Discorsi 2005-13 16127

VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SANTA MARIA DEL ROSARIO AI MARTIRI PORTUENSI Salone parrocchiale III Domenica di Avvento, 16 dicembre 2007

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DURANTE L'INCONTRO CON I BAMBINI AL TERMINE DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA



Cari bambini e ragazzi, cari amici,

per me è una grande gioia vedere tanti giovani, che amano Gesù, che si preparano alla Festa di Natale, alla nascita del Nostro Signore che viene ogni anno, e che si preparano alla Prima Comunione, alla Cresima, dove realmente Gesù viene ed è con noi, nel nostro cuore.

Voi avete dei grandi esempi di Santi che hanno dato il proprio sangue per Gesù Cristo: così possiamo seguire questa grande processione di credenti di tutti i secoli ed essere sicuri che siamo sulla strada giusta.

Adesso siamo pieni di gioia perché avete qui una grande casa comune che è casa vostra e Casa del Signore. Proprio perché è Casa di Gesù, è casa vostra: in modo che noi tutti possiamo vederci e stare insieme e insieme sentire la gioia del fatto che il Signore ci unisce e ci aiuta a trovare la pace ogni giorno.

Grazie della vostra presenza e della vostra gioia! Auguro a tutti Buon Avvento e Buone Feste di Natale! Grazie a tutti!

* * *


All'inizio dell'incontro, un bambino ha rivolto al Santo Padre il seguente saluto:

Caro Santo Padre,

noi bambini che ci stiamo preparando a ricevere la Prima Comunione e la Cresima, abbiamo nel nostro cuore il desiderio di amare sempre di più Gesù e poterlo seguire come i tre giovani Martiri Portuensi: Simplicio, Faustino e Beatrice.

Siamo molto felici e contenti che Lei, Santo Padre, sia qui con noi in questo giorno di grande festa per la dedicazione della nostra Parrocchia. Noi vogliamo vivere una grande avventura assieme a Gesù.

Ci aiuti, Santo Padre, a diventare grandi nella Fede ed a testimoniarlo ai nostri compagni!

Grazie, Santo Padre!





AL COLLEGIO DEI POSTULATORI DI CAUSE DI BEATIFICAZIONE E CANONIZZAZIONE DELLA CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI Sala Clementina Lunedì, 17 dicembre 2007

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Signor Cardinale,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di accogliere e di dare il benvenuto a voi, cari postulatori e postulatrici accreditati presso la Congregazione delle Cause dei Santi, e colgo volentieri l’occasione per manifestarvi la mia stima e la mia riconoscenza per il lavoro che lodevolmente prestate nella trattazione delle cause di beatificazione e di canonizzazione. Saluto il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, Cardinale José Saraiva Martins, e lo ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto interpretando i comuni sentimenti. Con lui saluto il Segretario, Mons. Michele Di Ruberto, il Sottosegretario e gli officiali di codesto Dicastero, chiamato a dare una indispensabile e qualificata collaborazione al Successore di Pietro in un ambito di grande rilevanza ecclesiale.

L’odierno incontro cade quasi alla vigilia del 25° anniversario della promulgazione della Costituzione apostolica Divinus perfectionis Magister. Con tale documento, pubblicato il 25 gennaio del 1983 e tuttora in vigore, il mio amato Predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, volle rivedere la procedura delle Cause dei Santi e, allo stesso tempo, provvedere ad un riassetto interno della Congregazione che venisse incontro alle esigenze degli studiosi e ai desideri dei pastori che, a più riprese, avevano sollecitato, nelle cause di beatificazione e di canonizzazione, una maggiore agilità di procedura, pur conservando sempre la solidità delle ricerche in questo campo tanto importante per la vita della Chiesa. Attraverso le beatificazioni e le canonizzazioni, infatti, essa rende grazie a Dio per il dono di suoi figli che hanno saputo rispondere generosamente alla grazia divina, li onora e li invoca come intercessori. In pari tempo, presenta questi fulgidi esempi all’imitazione di tutti i fedeli chiamati con il battesimo alla santità che è traguardo proposto ad ogni stato di vita. I santi e i beati, confessando con la loro esistenza Cristo, la sua persona, la sua dottrina e rimanendo a Lui strettamente uniti, sono quasi un’illustrazione vivente dell’uno e dell’altro aspetto della perfezione del divino Maestro.

Al tempo stesso, guardando a tanti nostri fratelli e sorelle, che in ogni epoca hanno fatto di se stessi un’offerta totale a Dio per il suo Regno, le comunità ecclesiali sono portate a prendere atto della necessità che anche in questo nostro tempo ci siano testimoni capaci di incarnare la perenne verità del Vangelo nelle circostanze concrete della vita, facendone uno strumento di salvezza per il mondo intero. Anche a questo ho voluto far riferimento scrivendo nella recente enciclica Spe salvi che “il nostro agire non è indifferente davanti a Dio e quindi non è neppure indifferente per lo svolgimento della storia. Possiamo aprire noi stessi e il mondo all'ingresso di Dio: della verità, dell'amore, del bene. È quanto hanno fatto i santi che, come «collaboratori di Dio», hanno contribuito alla salvezza del mondo” (n. 35). Negli ultimi decenni è aumentato l’interesse religioso e culturale per i campioni della santità cristiana, che mostrano il vero volto della Chiesa, sposa di Cristo “senza macchia né ruga” (cfr
Ep 5,27). I santi, se giustamente presentati nel loro dinamismo spirituale e nella loro realtà storica, contribuiscono a rendere più credibile ed attraente la parola del Vangelo e la missione della Chiesa. Il contatto con essi apre la strada a vere risurrezioni spirituali, a conversioni durature e alla fioritura di nuovi santi. I santi normalmente generano altri santi e la vicinanza alle loro persone, oppure soltanto alle loro orme, è sempre salutare: depura ed eleva la mente, apre il cuore all’amore verso Dio e i fratelli. La santità semina gioia e speranza, risponde alla sete di felicità che gli uomini, anche oggi, avvertono.

L’importanza ecclesiale e sociale di proporre sempre nuovi modelli di santità rende, allora, particolarmente prezioso il lavoro di quanti collaborano nella trattazione delle cause di beatificazione e di canonizzazione. Tutti gli operatori delle cause dei santi, sebbene con ruoli distinti, sono chiamati a porsi esclusivamente al servizio della verità. Per questa ragione, nel corso dell’Inchiesta diocesana, le prove testimoniali e documentali vanno raccolte sia quando sono favorevoli sia quando sono contrarie alla santità e alla fama di santità o di martirio dei Servi di Dio. L’obiettività e la completezza delle prove raccolte in questa prima - e per certi versi fondamentale - fase del processo canonico svolto sotto la responsabilità dei Vescovi diocesani, devono essere seguite ovviamente dalla oggettività e dalla compiutezza delle Positiones, che i relatori della Congregazione preparano con la collaborazione delle Postulazioni. Basilare è quindi il compito dei postulatori, sia nella fase diocesana che nella fase apostolica del processo; è un compito che deve rivelarsi ineccepibile, ispirato da rettitudine e improntato ad assoluta probità. Ai postulatori sono richieste competenza professionale, capacità di discernimento e onestà nell’aiutare i Vescovi diocesani ad istruire inchieste complete, obiettive e valide tanto dal punto di vista formale che sostanziale. Non meno delicato e importante è l’aiuto che essi prestano al Dicastero delle Cause dei Santi nella ricerca processuale della verità da raggiungere mediante una appropriata discussione, che tenga conto della certezza morale da acquisire e dei mezzi di prova realisticamente disponibili.

Cari fratelli e sorelle, lo Spirito Santo, sorgente ed artefice della santità cristiana, vi illumini nel vostro lavoro e la Vergine Maria, Madre della Chiesa, i Santi, i Beati, i Servi di Dio, di cui state seguendo le Cause, vi ottengano dal Signore di svolgerlo sempre con fedeltà e amore alla verità. Alla preghiera per voi, unisco volentieri l’augurio che possiate seguire voi stessi le orme dei santi, così come hanno fatto diversi postulatori dei quali è in corso la Causa di beatificazione. Nell’imminenza ormai del Santo Natale, formulo infine fervidi voti augurali per voi e per le vostre famiglie e per le persone care, mentre di cuore tutti vi benedico.



AI RAGAZZI E RAGAZZE DELL'AZIONE CATTOLICA ITALIANA Sala del Concistoro Giovedì, 20 dicembre 2007

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Cari ragazzi e ragazze dell’A.C.R.,

con grande gioia vi do il benvenuto. La vostra visita quest’oggi nella casa del Papa sta ad indicare che ormai siamo vicini alla grande festa del Santo Natale, una festa molto attesa, specialmente da voi ragazzi. A ciascuno di voi il mio affettuoso saluto, insieme a un vivo ringraziamento per i sentimenti e le preghiere che mi avete assicurato a nome dei vostri amici dell’A.C.R. e di tutta la grande famiglia dell’Azione Cattolica Italiana. Un saluto particolare rivolgo al Presidente nazionale, prof. Luigi Alici, e al Vescovo Domenico Sigalini, che ho da poco nominato Assistente generale dell’Azione Cattolica, come pure al Responsabile e all’Assistente dell’A.C.R. e ai loro collaboratori, estendendolo a tutti coloro che si curano della vostra formazione umana, spirituale ed apostolica.

Mi ha fatto piacere che poco fa abbiate citato una bambina, Antonia Meo, detta Nennolina. Proprio tre giorni fa ho decretato il riconoscimento delle sue virtù eroiche e spero che la sua causa di beatificazione possa presto concludersi felicemente. Che esempio luminoso ha lasciato questa vostra piccola coetanea! Nennolina, bambina romana, nella sua brevissima vita – solo sei anni e mezzo – ha dimostrato una fede, una speranza, una carità speciali, e così anche le altre virtù cristiane. Pur essendo una fragile fanciulla, è riuscita a dare una testimonianza forte e robusta al Vangelo e ha lasciato un segno profondo nella Comunità diocesana di Roma. Nennolina apparteneva all’Azione Cattolica: oggi sicuramente sarebbe iscritta all’A.C.R.! Perciò potete considerarla come una vostra amica, un modello a cui ispirarvi. La sua esistenza, così semplice e al tempo stesso così importante, dimostra che la santità è per tutte le età: per i bambini e per i giovani, per gli adulti e per gli anziani. Ogni stagione della nostra esistenza può essere buona per decidersi ad amare sul serio Gesù e per seguirlo fedelmente. In pochi anni, Nennolina ha raggiunto la vetta della perfezione cristiana che tutti siamo chiamati a scalare, ha percorso velocemente la “superstrada” che conduce a Gesù. Anzi, come avete ricordato voi stessi, è Gesù la vera “strada” che ci porta al Padre e alla sua e nostra casa definitiva che è il Paradiso. Voi sapete che Antonia ora vive in Dio, e dal Cielo vi sta vicino: sentitela presente con voi, nei vostri gruppi. Imparate a conoscerla e a seguire i suoi esempi. Penso che anche lei sarà contenta di questo: di essere ancora “coinvolta” nell’Azione Cattolica!

Siamo a Natale e vorrei formularvi fervidi auguri di gioia e di serenità, ma permettete che, insieme a questi auguri, ne faccia un altro per tutto l’anno che tra poco inizieremo. Lo faccio prendendo spunto dal vostro slogan per il 2008: che possiate sempre camminare con gioia sulla strada della vita con Gesù. Lui un giorno disse: “Io sono la via” (
Jn 14,6). Gesù è la strada che conduce alla vera vita, la vita che non finisce mai. E’ una strada spesso stretta e in salita ma, se uno si lascia attrarre da Lui, è sempre stupenda, come un sentiero di montagna: più si sale e più è possibile ammirare dall’alto nuovi panorami, più belli e vasti. C’è la fatica del cammino, ma non si è soli: ci si aiuta a vicenda, ci si aspetta, si dà una mano a chi rimane indietro… L’importante è non smarrirsi, non perdere il sentiero, altrimenti si rischia di finire in un burrone, di smarrirsi nel bosco! Cari ragazzi, Dio si è fatto uomo per mostrarci la via, anzi, facendosi bambino, si è fatto lui stesso “via”, anche per voi ragazzi: è stato come voi, ha avuto la vostra età. Seguitelo con amore, mantenendo ogni giorno la vostra mano nella sua.

Questo che dico a voi vale ugualmente per noi adulti. Auguro dunque a tutta l’Azione Cattolica Italiana di camminare unita e spedita sulla strada di Cristo, per testimoniare, nella Chiesa e nella società, che questa via è bella; è vero che richiede impegno, ma conduce alla vera gioia. Affidiamo quest’augurio, che è anche preghiera, alla materna intercessione di Maria, madre della speranza, Stella della speranza. Lei che ha atteso e preparato con trepidazione la nascita del suo Figlio Gesù, aiuti anche noi a celebrare il prossimo Natale in un clima di profonda devozione e intima gioia spirituale. Accompagno i miei più cari auguri con una speciale Benedizione Apostolica per voi, qui presenti, per i vostri cari e per l’intera famiglia dell’Azione Cattolica. Buon Natale!



ALLA CURIA ROMANA IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI Sala Clementina Venerdì, 21 dicembre 2007

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
cari fratelli e sorelle!

Già respiriamo, in questo incontro, la gioia del Natale ormai vicino. Vi sono profondamente grato per la vostra partecipazione a questo tradizionale appuntamento, il cui particolare clima spirituale ha bene evocato il Cardinale Decano Angelo Sodano, ricordando il tema centrale della recente Lettera enciclica sulla speranza cristiana. Lo ringrazio di cuore per le calde espressioni con cui s’è fatto interprete dei sentimenti augurali del Collegio cardinalizio, dei Membri della Curia Romana e del Governatorato, come anche dei Rappresentanti Pontifici sparsi nel mondo. È veramente, la nostra – come Ella ha sottolineato, Signor Cardinale - una “comunità di lavoro” tenuta insieme da vincoli di amore fraterno, che le festività natalizie vengono a rinsaldare. In questo spirito, opportunamente Ella non ha mancato di ricordare quanti, già appartenenti alla nostra famiglia curiale, negli scorsi mesi hanno varcato le soglie del tempo e sono entrati nella pace di Dio: in una circostanza come questa fa bene al cuore sentire vicini coloro che hanno condiviso con noi il servizio alla Chiesa ed ora, presso il trono di Dio, intercedono per noi. Grazie dunque, Signor Cardinale Decano, per le Sue parole e grazie a tutti i presenti per il contributo che ciascuno reca all’adempimento del ministero che il Signore mi ha affidato.

Un altro anno sta per finire. Come primo evento saliente di questo periodo, trascorso tanto velocemente, vorrei menzionare il viaggio in Brasile. Il suo scopo era l’incontro con la V Conferenza generale dell’Episcopato dell’America Latina e dei Caraibi e conseguentemente, più in generale, un incontro con la Chiesa nel vasto Continente latino-americano. Prima di soffermarmi sulla Conferenza di Aparecida, vorrei parlare di alcuni momenti culminanti di quel viaggio. Innanzitutto mi rimane nella memoria la solenne serata con i giovani nello stadio di São Paolo: in essa, nonostante le temperature rigide, ci trovammo tutti uniti da una grande gioia interiore, da un’esperienza viva di comunione e dalla chiara volontà di essere, nello Spirito di Gesù Cristo, servi della riconciliazione, amici dei poveri e dei sofferenti e messaggeri di quel bene il cui splendore abbiamo incontrato nel Vangelo. Esistono manifestazioni di massa che hanno solo l’effetto di un’autoaffermazione; in esse ci si lascia travolgere dall’ebbrezza del ritmo e dei suoni, finendo per trarre gioia soltanto da se stessi. Lì invece ci si aprì proprio l’animo; la profonda comunione che in quella sera si instaurò spontaneamente tra di noi, nell’essere gli uni con gli altri, portò con sé un essere gli uni per gli altri. Non fu una fuga davanti alla vita quotidiana, ma si trasformò nella forza di accettare la vita in modo nuovo. Vorrei, quindi, ringraziare di cuore i giovani che hanno animato quella serata per il loro essere-con, per il loro cantare, parlare, pregare, che ci ha interiormente purificati, migliorati – migliorati anche per gli altri.

Rimane indimenticabile anche il giorno in cui, insieme ad un gran numero di Vescovi, sacerdoti, religiose, religiosi e fedeli laici ho potuto canonizzare Frei Galvão, un figlio del Brasile, proclamandolo santo per la Chiesa universale. Dappertutto ci salutavano le sue immagini, dalle quali si sprigionava il fulgore della bontà di cuore che egli aveva trovato nell’incontro con Cristo e nel rapporto con la sua comunità religiosa. Circa il ritorno definitivo di Cristo, nella parusía, ci è stato detto che Egli non verrà da solo, ma insieme con tutti i suoi santi. Così, ogni santo che entra nella storia costituisce già una piccola porzione del ritorno di Cristo, un suo nuovo ingresso nel tempo, che ce ne mostra l’immagine in modo nuovo e ci rende sicuri della sua presenza. Gesù Cristo non appartiene al passato e non è confinato in un futuro lontano, il cui avvento non abbiamo neppure il coraggio di chiedere. Egli arriva con una grande processione di santi. Insieme ai suoi santi è già sempre in cammino verso di noi, verso il nostro oggi.

Con particolare vivacità ricordo il giorno nella Fazenda da Esperança, in cui persone, cadute nella schiavitù della droga, ritrovano libertà e speranza. Arrivando lì, come prima cosa, ho percepito in modo nuovo la forza risanatrice della creazione di Dio. Montagne verdi circondano l’ampia vallata; indirizzano lo sguardo verso l’alto e, allo stesso tempo, danno un senso di protezione. Dal tabernacolo della chiesetta delle Carmelitane scaturisce una sorgente di acqua limpida che richiama la profezia di Ezechiele circa l’acqua che, scaturendo dal Tempio, disintossica la terra salata e fa crescere alberi che procurano la vita. Dobbiamo difendere la creazione non soltanto in vista delle nostre utilità, ma per se stessa – come messaggio del Creatore, come dono di bellezza, che è promessa e speranza. Sì, l’uomo ha bisogno della trascendenza. Solo Dio basta, ha detto Teresa d’Avila. Se Lui viene a mancare, allora l’uomo deve cercare di superare da sé i confini del mondo, di aprire davanti a sé lo spazio sconfinato per il quale è stato creato. Allora, la droga diventa per lui quasi una necessità. Ma ben presto scopre che questa è una sconfinatezza illusoria – una beffa, si potrebbe dire, che il diavolo fa all’uomo. Lì, nella Fazenda da Esperança, i confini del mondo vengono veramente superati, si apre lo sguardo verso Dio, verso l’ampiezza della nostra vita, e così avviene un risanamento. A tutti coloro che lì operano rivolgo il mio sincero ringraziamento, e a tutti coloro che lì cercano la guarigione, il mio cordiale auspicio di benedizione.

Poi vorrei ricordare l’incontro con i Vescovi brasiliani nella cattedrale di São Paulo. La musica solenne che ci accompagnò rimane indimenticabile. A renderla particolarmente bella fu il fatto che venne eseguita da un coro e un’orchestra formati da giovani poveri di quella città. Quelle persone ci hanno così offerto l’esperienza della bellezza che fa parte di quei doni per mezzo dei quali vengono superati i limiti della quotidianità del mondo e noi possiamo percepire realtà più grandi che ci rendono sicuri della bellezza di Dio. L’esperienza, poi, della “collegialità effettiva ed affettiva”, della comunione fraterna nel comune ministero ci ha fatto provare la gioia della cattolicità: oltre tutti i confini geografici e culturali noi siamo fratelli, insieme col Cristo risorto che ci ha chiamati al suo servizio.

E alla fine Aparecida. In modo del tutto particolare mi ha toccato la piccola statuina della Madonna. Alcuni poveri pescatori che ripetutamente avevano gettato le reti invano, trassero fuori la statuina dalle acque del fiume, e dopo ciò finalmente si avverò una pesca abbondante. È la Madonna dei poveri, diventata essa stessa povera e piccola. Così, proprio mediante la fede e l’amore dei poveri, si è formato intorno a questa figura il grande Santuario che, rimandando tuttavia sempre alla povertà di Dio, all’umiltà della Madre, costituisce giorno per giorno una casa e un rifugio per le persone che pregano e sperano. Era cosa buona che lì ci riunissimo e lì elaborassimo il documento sul tema “Discipulos e misioneros de Jesucristo, para que en Él tengan la vida”. Certamente, qualcuno potrebbe subito fare la domanda: Ma era questo il tema giusto in quest’ora della storia che noi stiamo vivendo? Non era forse una svolta eccessiva verso l’interiorità, in un momento in cui le grandi sfide della storia, le questioni urgenti circa la giustizia, la pace e la libertà richiedono il pieno impegno di tutti gli uomini di buona volontà, e in modo particolare della cristianità e della Chiesa? Non si sarebbero dovuti affrontare piuttosto questi problemi, invece di ritrarsi nel mondo interiore della fede?

Rimandiamo, per il momento, a dopo questa obiezione. Prima di rispondere ad essa, infatti, è necessario comprendere bene il tema stesso nel suo vero significato; una volta fatto questo, la risposta all’obiezione si delinea da sé. La parola-chiave del tema è: trovare la vita – la vita vera. Con ciò il tema suppone che questo obiettivo, su cui forse tutti sono d’accordo, viene raggiunto nel discepolato di Gesù Cristo come anche nell’impegno per la sua parola e la sua presenza. I cristiani in America Latina, e con loro quelli di tutto il mondo, vengono quindi innanzitutto invitati a ridiventare maggiormente “discepoli di Gesù Cristo” – cosa che, in fondo, già siamo in virtù del Battesimo, senza che ciò tolga che dobbiamo diventarlo sempre nuovamente nella viva appropriazione del dono di quel Sacramento. Essere discepoli di Cristo – che cosa significa? Ebbene, significa in primo luogo: arrivare a conoscerlo. Come avviene questo? È un invito ad ascoltarlo così come Egli ci parla nel testo della Sacra Scrittura, come si rivolge a noi e ci viene incontro nella comune preghiera della Chiesa, nei Sacramenti e nella testimonianza dei santi. Non si può mai conoscere Cristo solo teoricamente. Con grande dottrina si può sapere tutto sulle Sacre Scritture, senza averLo incontrato mai. Fa parte integrante del conoscerLo il camminare insieme con Lui, l’entrare nei suoi sentimenti, come dice la Lettera ai Filippesi (2,5). Paolo descrive questi sentimenti brevemente così: avere lo stesso amore, formare insieme un’anima sola (sýmpsychoi), andare d’accordo, non fare niente per rivalità e vanagloria, non mirando ciascuno ai propri interessi soltanto, ma anche a quelli degli altri (2,2-4). La catechesi non può mai essere solo un insegnamento intellettuale, deve sempre diventare anche un impratichirsi della comunione di vita con Cristo, un esercitarsi nell’umiltà, nella giustizia e nell’amore. Solo così camminiamo con Gesù Cristo sulla sua via, solo così si apre l’occhio del nostro cuore; solo così impariamo a comprendere la Scrittura ed incontriamo Lui. L’incontro con Gesù Cristo richiede l’ascolto, richiede la risposta nella preghiera e nel praticare ciò che Egli ci dice. Venendo a conoscere Cristo veniamo a conoscere Dio, e solo a partire da Dio comprendiamo l’uomo e il mondo, un mondo che altrimenti rimane una domanda senza senso.

Diventare discepoli di Cristo è dunque un cammino di educazione verso il nostro vero essere, verso il giusto essere uomini. Nell’Antico Testamento, l’atteggiamento di fondo dell’uomo che vive la parola di Dio veniva riassunto nel termine zadic – il giusto: chi vive secondo la parola di Dio diventa un giusto; egli pratica e vive la giustizia. Nel cristianesimo, l’atteggiamento dei discepoli di Gesù Cristo veniva poi espresso con un’altra parola: il fedele. La fede comprende tutto; questa parola ora indica insieme l’essere con Cristo e l’essere con la sua giustizia. Riceviamo nella fede la giustizia di Cristo, la viviamo in prima persona e la trasmettiamo. Il documento di Aparecida concretizza tutto ciò parlando della buona notizia sulla dignità dell’uomo, sulla vita, sulla famiglia, sulla scienza e la tecnologia, sul lavoro umano, sulla destinazione universale dei beni della terra e sull’ecologia: dimensioni nelle quali si articola la nostra giustizia, viene vissuta la fede e vengono date risposte alle sfide del tempo.

Il discepolo di Gesù Cristo deve essere anche “missionario”, messaggero del Vangelo, ci dice quel documento. Anche qui si leva un’obiezione: è lecito ancora oggi “evangelizzare”? Non dovrebbero piuttosto tutte le religioni e concezioni del mondo convivere pacificamente e cercare di fare insieme il meglio per l’umanità, ciascuna nel proprio modo? Ebbene, è indiscutibile che dobbiamo tutti convivere e cooperare nella tolleranza e nel rispetto reciproci. La Chiesa cattolica si impegna per questo con grande energia e, con i due incontri di Assisi, ha lasciato anche indicazioni evidenti in questo senso, indicazioni che, nell’incontro a Napoli di quest’anno, abbiamo ripreso nuovamente. Al riguardo mi piace qui ricordare la lettera gentilmente inviatami il 13 ottobre scorso da 138 leader religiosi musulmani per testimoniare il loro comune impegno nella promozione della pace nel mondo. Con gioia ho risposto esprimendo la mia convinta adesione a tali nobili intendimenti e sottolineando al tempo stesso l’urgenza di un concorde impegno per la tutela dei valori del rispetto reciproco, del dialogo e della collaborazione. Il riconoscimento condiviso dell’esistenza di un unico Dio, provvido Creatore e Giudice universale del comportamento di ciascuno, costituisce la premessa di un’azione comune in difesa dell’effettivo rispetto della dignità di ogni persona umana per l’edificazione di una società più giusta e solidale.

Ma questa volontà di dialogo e di collaborazione significa forse allo stesso tempo che non possiamo più trasmettere il messaggio di Gesù Cristo, non più proporre agli uomini e al mondo questa chiamata e la speranza che ne deriva? Chi ha riconosciuto una grande verità, chi ha trovato una grande gioia, deve trasmetterla, non può affatto tenerla per sé. Doni così grandi non sono mai destinati ad una persona sola. In Gesù Cristo è sorta per noi una grande luce, la grande Luce: non possiamo metterla sotto il moggio, ma dobbiamo elevarla sul lucerniere, perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa (cfr
Mt 5,15). San Paolo è stato instancabilmente in cammino recando con sé il Vangelo. Si sentiva addirittura sotto una sorta di “costrizione” ad annunciare il Vangelo (cfr 1Co 9,16) – non tanto a motivo di una preoccupazione per la salvezza del singolo non-battezzato, non ancora raggiunto dal Vangelo, ma perché era consapevole che la storia nel suo insieme non poteva arrivare al suo compimento finché la totalità (pléroma) dei popoli non fosse stata raggiunta dal Vangelo (cfr Rm 11,25). Per giungere al suo compimento, la storia ha bisogno dell’annuncio della Buona Novella a tutti i popoli, a tutti gli uomini (cfr Mc 13,10). E di fatto: quanto è importante che confluiscano nell’umanità forze di riconciliazione, forze di pace, forze di amore e di giustizia – quanto è importante che nel “bilancio” dell’umanità, di fronte ai sentimenti ed alle realtà della violenza e dell’ingiustizia che la minacciano, vengano suscitate e rinvigorite forze antagoniste! È proprio ciò che avviene nella missione cristiana. Mediante l’incontro con Gesù Cristo e i suoi santi, mediante l’incontro con Dio, il bilancio dell’umanità viene rifornito di quelle forze del bene, senza le quali tutti i nostri programmi di ordine sociale non diventano realtà, ma – di fronte alla pressione strapotente di altri interessi contrari alla pace ed alla giustizia – rimangono solo teorie astratte.

Così siamo tornati alle domande poste all’inizio: Ha fatto bene Aparecida, nella ricerca di vita per il mondo a dare la priorità al discepolato di Gesù Cristo e all’evangelizzazione? Era forse un ripiegamento sbagliato nell’interiorità? No! Aparecida ha deciso giustamente, perché proprio mediante il nuovo incontro con Gesù Cristo e il suo Vangelo – e solo così – vengono suscitate le forze che ci rendono capaci di dare la giusta risposta alle sfide del tempo.

Alla fine del mese di giugno ho inviato una Lettera ai Vescovi, ai presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese. Con questa Lettera ho voluto manifestare sia il mio profondo affetto spirituale per tutti i cattolici in Cina sia una cordiale stima per il Popolo cinese. In essa ho richiamato i perenni principi della tradizione cattolica e del Concilio Vaticano II in campo ecclesiologico. Alla luce del “disegno originario”, che Cristo ha avuto della sua Chiesa, ho indicato alcuni orientamenti per affrontare e per risolvere, in spirito di comunione e di verità, le delicate e complesse problematiche della vita della Chiesa in Cina. Ho anche indicato la disponibilità della Santa Sede ad un sereno e costruttivo dialogo con le Autorità civili al fine di trovare una soluzione ai vari problemi, riguardanti la comunità cattolica. La Lettera è stata accolta con gioia e con gratitudine dai cattolici in Cina. Formulo l'auspicio che, con l'aiuto di Dio, essa possa produrre i frutti sperati.

Agli altri momenti salienti dell’anno posso, purtroppo, solo accennare brevemente. Erano in realtà eventi che avevano di mira gli stessi scopi, intendevano evidenziare gli stessi orientamenti. Così la meravigliosa visita in Austria. L’Osservatore Romano, con una bella espressione, ha caratterizzata la pioggia, che ci accompagnò, come “pioggia della fede”: gli acquazzoni non solo non hanno diminuito la nostra gioia della fede in Cristo sperimentata guardando verso sua Madre, ma anzi l’hanno rafforzata. Questa gioia ha penetrato la cortina delle nuvole che incombevano su di noi. Guardando con Maria verso Cristo abbiamo trovato la Luce che in tutte le tenebre del mondo ci indica la via. Vorrei ringraziare di cuore i Vescovi austriaci, i sacerdoti, le religiose, i religiosi e i tanti fedeli, che in quei giorni si sono posti insieme con me in cammino verso Cristo, per questo incoraggiante segno di fede che ci hanno donato.

Anche l’incontro con la gioventù nell’agorà di Loreto è stato un grande segno di gioia e di speranza: se tanti giovani vogliono incontrare Maria e con Maria Cristo e si lasciano contagiare dalla gioia della fede, allora possiamo tranquillamente andare incontro al futuro. In questo senso mi sono rivolto in varie occasioni ai giovani: nella visita all’Istituto per minori di Casal del Marmo, come nei discorsi pronunciati in occasione delle Udienze o degli Angelus domenicali. Ho preso atto delle loro attese e dei loro generosi propositi, rilanciando la questione educativa e sollecitando l’impegno delle Chiese locali nella pastorale vocazionale. Non ho mancato ovviamente di denunciare le manipolazioni a cui i giovani sono oggi esposti e i pericoli che ne derivano per la società del futuro.

Molto brevemente ho già accennato all’incontro di Napoli. Anche lì ci siamo ritrovati – fatto del tutto insolito per la città del sole e della luce – circondati dalla pioggia, ma pure lì la calorosa umanità e la fede viva hanno penetrato le nuvole, facendoci sperimentare la gioia che viene dal Vangelo.

Certo, non bisogna illudersi: i problemi che pone il secolarismo del nostro tempo e la pressione delle presunzioni ideologiche alle quali tende la coscienza secolaristica con la sua pretesa esclusiva alla razionalità definitiva, non sono piccoli. Noi lo sappiamo, e conosciamo la fatica della lotta che in questo tempo ci è imposta. Ma sappiamo anche che il Signore mantiene la sua promessa: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). In questa lieta certezza, accogliendo la spinta delle riflessioni di Aparecida a rinnovare anche noi il nostro essere con Cristo, andiamo fiduciosamente incontro al nuovo anno. Andiamo sotto lo sguardo materno dell’Aparecida, di Colei che si è qualificata come “la serva del Signore”. La sua protezione ci rende sicuri e pieni di speranza. Con questi sentimenti imparto di cuore a voi qui presenti e a quanti fanno parte della grande famiglia della Curia Romana la Benedizione Apostolica.






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