ecclesiale. Nella Sacra Scrittura è chiaro che all’amore di Dio è strettamente legato l’amore per il prossimo (cfr
Mc 12,29-31). "La carità – ho scritto nell’Enciclica Deus caritas est – non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza" (n. 25). Per comunicare ai fratelli la tenerezza provvidente del Padre celeste è, tuttavia, necessario attingere alla sorgente, che è Dio stesso, grazie a soste prolungate di preghiera, al costante ascolto della sua Parola e ad un’esistenza tutta centrata nel Signore ed alimentata dai Sacramenti, specialmente dall’Eucaristia.

Nella stagione di grandi cambiamenti che stiamo attraversando, la Chiesa in Italia ha bisogno anche di voi, cari amici, per far giungere l’annuncio del Vangelo della carità a tutti, percorrendo vie antiche e nuove. Radicate sul solido fondamento della fede in Cristo, le vostre benemerite Confraternite, con la singolare molteplicità di carismi e la vitalità ecclesiale che le contraddistingue, continuino dunque a diffondere il messaggio della salvezza tra il popolo, operando sulle molteplici frontiere della nuova evangelizzazione! Voi potrete portare a compimento questa vostra importante missione, se coltiverete sempre un amore profondo verso il Signore e una docile ubbidienza ai vostri Pastori. A queste condizioni, mantenendo ben saldi i requisiti dell’"evangelicità" e dell’"ecclesialità", le vostre Confraternite continueranno ad essere scuole popolari di fede vissuta e fucine di santità; potranno proseguire ad essere nella società "fermento" e "lievito" evangelico e contribuire a suscitare quel risveglio spirituale che tutti auspichiamo.

Vasto è dunque il campo nel quale dovete lavorare, cari amici, ed io vi incoraggio a moltiplicare le iniziative ed attività di ogni vostra Confraternita. Vi chiedo soprattutto di curare la vostra formazione spirituale e di tendere alla santità, seguendo gli esempi di autentica perfezione cristiana, che non mancano nella storia delle vostre Confraternite. Non pochi vostri confratelli, con coraggio e grande fede, si sono contraddistinti, nel corso dei secoli, come sinceri e generosi operai del Vangelo, talora sino al sacrificio della vita. Seguite le loro orme! Oggi è ancor più necessario coltivare un vero slancio ascetico e missionario per affrontare le tante sfide dell’epoca moderna. Vi protegga e vi guidi la Vergine Santa, e vi assistano dal Cielo i vostri santi Patroni! Con tali sentimenti, formulo per voi qui presenti e per ogni Confraternita d’Italia l’auspicio di un fecondo apostolato e, mentre assicuro il mio ricordo nella preghiera, con affetto tutti vi benedico.



A S.E. IL SIGNOR SUPRAPTO MARTOSEMOTO AMBASCIATORE DELLA REPUBBLICA DI INDONESIA PRESSO LA SANTA SEDE Lunedì, 12 novembre 2007

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Eccellenza,

sono lieto di accoglierla in Vaticano in occasione della presentazione delle Lettere che la accreditano quale ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica di Indonesia presso la Santa Sede. La ringrazio di cuore per i saluti che mi ha trasmesso da parte del governo e del popolo indonesiano e Le chiedo cortesemente di trasmettere i miei saluti al presidente Susilo Bambang Yudhoyono con l'assicurazione delle mie preghiere per la pace e la prosperità della nazione e dei suoi cittadini.

Lei, Eccellenza, ha parlato dell'impegno dell'Indonesia a perseguire politiche volte al progresso dei nobili fini di democrazia e di armonia sociale consacrati nella costituzione ed eloquentemente espressi dalla filosofia nazionale della Pancasila. Questa determinazione, che richiede sacrificio, sforzi risoluti per discernere e promuovere il bene comune, e la cooperazione di tutti i gruppi politici e sociali, è indispensabile per vincere le forze di polarizzazione e di conflitto e per apportare, in tal modo, il rinnovamento della vita economica e il consolidamento di un giusto ordine democratico nel pieno rispetto dei diritti di ogni individuo e comunità.

Di certo, attualmente, una delle minacce più gravi all'ideale auspicato di unità nazionale è il fenomeno del terrorismo internazionale. Apprezzo profondamente il suo riaffermare la posizione del governo di condanna della violenza terroristica, con qualsiasi pretesto essa si verifichi, come un crimine che, a causa del suo disprezzo per la vita e la libertà umane, mina il fondamento stesso della società. Ciò è particolarmente vero quando si invoca il nome di Dio come giustificazione per tali atti. La Chiesa a ogni livello, in fedeltà all'insegnamento del suo Maestro, condanna in modo inequivocabile la manipolazione della religione a fini politici, esortando l'applicazione del diritto internazionale umanitario in ogni aspetto della lotta al terrorismo (Cfr Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2007, n. 14).

L'Indonesia, in quanto paese multireligioso con la più ampia presenza musulmana nel mondo, svolge un ruolo importante e positivo nella promozione della cooperazione interreligiosa, sia entro i suoi confini sia in seno alla comunità internazionale. Il dialogo, il rispetto per le convinzioni degli altri, e la collaborazione al servizio della pace sono gli strumenti più sicuri per garantire la concordia sociale.

Questi sono fra i più nobili scopi che possono unire uomini e donne di buona volontà, e, in particolare, quanti adorano l'unico Dio, Creatore e Signore caritatevole di tutta la famiglia umana. A questo proposito, uno sviluppo promettente è rappresentato dalle crescenti istanze di cooperazione fra cristiani e musulmani in Indonesia, volte, in particolare, alla prevenzione di conflitti etnici e religiosi nelle zone più problematiche.

Sebbene in Indonesia i cattolici siano una piccola minoranza, desiderano partecipare pienamente alla vita della nazione, "contribuire al progresso materiale e spirituale della società, e essere risorsa di coesione e armonia" (Cfr Discorso al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, 8 gennaio 2007). Mediante la loro rete di istituti educativi e sanitari cercano di offrire un servizio significativo ai loro fratelli e alle loro sorelle, indipendentemente dalla religione, e di istillare i valori etici indispensabili a un autentico progresso civile e a una coesistenza pacifica. Sebbene il loro diritto al libero esercizio della religione in assoluta uguaglianza con i loro concittadini sia garantita dalla costituzione nazionale, la tutela di questo fondamentale diritto umano richiede una vigilanza costante da parte di tutti. A tal proposito, osservo che l'Indonesia ha avuto recentemente accesso alla International Covenant on Civil and Political Rights, e confido nel fatto che ciò contribuirà a consolidare ulteriormente la libertà e la legittima autonomia dei singoli individui e delle loro istituzioni.

Dal momento che l'Indonesia è ora membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, colgo questa occasione per esprimere la mia fiducia nel fatto che i principi che ispirano le sue politiche nazionali di pacificazione, dialogo e tolleranza permettano all'Indonesia di recare un contributo fecondo alla soluzione dei conflitti mondiali e alla promozione di una pace basata sulla solidarietà internazionale e sulla sollecitudine per lo sviluppo integrale di individui e popoli.

Eccellenza, nell'intraprendere la missione di rappresentare la Repubblica di Indonesia presso la Santa Sede, la prego di accettare i miei personali buoni auspici per il successo della sua importante opera. Sia certo di poter sempre contare sugli uffici della Santa Sede che la assisteranno e la sosterranno nell'adempimento delle sue importanti responsabilità. Su di lei, sulla sua famiglia e su tutto l'amato popolo indonesiano, invoco di cuore le abbondanti benedizioni di Dio Onnipotente.



AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO DEI SUPERIORI GENERALI PROMOSSO DALLA CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI Sala del Concistoro Venerdì, 16 novembre 2007

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(SUPERIORI DELLE SOCIETÀ MISSIONARIE DI VITA APOSTOLICA)
Eminenza,
Eccellenze,
Cari Padri,

È una gioia particolare per me salutare voi, i Superiori Generali delle Società Missionarie di Vita Apostolica, in occasione dell'Incontro promosso dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli. La vostra assemblea, che riunisce i Superiori di quindici Società Missionarie di diritto pontificio e sei di diritto diocesano, reca una eloquente testimonianza della vitalità permanente dello slancio missionario nella Chiesa e dello spirito di comunione che unisce i vostri membri e le loro molteplici attività al Successore di Pietro e al suo ministero apostolico universale.

Il vostro incontro è anche un segno concreto dello storico rapporto fra le varie Società Missionarie di Vita Apostolica e la Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli. In questi giorni avete cercato di elaborare nuovi modi per consolidare e rafforzare questo rapporto privilegiato. Come ha osservato il Concilio Vaticano II, il mandato di Cristo di predicare il Vangelo a ogni creatura riguarda innanzitutto e immediatamente il Collegio Episcopale, cum et sub Petro (cfr Ad gentes
AGD 38). In seno all'unità gerarchica del Corpo di Cristo, arricchita da una varietà di doni e carismi elargiti dallo Spirito, la comunione con i Successori degli Apostoli resta il criterio e la garanzia della fecondità spirituale dell'attività missionaria. Di fatto la comunione della Chiesa in fede, speranza e carità è di per sé il segno e l'anticipazione di quella unità e di quella pace che formano il disegno di Dio in Cristo per tutta la famiglia umana.

Negli ultimi decenni un segno promettente di rinnovamento della consapevolezza missionaria della Chiesa è stato il desiderio crescente di molti laici, uomini e donne, sposati o no, di cooperare generosamente alla missio ad gentes. Come ha sottolineato il Concilio, l'opera di evangelizzazione è un compito fondamentale di tutto il popolo di Dio e tutti i battezzati sono chiamati alla "viva coscienza della loro responsabilità per l'opera di evangelizzazione" (Cfr Ad gentes AGD 36). Sebbene le Società Missionarie abbiano avuto una lunga storia di stretta collaborazione con i laici, altri hanno sviluppato solo di recente forme di associazione laicale con il proprio apostolato. Data la vastità e l'importanza del contributo reso da questi associati all'opera delle varie Società, le forme proprie della loro cooperazione dovrebbero naturalmente essere governate da statuti specifici e direttive chiare nel rispetto dell'identità canonica propria di ogni istituto.

Cari amici, il nostro incontro di oggi mi offre la bella opportunità di esprimere la mia gratitudine a voi e a tutti i membri delle vostre Società, passati e attuali, per l'impegno duraturo per la missione della Chiesa. Oggi, come in passato, i missionari continuano a lasciare la propria famiglia e la propria casa, spesso con grande sacrificio, al solo scopo di proclamare la Buona Novella di Cristo e servirlo nei loro fratelli e nelle loro sorelle. Molti, anche nel nostro tempo, hanno eroicamente confermato la loro predicazione versando il proprio sangue e hanno contribuito all'insediamento della Chiesa in terre lontane. Oggi, circostanze difficili hanno portato in molti casi alla diminuzione del numero di giovani attratti dalle società missionarie e a un conseguente declino dell'influenza missionaria. Ciononostante, come insisteva Papa Giovanni Paolo II, la missione ad gentes è ancora solo agli inizi e il Signore esorta noi, tutti noi, a impegnarci generosamente al suo servizio (cfr Redemptoris missio RMi 1). "La messe è molta" (Mt 9,37). Consapevole delle sfide che dovete affrontare, vi incoraggio a seguire fedelmente le orme dei vostri fondatori e a ravvivare i carismi e lo zelo apostolico che avete ereditato da loro, fiduciosi nel fatto che Cristo continuerà a operare con voi e a confermare la vostra predicazione con segni della sua presenza e della sua forza (Cfr Mc 16, 20).

Con grande affetto, affido voi, i membri e gli associati delle vostre varie Società, all'intercessione amorevole di Maria, Madre della Chiesa. A voi tutti imparto volentieri la mia Benedizione apostolica quale pegno di sapienza, forza e pace nel Signore.



AI PARTECIPANTI ALLA XXII CONFERENZA INTERNAZIONALE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER GLI OPERATORI SANITARI Sala Clementina Sabato, 17 novembre 2007

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
illustri Signori e Signore,
cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di incontrarvi in occasione di questa Conferenza Internazionale organizzata dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. A ciascuno rivolgo il mio cordiale saluto, che, in primo luogo, va al Signor Cardinale Javier Lozano Barragán, con sentimenti di gratitudine per le gentili espressioni da lui rivoltemi a nome di tutti. Con lui saluto il Segretario e gli altri componenti del Pontificio Consiglio, le autorevoli personalità presenti e quanti hanno preso parte a quest’incontro per riflettere insieme sul tema della cura pastorale dei malati anziani. Si tratta di un aspetto oggi centrale della pastorale della salute che, grazie all’aumento dell’età media, interessa una popolazione sempre più numerosa, portatrice di molteplici bisogni, ma al tempo stesso di indubbie risorse umane e spirituali.

Se è vero che la vita umana in ogni sua fase è degna del massimo rispetto, per alcuni versi lo è ancor di più quando è segnata dall’anzianità e dalla malattia. L’anzianità costituisce l’ultima tappa del nostro pellegrinaggio terreno, che ha fasi distinte, ognuna con proprie luci e proprie ombre. Ci si chiede: ha ancora senso l’esistenza di un essere umano che versa in condizioni assai precarie, perché anziano e malato? Perché, quando la sfida della malattia si fa drammatica, continuare a difendere la vita, non accettando piuttosto l’eutanasia come una liberazione? E’ possibile vivere la malattia come un’esperienza umana da assumere con pazienza e coraggio?

Con queste domande deve misurarsi chi è chiamato ad accompagnare gli anziani ammalati, specialmente quando sembrano non avere più possibilità di guarigione. L’odierna mentalità efficientista tende spesso ad emarginare questi nostri fratelli e sorelle sofferenti, quasi fossero soltanto un "peso" ed "un problema" per la società. Chi ha il senso della dignità umana sa che essi vanno, invece, rispettati e sostenuti mentre affrontano serie difficoltà legate al loro stato. E’ anzi giusto che si ricorra pure, quando è necessario, all’utilizzo di cure palliative, le quali, anche se non possono guarire, sono in grado però di lenire le pene che derivano dalla malattia. Sempre, tuttavia, accanto alle indispensabili cure cliniche, occorre mostrare una concreta capacità di amare, perché i malati hanno bisogno di comprensione, di conforto e di costante incoraggiamento e accompagnamento. Gli anziani, in particolare, devono essere aiutati a percorrere in modo consapevole ed umano l’ultimo tratto dell’esistenza terrena, per prepararsi serenamente alla morte, che - noi cristiani lo sappiamo - è transito verso l’abbraccio del Padre celeste, pieno di tenerezza e di misericordia.

Vorrei aggiungere che questa necessaria sollecitudine pastorale verso gli anziani malati non può non coinvolgere le famiglie. E’ in genere opportuno fare quanto è possibile perché siano le famiglie stesse ad accoglierli e a farsene carico con affetto riconoscente, così che gli anziani ammalati possano trascorrere l’ultimo periodo della vita nella loro casa e prepararsi alla morte in un clima di calore familiare. Anche quando si rendesse necessario il ricovero in strutture sanitarie, è importante che non venga meno il legame del paziente con i suoi cari e con il proprio ambiente. Nei momenti più difficili il malato, sorretto dalla cura pastorale, sia incoraggiato a trovare la forza per affrontare la sua dura prova nella preghiera e col conforto dei Sacramenti. Sia circondato da fratelli nella fede, disposti ad ascoltarlo e a condividerne i sentimenti. E’ questo, in verità, il vero obiettivo della cura "pastorale" delle persone anziane, specialmente quando sono malate, e ancor più se gravemente malate.

In più occasioni, il venerato mio predecessore Giovanni Paolo II, che specialmente durante la malattia ha offerto un’esemplare testimonianza di fede e di coraggio, ha esortato gli scienziati e i medici ad impegnarsi nella ricerca per prevenire e curare le malattie legate all’invecchiamento, senza mai cedere alla tentazione di ricorrere a pratiche di abbreviamento della vita anziana e ammalata, pratiche che risulterebbero essere di fatto forme di eutanasia. Non dimentichino gli scienziati, i ricercatori, i medici, gli infermieri, così come i politici, gli amministratori e gli operatori pastorali che "la tentazione dell’eutanasia appare come uno dei sintomi più allarmanti della cultura della morte che avanza soprattutto nella società del benessere" (Evangelium vitae
EV 64). La vita dell’uomo è dono di Dio, che tutti siamo chiamati a custodire sempre. Tale dovere tocca anche agli operatori sanitari, la cui specifica missione è di farsi "ministri della vita" in tutte le sue fasi, particolarmente in quelle segnate dalla fragilità connessa con l’infermità. Occorre un generale impegno perché la vita umana sia rispettata non solo negli ospedali cattolici, ma in ogni luogo di cura.

Per i cristiani è la fede in Cristo ad illuminare la malattia e la condizione della persona anziana, come ogni altro evento e fase dell’esistenza. Gesù, morendo sulla croce, ha dato alla sofferenza umana un valore e un significato trascendenti. Dinanzi alla sofferenza e alla malattia i credenti sono invitati a non perdere la serenità, perché nulla, nemmeno la morte, può separarci dall’amore di Cristo. In Lui e con Lui è possibile affrontare e superare ogni prova fisica e spirituale e, proprio nel momento di maggiore debolezza, sperimentare i frutti della Redenzione. Il Signore risorto si manifesta, in quanti credono in Lui, come il vivente che trasforma l’esistenza dando senso salvifico anche alla malattia ed alla morte.

Cari fratelli e sorelle, mentre invoco su ciascuno di voi e sul vostro quotidiano lavoro la materna protezione di Maria, Salus infirmorum, e dei Santi che hanno speso la loro esistenza al servizio dei malati, vi esorto ad operare sempre per diffondere il "vangelo della vita". Con tali sentimenti, vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica, estendendola volentieri ai vostri cari, ai vostri collaboratori e particolarmente alle persone anziane malate.



AI MEMBRI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL KENYA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Sala del Concistoro Lunedì, 19 novembre 2007

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Cari Fratelli Vescovi,

è con grande gioia che vi porgo il benvenuto, Vescovi del Kenya, in occasione della vostra visita quinquennale sulle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, una visita che serve a rafforzare i vincoli di amore e comunione fraterni fra noi. Ringrazio l'Arcivescovo Njue per le cortesi parole che mi ha rivolto a vostro nome. La vostra sollecitudine reciproca e per le persone affidate alla vostra cura, il vostro amore per il Signore e la vostra devozione per il Successore di Pietro sono per me una fonte di gioia profonda e di rendimento di grazie.

Ogni Vescovo ha la responsabilità particolare di creare l'unità del suo gregge, memore della preghiera del Signore: "perché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te" (
Jn 17,21). Unita nell'unica fede, condividendo il Battesimo e credendo nell'unico Signore (cfr Ep 4,5) la Chiesa è una in tutto il mondo e, al contempo, è caratterizzata da una ricca diversità di tradizioni ed espressioni culturali. In Africa, il colore e la vivacità con cui i fedeli manifestano i propri sentimenti religiosi hanno aggiunto una nuova dimensione alla ricca trama della cultura cristiana nel mondo e, al contempo, il forte attaccamento del vostro popolo ai valori tradizionali associati alla vita familiare può contribuire a esprimere la fede condivisa che è al centro del mistero dell'unità ecclesiale (cfr Ecclesia in Africa ). Cristo stesso è la fonte e la garanzia della nostra unità poiché ha vinto tutte le forme di divisione mediante la sua morte sulla Croce e ci ha riconciliato con Dio nell'unico corpo (cfr Ep 2,14). Vi ringrazio, cari Fratelli, perché predicate l'amore di Cristo ed esortate il vostro popolo alla tolleranza, al rispetto e all'amore dei suoi fratelli, delle sue sorelle e di tutte le persone. In tal modo, esercitate il ministero profetico che il Signore ha affidato alla Chiesa, e in particolare ai Successori degli Apostoli (cfr Pastores gregis ).

Infatti, sono i Vescovi che, in quanto ministri e segni di comunione in Cristo, sono chiamati per primi a rendere manifesta l'unità della sua Chiesa. La natura collegiale del ministero episcopale risale ai dodici apostoli, riuniti da Cristo e da lui incaricati di proclamare il Vangelo e di fare discepoli di tutte le nazioni. I membri del collegio episcopale continuano questa missione in modo tale che "chi li ascolta, ascolta Cristo" (Lumen gentium LG 20). Vi esorto a continuare la vostra cooperazione fraterna nello spirito della comunità dei discepoli di Cristo, uniti nel vostro amore e nel Vangelo che proclamate. Sebbene ognuno di voi debba rendere un contributo individuale alla voce collegiale comune della Chiesa nel vostro Paese, è importante assicurare che questa varietà di prospettive serva sempre ad arricchire l'unità del Corpo di Cristo, proprio come l'unità dei dodici veniva approfondita e rafforzata dai doni differenti degli apostoli stessi. Il vostro impegno alla cooperazione su questioni di natura ecclesiale e sociale sarà fecondo per la vita della Chiesa in Kenya e per l'efficacia del vostro ministero episcopale.

In ogni diocesi, la vivacità e l'armonia del presbiterato sono un segno chiaro della vitalità della Chiesa locale.

Strutture di consultazione e partecipazione sono necessarie, ma possono non essere efficaci se manca lo spirito giusto. In quanto Vescovi, dobbiamo costantemente adoperarci per creare un senso di comunità nei nostri sacerdoti, uniti nell'amore di Cristo e nel loro ministero sacramentale. Oggi la vita dei sacerdoti può essere difficile. Possono sentirsi isolati o soli e schiacciati dalle proprie responsabilità pastorali. Dobbiamo stare loro vicino e incoraggiarli, in primo luogo, per restare saldamente radicati nella preghiera, perché soltanto chi è nutrito è in grado di nutrire gli altri a sua volta. Che si abbeverino abbondantemente alle fonti della Sacra Scrittura e alla celebrazione quotidiana e rispettosa della santissima Eucaristia! Che si dedichino con generosità alla preghiera della Liturgia delle Ore, una preghiera "in comunione con gli oranti di tutti i secoli, preghiera in comunione con Gesù Cristo" (Discorso ai sacerdoti e ai diaconi permanenti della Baviera, 14 settembre 2006)! Pregando in questo modo includono e rappresentano altri che possono non avere il tempo, le energie o la capacità di pregare. In tal modo, la forza della preghiera, la presenza di Gesù Cristo, rinnova il loro sacerdozio e fluisce nel mondo (ivi). Aiutate i vostri sacerdoti a essere più solidali fra loro, con il proprio popolo e con voi, in quanto vostri collaboratori consacrati! Il dialogo e la vicinanza rispettosi fra Vescovo e sacerdoti non edificano solo la Chiesa locale, ma anche l'intera comunità. Infatti, l'unità visibile fra i responsabili può essere un antidoto potente contro la divisione in seno alla più ampia famiglia del popolo di Dio.

Elementi fondamentali di unità in una comunità sono l'istituzione del matrimonio e la vita familiare, che le persone dell'Africa apprezzano in modo particolare. L'amore devoto delle coppie sposate cristiane è una benedizione per il vostro Paese in quanto esprime in modo sacramentale l'alleanza indissolubile fra Cristo e la sua Chiesa. Questo tesoro prezioso deve essere serbato a tutti i costi. Troppo spesso i mali che turbano alcuni settori della società africana come la promiscuità, la poligamia e la diffusione di malattie sessualmente trasmesse, possono essere direttamente legati a nozioni confuse di matrimonio e di vita familiare. Per questo motivo, è importante assistere i genitori nell'insegnare ai bambini come vivere cristianamente il matrimonio, concepito come unione indissolubile fra un uomo e una donna, essenzialmente uguali nella loro umanità (cfr Ecclesia in Africa ) e aperti alla generazione di nuova vita.

Sebbene in Africa questa idea di famiglia cristiana trovi una vasta eco, è motivo di grande preoccupazione il fatto che la cultura secolare globalizzata stia esercitando una sempre maggiore influenza sulle comunità locali come conseguenza di campagne lanciate da agenzie che promuovono l'interruzione della gravidanza.

Questa distruzione diretta di vita umana innocente non può essere giustificata in nessun caso, per quanto difficili siano le circostanze che conducono a fare un passo così grave. Quando predicate il Vangelo di vita ricordate al vostro popolo che il diritto alla vita di ogni essere umano innocente, nato o nascituro, è assoluto e valido per tutte le persone senza alcuna eccezione. Tale uguaglianza "è la base di ogni autentico rapporto sociale che, per essere veramente tale, non può non fondarsi sulla verità e sulla giustizia" (Evangelium vitae EV 57). La comunità cattolica deve offrire sostegno a quelle donne che incontrano difficoltà nell'accettare un figlio, soprattutto quando sono isolate dalla propria famiglia e dai loro amici. Parimenti, la comunità dovrebbe essere aperta all'accoglienza di quanti si pentono di aver partecipato al grave peccato dell'aborto e dovrebbe guidarli con carità pastorale ad accettare la grazia del perdono, la necessità della penitenza e la gioia di poter entrare ancora una volta nella nuova vita di Cristo.

La Chiesa in Kenya è nota per il prezioso contributo reso dalle sue istituzioni pedagogiche nel trasmettere a generazioni di giovani sani principi etici e nel renderli disponibili all'impegno per un dialogo pacifico e rispettoso con i membri di altri gruppi sociali o religiosi. In un momento in cui una mentalità secolarizzata e relativistica si sta sempre più affermando con strumenti globali di comunicazione sociale, è quanto mai fondamentale che continuiate a promuovere la qualità e l'identità cattolica delle vostre scuole e università e dei seminari. Prendete le misure necessarie per affermare e chiarire il loro status istituzionale. La società beneficia grandemente di cattolici istruiti che conoscono e mettono in pratica la dottrina sociale della Chiesa. Oggi, sono particolarmente necessari professionisti ben formati e persone integre nel campo della medicina, i cui progressi tecnologici continuano a sollevare serie questioni morali. Parimenti, il dialogo ecumenico e interreligioso presenta importanti sfide che si possono affrontare in maniera adeguata soltanto grazie a una sana catechesi basata sui principi della dottrina cattolica, come esposto nel Catechismo della Chiesa Cattolica. So che continuerete a vigilare sulla qualità e sul contenuto dell'insegnamento che vengono offerti ai giovani negli istituti cattolici cosicché la luce della verità di Cristo possa risplendere sempre più luminosa sulla terra e sul popolo del Kenya.

Miei cari Fratelli Vescovi, mentre conducete il vostro popolo a quell'unità per la quale Cristo ha pregato, fatelo con amore ardente e ferma autorità, instancabili nella longanimità e nella dottrina (cfr 2Tm 4,2).

Vi prego di trasmettere i miei affettuosi saluti e il mio incoraggiamento orante al vostro amato popolo e a tutti coloro che operano al servizio della Chiesa, attraverso la preghiera o nelle parrocchie e nelle stazioni di missione, nell'educazione, nell'attività umanitaria e nella sanità. A ognuno di voi e a quanti sono affidati alla vostra sollecitudine pastorale imparto di cuore la mia Benedizione apostolica.






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