Discorsi 2005-13 20078

INCONTRO CON I BENEFATTORI E GLI ORGANIZZATORI DELLA GMG Cathedral House Domenica, 20 luglio 2008

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Signor Cardinale,
Cari amici,

nel momento in cui la mia visita in Australia sta per terminare, desidero esprimere la mia gratitudine a tutti coloro che hanno contribuito al successo di questa Giornata Mondiale della Gioventù. Questa sera, in modo particolare, il mio ringraziamento si dirige a voi, che con tanta generosità avete recato il vostro aiuto sia materiale che spirituale all’attuazione di questo evento. Il Cardinale Pell ha accennato ai grandi sacrifici che avete affrontato nell’organizzazione di questa giornata meravigliosa per la vita della Chiesa. Intendo ringraziarvi uno ad uno, non solo per quei sacrifici, ma ancor più per la fiducia che avete dimostrato verso i nostri giovani e per la vostra confidenza nella grazia di Dio che opera nei loro cuori. Preghiamo affinché l’investimento che molti di voi hanno posto in loro porti frutto nelle loro esistenze, per la vita della Chiesa di Cristo e per il futuro di questo nostro mondo!

In questi giorni, grazie al lavoro del comitato organizzativo e la cooperazione di tante persone private, ditte, associazioni e autorità locali, i giovani venuti da ogni parte del mondo hanno avuto l’opportunità di sperimentare la bellezza di questo Paese e la calorosa ospitalità del popolo australiano. Da parte loro, essi hanno arricchito questa terra con la testimonianza da loro resa all’amore di Cristo e alla forza del suo Spirito operante nella Chiesa.

Sono certo, cari amici, che la vostra partecipazione ai preparativi di questa Giornata Mondiale della Gioventù vi ha permesso di fare una particolare esperienza della forza dello Spirito Santo. Senza dubbio, nella preparazione di questo grande raduno internazionale, e nell’impegno di far fronte ad ogni possibile eventualità, avete avuto momenti di timore e di preoccupazione, e perfino momenti di paura e di trepidazione circa l’esito finale della vicenda! Ora, volgendovi indietro, potete constatare l’abbondante raccolto che lo Spirito ha suscitato mediante le vostre preghiere, la vostra perseveranza e il vostro duro lavoro. Quanti buoni semi sono stati seminati in questi pochi giorni!

Cari amici, San Paolo, che spese l’intera sua vita nel servizio del Vangelo, ci ricorda che “vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (cfr
Ac 20,35). La vostra generosità e il vostro sacrificio sono stati un apporto essenziale, anche se spesso nascosto, al successo di questa Giornata Mondiale della Gioventù. Possano la gioia spirituale, la soddisfazione e l’appagamento, che tutti abbiamo sperimentato in questi giorni, costituire una sorgente inesauribile di benedizioni per le vostre vite. Non dubitate mai della verità della promessa di nostro Signore, secondo cui ogni volta che noi offriamo la nostra creatività, la nostra energia, le nostre risorse, le nostre stesse persone, noi le riceviamo poi in cambio con abbondanza (cfr Mt 19,29).

Con questi sentimenti rinnovo l’espressione della mia profonda gratitudine a ciascuno di voi. Affido voi e le vostre famiglie all’amorosa intercessione di Nostra Signora della Croce del Sud, Aiuto dei Cristiani, e di cuore vi imparto l’Apostolica Benedizione come pegno di forza e pace in Gesù, suo divin Figlio.





SALUTO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI Domain, Lunedì 21 luglio 2008

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Cari amici in Cristo,

ringrazio il Vescovo Fisher e il Cardinale Pell per le loro gentili parole e sono lieto di questa opportunità per rivolgere il mio saluto finale a voi tutti e per dirvi quale splendida esperienza sia stata questa settimana. In questi giorni siamo stati testimoni diretti della gioia che trovano nella propria fede tante migliaia di giovani, e abbiamo potuto esprimere la nostra lode e la nostra gratitudine a Dio per la sua bontà nei nostri confronti. Abbiamo potuto gustare il calore e la generosità dell’ospitalità australiana, e insieme gettare uno sguardo sullo splendido paesaggio di questo bel Continente. È stata una settimana davvero memorabile.

Niente di tutto ciò sarebbe stato, tuttavia, possibile senza un grande sforzo di preparazione e di alacre lavoro durante il periodo che ha preceduto la Giornata Mondiale della Gioventù. Desidero ringraziare tutti voi per il generoso impegno di tempo e di energia che avete speso, per permettere uno svolgimento senza intoppi di ciascuno degli eventi che abbiamo celebrato insieme. Tali eventi hanno avuto bisogno di accurato coordinamento, poiché hanno coinvolto le Autorità civili, la polizia e le agenzie di primo soccorso, come pure personale ecclesiastico ed un vasto insieme di volontari, di responsabili e di aiutanti. I vostri sforzi hanno preparato il terreno perché lo Spirito scendesse con forza, plasmando vincoli di unità e amicizia fra i giovani provenienti da ambienti culturali profondamente diversi, e rafforzando il loro amore per Cristo e per la sua Chiesa. Nelle folle che si sono radunate qui a Sydney abbiamo visto una vivida espressione dell’unità nella diversità della Chiesa universale, abbiamo avuto una visione in piccolo di quella famiglia umana unita alla quale aneliamo. Nella potenza dello Spirito, possano questi giovani fare di tale visione una realtà nel mondo di domani.

Avrò occasione all’aeroporto di ringraziare i rappresentanti delle Autorità civili. Qui voglio esprimere la mia profonda gratitudine a tutti i Vescovi, i sacerdoti, i consacrati e le consacrate, i cappellani, gli insegnanti, le associazioni laicali, i movimenti ecclesiali, le famiglie ospitanti, le scuole e le comunità parrocchiali che hanno contribuito così efficacemente a fare della Giornata Mondiale della Gioventù un successo. Leggiamo negli Atti degli Apostoli che “vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (20,35), ma io ho fiducia che voi abbiate anche ricevuto molto da quanti avete servito così generosamente nel corso delle nostre celebrazioni. A voi tutti dico un sincero e sentito “grazie”.

Mentre mi accingo a ritornare a Roma, porto con me come un tesoro la memoria dei molti eventi pieni di grazia che abbiamo sperimentato insieme: dal mio primo incontro con i giovani a Barangaroo, attraverso i successivi incontri a Darlinghurst e nella Cattedrale di Santa Maria, fino alla veglia della Gioventù nello Spiazzo della Croce del Sud e poi alla Messa finale di ieri. Prego affinché anche voi vi portiate nell’animo molti preziosi ricordi e intuizioni spirituali, così da tornare nelle vostre case e nelle vostre famiglie con nuovo slancio per diffondere il Vangelo di Gesù Cristo. Nella potenza dello Spirito, andate ora a rinnovare la faccia della terra!

Mentre vi porgo il mio sentito saluto, affido tutti voi all’amorevole intercessione della Madonna della Croce del Sud, Aiuto dei cristiani, invoco su di voi i sette doni dello Spirito Santo e vi assicuro della mia costante preghiera. Dio benedica i giovani del mondo e benedica il popolo dell’Australia!



CERIMONIA DI CONGEDO DALLE AUTORITÀ Aeroporto Internazionale di Sydney Lunedì, 21 luglio 2008

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Cari amici,

prima di congedarmi da voi, desidero dire a coloro che mi hanno ospitato quanto abbia gustato la mia visita qui e quanto sia grato per l’ospitalità ricevuta. Ringrazio il Primo Ministro, l’Onorevole Kevin Rudd, per la gentilezza che ha mostrato verso di me e verso tutti i partecipanti alla Giornata Mondiale della Gioventù. Ringrazio pure il Governatore Generale, il Generale Maggiore Michael Jeffery, per la sua presenza qui e per avermi gentilmente accolto all’Ammiragliato Generale all’inizio dei miei impegni pubblici. Il Governo Federale e il Governo dello Stato del Nuovo Galles del Sud, come pure gli abitanti e la comunità imprenditoriale di Sydney, hanno collaborato generosamente nel sostenere la Giornata Mondiale della Gioventù. Un evento di questo genere richiede un immenso lavoro di preparazione e di organizzazione, ed io so di parlare a nome di molte migliaia di giovani nell’esprimere il mio apprezzamento e la mia gratitudine a tutti voi. Nel caratteristico stile australiano, voi avete offerto un caloroso benvenuto a me e ad innumerevoli giovani pellegrini che si sono riversati qui da ogni angolo del mondo. Alle famiglie ospitanti in Australia e Nuova Zelanda, che hanno fatto spazio nelle loro case ai giovani, sono in modo speciale riconoscente. Voi avete aperto le vostre porte e i vostri cuori alla gioventù del mondo, e a nome di questi giovani vi ringrazio.

Sul palcoscenico, nei giorni scorsi, gli attori principali sono stati, ovviamente, i giovani stessi. La Giornata Mondiale della Gioventù appartiene a loro. Sono stati loro a fare di questa Giornata un evento ecclesiale di carattere globale, una grande celebrazione della gioventù, una grande celebrazione di ciò che significa essere Chiesa, Popolo di Dio in mezzo al mondo, unito nella fede e nell’amore e reso capace dallo Spirito di recare la testimonianza del Cristo risorto sino ai confini della terra. Li ringrazio per essere venuti, li ringrazio per la loro partecipazione, e prego affinché abbiano un viaggio di ritorno sicuro. So che i giovani, le loro famiglie e le persone amiche in molti casi hanno fatto grandi sacrifici per permetter loro di giungere in Australia. Per tutto ciò l’intera Chiesa è loro grata.

Nel volgere lo sguardo indietro a questi giorni emozionanti, emergono nella mia mente scene significative. Sono stato molto toccato dalla visita alla Tomba di Mary MacKillop, e ringrazio le Suore di San Giuseppe per l’opportunità che ho avuto di pregare nel Santuario della loro co-Fondatrice. Le Stazioni della Via Crucis per le strade di Sydney ci hanno ricordato con efficacia che Cristo ci ha amati “sino alla fine” ed ha condiviso le nostre sofferenze affinché noi potessimo condividere la sua gloria. L’incontro con i giovani a Darlinghurst è stato un momento di gioia e di grande speranza, un segno che Cristo ci può sollevare dalle situazioni più difficili, ridandoci la nostra dignità e permettendoci di guardare avanti verso un futuro migliore. L’incontro con i responsabili ecumenici ed interreligiosi è stato contrassegnato da uno spirito di genuina fraternità e da un profondo desiderio di maggiore collaborazione nell’impegno di edificare un mondo più giusto e pacifico. E senza dubbio gli incontri di Barangaroo e della Croce del Sud sono stati i punti culminanti della mia visita. Quelle esperienze di preghiera, la nostra gioiosa Celebrazione dell’Eucaristia, sono state una testimonianza eloquente dell’opera vivificante dello Spirito Santo, presente ed attivo nel cuore dei nostri giovani. La Giornata Mondiale della Gioventù ci ha mostrato che la Chiesa può rallegrarsi dei giovani di oggi ed essere colma di speranza per il mondo di domani.

Cari amici, mentre mi congedo da Sydney, chiedo a Dio di volgere lo sguardo amorevole su questa città, su questo Paese e sui suoi abitanti. Prego che molti di loro possano essere ispirati dall’esempio di compassione e di servizio della Beata Mary MacKillop. E mentre vi saluto portando nel cuore sentimenti di profonda gratitudine, dico ancora una volta: Dio benedica il popolo dell’Australia!





NELLA CHIESA PARROCCHIALE DI SAN MICHELE ARCANGELO A BRESSANONE Domenica, 3 agosto 2008

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[Cari amici!

Sono contento di potere essere insieme a voi in questa chiesa parrocchiale nella quale, in vacanze passate, ho molto pregato e ho vissuto molte esperienze belle – anche concerti. La preghiera è presente in questi ambienti; il Signore è tra di noi e ci sostiene. A voi tutti auguro di cuore giornate benedette con la presenza di Nostro Signore Gesù Cristo – la benedizione ai sani e in particolare ai malati. Nella preghiera vogliamo essere sempre uniti.]

Cari amici!

Sono molto lieto di essere in questa chiesa parrocchiale. Ho molto pregato, in vacanze passate, in questa chiesa e quindi per me essa resta come luogo di preghiera nella presenza del Signore. E nella preghiera siamo tutti uniti. Il Signore ci accompagna, io prego per voi: pregate anche per me, perché possiamo in tutti i problemi della vita sentire anche sempre la bontà del Signore e così andare avanti nei giorni difficili e nei giorni belli. A voi tutti la mia preghiera e la mia benedizione.


[Il nome di Dio sia lodato]




VISITA ALLA CASA NATALE DI SAN GIUSEPPE FREINADEMETZ AD OIES (VAL BADIA) Martedì, 5 agosto 2008

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Cari fratelli e sorelle,

sono profondamente commosso da questa accoglienza così calorosa che qui trovo, e posso soltanto dire grazie con tutto il mio cuore. E ringrazio il Signore che ci ha donato questo grande Santo, San Giuseppe Freinademetz, che ci mostra la strada della vita ed è un segno, anche, per il futuro della Chiesa. Un Santo di grandissima attualità: sappiamo che la Cina diventa sempre più importante nella vita politica, economica e anche nella vita delle idee. È importante che questo grande Paese si apra al Vangelo. E San Giuseppe Freinademetz ci mostra che la fede non è una alienazione per nessuna cultura, per nessun popolo, perché tutte le culture aspettano Cristo e non vanno distrutte dal Signore: giungono anzi alla loro maturità. San Giuseppe Freinademetz, come abbiamo sentito, voleva non solo vivere e morire come cinese, ma anche in Cielo rimanere cinese: così si è idealmente identificato con questo popolo, nella certezza che esso si sarebbe aperto alla fede in Gesù Cristo. Adesso preghiamo che questo grande Santo sia un incoraggiamento per noi tutti a vivere di nuovo in questo nostro tempo la vita della fede, ad andare verso Cristo perché Lui solo, Cristo, può unire i popoli, può unire le culture. E preghiamo anche che dia a molti giovani il coraggio di dedicare la loro vita totalmente al Signore ed al suo Vangelo. Tuttavia, semplicemente, non posso dire altro che "grazie" al Signore che ci ha donato questo Santo e grazie a voi tutti per questa accoglienza, che mi mostra visibilmente che la Chiesa è viva anche oggi e la fede è gioia che ci unisce e ci guida sulle strade della vita.

Grazie a voi tutti!

Al termine dell’incontro, uscendo dalla chiesa, il Santo Padre ha aggiunto le seguenti parole:

Cari fratelli e sorelle, vorrei semplicemente dire grazie per la vostra presenza. Ho sentito che alcuni hanno aspettato per ore: grazie per questa pazienza, per questo coraggio. Il Signore vi benedica tutti

Und natürlich grüsse ich auch alle deutschsprachigen ganz herzlich: vergelt’s Gott für Ihre Gegenwart, Gottes Segen Ihnen allen. Herzlich vergelt’s Gott!

[E naturalmente saluto di cuore anche tutti i presenti di lingua tedesca: Dio vi ricompensi tutti, la benedizione del Signore sia su tutti voi. Dio vi ricompensi!]



INCONTRO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI CON IL CLERO DELLA DIOCESI DI BRESSANONE Mercoledì, 6 agosto 2008

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Parole del vescovo Mons. Wilhelm Egger



[Santo Padre, La ringraziamo che Lei ci accompagna e ci aiuta a vedere con gli occhi della fede la nostra situazione, le nostre gioie e i nostri problemi. Ricordiamo oggi Paolo VI a 30 anni dalla morte. Sotto il suo pontificato si è arrivati ad un nuovo assetto del consiglio della nostra diocesi, avvenimento che ha portato molti frutti].



Santo Padre



[Eccellenza, cari fratelli, grazie per questa riunione familiare in questa bella cattedrale della diocesi di Bolzano-Bressanone. Per me è una grande gioia essere con i sacerdoti: finalmente, il vescovo di Roma è vescovo e fratello di tutti i sacerdoti. Il suo mandato è confermare i fratelli nella fede. Oggi in questa bella festa, vediamo anche qui nella cattedrale e con la bella musica qualcosa dello splendore del volto di Cristo, e preghiamo il Signore che ci aiuti a portare in noi anche in giorni oscuri, questa sua luce per portare la luce ad altri, per illuminare il mondo e la vita in questo mondo. Purtroppo non sono in grado di parlare in ladino, ma mi perdonate: domenica avrò un testo per parlare anche nella vostra lingua ladina].



[Michael Horrer, seminarista
Santo Padre, mi chiamo Michael Horrer e sono seminarista. In occasione della XXIII Giornata mondiale della Gioventù di Sydney, in Australia, alla quale ho partecipato con altri giovani della nostra diocesi, Lei ha ribadito continuamente ai 400 mila giovani presenti l’importanza dell’opera dello Spirito Santo in noi giovani e nella Chiesa. Il tema della Giornata era: "Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni" (
Ac 1,8).
Ora noi giovani siamo ritornati – rafforzati dallo Spirito Santo e dalle Sue parole – nelle nostre case, nella nostra diocesi ed alla nostra vita quotidiana.
Santo Padre, come possiamo vivere concretamente qui, nel nostro Paese e nella nostra vita quotidiana, i doni dello Spirito Santo e testimoniarli agli altri, in modo che anche i nostri parenti, amici e conoscenti sentano e sperimentino la forza dello Spirito Santo e noi possiamo esercitare la nostra missione di testimoni di Cristo? Cosa ci può consigliare, per fare in modo che la nostra diocesi rimanga giovane nonostante l’invecchiamento del clero e rimanga anche aperta all’opera dello Spirito di Dio che guida la Chiesa?

Grazie per questa domanda. Sono contento di vedere un seminarista, un candidato al sacerdozio di questa diocesi, nel cui volto posso in un certo senso ritrovare il volto giovane della diocesi, e sono contento di sentire che Lei, insieme ad altri, è stato a Sydney, dove in una grande festa della fede abbiamo sperimentato insieme proprio la giovinezza della Chiesa. Anche per gli australiani è stata una grande esperienza. Inizialmente avevano guardato a questa Giornata mondiale della gioventù con grande scetticismo perché ovviamente avrebbe portato con sé molti impedimenti nella vita quotidiana, molti fastidi, come ad esempio per il traffico eccetera. Ma alla fine – l’abbiamo visto anche dai media, i cui pregiudizi si sono sbriciolati pezzo per pezzo – tutti si sono sentiti coinvolti da questa atmosfera di gioia e di fede; hanno visto che i giovani vengono e non creano problemi di sicurezza e nemmeno di altro genere, ma sanno stare insieme con gioia. Hanno visto che anche oggi la fede è una forza presente, che è una forza capace di dare il giusto orientamento alle persone, per cui c’è stato un momento in cui abbiamo veramente sentito il soffio dello Spirito Santo che spazza via i pregiudizi, che fa capire agli uomini che sì, qui troviamo quello che ci tocca da vicino, questa è la direzione in cui dobbiamo andare; e così si può vivere, così si apre il futuro.

A ragione Lei ha detto che è stato un momento forte, dal quale abbiamo riportato a casa una fiammella. Nella vita quotidiana, però, è molto più difficile percepire concretamente l’operare dello Spirito Santo o addirittura essere personalmente mezzo affinché Egli possa essere presente, affinché si verifichi quel soffio che spazza via i pregiudizi del tempo, che nel buio crea la luce e ci fa sentire che la fede non solo ha un futuro, ma è il futuro. Come possiamo realizzare ciò? Certamente, da soli non ne siamo in grado. Alla fine, è il Signore che ci aiuta, ma noi dobbiamo essere strumenti disponibili. Direi semplicemente: nessuno può dare quello che non possiede personalmente, cioè: non possiamo trasmettere lo Spirito Santo in modo efficace, renderlo percepibile, se noi stessi non gli siamo vicini. Ecco perché io penso che la cosa più importante sia che noi stessi rimaniamo, per così dire, nel raggio del soffio dello Spirito Santo, in contatto con lui. Soltanto se saremo continuamente toccati interiormente dallo Spirito Santo, se Egli ha la sua presenza in noi, soltanto allora possiamo anche trasmetterlo ad altri, Egli allora ci dà la fantasia e le idee creative sul come fare; idee che non si possono programmare ma che nascono nella situazione stessa, perché lì lo Spirito Santo sta operando. Quindi, primo punto: dobbiamo noi stessi rimanere nel raggio del soffio dello Spirito Santo.

Il Vangelo di Giovanni ci racconta come, dopo la Risurrezione, il Signore viene dai discepoli, soffia su di loro e dice: "Ricevete lo Spirito Santo". Questo è un parallelo alla Genesi, dove Dio soffia sull’impasto di terra e questo prende vita e diventa uomo. Ora l’uomo, che interiormente è oscurato e mezzo morto, riceve nuovamente il soffio di Cristo ed è questo soffio di Dio che gli dà una nuova dimensione di vita, gli dà la vita con lo Spirito Santo. Possiamo quindi dire: lo Spirito Santo è il soffio di Gesù Cristo e noi, in un certo senso, dobbiamo chiedere a Cristo di soffiare sempre su di noi affinché in noi questo soffio diventi vivo e forte e operi nel mondo. Ciò significa dunque che dobbiamo tenerci vicini a Cristo. Noi lo facciamo meditando la sua Parola. Noi sappiamo che l’autore principale delle Sacre Scritture è lo Spirito Santo. Quando attraverso di essa noi parliamo con Dio, quando in essa non cerchiamo soltanto il passato ma veramente il Signore presente che ci parla, allora è come se noi ci trovassimo – come ho detto anche in Australia – a passeggiare nel giardino dello Spirito Santo, parliamo con Lui, Egli parla con noi. Ecco, imparare ad essere di casa in questo ambito, nell’ambito della Parola di Dio è una cosa molto importante che, in un certo senso, ci introduce nel soffio di Dio. E poi, naturalmente, questo ascoltare, camminare nell’ambito della Parola deve trasformarsi in una risposta, una risposta nella preghiera, nel contatto con Cristo. E, naturalmente, innanzitutto nel Santo Sacramento dell’Eucaristia, nel quale Egli ci viene incontro ed entra in noi, quasi si fonde con noi. Ma poi anche nel Sacramento della Penitenza, che sempre ci purifica, che lava via le oscurità che la vita quotidiana ripone in noi.

In breve, una vita con Cristo nello Spirito Santo, nella Parola di Dio e nella comunione della Chiesa, nella sua comunità viva. Sant’Agostino ha detto: "Se vuoi lo Spirito di Dio, devi essere nel Corpo di Cristo". Nel Corpo mistico di Cristo si trova l’ambito del suo Spirito.

Tutto questo dovrebbe determinare lo svolgimento della nostra giornata, in modo che diventi una giornata strutturata, un giorno in cui Dio ha sempre accesso a noi, in cui continuamente si verifica il contatto con Cristo, in cui proprio per questo riceviamo continuamente il soffio dello Spirito Santo. Se faremo questo, se non saremo troppo pigri, indisciplinati o indolenti, allora ci accadrà qualcosa, allora la giornata prenderà una forma e allora la nostra stessa vita prenderà una forma in essa e questa luce emanerà da noi senza che dobbiamo stare a pensarci troppo o che dobbiamo adottare un modo d’agire – per così dire – "propagandistico": viene da sé, perché rispecchia il nostro animo.

A questa aggiungerei poi una seconda dimensione, logicamente collegata con la prima: se viviamo con Cristo, anche le cose umane ci riusciranno bene. Infatti, la fede non comporta solo un aspetto soprannaturale, essa ricostruisce l’uomo riportandolo alla sua umanità, come mostra quel parallelo tra la Genesi e Giovanni 20; essa si basa proprio sulle virtù naturali: l’onestà, la gioia, la disponibilità ad ascoltare il prossimo, la capacità di perdonare, la generosità, la bontà, la cordialità tra le persone. Queste virtù umane sono indicative del fatto che la fede è veramente presente, che noi veramente siamo con Cristo. E credo che dovremmo fare molta attenzione, anche per quanto riguarda noi stessi, a questo: far maturare in noi l’autentica umanità, perché la fede comporta la piena realizzazione dell’essere umano, dell’umanità. Dovremmo far attenzione a svolgere bene ed in maniera giusta le cose umane anche nella professione, nel rispetto del prossimo, preoccupandoci del prossimo, che è il modo migliore per preoccuparci di noi stessi: infatti, "esserci" per il prossimo è il modo migliore di "esserci" per noi stessi. E da questo nascono poi quelle iniziative che non si possono programmare: le comunità di preghiera, le comunità che leggono insieme la Bibbia o anche l’aiuto fattivo alle persone che sono in necessità, che ne hanno bisogno, che si trovano ai margini della vita, ai malati, agli handicappati e tante altre cose ancora ... Ecco che ci si aprono gli occhi per vedere le nostre capacità personali, per prendere le corrispondenti iniziative e saper infondere negli altri il coraggio di fare altrettanto. E proprio queste cose umane poi ci fortificano, mettendoci in qualche modo nuovamente in contatto con lo Spirito di Dio.

Il capo dei Cavalieri dell’ordine di Malta a Roma mi ha raccontato che a Natale è andato con alcuni giovani alla stazione per portare un po’ di Natale alle persone abbandonate. Mentre egli stesso poi stava ritirandosi, ha sentito uno dei giovani dire all’altro: "Questo è più forte della discoteca. Qui è veramente bello, perché posso fare qualcosa per gli altri!". Queste sono le iniziative che lo Spirito Santo suscita in noi. Senza tante parole esse ci fanno sentire la forza dello Spirito e si viene resi attenti a Cristo.

Bè, forse ho detto ora poco di concreto, ma penso che la cosa più importante sia che, innanzitutto, la nostra vita sia orientata verso lo Spirito Santo, perché viviamo nell’ambito dello Spirito, nel Corpo di Cristo, e che poi da questo sperimentiamo l’umanizzazione, curiamo le semplici virtù umane ed impariamo così ad essere buoni nel senso più ampio della parola. In questo modo si acquista sensibilità per le iniziative di bene che poi naturalmente sviluppano una forza missionaria e in un certo senso preparano quel momento in cui diventa sensato e comprensibile parlare di Cristo e della nostra fede.]



[P. Willibald Hopfgartner, OFM
Santo Padre, mi chiamo Willibald Hopfgartner, sono francescano e opero nella scuola e in diversi ambiti della guida dell’Ordine. Nel Suo Discorso di Ratisbona Lei ha sottolineato il legame sostanziale tra lo Spirito divino e la ragione umana. Dall’altro canto, Lei ha anche sempre sottolineato l’importanza dell’arte e della bellezza, dell’estetica. Allora, accanto al dialogo concettuale su Dio (in teologia), non dovrebbe essere sempre di nuovo ribadita l’esperienza estetica della fede nell’ambito della Chiesa, per l’annuncio e la liturgia?

Grazie. Sì, penso che le due cose vadano insieme: la ragione, la precisione, l’onestà della riflessione sulla verità, e la bellezza. Una ragione che in qualche modo volesse spogliarsi della bellezza, sarebbe dimezzata, sarebbe una ragione accecata. Soltanto le due cose unite formano l’insieme, e proprio per la fede questa unione è importante. La fede deve continuamente affrontare le sfide del pensiero di questa epoca, affinché essa non sembri una sorta di leggenda irrazionale che noi manteniamo in vita, ma sia veramente una risposta alle grandi domande; affinché non sia solo abitudine ma verità – come ebbe a dire una volta Tertulliano. San Pietro, nella sua prima Lettera, aveva scritto quella frase che i teologi del medioevo avevano preso come legittimazione, quasi come incarico per il loro lavoro teologico: "Siate pronti in ogni momento a rendere conto del senso della speranza che è in voi" – apologia del logos della speranza, un trasformare cioè il logos, la ragione della speranza in apologia, in risposta agli uomini. Evidentemente, egli era convinto del fatto che la fede fosse logos, che essa fosse una ragione, una luce che proviene dalla Ragione creatrice, e non un bel miscuglio, frutto del nostro pensiero. Ed ecco perché è universale, per questo può essere comunicata a tutti.

Ma proprio questo logos creatore non è soltanto un logos tecnico – su questo aspetto torneremo con un’altra risposta – è ampio, è un logos che è amore e quindi tale da esprimersi nella bellezza e nel bene. E, in realtà, una volta ho detto che per me, l’arte ed i Santi sono la più grande apologia della nostra fede. Gli argomenti portati dalla ragione sono assolutamente importanti ed irrinunciabili, ma poi da qualche parte rimane sempre il dissenso. Invece, se guardiamo i Santi, questa grande scia luminosa con la quale Iddio ha attraversato la storia, vediamo che lì veramente c’è una forza del bene che resiste ai millenni, lì c’è veramente la luce dalla luce. E nello stesso modo, se contempliamo le bellezze create dalla fede, ecco, sono semplicemente, direi, la prova vivente della fede. Se guardo questa bella cattedrale: è un annuncio vivente! Essa stessa ci parla, e partendo dalla bellezza della cattedrale riusciamo ad annunciare visivamente Dio, Cristo e tutti i suoi misteri: qui essi hanno preso forma e ci guardano. Tutte le grandi opere d’arte, le cattedrali – le cattedrali gotiche e le splendide chiese barocche – tutte sono un segno luminoso di Dio e quindi veramente una manifestazione, un’epifania di Dio. E nel cristianesimo si tratta proprio di questa epifania: che Dio è diventato una velata Epifania - appare e risplende. Abbiamo appena ascoltato l’organo in tutto il suo splendore e io penso che la grande musica nata nella Chiesa sia un rendere udibile e percepibile la verità della nostra fede: dal gregoriano alla musica delle cattedrali fino a Palestrina e alla sua epoca, fino a Bach e quindi a Mozart e Bruckner e così via ... Ascoltando tutte queste opere – le Passioni di Bach, la sua Messa in si bemolle e le grandi composizioni spirituali della polifonia del XVI secolo, della scuola viennese, di tutta la musica, anche quella di compositori minori – improvvisamente sentiamo: è vero! Dove nascono cose del genere, c’è la Verità. Senza un’intuizione che scopra il vero centro creativo del mondo, non può nascere tale bellezza. Per questo penso che dovremmo sempre fare in modo che le due cose siano insieme, portarle insieme. Quando, in questa nostra epoca, discutiamo della ragionevolezza della fede, discutiamo proprio del fatto che la ragione non finisce dove finiscono le scoperte sperimentali, essa non finisce nel positivismo; la teoria dell’evoluzione vede la verità, ma ne vede soltanto metà: non vede che dietro c’è lo Spirito della creazione. Noi stiamo lottando per l’allargamento della ragione e quindi per una ragione che, appunto, sia aperta anche al bello e non debba lasciarlo da parte come qualcosa di totalmente diverso e irragionevole. L’arte cristiana è un’arte razionale – pensiamo all’arte del gotico o alla grande musica o anche, appunto, alla nostra arte barocca – ma è espressione artistica di una ragione molto ampliata, nella quale cuore e ragione si incontrano. Questo è il punto. Questo, penso, è in qualche modo la prova della verità del cristianesimo: cuore e ragione si incontrano, bellezza e verità si toccano. E quanto più noi stessi riusciamo a vivere nella bellezza della verità, tanto più la fede potrà tornare ad essere creativa anche nel nostro tempo e ad esprimersi in una forma artistica convincente.

Allora, caro Padre Hopfgartner, grazie per la domanda; cerchiamo di fare in modo che le due categorie, quella estetica e quella noetica, siano unite e che in questa grande ampiezza si manifesti l’interezza e la profondità della nostra fede.]


Willi Fusaro
Santo Padre, sono don Willi Fusaro, ho 42 anni e sono ammalato dall'anno della mia ordinazione sacerdotale. Sono stato ordinato nel giugno del 1991; poi nel settembre dello stesso anno ho avuto la diagnosi di sclerosi multipla. Sono cooperatore parrocchiale presso la parrocchia del Corpus Domini di Bolzano. Mi ha colpito molto la figura di Giovanni Paolo II, soprattutto nell'ultimo tempo del suo pontificato, quando portava con coraggio e umiltà, davanti al mondo intero, la sua umana debolezza.
Vista la sua vicinanza al suo amato predecessore, e in base alla sua personale esperienza, quali parole mi può donare e può donare a tutti noi per aiutare davvero i sacerdoti, anziani, ammalati a vivere bene e fruttuosamente il loro sacerdozio nel presbiterio e nella comunità cristiana? Grazie!

Santo Padre

Grazie, reverendo. Dunque, anche io direi che per me le due parti del pontificato di Papa Giovanni Paolo II sono ugualmente importanti. La prima parte nella quale lo abbiamo visto come gigante della fede: egli con un coraggio incredibile, una forza straordinaria, una vera gioia della fede, una grande lucidità, ha portato fino ai confini della terra il messaggio del Vangelo. Ha parlato con tutti, ha aperto nuove strade con i Movimenti, con il dialogo interreligioso, con gli incontri ecumenici, con l’approfondimento dell’ascolto della Parola Divina, con tutto …. con il suo amore per la Sacra Liturgia. Lui realmente – possiamo dire – ha fatto cadere non le mura di Gerico, ma le mura tra due mondi, proprio con la forza della sua fede e questa testimonianza rimane indimenticabile, rimane una luce per questo nuovo millennio.

Ma devo dire che per me anche questi ultimi anni del suo Pontificato non erano di minore importanza, a motivo di questa testimonianza umile della sua passione. Come ha portato la Croce del Signore davanti a noi e ha realizzato la parola del Signore: "Seguitemi, portando con me, e seguendo me, la Croce"! Questa umiltà, questa pazienza con la quale ha accettato quasi la distruzione del suo corpo, la crescente incapacità di usare la parola, lui che era stato maestro della parola. E così ci ha mostrato - mi sembra - visibilmente questa verità profonda che il Signore ci ha redento con la sua Croce, con la Passione come estremo atto del suo amore. Ci ha mostrato che la sofferenza non è solo un non, un qualcosa di negativo, la mancanza di qualche cosa, ma è una realtà positiva. Che la sofferenza accettata nell’amore di Cristo, nell’amore di Dio e degli altri è una forza redentrice, una forza dell’amore e non meno potente che i grandi atti che aveva fatto nella prima parte del suo Pontificato. Ci ha insegnato un nuovo amore per i sofferenti e fatto capire che cosa vuol dire "nella Croce e per la Croce siamo salvati". Anche nella vita del Signore abbiamo questi due aspetti. La prima parte dove insegna la gioia del Regno di Dio, porta i suoi doni agli uomini e poi, nella seconda parte, l’immergersi nella Passione, fino all’ultimo grido dalla Croce. E proprio così ci ha insegnato chi è Dio, che Dio è amore e che nell’identificarsi con la nostra sofferenza di esseri umani ci prende nelle sue mani e ci immerge nel suo amore e solo l’amore è il bagno di redenzione, di purificazione e di rinascita.

Perciò mi sembra che noi tutti – e sempre di nuovo in un mondo che vive di attivismo, di giovinezza, dell’essere giovane, forte, bello, del riuscire a fare grandi cose – dobbiamo imparare la verità dell’amore che si fa passione e proprio così redime l’uomo e lo unisce con Dio amore. Quindi vorrei ringraziare tutti coloro che accettano la sofferenza, che soffrono con il Signore e vorrei incoraggiare tutti noi ad avere un cuore aperto per i sofferenti, per gli anziani e capire che proprio la loro passione è una sorgente di rinnovamento per l’umanità e crea in noi amore e ci unisce al Signore. Ma alla fine è sempre difficile soffrire. Mi ricordo la sorella del cardinale Mayer: era molto ammalata, e lui le diceva, quando era impaziente: "Ma, vedi, tu sei adesso con il Signore". E lei ha risposto: "Per te è facile dire questo, perché tu sei sano, ma io sono nella passione". E’ vero, nella passione vera diventa sempre difficile unirsi realmente al Signore e rimanere in questa disposizione di unione con il Signore sofferente. Preghiamo dunque per tutti i sofferenti e facciamo quanto sta in noi per aiutarli, mostriamo la nostra gratitudine per il loro soffrire e assistiamoli in quanto possiamo, con questo grande rispetto per il valore della vita umana, proprio della vita sofferente fino alla fine. E’ questo un messaggio fondamentale del cristianesimo, che viene dalla teologia della Croce: che la sofferenza, la passione è presenza dell’amore di Cristo, è sfida per noi ad unirci con questa sua passione. Dobbiamo amare i sofferenti non solo con le parole, ma con tutta la nostra azione e il nostro impegno. Mi sembra che solo così siamo cristiani realmente. Ho scritto nella mia Enciclica Spe salvi che la capacità di accettare la sofferenza e i sofferenti è misura dell’umanità che si possiede. Dove manca questa capacità, l’uomo è ridotto e ridimensionato. Quindi preghiamo il Signore perché ci aiuti nella nostra sofferenza e ci induca ad essere vicini a tutti i sofferenti in questo mondo.




[Karl Golser
Santo Padre! Mi chiamo Karl Golser, sono professore di teologia morale qui a Bressanone e anche direttore dell’Istituto per la giustizia, la pace e la tutela della creazione; anche canonico. Mi piace ricordare il periodo in cui ho potuto lavorare con Lei alla Congregazione per la Dottrina della Fede.
Come Lei sa, la Chiesa cattolica ha profondamente forgiato la storia e la cultura nel nostro Paese. Oggi però, a volte abbiamo la sensazione che, come Chiesa, ci siamo un po’ ritirati in sagrestia. Le dichiarazioni del magistero pontificio in merito alle grandi questioni sociali non trovano il giusto riscontro a livello di parrocchie e di comunità ecclesiali.
Qui, in Alto Adige, ad esempio, le autorità e molte associazioni richiamano fortemente l’attenzione sui problemi ambientali e in particolare sui cambiamenti climatici: gli argomenti principali sono lo scioglimento dei ghiacciai, le frane in montagna, i problemi del costo dell’energia, il traffico e l’inquinamento atmosferico. Molte sono le iniziative a favore della tutela dell’ambiente.
Nella consapevolezza media dei nostri cristiani, però, tutto questo ha ben poco a che vedere con la fede. Cosa possiamo fare per portare maggiormente nella vita delle comunità cristiane il senso di responsabilità nei riguardi del creato? Come possiamo arrivare a vedere sempre più insieme la Creazione e la Redenzione? Come possiamo vivere in modo esemplare uno stile di vita cristiano, che sia durevole? E come unirlo ad una qualità di vita, che sia attraente per tutti gli uomini della nostra terra?


La ringrazio molto, caro professor Golser: sicuramente Lei potrebbe rispondere molto meglio di me a tali questioni, ma proverò lo stesso a dire qualcosa. Lei ha dunque toccato il Tema Creazione e Redenzione ed io penso che questo legame inscindibile debba ricevere nuovo rilievo. Negli ultimi decenni, la dottrina della Creazione era quasi scomparsa in teologia, era quasi impercettibile. Ora ci accorgiamo dei danni che ne derivano. Il Redentore è il Creatore e se noi non annunciamo Dio in questa sua totale grandezza – di Creatore e di Redentore – togliamo valore anche alla Redenzione. Infatti, se Dio non ha nulla da dire nella Creazione, se viene relegato semplicemente in un ambito della storia, come può realmente comprendere tutta la nostra vita? Come potrà portare veramente la salvezza per l’uomo nella sua interezza e per il mondo nella sua totalità? Ecco perché per me, il rinnovamento della dottrina della Creazione ed una nuova comprensione dell’inscindibilità di Creazione e Redenzione riveste una grandissima importanza. Dobbiamo riconoscere nuovamente: Lui è il creator Spiritus, la Ragione che è in principio e dalla quale tutto nasce e di cui la nostra ragione non è che una scintilla. Ed è Lui, il Creatore stesso, che è pure entrato nella storia e può entrare nella storia ed operare in essa proprio perché Egli è il Dio dell’insieme e non solo di una parte. Se riconosceremo questo, ne conseguirà ovviamente che la Redenzione, l’essere cristiani, semplicemente la fede cristiana significano sempre e comunque anche responsabilità nei riguardi della Creazione. Venti-trenta anni fa si accusavano i cristiani – non so se questa accusa sia ancora sostenuta – di essere i veri responsabili della distruzione della Creazione, perché la parola contenuta nella Genesi – "Soggiogate la terra" – avrebbe portato a quella arroganza nei riguardi del creato di cui noi oggi sperimentiamo le conseguenze. Penso che dobbiamo nuovamente imparare a capire questa accusa in tutta la sua falsità: fino a quando la terra è stata considerata creazione di Dio, il compito di "soggiogarla" non è mai stato inteso come un ordine di renderla schiava, ma piuttosto come compito di essere custodi della creazione e di svilupparne i doni; di collaborare noi stessi in modo attivo all’opera di Dio, all’evoluzione che Egli ha posto nel mondo, così che i doni della creazione siano valorizzati e non calpestati e distrutti.

Se osserviamo quello che è nato intorno ai monasteri, come in quei luoghi siano nati e continuino a nascere piccoli paradisi, oasi della creazione, si rende evidente che tutto ciò non sono soltanto parole, ma dove la Parola del Creatore è stata compresa nella maniera corretta, dove c’è stata vita con il Creatore redentore, lì ci si è impegnati a salvare la creazione e non a distruggerla. In questo contesto rientra anche il capitolo 8 della Lettera ai Romani, dove si dice che la creazione soffre e geme per la sottomissione in cui si trova e che attende la rivelazione dei figli di Dio: si sentirà liberata quando verranno delle creature, degli uomini che sono figli di Dio e che la tratteranno a partire da Dio. Io credo che sia proprio questo che noi oggi possiamo constatare come realtà: il creato geme – lo percepiamo, quasi lo sentiamo – e attende persone umane che lo guardino a partire da Dio. Il consumo brutale della creazione inizia dove non c’è Dio, dove la materia è ormai soltanto materiale per noi, dove noi stessi siamo le ultime istanze, dove l’insieme è semplicemente proprietà nostra e lo consumiamo solo per noi stessi. E lo spreco della creazione inizia dove non riconosciamo più alcuna istanza sopra di noi, ma vediamo soltanto noi stessi; inizia dove non esiste più alcuna dimensione della vita al di là della morte, dove in questa vita dobbiamo accaparrarci il tutto e possedere la vita nella massima intensità possibile, dove dobbiamo possedere tutto ciò che è possibile possedere.

Io credo, quindi, che istanze vere ed efficienti contro lo spreco e la distruzione del creato possono essere realizzate e sviluppate, comprese e vissute soltanto là, dove la creazione è considerata a partire da Dio; dove la vita è considerata a partire da Dio e ha dimensioni maggiori – nella responsabilità davanti a Dio – e un giorno ci sarà donata da Dio in pienezza e mai tolta: donando la vita, noi la riceviamo.

Così, credo, dobbiamo tentare con tutti i mezzi che abbiamo di presentare la fede in pubblico, specialmente là dove riguardo ad essa c’è già sensibilità. E penso che la sensazione che il mondo forse ci stia scivolando via – perché siamo noi stessi a cacciarlo via – e il sentirci oppressi dai problemi della creazione, proprio questo ci dia l’occasione adatta in cui la nostra fede può parlare pubblicamente e può farsi valere come istanza propositiva. Infatti, non si tratta soltanto di trovare tecniche che prevengano i danni, anche se è importante trovare energie alternative ed altro. Ma tutto questo non sarà sufficiente se noi stessi non troveremo un nuovo stile di vita, una disciplina fatta anche di rinunce, una disciplina del riconoscimento degli altri, ai quali il creato appartiene tanto quanto a noi che più facilmente possiamo disporne; una disciplina della responsabilità nei riguardi del futuro degli altri e del nostro stesso futuro, perché è responsabilità davanti a Colui che è nostro Giudice e in quanto Giudice è Redentore, ma appunto veramente anche nostro Giudice.

Penso quindi che sia necessario mettere in ogni caso insieme le due dimensioni – Creazione e Redenzione, vita terrena e vita eterna, responsabilità nei riguardi del creato e responsabilità nei riguardi degli altri e del futuro –, e che sia nostro compito intervenire così in maniera chiara e decisa nell’opinione pubblica. Per essere ascoltati dobbiamo contemporaneamente dimostrare con il nostro stesso esempio, con il nostro proprio stile di vita, che stiamo parlando di un messaggio in cui noi stessi crediamo e secondo il quale è possibile vivere. E vogliamo chiedere al Signore che aiuti noi tutti a vivere la fede, la responsabilità della fede in maniera tale che il nostro stile di vita diventi testimonianza e poi a parlare in maniera tale che le nostre parole portino in modo credibile la fede come orientamento in questo nostro tempo.]



[Franz Pixner, decano a Kastelruth
Santo Padre, mi chiamo Franz Pixner e sono il parroco di due grandi parrocchie. Io stesso, insieme a molti confratelli e anche laici, ci preoccupiamo del carico crescente nella cura pastorale a causa, per esempio, delle unità pastorali, che si stanno creando: la pesante pressione del lavoro, la mancanza di riconoscimento, le difficoltà riguardo al Magistero, la solitudine, la diminuzione del numero dei sacerdoti ma anche delle comunità di fedeli. Molti si domandano che cosa Dio ci stia chiedendo, in questa situazione, e in quale modo lo Spirito Santo ci voglia incoraggiare. In questo contesto nascono domande, per esempio in merito al celibato dei sacerdoti, all’ordinazione di viri probati al sacerdozio, al coinvolgimento dei carismi, in particolare anche dei carismi delle donne, nella pastorale, all’incarico a collaboratrici e collaboratori formati in teologia di conferire il battesimo e tenere omelie. Si pone anche la domanda di come noi sacerdoti, di fronte alle nuove sfide, possiamo aiutarci a vicenda in una comunità fraterna, e questo nei diversi livelli di diocesi, decanato, unità pastorale e parrocchia.
La preghiamo, Santo Padre, di darci un buon consiglio per tutte queste domande. Grazie!

Caro decano, Lei ha aperto tutto il fascio di domande che occupano e preoccupano i pastori e noi tutti in questa nostra epoca e certamente Lei sa che io non sono in grado di dare in questo momento una risposta a tutto. Immagino che Lei avrà modo di ragionare ripetutamente di tutto questo anche con il suo Vescovo, e noi a nostra volta ne parliamo nei Sinodi dei Vescovi. Noi tutti, credo, abbiamo bisogno di questo dialogo tra di noi, del dialogo della fede e della responsabilità, per trovare la retta via in questo tempo sotto molti aspetti difficile per la fede e faticoso per i sacerdoti. Nessuno ha la ricetta pronta, stiamo cercando tutti insieme.

Con questa riserva, che cioè insieme a voi tutti mi trovo in mezzo a questo processo di fatica e di lotta interiore, cercherò di dire qualche parola, appunto come parte di un dialogo più ampio.

Nella mia risposta vorrei considerare due aspetti fondamentali. Da un lato, l’insostituibilità del sacerdote, il significato e il modo del ministero sacerdotale oggi; dall’altro lato – e questo oggi risalta più di prima – la molteplicità dei carismi e il fatto che tutti insieme sono Chiesa, edificano la Chiesa e per questo dobbiamo impegnarci nel risvegliare i carismi, dobbiamo curare questo vivo insieme che poi sostiene anche il sacerdote. Egli sostiene gli altri, gli altri sostengono lui, e soltanto in questo insieme complesso e variegato la Chiesa può crescere oggi e verso il futuro.

Da una parte, ci sarà sempre bisogno del sacerdote che è completamente dedito al Signore e perciò completamente dedito all’uomo. Nell’Antico Testamento c’è la chiamata alla santificazione che più o meno corrisponde a quello che noi intendiamo con la consacrazione, anche con l’ordinazione sacerdotale: c’è qualche cosa che viene consegnata a Dio e perciò viene tolta dalla sfera del comune, data a Lui. Ma questo poi significa che ora è a disposizione di tutti. Poiché è stata tolta e data a Dio, proprio per questo ora non è isolata ma è stata sollevata nel "per", nel per tutti. Penso che questo si possa dire anche del sacerdozio della Chiesa. Significa che, da un lato, siamo consegnati al Signore, tolti dal comune, ma, dall’altro, siamo consegnati a Lui perché in questo modo possiamo appartenergli totalmente e totalmente appartenere agli altri. Penso che dovremmo continuamente cercare di mostrare questo ai giovani – a loro che sono idealisti, che vogliono fare qualcosa per l’insieme – mostrare che proprio questa "estrazione dal comune" significa "consegna all’insieme" e che questo è un modo importante, il modo più importante per servire i fratelli. E di questo poi fa parte anche quel mettersi a disposizione del Signore veramente nella completezza del proprio essere e trovarsi quindi totalmente a disposizione degli uomini. Penso che il celibato sia un’espressione fondamentale di questa totalità e già per questo un grande richiamo in questo mondo, perché esso ha senso soltanto se noi crediamo veramente alla vita eterna e se crediamo che Dio ci impegna e che noi possiamo esserci per Lui.

Quindi, il sacerdozio è insostituibile perché nell’Eucaristia esso, partendo da Dio, sempre edifica la Chiesa, perché nel Sacramento della Penitenza sempre ci conferisce la purificazione, perché nel Sacramento il sacerdozio è, appunto, un essere coinvolto nel "per" di Gesù Cristo. Ma io so bene, quanto oggi sia difficile – quando un sacerdote si trova a guidare non più soltanto una parrocchia di facile gestione, ma più parrocchie, unità pastorali; quando deve essere a disposizione per questo consiglio e per quell’altro e così via – quanto sia difficile vivere una tale vita. Credo che in questa situazione sia importante avere il coraggio di limitarsi e la chiarezza nel decidere le priorità. Una priorità fondamentale dell’esistenza sacerdotale è lo stare con il Signore e quindi l’avere tempo per la preghiera. San Carlo Borromeo diceva sempre: "Non potrai curare l’anima degli altri se lasci che la tua deperisca. Alla fine, non farai più niente nemmeno per gli altri. Devi avere tempo anche per il tuo essere con Dio". Vorrei quindi sottolineare: per quanti impegni possano sopraggiungere, è una vera priorità di trovare ogni giorno, direi, un’ora di tempo per stare in silenzio per il Signore e con il Signore, come la Chiesa ci propone di fare con il breviario, con le preghiere del giorno, per così potersi sempre di nuovo arricchire interiormente, per ritornare – come dicevo rispondendo alla prima domanda – nel raggio del soffio dello Spirito Santo. E a partire da ciò ordinare poi le priorità: devo imparare a vedere cosa sia veramente essenziale, dove sia assolutamente richiesta la mia presenza di sacerdote e non posso delegare nessuno. E allo stesso tempo devo accettare umilmente quando molte cose che avrei da fare e dove sarebbe richiesta la mia presenza non posso realizzare perché riconosco i miei limiti. Io credo che una tale umiltà sarà compresa dalla gente.

E con ciò devo ora collegare l’altro aspetto: saper delegare, chiamare le persone alla collaborazione. Io ho l’impressione che la gente lo capisce e che anche lo apprezza, quando un sacerdote sta con Dio, quando bada al suo incarico di essere colui che prega per gli altri: Noi – dicono – non siamo capaci di pregare tanto, tu devi farlo per me: in fondo, è il tuo mestiere, per così dire, essere quello che prega per noi. Vogliono un sacerdote che onestamente si impegni a vivere con il Signore e poi sia a disposizione degli uomini – i sofferenti, i moribondi, i bambini, i giovani (queste, direi, sono le priorità) – ma che poi sappia anche distinguere le cose che altri possono fare meglio di lui, dando così spazio a quei carismi. Penso ai movimenti e a molteplici altre forme di collaborazione nella parrocchia. Su tutto questo si ragiona insieme anche nella Diocesi stessa, si creano forme e si promuovono gli interscambi. A ragione Lei ha detto che in ciò è importante guardare al di là della parrocchia verso la comunità della diocesi, anzi, verso la comunità della Chiesa universale, che a sua volta, deve poi rivolgere lo sguardo per vedere cosa succede in parrocchia e quali conseguenze ne derivano per il singolo sacerdote.

Poi Lei ha toccato ancora un altro punto, molto importante ai miei occhi: i sacerdoti, anche se magari vivono geograficamente più lontani gli uni dagli altri, sono una vera comunità di fratelli che devono sostenersi ed aiutarsi a vicenda. Questa comunione tra i sacerdoti è oggi quanto mai importante. Proprio per non piombare nell’isolamento, nella solitudine con le sue tristezze, è importante che possiamo incontrarci regolarmente. Sarà compito della Diocesi stabilire come realizzare al meglio gli incontri tra sacerdoti – oggi c’è la macchina che facilità gli spostamenti – affinché comunque sperimentiamo sempre di nuovo lo stare insieme, impariamo l’uno dall’altro, ci correggiamo a vicenda e vicendevolmente ci aiutiamo, ci rincuoriamo e ci consoliamo, affinché in questa comunione del presbiterio, insieme al Vescovo, possiamo rendere il nostro servizio alla Chiesa locale. Appunto: nessun sacerdote è sacerdote da solo, noi siamo presbiterio e solo in questa comunione con il Vescovo ognuno può rendere il suo servizio. Ora, questa bella comunione, da tutti riconosciuta su piano teologico deve poi anche tradursi in pratica, nei modi determinati dalla Chiesa locale. E deve allargarsi, perché anche nessun Vescovo è Vescovo da solo, ma soltanto Vescovo nel Collegio, nella grande comunione dei Vescovi. È questa comunione per la quale vogliamo sempre impegnarci. E penso che questo sia un aspetto particolarmente bello del cattolicesimo: attraverso il Primato, che non è una monarchia assoluta, ma un servizio di comunione, possiamo avere la certezza di questa unità, così che in una grande comunità a tante voci, tutti insieme facciamo risuonare la grande musica della fede in questo mondo.

Preghiamo il Signore che ci consoli sempre quando pensiamo di non farcela più; sosteniamoci gli uni gli altri, e allora il Signore ci aiuterà a trovare insieme le strade giuste.]


Paolo Rizzi, parroco e docente di teologia all'Istituto Superiore di scienze religiose
Santo Padre, sono Paolo Rizzi, parroco e docente di teologia all'Istituto Superiore di scienze religiose. Gradiremmo il suo parere pastorale sulla situazione riguardo ai sacramenti della Prima Comunione e della Confermazione. Sempre più spesso i bambini, i ragazzi e le ragazze che ricevono questi sacramenti si preparano con impegno per quanto riguarda gli incontri di catechesi, ma non partecipano all'Eucaristia domenicale e allora vien fatto di domandarsi: che senso ha tutto questo? Alle volte verrebbe voglia di dire: "Ma allora state a casa del tutto!". Invece si continua come sempre ad accettarli, pensando che in ogni caso è meglio non spegnere lo stoppino dalla fiamma tremolante. Si pensa cioè che comunque il dono dello Spirito possa incidere anche al di là di quello che vediamo e che in un’epoca di transizione come questa sia più prudente non prendere decisioni drastiche.
Più in generale, trenta-trentacinque anni fa io pensavo che ci stessimo avviando ad essere un piccolo gregge, una comunità di minoranza più o meno in tutta l’Europa. Che si dovesse quindi donare i Sacramenti solo a chi si impegna veramente nella vita cristiana. Poi, anche per lo stile del pontificato di Giovanni Paolo II, ho riconsiderato le cose. Se è possibile fare previsioni per il futuro, Lei cosa pensa? Quali atteggiamenti pastorali ci può indicare? Grazie.

Santo Padre

Allora, non posso dare una risposta infallibile in questo momento, posso solo cercare di rispondere secondo quanto vedo io. Devo dire che io ho percorso una strada simile alla sua. Quando ero più giovane ero piuttosto severo. Dicevo: i Sacramenti sono i Sacramenti della fede, e quindi dove la fede non c’è, dove non c’è prassi di fede, anche il Sacramento non può essere conferito. E poi ho sempre discusso quando ero arcivescovo di Monaco con i miei parroci: anche qui vi erano due fazioni, una severa e una larga. E anch’io nel corso dei tempi ho capito che dobbiamo seguire piuttosto l’esempio del Signore, che era molto aperto anche con le persone ai margini dell’Israele di quel tempo, era un Signore della misericordia, troppo aperto - secondo molte autorità ufficiali – con i peccatori, accogliendoli o lasciandosi accogliere da loro nelle loro cene, attraendoli a sé nella sua comunione.

Quindi io direi sostanzialmente che i Sacramenti sono naturalmente Sacramenti della fede: dove non ci fosse nessun elemento di fede, dove la Prima Comunione fosse soltanto una festa con un grande pranzo, bei vestiti, bei doni, allora non sarebbe più un Sacramento della fede. Ma, dall’altra parte, se possiamo vedere ancora una piccola fiamma di desiderio della comunione nella Chiesa, un desiderio anche di questi bambini che vogliono entrare in comunione con Gesù, mi sembra che sia giusto essere piuttosto larghi. Naturalmente, certo, deve essere un aspetto della nostra catechesi far capire che la Comunione, la Prima Comunione, non è un fatto "puntuale", ma esige una continuità di amicizia con Gesù, un cammino con Gesù. Io so che i bambini spesso avrebbero intenzione e desiderio di andare la domenica a Messa, ma i genitori non rendono possibile questo desiderio. Se vediamo che i bambini lo vogliono, che hanno il desiderio di andare, mi sembra sia quasi un Sacramento di desiderio, il "voto" di una partecipazione alla Messa domenicale. In questo senso dovremmo naturalmente fare il possibile nel contesto della preparazione ai Sacramenti, per arrivare anche ai genitori e – diciamo – così svegliare anche in loro la sensibilità per il cammino che fanno i bambini. Dovrebbero aiutare i loro bambini a seguire il proprio desiderio di entrare in amicizia con Gesù, che è forma della vita, del futuro. Se i genitori hanno il desiderio che i loro bambini possano fare la Prima Comunione, questo loro desiderio piuttosto sociale dovrebbe allargarsi in un desiderio religioso, per rendere possibile un cammino con Gesù.

Direi quindi che, nel contesto della catechesi dei bambini, sempre il lavoro con i genitori è molto importante. E proprio questa è una delle occasioni di incontrarsi con i genitori, rendendo presente la vita della fede anche agli adulti, perché dai bambini – mi sembra – possono reimparare loro stessi la fede e capire che questa grande solennità ha senso soltanto, ed è vera ed autentica soltanto, se si realizza nel contesto di un cammino con Gesù, nel contesto di una vita di fede. Quindi convincere un po’, tramite i bambini, i genitori della necessità di un cammino preparatorio, che si mostra nella partecipazione ai misteri e comincia a far amare questi misteri. Direi che questa è certamente una risposta abbastanza insufficiente, ma la pedagogia della fede è sempre un cammino e noi dobbiamo accettare le situazioni di oggi, ma anche aprirle a un di più, perché non rimanga alla fine solo qualche ricordo esteriore di cose, ma sia veramente toccato il cuore. Nel momento nel quale veniamo convinti, il cuore è toccato, ha sentito un po’ l’amore di Gesù, ha provato un po’ il desiderio di muoversi in questa linea e in questa direzione. In quel momento, mi sembra, possiamo dire di aver fatto una vera catechesi. Il senso proprio della catechesi, infatti, dovrebbe essere questo: portare la fiamma dell’amore di Gesù, anche se piccola, ai cuori dei bambini e tramite i bambini ai loro genitori, aprendo così di nuovo i luoghi della fede nel nostro tempo.






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