Discorsi 2005-13 19018

AI SUPERIORI E AGLI ALUNNI DELL'ALMO COLLEGIO CAPRANICA Sala Clementina Sabato, 19 gennaio 2008

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Signor Cardinale,
cari Superiori e Alunni dell'Almo Collegio Capranica,

ho il piacere anche quest’anno di incontrarvi in occasione della festa di Sant'Agnese, vostra celeste Patrona. A ciascuno di voi porgo il mio più cordiale benvenuto. Saluto anzitutto il Signor Cardinale Camillo Ruini e lo ringrazio per le cortesi espressioni con le quali si è fatto interprete dei vostri sentimenti. Saluto il Rettore e quanti lo coadiuvano nella guida della comunità; un saluto speciale rivolgo a voi, cari alunni, e a tutti i presenti, estendendo il mio pensiero anche agli ex-alunni capranicensi, che in diverse parti del mondo esercitano il loro ministero a servizio della Chiesa e delle anime.

L’Almo Collegio, che vanta una storia secolare e una lunga tradizione di fedeltà alla Chiesa e al suo supremo Pastore, dopo aver celebrato nel 2007 i 550 anni di fondazione, nel prossimo mese di agosto ricorderà il medesimo anniversario della morte del Cardinale Domenico Capranica (14.VIII.1458), che molto si adoperò per la nascita del Collegium pauperum scholarium, destinato alla preparazione di uomini ben formati al ministero sacerdotale. Avvicinandosi tale ricorrenza, volentieri ricordo la figura esemplare e lungimirante di questo Cardinale, che con forza e concretezza seppe sostenere l’anelito di riforma che cominciava a farsi sentire anche all’interno della realtà romana e che, un secolo più tardi, avrebbe contribuito a determinare gli orientamenti e le decisioni del Concilio Tridentino. Egli ebbe il dono di intuire, senza incertezze, che la riforma auspicata non avrebbe dovuto riguardare soltanto le strutture ecclesiastiche, ma principalmente la vita e le scelte di coloro che nella Chiesa erano chiamati ad essere, a qualunque livello, guide e pastori del Popolo di Dio.

Convinto dell’importanza che riveste la dimensione spirituale nella formazione dei futuri ministri dell’altare e nella missione della Chiesa, il Cardinal Capranica non solo si prodigò per l’istituzione del Collegio, ma volle dotarlo delle Constitutiones, che regolano in maniera completa i diversi aspetti della formazione dei giovani alunni. In tal modo egli manifestò la sua attenzione per il primato della dimensione spirituale e la consapevolezza che la profondità e la conseguente perseveranza di una salda formazione sacerdotale dipendono, in maniera decisiva, dalla compiutezza ed organicità della proposta educativa. Queste scelte acquistano oggi un rilievo ancora maggiore, considerando le molteplici sfide con cui deve misurarsi la missione dei presbiteri e degli evangelizzatori. A questo proposito, in più circostanze ho ricordato a seminaristi e sacerdoti l’urgenza di coltivare una profonda vita interiore, un contatto personale e costante con Cristo nella preghiera e nella contemplazione, un anelito sincero verso la santità. Infatti, senza un’amicizia vera con Gesù è impossibile per un cristiano, a maggior ragione per un sacerdote, portare a compimento la missione che il Signore gli affida. Per il presbitero essa comporta certamente anche una seria preparazione culturale e teologica, che voi, cari alunni, state acquisendo in questi anni di studio a Roma.

Direi anzi che proprio dalla permanenza in questa Città il vostro itinerario di formazione può ricevere un impulso decisivo. I livelli d’esperienza e i contatti che si possono vivere qui costituiscono infatti un dono provvidenziale e uno stimolo singolare. La presenza della Cattedra di Pietro, il lavoro di uomini e organismi che aiutano il Vescovo di Roma a presiedere nella carità, una conoscenza più diretta di alcune Chiese particolari, specialmente della Diocesi di Roma, sono elementi importanti per aiutare un giovane chiamato al sacerdozio a prepararsi al suo futuro ministero. Del resto, i vostri Pastori vi hanno mandato nella Città del Successore di Pietro con la speranza che ritorniate poi arricchiti di uno spirito marcatamente cattolico, con una sensibilità ecclesiale più piena e di respiro universale. La stessa esperienza di vita comune nel Collegio Capranica, tra alunni provenienti da diverse regioni d’Italia e da Paesi del mondo intero, permette a ciascuno di voi, cari amici, di conoscere bene quell’intreccio di culture e mentalità che è tipico della vita odierna. Inoltre, la presenza di alunni appartenenti alla Chiesa Ortodossa di Russia imprime un ulteriore impulso al dialogo e alla fraternità e alimenta la speranza ecumenica.

Cari alunni, profittate al massimo delle possibilità che la Provvidenza vi offre in questi anni di soggiorno romano. Soprattutto coltivate un’intima relazione con l’Agnello immacolato, imitando sant’Agnese che lo seguì fedelmente sino al sacrificio della vita. Grazie all’intercessione di questa santa Vergine e Martire, e soprattutto al costante ricorso alla materna protezione di Maria Virgo Sapiens, vi aiuti il Signore a prepararvi con costante cura al futuro ministero. Mentre vi ringrazio ancora per la vostra visita, imparto volentieri a voi qui presenti e a quanti vi sono cari una speciale Benedizione Apostolica.



AI MEMBRI DEL CONSIGLIO ORDINARIO DELLA SEGRETERIA GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI Lunedì, 21 gennaio 2008

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Cari e venerati Fratelli nell’Episcopato!

Sono lieto di accogliervi mentre state partecipando alla riunione del Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi in preparazione all’Assemblea Generale Ordinaria, convocata dal 5 al 26 ottobre prossimo. Saluto e ringrazio Mons. Nikola Eterovic, Segretario Generale, per le sue cortesi parole; ed estendo poi i sentimenti della mia riconoscenza a tutti i membri sia della Segreteria Generale del Sinodo che del Consiglio Ordinario della Segreteria Generale. Saluto tutti e ciascuno con sincero affetto.

Nella recente Lettera enciclica Spe salvi sulla speranza cristiana, ho voluto sottolineare il “carattere comunitario della speranza” (n. 14). “L'essere in comunione con Gesù Cristo - ho scritto - ci coinvolge nel suo essere «per tutti», ne fa il nostro modo di essere. Egli ci impegna per gli altri, ma solo nella comunione con Lui diventa possibile esserci veramente per gli altri”, poiché esiste una “connessione tra amore di Dio e responsabilità per gli uomini” (ivi, 28), che permette di non ricadere nell’individualismo della salvezza e della speranza. Credo che si possa scoprire efficacemente applicato questo fecondo principio proprio nell’esperienza sinodale, nella quale l’incontro diventa comunione e la sollecitudine per tutte le Chiese (cfr
2Co 11,28) emerge nella preoccupazione di tutti.

La prossima Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi rifletterà su “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”. I grandi compiti della Comunità ecclesiale nel mondo contemporaneo - tra i tanti, sottolineo l’evangelizzazione e l’ecumenismo - sono incentrati sulla Parola di Dio e nello stesso tempo sono da essa giustificati e sorretti. Come l’attività missionaria della Chiesa con la sua opera evangelizzatrice trova ispirazione e scopo nella rivelazione misericordiosa del Signore, il dialogo ecumenico non può basarsi su parole di sapienza umana (cfr 1Co 2,13) o su sagaci espedienti strategici, ma deve essere animato unicamente dal riferimento costante all’originaria Parola, che Dio ha consegnato alla sua Chiesa, perché sia letta, interpretata e vissuta nella sua comunione. In questo ambito, la dottrina di San Paolo rivela una forza tutta speciale, fondata ovviamente sulla rivelazione divina, ma anche sulla sua stessa esperienza apostolica, che gli ha confermato sempre di nuovo la coscienza che non la saggezza e l’eloquenza umana, ma solo la forza dello Spirito Santo costruisce nella fede la Chiesa (cfr 1Co 1,22-24 2,4s).

Per una felice concomitanza, san Paolo verrà particolarmente venerato quest’anno, grazie alla celebrazione dell’Anno Paolino. Lo svolgimento del prossimo Sinodo sulla Parola di Dio offrirà pertanto alla contemplazione della Chiesa, e principalmente dei suoi Pastori, anche la testimonianza di questo grande Apostolo e araldo della Parola di Dio. Al Signore, che egli prima perseguitò e al quale poi consacrò tutto il suo essere, Paolo restò fedele sino alla morte: possa il suo esempio essere di incoraggiamento per tutti ad accogliere la Parola della salvezza e a tradurla nella vita quotidiana in fedele sequela di Cristo. Alla Parola di Dio hanno dedicato la loro attenzione diversi organismi ecclesiali consultati in vista dell’Assemblea del prossimo ottobre. Ad essa volgeranno il loro cuore i Padri sinodali, dopo aver preso conoscenza dei documenti preparatori, i Lineamenta e l’Instrumentum laboris, che voi stessi nella Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi avete contribuito a redigere. Avranno così l’opportunità di confrontarsi tra loro, ma soprattutto di unirsi in collegiale comunione per porsi in ascolto della Parola di vita, che Dio ha affidato alle cure amorevoli della sua Chiesa, perché l’annunci con coraggio e convinzione, con la parresia degli Apostoli, ai vicini e ai lontani. A tutti infatti va data, per la grazia dello Spirito Santo, la possibilità di incontrare la Parola viva che è Gesù Cristo.

Cari e venerati Fratelli, come membri del Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, voi rendete un servizio meritorio alla Chiesa, poiché l’organismo sinodale costituisce un’istituzione qualificata per promuovere la verità e l’unità del dialogo pastorale all’interno del Corpo mistico di Cristo. Grazie per quanto voi fate non senza sacrificio: Iddio vi ricompensi! Continuiamo a pregare insieme perché il Signore renda fruttuosa per tutta la Chiesa l’Assemblea sinodale. Con tale auspicio, imparto di cuore una speciale Benedizione Apostolica a voi e alle Comunità affidate alle vostre cure pastorali, invocando l’intercessione della Santissima Madre del Signore e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, che nella Liturgia chiamiamo, insieme agli altri Apostoli, “colonna e fondamento della città di Dio”.



AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA PLENARIA DELLA CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA (DEI SEMINARI E DEGLI ISTITUTI DI STUDI) Sala Clementina Lunedì, 21 gennaio 2008

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Grazie per questa vostra visita, che compite in occasione della riunione plenaria della Congregazione per l’Educazione Cattolica: a ciascuno di voi il mio saluto cordiale. Saluto in primo luogo il Signor Cardinale Zenon Grocholewski, Prefetto del vostro Dicastero, e insieme a lui il Segretario e gli altri Officiali e Collaboratori. A Lei, Signor Cardinale, un grazie speciale per le parole che mi ha indirizzate, presentando i diversi temi sui quali la Congregazione intende riflettere in questi giorni. Si tratta di argomenti di grande interesse ed attualità a cui la Chiesa rivolge, specialmente in questo momento storico, la sua attenzione.

Da sempre il settore dell’educazione è particolarmente caro alla Chiesa, chiamata a fare sua la sollecitudine di Cristo, che - narra l’evangelista - vedendo le folle “si commosse…, perché erano come pecore senza pastore, e si mise ad insegnare loro molte cose” (
Mc 6,34). La parola greca usata per esprimere questo atteggiamento di “commozione” evoca le viscere di misericordia e rinvia all’amore profondo che il Padre celeste prova per l’uomo. La Tradizione ha visto nell’insegnamento – e, più generalmente, nell’educazione – una concreta manifestazione della misericordia spirituale, che costituisce una delle prime opere d’amore che la Chiesa ha la missione di offrire all’umanità. Ed è quanto mai opportuno che, in questo nostro tempo, si rifletta su come rendere attuale ed efficace questo compito apostolico della Comunità ecclesiale, affidato alle Università cattoliche e in maniera speciale alle Facoltà ecclesiastiche. Mi rallegro, pertanto, con voi per aver scelto per la vostra Plenaria un argomento di così grande interesse, come pure credo sia utile analizzare attentamente i progetti di riforma, attualmente allo studio del vostro Dicastero, concernenti le citate Università Cattoliche e le Facoltà ecclesiastiche.

In primo luogo, mi riferisco alla riforma degli studi ecclesiastici di filosofia, progetto che è giunto ormai alla fase finale di elaborazione, nella quale non mancherà di essere sottolineata la dimensione metafisica e sapienziale della filosofia, richiamata da Giovanni Paolo II nell’Enciclica Fides et ratio (cfr n. 81). Altrettanto utile è valutare l’opportunità di una riforma della Costituzione apostolica Sapientia christiana. Voluta dal mio venerato Predecessore nel 1979, essa costituisce la magna charta delle Facoltà ecclesiastiche e serve come base per formulare i criteri di valutazione della qualità di tali istituzioni, valutazione richiesta dal Processo di Bologna, di cui la Santa Sede è divenuta membro dal 2003. Le discipline ecclesiastiche, soprattutto la teologia, sono sottoposte oggi a nuovi interrogativi, in un mondo tentato, da una parte, dal razionalismo, che segue una razionalità falsamente libera e slegata da ogni riferimento religioso, e, dall’altra, dai fondamentalismi, che falsificano la vera essenza della religione con il loro incitamento alla violenza e al fanatismo.

Anche la scuola deve interrogarsi sulla missione che deve compiere nell’odierno contesto sociale, segnato da un’evidente crisi educativa. La scuola cattolica, che ha come missione primaria di formare l’alunno secondo una visione antropologica integrale, pur essendo aperta a tutti e rispettando l’identità di ciascuno, non può non proporre una sua propria prospettiva educativa, umana e cristiana. Ecco allora porsi una sfida nuova che la globalizzazione ed il pluralismo crescente rendono ancor più acuta: quella cioè dell’incontro delle religioni e delle culture nella ricerca comune della verità. L’accoglienza della pluralità culturale degli alunni e dei genitori si trova necessariamente a confrontarsi con due esigenze: da un lato, non escludere qualcuno in nome della sua appartenenza culturale o religiosa; dall’altro canto, una volta riconosciuta e accolta questa diversità culturale e religiosa, non fermarsi alla pura constatazione. Ciò equivarrebbe in effetti a negare che le culture si rispettano veramente quando si incontrano, perché tutte le culture autentiche sono orientate alla verità dell’uomo e al suo bene. Perciò, gli uomini provenienti da culture diverse possono parlarsi, comprendersi al di là delle distanze spaziali e temporali, perché nel cuore di ogni persona abitano le stesse grandi aspirazioni al bene, alla giustizia, alla verità, alla vita e all’amore.

Altro tema allo studio della vostra Assemblea Plenaria è la questione della riforma della Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis per i Seminari. Il documento di base, datato 1970, è stato aggiornato nel 1985, specialmente in seguito alla promulgazione del Codice di Diritto Canonico del 1983. Nei decenni successivi, vari testi di speciale rilevanza sono stati emanati, in particolare l’Esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis (1992). L’atmosfera attuale della società, con la massiccia influenza dei media e l’estendersi del fenomeno della globalizzazione, è profondamente cambiata. Sembra, dunque, necessario interrogarsi sull’opportunità della riforma della Ratio fundamentalis, che dovrà sottolineare l’importanza di una corretta articolazione delle diverse dimensioni della formazione sacerdotale nella prospettiva della Chiesa-comunione, seguendo le indicazioni del Concilio Vaticano II. Questo implica una solida formazione nella fede della Chiesa, una vera familiarità con la Parola rivelata, donata da Dio alla sua Chiesa. La formazione dei sacerdoti futuri, inoltre, dovrà offrire orientamenti e indirizzi utili per dialogare con le culture contemporanee. La formazione umana e culturale va pertanto significativamente rafforzata e sostenuta anche con l’ausilio delle scienze moderne, giacché alcuni fattori sociali destabilizzanti presenti oggi nel mondo (ad esempio, la condizione di tante famiglie separate, la crisi educativa, una violenza diffusa, ecc.) rendono fragili le nuove generazioni. Occorre, al tempo stesso, un’adeguata formazione alla vita spirituale, che renda le comunità cristiane, in particolare le parrocchie, sempre più consapevoli della loro vocazione e capaci di rispondere in modo adeguato alla domanda di spiritualità che viene specialmente dai giovani. Ciò richiede che non manchino nella Chiesa apostoli ed evangelizzatori qualificati e responsabili. Si pone, di conseguenza, il problema delle vocazioni, specialmente al sacerdozio e alla vita consacrata. Mentre in certe parti del mondo si nota una fioritura di vocazioni, altrove il numero diminuisce, soprattutto in Occidente. La cura delle vocazioni coinvolge l’intera Comunità ecclesiale: i Vescovi, i preti, i consacrati, ma anche le famiglie e le parrocchie. Sicuramente risulterà di grande aiuto a questa vostra azione pastorale anche la pubblicazione del documento sulla vocazione al ministero presbiterale, che voi state preparando.

Cari fratelli e sorelle! Ricordavo prima che l’insegnamento è espressione della carità di Cristo ed è la prima delle opere di misericordia spirituale che la Chiesa è chiamata a compiere. Chi entra nella sede della Congregazione per l’Educazione Cattolica è accolto da un’icona che mostra Gesù mentre lava i piedi ai suoi discepoli durante l’Ultima Cena. Colui che “ci ha amato fino alla fine” (Jn 13,1) benedica il vostro lavoro al servizio dell’educazione e, con la forza del suo Spirito, lo renda efficace. Da parte mia, vi ringrazio per quanto quotidianamente fate con competenza e dedizione e, mentre vi affido alla materna protezione di Maria Santissima, Vergine Sapiente e Madre dell’Amore, di cuore imparto a tutti la Benedizione Apostolica.



AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DELLA SLOVENIA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Giovedì, 24 gennaio 2008

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Venerati Fratelli nell’Episcopato!

Mentre volge al termine la vostra visita ad Limina Apostolorum, è per me una grande gioia accogliervi, cari Pastori della Chiesa che è in Slovenia. Vi saluto con affetto e sono grato a Mons. Alojzij Uran, Arcivescovo Metropolita di Ljubljana e Presidente della vostra Conferenza Episcopale, per le cortesi parole che mi ha poc’anzi rivolto.

Dalla precedente visita ad Limina, che ebbe luogo nell’aprile del 2001, il vostro Paese ha conosciuto mutamenti di notevole rilievo sul piano delle istituzioni civili. Anzitutto il 1° maggio 2004 la Slovenia è entrata a far parte dell’Unione Europea, e in quella circostanza fu indirizzata da parte dei Vescovi una Lettera pastorale a tutti i fedeli. Il 1° gennaio 2007, poi, il Paese ha adottato la moneta unica europea. Infine, al termine dell’anno scorso, esso è stato inserito nell’ambito del Trattato di Schengen per la libera circolazione. Quasi a coronare tale evoluzione, nel semestre corrente è affidata alla Slovenia la presidenza di turno dell’Unione Europea.

Questi importanti avvenimenti che ho voluto ricordare non hanno carattere ecclesiastico, ma non di meno interessano la Chiesa perché riguardano la vita della gente, in particolare l’orizzonte dei valori in Europa, come giustamente sottolinea la citata Lettera pastorale del 23 aprile 2004. Questa Lettera può apparire oggi un po’ troppo ottimistica. Evidentemente essa si proponeva di valorizzare gli aspetti positivi, senza tuttavia ignorare problemi e pericoli. A distanza di quasi quattro anni dall’ingresso della Slovenia nell’Unione Europea, mi pare conservi tutto il suo valore quanto da voi affermato: se l’Europa vuole rimanere e diventare sempre più una terra di pace, conservando come uno dei valori fondamentali il rispetto della dignità della persona umana, non può rinnegare la componente principale – sul piano spirituale ed etico – di tale fondamento, cioè quella cristiana. Gli umanesimi non sono tutti uguali, né sono equivalenti sotto il profilo morale. Non mi riferisco qui agli aspetti religiosi, mi limito a quelli etico-sociali. A seconda della visione di uomo che si adotta, infatti, si hanno conseguenze diverse per la convivenza civile. Se, per esempio, si concepisce l’uomo, secondo una tendenza oggi diffusa, in modo individualistico, come giustificare lo sforzo per la costruzione di una comunità giusta e solidale? A questo proposito vorrei riprendere un’espressione della vostra già citata Lettera: “Il cristianesimo è la religione della speranza: speranza nella vita, nella felicità senza fine, nel compimento della fraternità tra tutti gli uomini”. Questo è vero in ogni continente, e lo è anche in un’Europa dove molti intellettuali stentano ancora ad accettare il fatto che “ragione e fede hanno bisogno l’una dell’altra per realizzare la loro vera natura e la loro missione” (Enc. Spe salvi ).

Riconosciamo qui la principale sfida con cui deve misurarsi oggi la Chiesa in Slovenia. Il secolarismo di impronta occidentale, diverso e forse più subdolo di quello marxista, presenta segni che non possono non preoccuparci. Si pensi, ad esempio, alla ricerca sfrenata dei beni materiali, alla riduzione della natalità, e ancora al calo della pratica religiosa con una sensibile diminuzione delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. La Comunità ecclesiale slovena è impegnata già da tempo a rispondere alla sfida del secolarismo a diversi livelli e in varie direzioni. Mi piace anzitutto ricordare il Concilio Plenario nazionale da voi tenuto tra il 1999 e il 2000, il cui tema riecheggiava le parole rivolte da Mosè al popolo d’Israele in procinto di entrare nella terra promessa: “Scegli la vita” (
Dt 30,19). Ogni generazione è chiamata a rinnovare questa scelta, tra “la vita e il bene, la morte e il male” (cfr Dt 30,15). E noi Pastori abbiamo il dovere di indicare ai cristiani la via della vita, perché essi siano a loro volta sale e luce nella società. Incoraggio pertanto la Chiesa che è il Slovenia a rispondere alla cultura materialistica ed egoistica con una coerente azione evangelizzatrice, che parta dalle parrocchie: è infatti dalle comunità parrocchiali più che da altre strutture che possono e devono venire iniziative ed atti concreti di testimonianza cristiana. Facilita questo necessario impegno pastorale anche la ristrutturazione delle circoscrizioni ecclesiastiche da me disposta nel 2006, con la creazione di tre nuove Diocesi e l’elevazione di Maribor a sede metropolitana, per far sì che i Vescovi siano più vicini ai loro sacerdoti e fedeli e li accompagnino più efficacemente nel cammino della fede e nell’impegno apostolico.

Cari e venerati Fratelli, per la primavera del 2009 avete indetto il Congresso Eucaristico Nazionale, invitandomi anche a visitare il Paese in quella circostanza. Mentre vi ringrazio per questo cortese gesto e affido al Signore tale progetto, debbo fin d’ora lodarvi per l’iniziativa di convocare tutta la Comunità intorno al Mistero eucaristico, “fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa” (Cost. dogm. Lumen gentium LG 11). Il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II ha concluso il suo lungo pontificato stimolandoci a volgere il cuore verso l’Eucaristia. Io ho raccolto questo suo invito e, dopo l’Assemblea del Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia dell’ottobre 2005, ho scritto l’Esortazione apostolica Sacramentum caritatis. Avete dunque una grande ricchezza di insegnamenti a cui attingere per la preparazione del vostro Congresso, evento ecclesiale che – sono certo – costituirà per le vostre comunità un’occasione propizia in cui riprendere le conclusioni del recente Concilio Plenario sloveno e portarne avanti l’attuazione.

L’Eucaristia e la Parola di Dio – a quest’ultima sarà dedicata la prossima Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi – costituiscono il vero tesoro della Chiesa. Fedele all’insegnamento di Gesù, ogni comunità deve utilizzare i beni terreni semplicemente come servizio al Vangelo e coerentemente con i dettami del Vangelo. Il Nuovo Testamento è al riguardo assai ricco di insegnamenti e di esempi normativi perché in ogni tempo i Pastori possano impostare correttamente il delicato problema dei beni temporali e del loro uso appropriato. In ogni epoca della Chiesa, la testimonianza di povertà evangelica è stato un elemento essenziale dell’evangelizzazione, come lo è stato nella vita di Cristo. Occorre pertanto impegnarsi tutti, pastori e fedeli, in una conversione personale e comunitaria, affinché una sempre maggiore fedeltà al Vangelo nell’amministrazione dei beni della Chiesa offra a tutti la testimonianza di un popolo cristiano impegnato a sintonizzarsi con gli insegnamenti di Cristo.

Venerati e cari Fratelli, rendo grazie al Signore che in questi giorni ci ha concesso di ravvivare i vincoli di comunione vostri e delle vostre Chiese con la Sede di Pietro. Vi proteggano e vi sostengano il beato Anton Martin Slomšek e gli altri Santi particolarmente venerati nelle vostre Comunità. Vegli sempre sul vostro ministero Maria Santissima, Madre della Chiesa, e vi ottenga abbondanti grazie celesti. Da parte mia, vi assicuro il ricordo nella preghiera e di cuore vi imparto la Benedizione Apostolica, estendendola a tutti i fedeli affidati alle vostre cure pastorali.



AI MEMBRI DEL GRUPPO MISTO DI LAVORO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI E DEL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE DI GINEVRA Sala dei Papi Venerdì, 25 gennaio 2008

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Cari amici,

sono lieto di accogliervi, membri del Gruppo misto di lavoro tra la Chiesa cattolica e il Consiglio Ecumenico delle Chiese, riuniti a Roma per dare avvio a una nuova fase della vostra opera. Il vostro incontro ha luogo in questa città dove gli apostoli Pietro e Paolo resero testimonianza suprema di Cristo e versarono il loro sangue nel suo nome. Vi saluto affettuosamente con le parole che Paolo stesso rivolse ai primi cristiani a Roma: "Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo" (
Rm 1,7).

Il Consiglio Ecumenico delle Chiese e la Chiesa cattolica hanno instaurato un fecondo rapporto ecumenico che risale al tempo del Concilio Vaticano II. Il Gruppo misto di lavoro, sorto nel 1965, ha lavorato assiduamente per rafforzare il "dialogo di vita" che il mio predecessore, Papa Giovanni Paolo II, definì il "dialogo di carità" (Ut unum sint UUS 17).

Questa cooperazione ha espresso vividamente la comunione già esistente fra i cristiani e ha fatto progredire la causa del dialogo ecumenico e della comprensione.

Il centenario della Settimana per l'unità dei cristiani ci offre l'opportunità di rendere grazie a Dio onnipotente per i frutti del movimento ecumenico, nei quali possiamo discernere la presenza dello Spirito Santo che promuove la crescita di tutti i seguaci di Cristo in unità di fede, speranza e carità. Pregare per l'unità è di per sé "un mezzo molto efficace per impetrare la grazia dell'unità" (Unitatis redintegratio UR 8), poiché significa partecipare alla preghiera di Gesù stesso. Quando si prega insieme fra cristiani "il traguardo dell'unità appare più vicino" (Ut unum sint UUS 22), perché la presenza di Dio fra noi (cfr Mt 18,20) promuove un'armonia profonda fra cuore e mente: siamo in grado di guardarci gli uni gli altri in un modo nuovo e di rafforzare la nostra intenzione di superare qualunque cosa ci divida.

Oggi, dunque, ripensiamo con gratitudine all'opera di così tanti individui che, nel corso degli anni, hanno cercato di diffondere la pratica dell'ecumenismo spirituale attraverso la preghiera comune, la conversione del cuore e la crescita nella comunione. Rendiamo grazie anche per i dialoghi ecumenici che hanno recato frutti abbondanti nel secolo scorso. La ricezione di quei frutti è di per sé un passo importante nel processo di promozione dell'unità dei cristiani e il Gruppo misto di lavoro è particolarmente adatto a studiare e incoraggiare quel processo.

Cari amici, prego affinché il nuovo Gruppo misto di lavoro possa edificare sulla base della lodevole opera compiuta finora e quindi aprire la strada a una cooperazione sempre maggiore cosicché la preghiera del Signore "perché tutti siano una sola cosa" (Jn 17,21) si realizzi sempre più nel nostro tempo.

Con questi sentimenti e con un profondo apprezzamento per il vostro importante servizio al movimento ecumenico, invoco di tutto cuore su di voi e sulle vostre deliberazioni le abbondanti benedizioni di Dio.



AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO DI STUDIO ORGANIZZATO DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI Aula delle Benedizioni Venerdì, 25 gennaio 2008

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IN OCCASIONE DEL XXV ANNIVERSARIO DELLA PROMULGAZIONE DEL CODICE DI DIRITTO CANONICO

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
Illustri Professori, Operatori e Cultori del Diritto Canonico!

Con vivo piacere prendo parte a questi ultimi momenti del Convegno di Studio organizzato dal Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi in occasione del XXV anniversario della promulgazione del Codice di Diritto Canonico. Vi siete soffermati a riflettere su: “La legge canonica nella vita della Chiesa. Indagine e prospettive, nel segno del recente Magistero pontificio. Saluto cordialmente ciascuno di voi, in modo particolare il Presidente del Pontificio Consiglio, l'Arcivescovo Francesco Coccopalmerio, che ringrazio per le cortesi parole rivoltemi a nome di tutti voi e per le riflessioni sul Codice e sul diritto nella Chiesa. Il mio ringraziamento si estende altresì all’intero Pontificio Consiglio, con i suoi Membri e Consultori, per la preziosa collaborazione offerta al Papa in campo giuridico-canonico: il Dicastero veglia, infatti, sulla completezza e sull’aggiornamento della legislazione della Chiesa e ne assicura la coerenza. Mi è caro ricordare, con vivo piacere e gratitudine al Signore, di aver contribuito anch’io alla redazione del Codice, essendo stato nominato dal Servo di Dio Giovanni Paolo II, quando ero Arcivescovo Metropolita di Monaco-Frisinga, membro della Commissione per la Revisione del Codice di Diritto Canonico, alla cui promulgazione, il 25 gennaio 1983, fui poi anche presente.

Il Convegno che si è celebrato in questo significativo anniversario affronta un tema di grande interesse, perché mette in rilievo lo stretto legame che c'è tra la legge canonica e la vita della Chiesa secondo il volere di Gesù Cristo. Mi preme, perciò, in questa occasione ribadire un concetto fondamentale che informa il diritto canonico. Lo ius ecclesiae non è solo un insieme di norme prodotte dal Legislatore ecclesiale per questo speciale popolo che è la Chiesa di Cristo. Esso è, in primo luogo, la dichiarazione autorevole, da parte del Legislatore ecclesiale, dei doveri e dei diritti, che si fondano nei sacramenti e che sono quindi nati dall’istituzione di Cristo stesso. Questo insieme di realtà giuridiche, indicato dal Codice, compone un mirabile mosaico nel quale sono raffigurati i volti di tutti i fedeli, laici e Pastori, e di tutte le comunità, dalla Chiesa universale alle Chiese particolari. Mi piace qui ricordare l’espressione davvero incisiva del beato Antonio Rosmini: “La persona umana è l’essenza del diritto” (Rosmini A., Filosofia del diritto, Parte I, lib. I, cap. 3). Quello che, con profonda intuizione, il grande filosofo affermava del diritto umano dobbiamo a maggior ragione ribadire per il diritto canonico: l’essenza del diritto canonico è la persona del cristiano nella Chiesa.

Il Codice di diritto canonico contiene poi le norme prodotte dal Legislatore ecclesiale per il bene della persona e delle comunità nell’intero Corpo Mistico che è la santa Chiesa. Come ebbe a dire il mio amato Predecessore Giovanni Paolo II nel promulgare il Codice di Diritto Canonico il 25 gennaio 1983, la Chiesa è costituita come una compagine sociale e visibile; come tale “essa ha bisogno di norme: sia perché la sua struttura gerarchica e organica sia visibile; sia perché l'esercizio delle funzioni a lei divinamente affidate, specialmente quella della sacra potestà e dell'amministrazione dei Sacramenti, possa essere adeguatamente organizzato; sia perché le scambievoli relazioni dei fedeli possano essere regolate secondo giustizia, basata sulla carità, garantiti e ben definiti i diritti dei singoli; sia, finalmente, perché le iniziative comuni, intraprese per una vita cristiana sempre più perfetta, attraverso le leggi canoniche vengano sostenute, rafforzate e promosse” (Cost. ap. Sacrae disciplinae leges, in Communicationes, XV [1983], 8-9). In tal modo, la Chiesa riconosce alle sue leggi la natura e la funzione strumentale e pastorale per perseguire il suo fine proprio, che è – com’è noto – il raggiungimento della “salus animarum”. “Il Diritto Canonico si rivela così connesso con l'essenza stessa della Chiesa; fa corpo con essa per il retto esercizio del munus pastorale” (Giovanni Paolo II, Ai partecipanti al Congresso Internazionale per il X anniversario della promulgazione del Codice di Diritto Canonico [23 aprile 1993], in Communicationes, XXV [1993], 15).

Perché la legge canonica possa rendere questo prezioso servizio deve, anzitutto, essere una legge ben strutturata. Essa cioè deve essere legata, da un lato, a quel fondamento teologico che le fornisce ragionevolezza ed è essenziale titolo di legittimità ecclesiale; dall’altro lato, essa deve essere aderente alle mutabili circostanze della realtà storica del Popolo di Dio. Inoltre, deve essere formulata in modo chiaro, senza ambiguità, e sempre in armonia con le restanti leggi della Chiesa. È pertanto necessario abrogare le norme che risultano sorpassate; modificare quelle che necessitano di essere corrette; interpretare - alla luce del vivente Magistero della Chiesa - quelle che sono dubbie e, infine, colmare le eventuali lacunae legis. “Vanno - come disse il Papa Giovanni Paolo II alla Rota Romana - tenute presenti ed applicate le tante manifestazioni di quella flessibilità che, proprio per ragioni pastorali, ha sempre contraddistinto il diritto canonico” (Communicationes XXII, [1990], 5). Tocca a voi, nel Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, vegliare perché l’attività delle varie istanze chiamate nella Chiesa a dettare norme per i fedeli possano sempre rispecchiare nel loro insieme l'unità e la comunione che sono proprie della Chiesa.

Poiché il Diritto canonico traccia la regola necessaria affinché il Popolo di Dio possa efficacemente indirizzarsi verso il proprio fine, si capisce l'importanza che tale diritto debba essere amato e osservato da tutti i fedeli. La legge della Chiesa è, anzitutto, lex libertatis: legge che ci rende liberi per aderire a Gesù. Perciò, occorre saper presentare al Popolo di Dio, alle nuove generazioni, e a quanti sono chiamati a far rispettare la legge canonica, il concreto legame che essa ha con la vita della Chiesa, a tutela dei delicati interessi delle cose di Dio, e a protezione dei diritti dei più deboli, di coloro che non hanno altre forze per farsi valere, ma anche a difesa di quei delicati “beni” che ogni fedele ha gratuitamente ricevuto - il dono della fede, della grazia di Dio, anzitutto - che nella Chiesa non possono rimanere senza adeguata protezione da parte del Diritto.

Nel complesso quadro sopra delineato, il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi è chiamato ad essere di aiuto al Romano Pontefice, supremo Legislatore, nel suo compito di principale promotore, garante e interprete del diritto nella Chiesa. Nell’adempimento di questa vostra rilevante mansione potete contare, oltre che sulla fiducia, anche sulla preghiera del Papa, il Quale accompagna il vostro lavoro con la sua affettuosa Benedizione.




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