Discorsi 2005-13 7068

AI PARTECIPANTI ALLA X ASSEMBLEA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO Sala del Concistoro Sabato, 7 giugno 2008

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Eminenza,
Cari Fratelli Vescovi,
Signore e Signori,

Sono lieto di avere questa opportunità di incontrarvi alla conclusione della decima Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligoso. A voi tutti che partecipate a questo importante incontro porgo cordiali saluti. Ringrazio in particolare il Cardinale Jean-Louis Tauran per le sue cortesi parole.

"Dialogo in veritate et caritate: orientamenti pastorali" questo è il tema della vostra Assemblea Plenaria. Apprendo con gioia che in queste giornate avete cercato di pervenire a una comprensione più profonda dell'approccio della Chiesa cattolica verso i membri di altre tradizioni religiose. Avete considerato l'obiettivo più ampio del dialogo, che è scoprire la verità, e la sua motivazione, che è la carità, in ottemperanza alla missione divina affidata alla Chiesa da nostro Signore Gesù Cristo.

All'inizio del mio pontificato ho affermato che "la Chiesa vuole continuare a costruire ponti di amicizia con i seguaci di tutte le religioni, al fine di ricercare il bene autentico di ogni persona e della società nel suo insieme" (Discorso ai Rappresentanti delle Chiese e comunità ecclesiali e di altre Religioni non cristiane, 25 aprile 2005). Mediante il ministero dei Successori di Pietro, inclusa l'opera del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, e gli sforzi degli ordinari locali e del popolo di Dio nel mondo, la Chiesa continua a raggiungere i seguaci di altre religioni. In tal modo esprime un desiderio di incontro e di collaborazione in verità e libertà. Come ha affermato il mio venerato Predecessore, Papa Paolo vi, la responsabilità principale della Chiesa è il servizio alla verità: "verità su Dio, verità sull'uomo e sul suo destino misterioso, verità sul mondo. Verità difficile che ricerchiamo nella Parola di Dio" (Evangelii nuntiandi EN 78).

Gli esseri umani cercano risposte ad alcune domande esistenziali: qual è l'origine e il destino degli esseri umani? Che cosa sono il bene e il male? Che cosa attende gli esseri umani alla fine della loro esistenza terrena? Tutti hanno il dovere naturale e l'obbligo morale di ricercare la verità. Conosciutala, sono tenuti ad aderire ad essa e a ordinare la propria vita secondo le sue esigenze (cfr Nostra Aetate
NAE 1 Nostra Aetate, 1 e Dignitatis humanae DH 2).

Cari amici, "Caritas Christi urge nos" (2Co 5,14). È l'amore di Cristo che esorta la Chiesa a raggiungere ogni essere umano senza distinzione, oltre i confini della Chiesa visibile. La fonte della missione della Chiesa è l'amore divino. Questo amore è rivelato in Cristo e reso presente dall'azione dello Spirito Santo. Tutte le attività della Chiesa sono pervase dall'amore (cfr Ad gentes AGD 2-5 Evangelii nuntiandi EN 26 Evangelii nuntiandi, n. 26 e Dialogo e missione EN 9).

È dunque l'amore che esorta ogni credente ad ascoltare l'altro e a cercare aree di collaborazione. Incoraggia gli interlocutori cristiani nel dialogo con i seguaci di altre religioni a proporre, ma non a imporre, la fede in Cristo che è "la via, la verità e la vita" (Jn 14,16). Come ho affermato nelle mie recenti Encicliche, la fede cristiana ci ha mostrato che "verità, giustizia, amore non sono semplicemente ideali, ma realtà di grandissima densità" (Spe salvi ). Per la Chiesa "la carità non è una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza" (Deus caritas est ).

La grande proliferazione di incontri interreligiosi nel mondo di oggi richiede discernimento. A questo proposito, sono lieto di osservare che in queste giornate avete riflettuto sugli orientamenti pastorali per il dialogo interreligioso. A partire dal Concilio Vaticano ii si è prestata attenzione agli elementi spirituali che le diverse tradizioni religiose hanno in comune. In numerosi modi, ciò ha contribuito a edificare ponti di comprensione al di là dei confini religiosi. So che durante i vostri dibattiti avete considerato alcune questioni di interesse pratico nei rapporti interreligiosi: l'identità degli interlocutori del dialogo, l'educazione religiosa nelle scuole, la conversione, il proselitismo, la reciprocità, la libertà religiosa e il ruolo dei responsabili religiosi nella società. Queste sono questioni importanti alle quali i responsabili che vivono e operano in società pluralistiche devono prestare molta attenzione.

È importante evidenziare la necessità di una buona formazione per quanti promuovono il dialogo interreligioso, che per essere autentico deve essere un cammino di fede. Com'è necessario, dunque, per i suoi promotori essere ben formati nelle loro convinzioni e ben informati su quelle degli altri! Per questo motivo incoraggio gli sforzi del Pontifico Consiglio per il Dialogo Interreligioso volti a organizzare corsi di formazione e programmi di dialogo interreligioso per differenti gruppi cristiani, in particolare seminaristi e giovani negli istituti educativi terziari.

La collaborazione interreligiosa offre opportunità di esprimere gli ideali più elevati di ogni tradizione religiosa. Assistere i malati, recare soccorso alle vittime dei disastri naturali o della violenza, prendersi cura degli anziani e dei poveri: queste sono alcune delle aree in cui le persone di differenti religioni collaborano. Incoraggio quanti sono ispirati dall'insegnamento delle loro religioni ad aiutare i membri sofferenti della società.

Cari amici, alla fine della vostra Assemblea Plenaria, vi ringrazio per il lavoro svolto. Vi chiedo di portare il messaggio di buona volontà del Successore di Pietro al vostro gregge cristiano e a tutti i vostri amici di altre religioni. Di cuore vi imparto la mia Benedizione Apostolica quale pegno di grazia e di pace in nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo.



AI PARTECIPANTI AL VI SIMPOSIO EUROPEO DEI DOCENTI UNIVERSITARI SUL TEMA "ALLARGARE GLI ORIZZONTI DELLA RAZIONALITÀ. PROSPETTIVE PER LA FILOSOFIA" Sala Clementina Sabato, 7 giugno 2008

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Signor Cardinale,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Illustri Docenti,

è per me motivo di profonda gioia incontrarvi in occasione del VI Simposio europeo dei Docenti universitari sul tema "Allargare gli orizzonti della razionalità. Prospettive per la Filosofia", promosso dai Docenti delle Università di Roma e organizzato dall’Ufficio per la Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma in collaborazione con le Istituzioni regionali, provinciali e del Comune di Roma. Ringrazio il Signor Cardinale Camillo Ruini e il Prof. Cesare Mirabelli, che si sono fatti interpreti dei vostri sentimenti, e rivolgo a tutti i presenti il mio cordiale benvenuto.

In continuità con l’incontro europeo dei Docenti universitari dello scorso anno, il vostro Simposio affronta un tema di grande rilevanza accademica e culturale. Desidero esprimere la mia gratitudine al Comitato organizzatore per tale scelta che ci permette, tra l’altro, di celebrare il decennale della pubblicazione della Lettera Enciclica Fides et ratio del mio amato predecessore, il Papa Giovanni Paolo II. Già in quella occasione cinquanta Docenti di filosofia delle Università di Roma, pubbliche e pontificie, manifestarono la loro gratitudine al Papa con una dichiarazione nella quale si ribadiva l’urgenza del rilancio dello studio della filosofia nelle Università e nelle Scuole. Condividendo tale preoccupazione e incoraggiando la fruttuosa collaborazione tra i Docenti di diversi Atenei, romani ed europei, desidero rivolgere ai Docenti di filosofia un particolare invito a proseguire con fiducia nella ricerca filosofica investendo energie intellettuali e coinvolgendo le nuove generazioni in tale impegno.

Gli eventi succedutisi nei dieci anni trascorsi dalla pubblicazione dell’Enciclica hanno delineato con maggiore evidenza lo scenario storico e culturale nel quale la ricerca filosofica è chiamata ad inoltrarsi. Infatti la crisi della modernità non è sinonimo di declino della filosofia; anzi la filosofia deve impegnarsi in un nuovo percorso di ricerca per comprendere la vera natura di tale crisi (cfr Discorso all’incontro europeo dei Docenti universitari, del 23 giugno 2007) e individuare prospettive nuove verso cui orientarsi. La modernità, se ben compresa, rivela una "questione antropologica" che si presenta in modo molto più complesso e articolato di quanto non avvenisse nelle riflessioni filosofiche degli ultimi secoli, soprattutto in Europa. Senza sminuire i tentativi compiuti, rimane ancora molto da indagare e da comprendere. La modernità non è un semplice fenomeno culturale, storicamente datato; essa in realtà implica una nuova progettualità, una più esatta comprensione della natura dell’uomo. Non è difficile cogliere negli scritti di autorevoli pensatori contemporanei un’onesta riflessione sulle difficoltà che si frappongono alla soluzione di questa prolungata crisi. L’apertura di credito che taluni autori propongono nei confronti delle religioni e, in particolare, del cristianesimo, è un segno evidente del sincero desiderio di far uscire dall’autosufficienza la riflessione filosofica.

Fin dall’inizio del mio pontificato ho ascoltato con attenzione le richieste che mi giungono dagli uomini e dalle donne del nostro tempo e, alla luce di tali attese, ho voluto offrire una proposta di indagine che mi sembra possa suscitare interesse per il rilancio della filosofia e del suo ruolo insostituibile all’interno del mondo accademico e culturale. Voi ne avete fatto oggetto di riflessione nel vostro Simposio: è la proposta di "allargare gli orizzonti della razionalità". Ciò mi consente di soffermarmi su di essa con voi come tra amici che desiderano fare un percorso comune di ricerca. Vorrei partire da una profonda convinzione, che più volte ho espresso: "La fede cristiana ha fatto la sua scelta netta: contro gli dei della religione per il Dio dei filosofi, vale a dire contro il mito della sola consuetudine per la verità dell’essere" (J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, cap. III). Tale affermazione, che rispecchia il cammino del cristianesimo fin dai suoi albori, si rivela pienamente attuale nel contesto storico culturale che stiamo vivendo. Infatti solo a partire da tale premessa, che è storica e teologica ad un tempo, è possibile venire incontro alle nuove attese della riflessione filosofica. Il rischio che la religione, anche quella cristiana, sia strumentalizzata come fenomeno surrettizio è molto concreto anche oggi.

Ma il cristianesimo, come ho ricordato nell’Enciclica Spe salvi, non è soltanto un messaggio informativo, ma performativo (cfr n. 2). Ciò significa che da sempre la fede cristiana non può essere rinchiusa nel mondo astratto delle teorie, ma deve essere calata in un’esperienza storica concreta che raggiunga l’uomo nella verità più profonda della sua esistenza. Questa esperienza, condizionata dalle nuove situazioni culturali e ideologiche, è il luogo che la ricerca teologica deve valutare e su cui è urgente avviare un dialogo fecondo con la filosofia. La comprensione del cristianesimo come reale trasformazione dell’esistenza dell’uomo, se da un lato spinge la riflessione filosofica ad un nuovo approccio con la religione, dall’altro la incoraggia a non perdere la fiducia di poter conoscere la realtà. La proposta di "allargare gli orizzonti della razionalità" non va, pertanto, semplicemente annoverata tra le nuove linee di pensiero teologico e filosofico, ma deve essere intesa come la richiesta di una nuova apertura verso la realtà a cui la persona umana nella sua uni-totalità è chiamata, superando antichi pregiudizi e riduzionismi, per aprirsi anche così la strada verso una vera comprensione della modernità. Il desiderio di una pienezza di umanità non può essere disatteso: attende proposte adeguate. La fede cristiana è chiamata a farsi carico di questa urgenza storica, coinvolgendo tutti gli uomini di buona volontà in una simile impresa. Il nuovo dialogo tra fede e ragione, oggi richiesto, non può avvenire nei termini e nei modi in cui si è svolto in passato. Esso, se non vuole ridursi a sterile esercizio intellettuale, deve partire dall’attuale situazione concreta dell’uomo, e su di essa sviluppare una riflessione che ne raccolga la verità ontologico-metafisica.

Cari amici, avete davanti a voi un cammino molto impegnativo. Innanzitutto è necessario promuovere centri accademici di alto profilo, in cui la filosofia possa dialogare con le altre discipline, in particolare con la teologia, favorendo nuove sintesi culturali idonee ad orientare il cammino della società. La dimensione europea del vostro convenire a Roma – voi provenite infatti da 26 Paesi - può favorire un confronto ed uno scambio sicuramente fruttuosi. Confido che le istituzioni accademiche cattoliche siano disponibili alla realizzazione di veri laboratori culturali. Vorrei anche invitarvi ad incoraggiare i giovani ad impegnarsi negli studi filosofici, favorendo opportune iniziative di orientamento universitario. Sono certo che le nuove generazioni, con il loro entusiasmo, sapranno rispondere generosamente alle attese della Chiesa e della società.

Tra pochi giorni avrò la gioia di aprire l’Anno Paolino, durante il quale celebreremo l’Apostolo delle Genti: auguro che questa singolare iniziativa costituisca per tutti voi un’occasione propizia per riscoprire, sulle orme del grande Apostolo, la fecondità storica del Vangelo e le sue straordinarie potenzialità anche per la cultura contemporanea. Con questo auspicio, imparto a tutti la mia Benedizione.



ALLA COMUNITÀ DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA ECCLESIASTICA Sala dei Papi Lunedì, 9 giugno 2008

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Venerato Fratello,
cari Sacerdoti della Pontificia Accademia Ecclesiastica,

sono lieto di accogliervi e rivolgo a ciascuno di voi il mio cordiale benvenuto. Saluto, in primo luogo, il vostro Presidente, Monsignor Beniamino Stella, e lo ringrazio per i devoti sentimenti che mi ha manifestato a nome di tutti. Saluto i suoi Collaboratori e, con speciale affetto, saluto voi, cari Alunni. Il nostro incontro ha luogo in questo mese di giugno, in cui è particolarmente viva nel popolo cristiano la devozione al Sacro Cuore di Gesù, fornace inesauribile a cui attingere amore e misericordia da testimoniare e diffondere tra tutti i membri del Popolo di Dio. A questa fonte dobbiamo abbeverarci anzitutto noi, sacerdoti, per poter comunicare agli altri la tenerezza divina, nello svolgimento dei diversi ministeri che la Provvidenza ci affida.

Ognuno di voi, cari Sacerdoti, cresca sempre più nella conoscenza di questo divino amore: solo così potrete portare a compimento, con una fedeltà senza compromessi, la missione alla quale vi state preparando in questi anni di studio. Il ministero apostolico e diplomatico a servizio della Santa Sede, che espleterete laddove sarete inviati, domanda competenze che non si possono improvvisare: fate tesoro pertanto di questo periodo della vostra formazione per essere poi in grado di affrontare in modo adeguato ogni situazione. Nel vostro quotidiano lavoro verrete a contatto con realtà ecclesiali da comprendere e sostenere; vivrete spesso lontano dalla vostra terra di origine in Paesi che imparerete a conoscere e ad amare; dovrete accostare il mondo della diplomazia bilaterale e multilaterale, ed essere pronti ad offrire non solo l’apporto della vostra esperienza diplomatica, ma anche, e soprattutto, la vostra testimonianza sacerdotale. Per questo, oltre la necessaria e doverosa preparazione giuridica, teologica e diplomatica, quel che più conta è che improntiate la vostra vita e la vostra attività ad un amore fedele a Cristo e alla Chiesa, che susciti in voi una accogliente premura pastorale verso tutti.

Per adempiere fedelmente a questo compito, cercate fin d’ora di “vivere nella fede del Figlio di Dio” (
Ga 2,20), sforzatevi cioè di essere Pastori secondo il cuore di Cristo, che intrattengono con Lui un quotidiano ed intimo colloquio. E’ l’unità con Gesù il segreto dell’autentico successo del ministero di ogni sacerdote. Qualsiasi lavoro svolgerete nella Chiesa, preoccupatevi di essere sempre veri suoi amici, amici fedeli che lo hanno incontrato e hanno imparato ad amarlo al di sopra di ogni altra cosa. La comunione con Lui, il divin Maestro delle nostre anime, vi assicurerà la serenità e la pace anche nei momenti più complessi e difficili.

Immersa nel vortice di una attività frenetica, l’umanità corre spesso il pericolo di smarrire il senso dell’esistenza, mentre una certa cultura contemporanea pone in dubbio ogni valore assoluto, e persino la possibilità di conoscere la verità e il bene. Per questo c’è bisogno di testimoniare la presenza di Dio, di un Dio che comprenda l’uomo e sappia parlare al suo cuore. Vostro compito sarà proprio quello di proclamare con il vostro modo di vivere, ancor prima che con le vostre parole, l’annuncio gioioso e consolante del Vangelo dell’amore in ambienti talora molto lontani dall’esperienza cristiana. Siate, dunque, ogni giorno ascoltatori docili della Parola di Dio, vivete in essa e di essa, così da renderla presente nella vostra attività sacerdotale. Annunciate la Verità che è Cristo. La preghiera, la meditazione e l’ascolto della Parola di Dio siano per voi pane quotidiano. Se crescerà in voi la comunione con Gesù, se vivrete di Lui e non solo per Lui, irradierete il suo amore e la sua gioia attorno a voi.

Accanto all’ascolto quotidiano della Parola di Dio, la Celebrazione dell’Eucaristia sia il cuore e il centro di ogni vostra giornata e di tutto il vostro ministero. Il sacerdote, come ogni battezzato, vive della comunione eucaristica con il Signore. Non ci si può accostare quotidianamente al Signore, pronunciare le tremende e stupende parole “Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue”, non si può prendere tra le mani il Corpo e il Sangue del Signore, senza lasciarsi afferrare da Lui, senza lasciarsi conquistare dal suo fascino, senza permettere che il suo amore infinito ci cambi interiormente. L’Eucaristia diventi per voi scuola di vita, nella quale il sacrificio di Gesù sulla Croce vi insegni a fare di voi stessi un totale dono ai fratelli. Il Rappresentante pontificio, nello svolgimento della sua missione, è chiamato ad offrire questa testimonianza di accoglienza verso il prossimo, frutto di un'unione costante con Cristo.

Cari Sacerdoti dell’Accademia Ecclesiastica, grazie nuovamente per questa vostra visita, che mi permette di sottolineare l’importanza del ruolo e della funzione dei Nunzi Apostolici, offrendomi al tempo stesso l’occasione di ringraziare tutti coloro che lavorano nelle Nunziature e nel servizio diplomatico della Santa Sede. Un particolare saluto ed augurio formulo a quanti tra voi stanno per lasciare l’Accademia e per assumere il loro primo incarico: il Signore vi sostenga e vi accompagni con la sua grazia. Tutti vi affido, cari fratelli, alla protezione della Santa Madre di Dio, modello e conforto per quanti tendono alla santità e si dedicano alla causa del Regno. Veglino su di voi il Patrono dell’Accademia Ecclesiastica, sant’Antonio Abate, san Pietro e san Paolo, del quale ci apprestiamo a celebrare un anno giubilare in occasione del bimillennario della nascita. Vi accompagni sempre anche la mia preghiera e la Benedizione, che imparto di cuore a ciascuno di voi, alle Reverende Suore, al Personale dell’Accademia e a tutti i vostri cari.




APERTURA DEL CONVEGNO ECCLESIALE DELLA DIOCESI DI ROMA Basilica di San Giovanni in Laterano Lunedì, 9 giugno 2008

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SUL TEMA: "GESÙ È RISORTO: EDUCARE ALLA SPERANZA NELLA PREGHIERA, NELL'AZIONE, NELLA SOFFERENZA"


Cari fratelli e sorelle,

è questa la quarta volta nella quale ho la gioia di essere con voi in occasione del Convegno che riunisce annualmente le molteplici energie vive della Diocesi di Roma, per dare continuità e indicare mete condivise alla nostra pastorale. Rivolgo un saluto affettuoso e cordiale a ciascuno di voi, Vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, persone consacrate, laici delle comunità parrocchiali, delle associazioni e movimenti ecclesiali, famiglie, giovani, persone impegnate a vario titolo nell’opera formativa ed educativa. Ringrazio di cuore il Cardinale Vicario per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti voi.

Dopo aver dedicato per tre anni speciale attenzione alla famiglia, già da due anni abbiamo posto al centro il tema dell’educazione delle nuove generazioni. E’ un tema che coinvolge anzitutto le famiglie, ma riguarda molto direttamente anche la Chiesa, la scuola e la società intera. Cerchiamo di rispondere così a quella “emergenza educativa” che rappresenta per tutti una grande e ineludibile sfida. L’obiettivo che ci siamo proposti per il prossimo anno pastorale, e sul quale rifletteremo in questo Convegno, fa ancora riferimento all’educazione, nell’ottica della speranza teologale, che si nutre della fede e della fiducia nel Dio che in Gesù Cristo si è rivelato come il vero amico dell’uomo. “Gesù è risorto: educare alla speranza nella preghiera, nell’azione, nella sofferenza” sarà dunque il tema di questa nostra serata. Gesù risorto dai morti è veramente il fondamento indefettibile su cui poggia la nostra fede e la nostra speranza. Lo è fin dall’inizio, fin dagli Apostoli, che sono stati testimoni diretti della sua risurrezione e l’hanno annunciata al mondo a prezzo della loro vita. Lo è oggi e lo sarà sempre. Come scrive l’Apostolo Paolo nel capitolo XV della prima Lettera ai Corinzi, “se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede” (v.14), se “noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini” (v. 19). Ripeto a voi ciò che dissi il 19 ottobre 2006 al Convegno ecclesiale di Verona: “La risurrezione di Cristo è un fatto avvenuto nella storia, di cui gli Apostoli sono stati testimoni e non certo creatori. Nello stesso tempo essa non è affatto un semplice ritorno alla nostra vita terrena; è invece la più grande «mutazione» mai accaduta, il «salto» decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù di Nazaret, ma con Lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo”.

Nella luce di Gesù risorto dai morti possiamo dunque comprendere le vere dimensioni della fede cristiana, come “speranza che trasforma e sorregge la nostra vita” (Enciclica Spe salvi ), liberandoci da quegli equivoci e da quelle false alternative che nel corso dei secoli hanno ristretto e indebolito il respiro della nostra speranza. In concreto, la speranza di chi crede nel Dio che ha risuscitato Gesù dai morti si protende con tutta se stessa verso quella felicità e quella gioia piena e totale che noi chiamiamo vita eterna, ma proprio per questo investe, anima e trasforma la nostra quotidiana esistenza terrena, dà un orientamento e un significato non effimero alle nostre piccole speranze come agli sforzi che noi compiamo per cambiare e rendere meno ingiusto il mondo nel quale viviamo. Analogamente, la speranza cristiana riguarda certo in modo personale ciascuno di noi, la salvezza eterna del nostro io e la sua vita in questo mondo, ma è anche speranza comunitaria, speranza per la Chiesa e per l’intera famiglia umana, è cioè “sempre essenzialmente anche speranza per gli altri; solo così essa è veramente speranza anche per me” (ibid., 48).

Nella società e nella cultura di oggi, e quindi anche in questa nostra amata città di Roma, non è facile vivere nel segno della speranza cristiana. Da una parte, infatti, prevalgono spesso atteggiamenti di sfiducia, delusione e rassegnazione, che contraddicono non soltanto la “grande speranza” della fede, ma anche quelle “piccole speranze” che normalmente ci confortano nello sforzo di raggiungere gli obiettivi della vita quotidiana. E’ diffusa cioè la sensazione che, per l’Italia come per l’Europa, gli anni migliori siano ormai alle spalle e che un destino di precarietà e di incertezza attenda le nuove generazioni. Dall’altra parte, le aspettative di grandi novità e miglioramenti si concentrano sulle scienze e le tecnologie, quindi sulle forze e le scoperte dell’uomo, come se solo da esse potesse venire la soluzione dei problemi. Sarebbe insensato negare o minimizzare l’enorme contributo delle scienze e tecnologie alla trasformazione del mondo e delle nostre concrete condizioni di vita, ma sarebbe altrettanto miope ignorare che i loro progressi mettono nelle mani dell’uomo anche abissali possibilità di male e che, in ogni caso, non sono le scienze e le tecnologie a poter dare un senso alla nostra vita e a poterci insegnare a distinguere il bene dal male. Perciò, come ho scritto nella Spe salvi, non è la scienza ma l’amore a redimere l’uomo e questo vale anche nell’ambito terreno e intramondano (n. 26).

Ci avviciniamo così al motivo più profondo e decisivo della debolezza della speranza nel mondo in cui viviamo. Questo motivo alla fine non è diverso da quello indicato dall’Apostolo Paolo ai cristiani di Efeso, quando ricordava loro che, prima di incontrare Cristo, erano “senza speranza e senza Dio nel mondo” (
Ep 2,12). La nostra civiltà e la nostra cultura, che pure hanno incontrato Cristo ormai da duemila anni e specialmente qui a Roma sarebbero irriconoscibili senza la sua presenza, tendono tuttavia troppo spesso a mettere Dio tra parentesi, ad organizzare senza di Lui la vita personale e sociale, ed anche a ritenere che di Dio non si possa conoscere nulla, o perfino a negare la sua esistenza. Ma quando Dio è lasciato da parte nessuna delle cose che veramente ci premono può trovare una stabile collocazione, tutte le nostre grandi e piccole speranze poggiano sul vuoto. Per “educare alla speranza”, come ci proponiamo in questo Convegno e nel prossimo anno pastorale, è dunque anzitutto necessario aprire a Dio il nostro cuore, la nostra intelligenza e tutta la nostra vita, per essere così, in mezzo ai nostri fratelli, suoi credibili testimoni.

Nei nostri precedenti Convegni diocesani abbiamo già riflettuto sulle cause dell’attuale emergenza educativa e sulle proposte che possono servire a superarla. Nei mesi scorsi, anche attraverso la mia lettera sul compito urgente dell’educazione, abbiamo inoltre cercato di coinvolgere l’intera città, in particolare le famiglie e le scuole, in questa impresa comune. Non è quindi necessario ritornare ora su questi aspetti. Vediamo piuttosto come educarci concretamente alla speranza, rivolgendo la nostra attenzione ad alcuni “luoghi” del suo pratico apprendimento ed effettivo esercizio, che ho già individuato nella Spe salvi. Tra questi luoghi trova posto anzitutto la preghiera, con la quale ci apriamo e ci rivolgiamo a Colui che è l’origine e il fondamento della nostra speranza. La persona che prega non è mai totalmente sola perché Dio è l’unico che, in ogni situazione e in qualunque prova, è sempre in grado di ascoltarla e di aiutarla. Attraverso la perseveranza nella preghiera il Signore allarga il nostro desiderio e dilata il nostro animo, rendendoci più capaci di accoglierlo in noi. Il giusto modo di pregare è pertanto un processo di purificazione interiore. Dobbiamo esporci allo sguardo di Dio, a Dio stesso e così nella luce del volto di Dio cadono le menzogne, le ipocrisie. Questo esporsi nella preghiera al volto di Dio è realmente una purificazione che ci rinnova, ci libera e ci apre non solo a Dio, ma anche ai fratelli. E’ dunque l’opposto di una fuga dalle nostre responsabilità verso il prossimo. Al contrario, attraverso la preghiera impariamo a tenere il mondo aperto a Dio e a diventare ministri della speranza per gli altri. Perché parlando con Dio vediamo tutta la comunità della Chiesa, comunità umana, tutti i fratelli, e impariamo così la responsabilità per gli altri e anche la speranza che Dio ci aiuta nel nostro cammino. Educare alla preghiera, apprendere “l’arte della preghiera” dalle labbra del Maestro divino, come i primi discepoli che gli chiedevano “Signore, insegnaci a pregare!” (Lc 11,1), è pertanto un compito essenziale. Imparando la preghiera, impariamo a vivere e dobbiamo sempre con la Chiesa e con il Signore in cammino pregare meglio per viver meglio. Come ci ricordava l’amato Servo di Dio Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, “le nostre comunità cristiane devono diventare autentiche «scuole» di preghiera, dove l’incontro con Cristo non si esprime soltanto in implorazione di aiuto, ma anche in rendimento di grazie, lode, adorazione, contemplazione, ascolto, ardore di affetti, fino ad un vero «invaghimento» del cuore” (n. 33): così la speranza cristiana crescerà in noi. E crescerà con la speranza l’amore di Dio e del prossimo.

Nell’Enciclica Spe salvi ho scritto: “Ogni agire serio e retto dell’uomo è speranza in atto” (n. 35). Come discepoli di Gesù partecipiamo dunque con gioia allo sforzo per rendere più bello, più umano e fraterno il volto di questa nostra città, per rinvigorire la sua speranza e la gioia di un’appartenenza comune. Cari fratelli e sorelle, proprio la consapevolezza acuta e diffusa dei mali e dei problemi che Roma porta dentro di sé sta risvegliando la volontà di un tale sforzo comune: è nostro compito darvi il nostro specifico contributo, a cominciare da quello snodo decisivo che è l’educazione e la formazione della persona, ma affrontando con spirito costruttivo anche i molti altri problemi concreti che rendono spesso faticosa la vita di chi abita in questa città. Cercheremo, in particolare, di promuovere una cultura e un’organizzazione sociale più favorevoli alla famiglia e all’accoglienza della vita, oltre che alla valorizzazione delle persone anziane, tanto numerose tra la popolazione di Roma. Lavoreremo per dare risposta a quei bisogni primari che sono il lavoro e la casa, soprattutto per i giovani. Condivideremo l’impegno per rendere la nostra città più sicura e “vivibile”, ma opereremo perché essa lo sia per tutti, in particolare per i più poveri, e perché non sia escluso l’immigrato che viene tra noi con l’intenzione di trovare uno spazio di vita nel rispetto delle nostre leggi.

Non ho bisogno di entrare più concretamente in queste problematiche, che voi ben conoscete, perché le vivete quotidianamente. Desidero sottolineare piuttosto quell’atteggiamento e quello stile con cui lavora e si impegna colui che pone la sua speranza anzitutto in Dio. E’ in primo luogo un atteggiamento di umiltà, che non pretende di avere sempre successo, o di essere in grado di risolvere ogni problema con le proprie forze. Ma è anche, e per lo stesso motivo, un atteggiamento di grande fiducia, di tenacia e di coraggio: il credente sa infatti che, nonostante tutte le difficoltà e i fallimenti, la sua vita, il suo operare e la storia nel suo insieme sono custoditi nel potere indistruttibile dell’amore di Dio; che essi pertanto non sono mai senza frutto e privi di senso. In questa prospettiva possiamo comprendere più facilmente che la speranza cristiana vive anche nella sofferenza, anzi, che proprio la sofferenza educa e fortifica a titolo speciale la nostra speranza. Dobbiamo certamente “fare tutto il possibile per diminuire la sofferenza: impedire, per quanto possibile, la sofferenza degli innocenti; calmare i dolori; aiutare a superare le sofferenze psichiche” (Spe salvi ) e grandi progressi sono stati effettivamente compiuti, in particolare nella lotta contro il dolore fisico. Non possiamo però eliminare del tutto la sofferenza dal mondo, perché non è in nostro potere prosciugare le sue fonti: la finitezza del nostro essere e il potere del male e della colpa. Di fatto, la sofferenza degli innocenti e anche i disagi psichici tendono purtroppo a crescere nel mondo. In realtà, l’esperienza umana di oggi e di sempre, in particolare l’esperienza dei Santi e dei Martiri, conferma la grande verità cristiana che non la fuga davanti al dolore guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e di maturare in essa, trovandovi un senso mediante l’unione a Cristo. Nel rapporto con la sofferenza e con le persone sofferenti si determina pertanto la misura della nostra umanità, per ciascuno di noi come per la società in cui viviamo. Alla fede cristiana spetta questo merito storico, di aver suscitato nell’uomo, in maniera nuova e a una profondità nuova, la capacità di condividere anche interiormente la sofferenza dell’altro, che così non è più solo nella sua sofferenza, e anche di soffrire per amore del bene, della verità e della giustizia: tutto questo sta molto al di sopra delle nostre forze, ma diventa possibile a partire dal com-patire di Dio per amore dell’uomo nella passione di Cristo.

Cari fratelli e sorelle, educhiamoci ogni giorno alla speranza che matura nella sofferenza. Siamo chiamati a farlo in primo luogo quando siamo personalmente colpiti da una grave malattia o da qualche altra dura prova. Ma cresceremo ugualmente nella speranza attraverso l’aiuto concreto e la vicinanza quotidiana alla sofferenza sia dei nostri vicini e familiari sia di ogni persona che è il nostro prossimo, perché ci accostiamo a lei con atteggiamento di amore. E ancora, impariamo ad offrire al Dio ricco di misericordia le piccole fatiche dell’esistenza quotidiana, inserendole umilmente nel grande “com-patire” di Gesù, in quel tesoro di compassione di cui ha bisogno il genere umano. La speranza dei credenti in Cristo non può, comunque, fermarsi a questo mondo, ma è intrinsecamente orientata verso la comunione piena ed eterna con il Signore. Perciò verso la fine della mia Enciclica mi sono soffermato sul Giudizio di Dio come luogo di apprendimento e di esercizio della speranza. Ho cercato così di rendere di nuovo in qualche modo familiare e comprensibile all’umanità e alla cultura del nostro tempo la salvezza che ci è promessa nel mondo al di là della morte, sebbene di quel mondo non possiamo avere quaggiù una vera e propria esperienza. Per restituire all’educazione alla speranza le sue vere dimensioni e la sua motivazione decisiva, noi tutti, a cominciare dai sacerdoti e dai catechisti, dobbiamo rimettere al centro della proposta della fede questa grande verità, che ha la sua “primizia” in Gesù Cristo risorto dai morti (cfr 1Co 15,20-23).

Cari fratelli e sorelle, termino questa riflessione ringraziando ciascuno di voi per la generosità e la dedizione con cui lavorate nella vigna del Signore e vi chiedo di custodire sempre dentro di voi, di alimentare e rafforzare anzitutto con la preghiera il grande dono della speranza cristiana. Lo chiedo in modo speciale a voi giovani, che siete chiamati a fare vostro questo dono nella libertà e nella responsabilità, per vivificare attraverso di esso il futuro della nostra amata città. Affido a Maria Santissima, Stella della speranza, ognuno di voi e tutta la Chiesa di Roma. La mia preghiera, il mio affetto e la mia benedizione vi accompagnano in questo Convegno e nell’anno pastorale che ci attende.



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