Discorsi 2005-13 27198

ALL’INCONTRO DEL CENTRO TURISTICO GIOVANILE (CTG) E DELL’UFFICIO INTERNAZIONALE DEL TURISMO SOCIALE (BITS) Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo - Sala degli Svizzeri Sabato, 27 settembre 2008

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Signor Cardinale,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari amici,

è con gioia che vi accolgo e vi porgo il mio cordiale benvenuto. Ringrazio il Cardinale Martino, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, per avermi illustrato le motivazioni dell’incontro odierno, ed essersi fatto interprete anche dei vostri sentimenti. Saluto l’Arcivescovo Agostino Marchetto, Segretario del medesimo Dicastero preposto alla pastorale della mobilità umana, in cui rientra anche l’attenzione pastorale al turismo. Il mio saluto si estende alla Sig.ra Maria Pia Bertolucci e a Mons. Guido Lucchiari, rispettivamente Presidente e Consulente ecclesiastico del Centro Turistico Giovanile (CTG), principale artefice di questa visita, nonché al Dott. Norberto Tonini, Presidente dell’Ufficio Internazionale del Turismo Sociale (BITS), che si è associato all’iniziativa. Un saluto affettuoso a tutti voi qui presenti.

Il nostro incontro avviene in occasione della celebrazione odierna della Giornata Mondiale del Turismo. Il tema di quest’anno - Il turismo affronta la sfida del cambiamento climatico - indica una problematica di grande attualità, che fa riferimento al potenziale del settore turistico nei riguardi dello stato del pianeta e del benessere dell’umanità. Entrambe le vostre Istituzioni sono già impegnate in un turismo attento alla promozione integrale della persona, in una visione di sostenibilità e solidarietà, e ciò fa di voi attori qualificati nell’opera di custodia e di valorizzazione responsabile delle risorse del creato, immenso dono di Dio all’umanità.

L’umanità ha il dovere di proteggere questo tesoro e di impegnarsi contro un uso indiscriminato dei beni della terra. Senza un adeguato limite etico e morale, il comportamento umano può infatti trasformarsi in minaccia e sfida. L’esperienza insegna che la gestione responsabile del creato fa parte, o così dovrebbe essere, di un’economia sana e sostenibile del turismo. Al contrario, l’uso improprio della natura e l’abuso inferto alla cultura delle popolazioni locali danneggiano anche il turismo. Imparare a rispettare l’ambiente insegna pure a rispettare gli altri e se stessi. Già nel 1991, nell’Enciclica Centesimus annus, il mio amato predecessore Giovanni Paolo II aveva denunciato il consumo eccessivo e arbitrario delle risorse, ricordando che l’uomo è collaboratore di Dio nell’opera della creazione e non può sostituirsi a Lui. Egli aveva pure sottolineato quanto l’umanità di oggi debba "essere conscia dei suoi doveri e compiti verso le generazioni future" (n. 37).

È pertanto necessario, soprattutto nell’ambito del turismo, grande fruitore della natura, che tutti tendano a una gestione equilibrata del nostro habitat, di quella che è la nostra casa comune e lo sarà per quanti verranno dopo di noi. Il degrado ambientale può essere frenato solo diffondendo un’adeguata cultura comportamentale, che comprenda stili di vita più sobri. Da qui l’importanza, come ho ricordato di recente, di educare a un’etica della responsabilità e di procedere a "fare delle proposte più costruttive per garantire il benessere delle generazioni future" (Discorso all’Eliseo, L’Osservatore Romano, 13 settembre 2008, p. 8).

Inoltre, la Chiesa condivide con le vostre Istituzioni e altre simili Organizzazioni l’impegno per la diffusione del turismo cosiddetto sociale, che promuove la partecipazione delle fasce più deboli e può essere così un valido strumento di lotta contro la povertà e tante fragilità, fornendo impieghi, custodendo le risorse e promuovendo l’uguaglianza. Tale turismo rappresenta un motivo di speranza in un mondo in cui vi sono accentuate distanze fra chi ha tutto e quanti soffrono fame, carestie e siccità. Auspico che la riflessione occasionata da questa Giornata Mondiale del Turismo, grazie al tema proposto, riesca ad influenzare positivamente lo stile di vita di tanti turisti, in modo che ciascuno dia il proprio contributo al benessere di tutti, che risulta essere in definitiva quello di ognuno.

Rivolgo, infine, un invito ai giovani perché, attraverso queste vostre Istituzioni, si facciano sostenitori e fautori di comportamenti mirati all’apprezzamento della natura e alla sua difesa, in una corretta prospettiva ecologica, come ho sottolineato più volte in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù a Sydney, nel luglio scorso. Compete anche alle nuove generazioni promuovere un turismo sano e solidale, che bandisca il consumismo e lo spreco delle risorse della terra, per lasciare spazio a gesti di solidarietà e di amicizia, di conoscenza e di comprensione. In questo modo il turismo può diventare strumento privilegiato di educazione alla pacifica convivenza. Iddio vi aiuti nel vostro lavoro. Da parte mia, siatene certi, vi assicuro un ricordo nella preghiera, mentre con affetto imparto la Benedizione Apostolica a voi qui presenti, alle persone a voi care e ai membri delle vostre benemerite Istituzioni.



SALUTO ALLE COMUNITÀ RELIGIOSE E CIVILI DI CASTEL GANDOLFO Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo - Sala degli Svizzeri Lunedì, 29 settembre 2008

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Cari fratelli e sorelle,

anche quest’anno, è giunto il momento di congedarmi da voi, al termine del periodo estivo. Prima di far ritorno in Vaticano, sento il vivo bisogno di rinnovarvi la mia sincera gratitudine per quanto avete fatto per me e per i miei collaboratori. Saluto e ringrazio in primo luogo il Vescovo di Albano Laziale, Mons. Marcello Semeraro, il parroco di Castel Gandolfo e la comunità parrocchiale, insieme alle comunità religiose che qui vivono ed operano. In varie circostanze mi capita di incontrarvi, e vorrei quest’oggi ripetervi che il Papa vi è grato per il vostro sostegno materiale e spirituale.

Saluto poi il Signor Sindaco e i componenti dell’Amministrazione Comunale, che mi manifestano sempre la loro vicinanza. So con quanta premura voi, cari amici, vi adoperate durante il mio soggiorno. Come in altre circostanze vi ho detto, apprezzo molto la vostra ospitalità e il vostro sforzo per assicurare ogni assistenza a me, come anche agli ospiti e ai pellegrini che vengono a farmi visita, specialmente la domenica per il consueto appuntamento dell’Angelus. Vi prego di trasmettere i sentimenti della mia riconoscenza all’intera popolazione di Castel Gandolfo.

Mi dirigo adesso con pari affetto ai responsabili e agli addetti ai molteplici Servizi del Governatorato. Di ciascuno di voi, cari fratelli e sorelle, ho avuto modo di apprezzare la competenza e la dedizione, e di tutto vi sono riconoscente. Il Signore vi assista e renda fruttuoso il vostro quotidiano impegno.

La grande famiglia, che si forma attorno al Papa a Castel Gandolfo, comprende pure voi, cari funzionari e agenti delle diverse Forze dell’Ordine italiane, che ringrazio per la diuturna dedizione che mostrate. L’odierna ricorrenza liturgica dei santi Arcangeli Michele, Raffaele e Gabriele mi offre inoltre l’opportunità di salutare con particolare affetto voi, cari dirigenti e membri del Corpo della Gendarmeria Vaticana, che operate sempre in stretta collaborazione con il Corpo della Guardia Svizzera Pontificia, al quale rivolgo il mio riconoscente saluto. Voi tutti siete come i fedeli custodi del Papa.

Non posso poi dimenticare gli ufficiali e gli avieri del 31° stormo dell’Aeronautica Militare. Li ringrazio per il qualificato servizio che rendono a me e ai miei collaboratori negli spostamenti in elicottero e in aereo. A ciascuno di voi, cari amici, giunga l’espressione sincera della mia gratitudine.

Dicevo poco fa che quest’oggi la liturgia ci invita a ricordare i santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele. Ognuno di loro, come leggiamo nella Bibbia, ha svolto una peculiare missione nella storia della salvezza. Cari fratelli e sorelle, invochiamo con fiducia il loro aiuto, come pure la protezione degli Angeli custodi, la cui festa celebreremo fra qualche giorno, il 2 ottobre. L’invisibile presenza di questi Spiriti beati ci è di grande aiuto e conforto: essi camminano al nostro fianco e ci proteggono in ogni circostanza, ci difendono dai pericoli e ad essi possiamo ricorrere in ogni momento. Molti santi intrattenevano con gli Angeli un rapporto di vera amicizia, e numerosi sono gli episodi che testimoniano la loro assistenza in particolari occasioni. Gli Angeli vengono inviati da Dio “a servire coloro che erediteranno la salvezza”, come ricorda la Lettera agli Ebrei (1,14), e pertanto ci sono di valido ausilio nel pellegrinaggio terreno verso la Patria celeste.

Grazie ancora a tutti anche per la vostra presenza a quest’incontro; grazie a coloro che si sono fatti interpreti dei vostri sentimenti. Vi affido alla materna protezione di Maria, Regina degli Angeli, e di cuore vi imparto la Benedizione Apostolica, che estendo alle vostre famiglie e alle persone a voi care.



SALUTO AL PERSONALE DELLE VILLE PONTIFICIE DI CASTEL GANDOLFO Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo Lunedì, 29 settembre 2008

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Cari fratelli e sorelle,

nel momento in cui mi accomiato da voi, al termine del soggiorno estivo a Castel Gandolfo, sento il vivo bisogno di rinnovarvi la mia gratitudine per il quotidiano e solerte servizio che svolgete qui, nelle Ville pontificie.

Sono riconoscente in primo luogo al Direttore, il Dottor Saverio Petrillo, per le sue cortesi parole e per essersi fatto interprete, come ogni anno, dei sentimenti di voi tutti. Passeggiando per i viali delle Ville ho modo di apprezzare l’attenzione che ponete nel vostro lavoro. Ugualmente sento il bisogno di ringraziare il personale che si dedica con solerzia alla cura del Palazzo Apostolico.

Mi rendo conto che la mia presenza vi domanda spesso un supplemento di impegno, e questo comporta non pochi sacrifici a voi e anche alle vostre famiglie. Vi ringrazio di cuore per la vostra generosità, e chiedo al Signore di ricompensarvi di tutto. Vi assista Egli con la sua grazia e accompagni con il suo paterno amore voi e i vostri familiari, ai quali vi prego di recare il mio cordiale saluto.

Celebriamo oggi la festa dei santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele: è alla loro speciale protezione che vi affido, perché possiate svolgere le vostre diverse attività con serenità e spirituale profitto. La Vergine Santa vegli sempre su di voi e sui vostri cari. Mentre vi assicuro un ricordo nella preghiera, con affetto tutti vi benedico.





AI VESCOVI E ORDINARI DELL'ASIA CENTRALE IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Giovedì, 2 ottobre 2008

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Venerati Fratelli,

sono particolarmente lieto di incontrarvi al termine della vostra visita ad limina Apostolorum. Con viva gratitudine accolgo il vostro saluto, di cui si è fatto interprete Mons. Tomasz Peta. Saluto ciascuno di voi, i Vescovi e il Delegato per i fedeli greco-cattolici in Kazakhstan, l’Amministratore Apostolico in Kyrgyzstan, l’Amministratore Apostolico in Uzbekistan, il Superiore della Missio sui iuris in Tadjikistan e il Superiore della Missio sui iuris in Turkmenistan. Vi ringrazio anche perché voi mi recate il saluto dei fedeli affidati alle vostre sollecitudini pastorali nelle Regioni dell’Asia Centrale. Vi assicuro che il Successore di Pietro segue il vostro ministero con costante preghiera e fraterno affetto. Questa casa, la casa del Vescovo di Roma, è anche la vostra.

Con grande interesse e attenzione ho ascoltato da ciascuno di voi le realizzazioni, gli impegni, i progetti e i desideri delle vostre comunità, naturalmente insieme ai problemi e alle difficoltà che incontrate nell’azione pastorale. Ringraziamo il Signore che, nonostante le dure pressioni esercitate durante gli anni del regime ateo e comunista, grazie all’abnegazione di zelanti sacerdoti, religiosi e laici, la fiamma della fede è rimasta accesa nel cuore dei credenti. Le comunità possono essere ridotte a un “piccolo gregge”. Non bisogna scoraggiarsi, cari Fratelli! Guardate alle prime comunità dei discepoli del Signore, che, pur essendo piccole, non si chiudevano in se stesse, ma, sospinte dall’amore di Cristo, non esitavano a farsi carico delle difficoltà dei poveri, ad andare incontro ai malati, annunciando e testimoniando a tutti con gioia il Vangelo. Anche oggi, come allora, è lo Spirito Santo a condurre la Chiesa. Lasciatevi pertanto guidare da Lui e mantenete viva nel popolo cristiano la fiamma della fede; conservate e valorizzate le valide esperienze pastorali ed apostoliche del passato; continuate a educare tutti all’ascolto della Parola di Dio, suscitate specialmente nei giovani l’amore verso l’Eucaristia e la devozione mariana, diffondete nelle famiglie la pratica del Rosario. Ricercate inoltre, con pazienza e coraggio, nuove forme e metodi di apostolato, preoccupandovi di attualizzarli secondo le odierne esigenze, tenendo conto della lingua e della cultura dei fedeli a voi affidati. Ciò domanda una ancor più salda unità tra voi Pastori, e del clero.

Questo impegno infatti risulterà senz’altro più incisivo ed efficace se non agirete da soli, ma cercherete di coinvolgere sempre più i sacerdoti, vostri primi collaboratori, i religiosi e le religiose, come pure i laici dediti alle varie iniziative pastorali. Ricordate poi che è innanzitutto a questi vostri cooperatori, operai come voi nella vigna del Signore, che dovete prestare attenzione e ascolto. Mostratevi pertanto pronti e disponibili a venire incontro alle loro attese, sosteneteli nei momenti di difficoltà, invitateli ad essere sempre più fiduciosi nella Provvidenza divina che non ci abbandona mai, soprattutto nell’ora della prova; siate al loro fianco quando vengono a trovarsi in condizioni di solitudine umana e spirituale. Alla base di tutto ci sia il ricorso costante a Dio nella preghiera e la continua ricerca dell’unità tra voi, come anche in ciascuna delle vostre rispettive e diversificate comunità.

Tutto ciò appare ancor più necessario per affrontare le sfide che l’odierna società globalizzata pone all’annuncio e alla coerente pratica della vita cristiana anche nelle vostre regioni. Vorrei qui ricordare come, oltre alle difficoltà a cui sopra facevo cenno, si registrano quasi dappertutto nel mondo fenomeni preoccupanti, che pongono in serio pericolo la sicurezza e la pace. Mi riferisco, in particolare, alla piaga della violenza e del terrorismo, al diffondersi dell’estremismo e del fondamentalismo. Occorre, certo, contrastare tali flagelli con interventi legislativi. Mai però la forza del diritto può trasformarsi essa stessa in iniquità; né può essere limitato il libero esercizio delle religioni, poiché professare la propria fede liberamente è uno dei diritti umani fondamentali e universalmente riconosciuti.

Mi pare poi utile ribadire che la Chiesa non impone, ma propone liberamente la fede cattolica, ben sapendo che la conversione è il frutto misterioso dell’azione dello Spirito Santo. La fede è dono ed opera di Dio. Proprio per questo è proibita ogni forma di proselitismo che costringa o induca e attiri qualcuno con inopportuni raggiri ad abbracciare la fede (cfr Ad gentes
AGD 13). Una persona può aprirsi alla fede dopo matura e responsabile riflessione, e deve poter realizzare liberamente questa intima ispirazione. Ciò va a vantaggio non solo dell’individuo, bensì dell’intera società, poiché la fedele osservanza dei precetti divini aiuta a costruire una convivenza più giusta e solidale.

Cari Fratelli, vi incoraggio a proseguire il lavoro che avete intrapreso, valorizzando sapientemente gli apporti di tutti. Colgo l’occasione per ringraziare i sacerdoti e i religiosi che lavorano nelle diverse circoscrizioni ecclesiastiche: in particolare i Francescani nella Diocesi della Santissima Trinità in Almaty, i Gesuiti in Kyrgyzstan, i Francescani Conventuali in Uzbekistan, i religiosi dell’Istituto del Verbo Encarnado nella Missio sui iuris in Tadjikistan, gli Oblati di Maria Immacolata nella Missio sui iuris in Turkmenistan. Invito anche altre famiglie religiose a offrire generosamente il loro contributo, inviando personale e mezzi per portare a compimento il lavoro apostolico nelle vaste regioni dell’Asia Centrale. A ciascuno di voi ripeto che il Papa vi è accanto e vi sostiene nel vostro ministero. Maria, Regina degli Apostoli, vegli sempre su di voi e sulle vostre comunità. Vi accompagni anche la mia preghiera, mentre di cuore tutti vi benedico.


AL CONSIGLIO AMMINISTRATIVO DEI CAVALIERI DI COLOMBO Sala Clementina Venerdì 3 ottobre 2008

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Cari amici,

Sono lieto di porgere il benvenuto a voi, membri del Consiglio Amministrativo dei Cavalieri di Colombo, e alle vostre famiglie, in occasione del pellegrinaggio a Roma in questo Anno Paolino. Prego affinché la vostra visita presso le tombe dei Santi Pietro e Paolo vi confermi nella fede degli apostoli e colmi i vostri cuori di gratitudine per il dono della nostra redenzione in Cristo.

All'inizio della sua Lettera ai Romani, San Paolo ricorda a quanti lo ascoltano che sono "santi per vocazione" (
Rm 1,7). Durante la mia recente visita pastorale negli Stati Uniti, ho voluto soprattutto incoraggiare i fedeli laici a impegnarsi nuovamente a crescere nella santità e a partecipare attivamente alla missione della Chiesa. È questa la visione che ha ispirato la fondazione dei Cavalieri di Colombo come associazione fraterna di laici cristiani, e che continua a trovare un'espressione privilegiata nelle opere caritative del vostro Ordine e nella vostra solidarietà concreta con il Successore di Pietro nel suo ministero per la Chiesa universale. Questa solidarietà è espressa in modo particolare dal Fondo Vicarius Christi, che i Cavalieri hanno messo a disposizione della Santa Sede per le necessità del popolo di Dio in tutto il mondo. Ed è dimostrata anche dalle preghiere e dai sacrifici quotidiani di tanti Cavalieri nei loro Consigli locali, nelle parrocchie e nelle comunità. Ne sono profondamente grato.

Cari amici, nello spirito del vostro fondatore, il venerabile Michael McGivney, possano i Cavalieri di Colombo scoprire modi sempre nuovi per essere lievito del Vangelo nel mondo e una forza per il rinnovamento della Chiesa nella santità e nello zelo apostolico! A questo proposito, esprimo il mio apprezzamento per i vostri sforzi per offrire una solida formazione nella fede ai giovani e per difendere le verità morali necessarie a una società libera e umana, compreso il diritto fondamentale alla vita di ogni essere umano.

Con questi sentimenti, cari amici, vi assicuro del mio particolare ricordo nelle preghiere. A tutti i Cavalieri e alle loro famiglie, imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica come pegno di gioia e di pace durature in nostro Signore Gesù Cristo.



VISITA UFFICIALE DEL SANTO PADRE AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA S.E. IL SIGNOR GIORGIO NAPOLITANO Palazzo del Quirinale, Sabato, 4 ottobre 2008

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Signor Presidente,

è con vero piacere che varco nuovamente la soglia di questo palazzo, dove sono stato accolto per la prima volta a poche settimane dall’inizio del mio ministero di Vescovo di Roma e di Pastore della Chiesa universale. Entro in questa Sua residenza ufficiale, Signor Presidente, simbolica casa di tutti gli italiani, con memore gratitudine per la cortese visita che Ella ha voluto rendermi nel novembre 2006 in Vaticano, subito dopo la Sua elezione alla Suprema Magistratura della Repubblica Italiana. L’odierna circostanza mi è propizia per rinnovarLe i sentimenti della mia riconoscenza anche per il non dimenticato, e quanto mai gradito, dono del concerto musicale di alto valore artistico, che Ella ha voluto offrirmi il 24 aprile scorso. E’ pertanto con viva gratitudine che porgo a Lei, Signor Presidente, alla Sua gentile consorte e a tutti coloro che sono qui convenuti il mio deferente e cordiale saluto. Questo mio saluto è diretto in modo speciale alle distinte Autorità preposte alla guida dello Stato italiano, alle illustri Personalità qui presenti, e si estende all’intero Popolo d’Italia, a me molto caro, erede di una secolare tradizione di civiltà e di valori cristiani.

Questa mia visita, la visita del Romano Pontefice al Quirinale, non è solo un atto che si inserisce nel contesto delle molteplici relazioni fra la Santa Sede e l’Italia, ma assume, potremmo dire, un valore ben più profondo e simbolico. Qui, infatti, vari miei Predecessori vissero e da qui governarono la Chiesa universale per oltre due secoli, sperimentando anche prove e persecuzioni, come fu per i Pontefici Pio VI e Pio VII, entrambi strappati con violenza alla loro sede episcopale e trascinati in esilio. Il Quirinale, che nel corso dei secoli è stato testimone di tante liete e di alcune tristi pagine di storia del Papato, conserva molti segni della promozione dell’arte e della cultura da parte dei Sommi Pontefici.

In un certo momento della storia questo palazzo diventò quasi un segno di contraddizione, quando, da una parte, l’Italia anelava a comporsi in uno Stato unitario e, dall’altra, la Santa Sede era preoccupata di conservare la propria indipendenza a garanzia della propria missione universale. Un contrasto durato alcuni decenni, che fu causa di sofferenza per coloro che sinceramente amavano e la Patria e la Chiesa. Mi riferisco alla complessa "questione romana", composta in modo definitivo e irrevocabile da parte della Santa Sede con la firma dei Patti Lateranensi, l’11 febbraio del 1929. Sul finire del 1939, a dieci anni dal Trattato Lateranense, avvenne la prima visita compiuta da un Pontefice al Quirinale dopo il 1870. In quella circostanza, il mio venerato Predecessore, il Servo di Dio Pio XII, del quale ricordiamo in questo mese il 50° della morte, così ebbe ad esprimersi con immagini quasi poetiche: "Il Vaticano e il Quirinale, che il Tevere divide, sono riuniti dal vincolo della pace coi ricordi della religione dei padri e degli avi. Le onde tiberine hanno travolto e sepolto nei gorghi del Tirreno i torbidi flutti del passato e fatto rifiorire le sue sponde dei rami d’olivo" (Discorso del 28 dicembre 1939).

Davvero si può oggi affermare con soddisfazione che nella città di Roma convivono pacificamente e collaborano fruttuosamente lo Stato Italiano e la Sede Apostolica. Anche questa mia visita sta a confermare che il Quirinale e il Vaticano non sono colli che si ignorano o si fronteggiano astiosamente; sono piuttosto luoghi che simboleggiano il vicendevole rispetto della sovranità dello Stato e della Chiesa, pronti a cooperare insieme per promuovere e servire il bene integrale della persona umana e il pacifico svolgimento della convivenza sociale. E’ questa – mi piace ribadirlo - una positiva realtà verificabile quasi quotidianamente a diversi livelli, e alla quale anche altri Stati possono guardare per trarne utili insegnamenti.

Signor Presidente, l’odierna mia visita ha luogo nel giorno in cui l’Italia celebra con grande solennità il suo speciale Protettore, San Francesco d’Assisi. Fra l’altro, proprio a San Francesco Pio XI fece riferimento nell’annunciare la firma dei Patti Lateranensi e soprattutto la costituzione dello Stato della Città del Vaticano: per quel Pontefice la nuova realtà sovrana era, come per il Poverello, "quel tanto di corpo che bastava per tenersi unita l’anima" (Discorso dell’11 febbraio 1929). Insieme a Santa Caterina da Siena, San Francesco fu proposto dai Vescovi italiani e confermato dal Servo di Dio Pio XII come celeste Patrono d’Italia (cfr Litt. ap. Licet commissa del 18 giugno 1939; AAS XXXI [1939], 256-257). Alla protezione di questo grande santo ed illustre italiano Papa Pacelli volle affidare le sorti dell’Italia, in un momento in cui minacce di guerra si addensavano sull’Europa, coinvolgendo drammaticamente anche il vostro "bel Paese".

La scelta di San Francesco come Patrono d’Italia trae, pertanto, le sue ragioni dalla profonda corrispondenza fra la personalità e l’azione del Poverello d’Assisi e la nobile Nazione italiana. Come ebbe a ricordare il Servo di Dio Giovanni Paolo II nella sua visita al Quirinale, compiuta in questo stesso giorno del 1985, "difficilmente si potrebbe trovare un’altra figura che incarni in sé in modo altrettanto ricco e armonioso le caratteristiche proprie del genio italico". "In un tempo in cui l’affermarsi dei liberi Comuni andava suscitando fermenti di rinnovamento sociale, economico e politico, che sommuovevano dalle fondamenta il vecchio mondo feudale, - continuava Papa Wojtyla - Francesco seppe elevarsi tra le fazioni in lotta, predicando il Vangelo della pace e dell’amore, in piena fedeltà alla Chiesa di cui si sentiva figlio, e in totale adesione al popolo, di cui si riconosceva parte" (Discorso del 4 ottobre 1985).

In questo Santo, la cui figura attrae credenti e non credenti, possiamo scorgere l’immagine di quella che è la perenne missione della Chiesa, pure nel suo rapporto con la società civile. La Chiesa, nell’epoca attuale di profonde e spesso sofferte mutazioni, continua a proporre a tutti il messaggio di salvezza del Vangelo e si impegna a contribuire all’edificazione di una società fondata sulla verità e la libertà, sul rispetto della vita e della dignità umana, sulla giustizia e sulla solidarietà sociale. Dunque, come ho ricordato in altre circostanze, "la Chiesa non si propone mire di potere, né pretende privilegi o aspira a posizioni di vantaggio economico e sociale. Suo solo scopo è servire l’uomo, ispirandosi, come norma suprema di condotta, alle parole e all’esempio di Gesù Cristo che «passò beneficando e risanando tutti» (
Ac 10,38)" (Discorso del 4 ottobre 2007).

Per portare a compimento questa sua missione, la Chiesa ovunque e sempre deve poter godere del diritto di libertà religiosa, considerato in tutta la sua ampiezza. All’Assemblea delle Nazioni Unite, in quest’anno che commemora il 60° della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, ho voluto ribadire che "non si può limitare la piena garanzia della libertà religiosa al libero esercizio del culto; al contrario, deve esser tenuta in giusta considerazione la dimensione pubblica della religione e quindi la possibilità dei credenti di fare la loro parte nella costruzione dell’ordine sociale" (Discorso del 18 aprile 2008). Questo contributo all’edificazione della società la Chiesa lo offre in maniera pluriforme, essendo un corpo con molte membra, una realtà al tempo stesso spirituale e visibile, nella quale i membri hanno vocazioni, compiti e ruoli diversificati. Particolare responsabilità essa avverte nei confronti delle nuove generazioni: con urgenza, infatti, emerge oggi il problema dell’educazione, chiave indispensabile per consentire l’accesso ad un futuro ispirato ai perenni valori dell’umanesimo cristiano. La formazione dei giovani è, pertanto, impresa nella quale anche la Chiesa si sente coinvolta, insieme con la famiglia e la scuola. Essa infatti è ben consapevole dell’importanza che l’educazione riveste nell’apprendimento della libertà autentica, presupposto necessario per un positivo servizio al bene comune. Solo un serio impegno educativo permetterà di costruire una società solidale, realmente animata dal senso della legalità.

Signor Presidente, mi piace qui rinnovare l’auspicio che le comunità cristiane e le molteplici realtà ecclesiali italiane sappiano formare le persone, in modo speciale i giovani, anche come cittadini responsabili ed impegnati nella vita civile. Sono certo che i Pastori e i fedeli continueranno a dare il loro importante contributo per costruire, anche in questi momenti di incertezza economica e sociale, il bene comune del Paese, come pure dell’Europa e dell’intera famiglia umana, prestando particolare attenzione verso i poveri e gli emarginati, i giovani in cerca di occupazione e chi è senza lavoro, le famiglie e gli anziani che con fatica e impegno hanno costruito il nostro presente e meritano per questo la gratitudine di tutti. Mi auguro altresì che l’apporto della Comunità cattolica venga da tutti accolto con lo stesso spirito di disponibilità con il quale viene offerto. Non vi è ragione di temere una prevaricazione ai danni della libertà da parte della Chiesa e dei suoi membri, i quali peraltro si attendono che venga loro riconosciuta la libertà di non tradire la propria coscienza illuminata dal Vangelo. Ciò sarà ancor più agevole se mai verrà dimenticato che tutte le componenti della società devono impegnarsi, con rispetto reciproco, a conseguire nella comunità quel vero bene dell’uomo di cui i cuori e le menti della gente italiana, nutriti da venti secoli di cultura impregnata di Cristianesimo, sono ben consapevoli.

Signor Presidente, da questo luogo così significativo, voglio rinnovare l’espressione del mio affetto, anzi della mia predilezione per questa amata Nazione. Per Lei e per tutti gli italiani e le italiane assicuro la mia preghiera, invocando la materna protezione di Maria, venerata con tanta devozione in ogni angolo della Penisola e delle Isole, dal nord al sud, come ho modo di costatare anche in occasione delle mie visite pastorali. Nel congedarmi, faccio mia l’esortazione che con accenti poetici il Beato Giovanni XXIII, pellegrino ad Assisi alla vigilia del Concilio Vaticano II, indirizzò all’Italia: "Tu, Italia diletta, alle cui sponde venne a fermarsi la barca di Pietro - e per questo motivo, primieramente, da tutti i lidi vengono a te, che sai accoglierle con sommo rispetto e amore, le genti tutte dell'universo - possa tu custodire il testamento sacro, che ti impegna in faccia al cielo e alla terra" (Discorso del 4 ottobre 1962).

Iddio protegga e benedica l’Italia e tutti i suoi abitanti!





XII ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO - MEDITAZIONE NEL CORSO DELLA PRIMA CONGREGAZIONE GENERALE Aula del Sinodo Lunedì mattina, 6 ottobre 2008

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Cari Fratelli nell'Episcopato,
cari fratelli e sorelle,

all'inizio del nostro Sinodo la Liturgia delle Ore ci propone un brano del grande Salmo 118 sulla Parola di Dio: un elogio di questa sua Parola, espressione della gioia di Israele di poterla conoscere e, in essa, di poter conoscere la sua volontà e il suo volto. Vorrei meditare con voi alcuni versetti di questo brano del Salmo.

Comincia così: «In aeternum, Domine, verbum tuum constitutum est in caelo... firmasti terram, et permanet». Si parla della solidità della Parola. Essa è solida, è la vera realtà sulla quale basare la propria vita. Ricordiamoci della parola di Gesù che continua questa parola del Salmo: «Cieli e terra passeranno, la mia parola non passerà mai». Umanamente parlando, la parola, la nostra parola umana, è quasi un niente nella realtà, un alito. Appena pronunciata, scompare. Sembra essere niente. Ma già la parola umana ha un forza incredibile. Sono le parole che creano poi la storia, sono le parole che danno forma ai pensieri, i pensieri dai quali viene la parola. È la parola che forma la storia, la realtà.

Ancor più la Parola di Dio è il fondamento di tutto, è la vera realtà. E per essere realisti, dobbiamo proprio contare su questa realtà. Dobbiamo cambiare la nostra idea che la materia, le cose solide, da toccare, sarebbero la realtà più solida, più sicura. Alla fine del Sermone della Montagna il Signore ci parla delle due possibilità di costruire la casa della propria vita: sulla sabbia e sulla roccia. Sulla sabbia costruisce chi costruisce solo sulle cose visibili e tangibili, sul successo, sulla carriera, sui soldi. Apparentemente queste sono le vere realtà. Ma tutto questo un giorno passerà. Lo vediamo adesso nel crollo delle grandi banche: questi soldi scompaiono, sono niente. E così tutte queste cose, che sembrano la vera realtà sulla quale contare, sono realtà di secondo ordine. Chi costruisce la sua vita su queste realtà, sulla materia, sul successo, su tutto quello che appare, costruisce sulla sabbia. Solo la Parola di Dio è fondamento di tutta la realtà, è stabile come il cielo e più che il cielo, è la realtà. Quindi dobbiamo cambiare il nostro concetto di realismo. Realista è chi riconosce nella Parola di Dio, in questa realtà apparentemente così debole, il fondamento di tutto. Realista è chi costruisce la sua vita su questo fondamento che rimane in permanenza. E così questi primi versetti del Salmo ci invitano a scoprire che cosa è la realtà e a trovare in questo modo il fondamento della nostra vita, come costruire la vita.

Nel successivo versetto si dice: «Omnia serviunt tibi». Tutte le cose vengono dalla Parola, sono un prodotto della Parola. “All'inizio era la Parola”. All'inizio il cielo parlò. E così la realtà nasce dalla Parola, è “creatura Verbi”. Tutto è creato dalla Parola e tutto è chiamato a servire la Parola. Questo vuol dire che tutta la creazione, alla fine, è pensata per creare il luogo dell'incontro tra Dio e la sua creatura, un luogo dove l'amore della creatura risponda all'amore divino, un luogo in cui si sviluppi la storia dell'amore tra Dio e la sua creatura. «Omnia serviunt tibi». La storia della salvezza non è un piccolo avvenimento, in un pianeta povero, nell'immensità dell'universo. Non è una cosa minima, che succede per caso in un pianeta sperduto. È il movente di tutto, il motivo della creazione. Tutto è creato perché ci sia questa storia, l'incontro tra Dio e la sua creatura. In questo senso, la storia della salvezza, l'alleanza, precede la creazione. Nel periodo ellenistico, il giudaismo ha sviluppato l'idea che la Torah avrebbe preceduto la creazione del mondo materiale. Questo mondo materiale sarebbe stato creato solo per dare luogo alla Torah, a questa Parola di Dio che crea la risposta e diventa storia d'amore. Qui traspare già misteriosamente il mistero di Cristo. È quello che ci dicono le Lettere agli Efesini e ai Colossesi: Cristo è il protòtypos, il primo nato della creazione, l'idea per la quale è concepito l'universo. Egli accoglie tutto. Noi entriamo nel movimento dell'universo unendoci a Cristo. Si può dire che, mentre la creazione materiale è la condizione per la storia della salvezza, la storia dell'alleanza è la vera causa del cosmo. Arriviamo alle radici dell'essere arrivando al mistero di Cristo, a questa sua parola viva che è lo scopo di tutta la creazione. «Omnia serviunt tibi». Servendo il Signore realizziamo lo scopo dell'essere, lo scopo della nostra propria esistenza.

Facciamo ora un salto: «Mandata tua exquisivi». Noi siamo sempre alla ricerca della Parola di Dio. Essa non è semplicemente presente in noi. Se ci fermiamo alla lettera, non necessariamente abbiamo compreso realmente la Parola di Dio. C'è il pericolo che noi vediamo solo le parole umane e non vi troviamo dentro il vero attore, lo Spirito Santo. Non troviamo nelle parole la Parola. Sant'Agostino, in questo contesto, ci ricorda gli scribi e i farisei consultati da Erode nel momento dell'arrivo dei Magi. Erode vuol sapere dove sarebbe nato il Salvatore del mondo. Essi lo sanno, danno la risposta giusta: a Betlemme. Sono grandi specialisti, che conoscono tutto. E tuttavia non vedono la realtà, non conoscono il Salvatore. Sant'Agostino dice: sono indicatori di strada per gli altri, ma loro stessi non si muovono. Questo è un grande pericolo anche nella nostra lettura della Scrittura: ci fermiamo alle parole umane, parole del passato, storia del passato, e non scopriamo il presente nel passato, lo Spirito Santo che parla oggi a noi nelle parole del passato. Così non entriamo nel movimento interiore della Parola, che in parole umane nasconde e apre le parole divine. Perciò c'è sempre bisogno dell’«exquisivi». Dobbiamo essere in ricerca della Parola nelle parole.

Quindi l'esegesi, la vera lettura della Sacra Scrittura, non è solamente un fenomeno letterario, non è soltanto la lettura di un testo. È il movimento della mia esistenza. È muoversi verso la Parola di Dio nelle parole umane. Solo conformandoci al mistero di Dio, al Signore che è la Parola, possiamo entrare all'interno della Parola, possiamo trovare veramente in parole umane la Parola di Dio. Preghiamo il Signore perché ci aiuti a cercare non solo con l'intelletto, ma con tutta la nostra esistenza, per trovare la parola.

Alla fine: «Omni consummationi vidi finem, latum praeceptum tuum nimis». Tutte le cose umane, tutte le cose che noi possiamo inventare, creare, sono finite. Anche tutte le esperienze religiose umane sono finite, mostrano un aspetto della realtà, perché il nostro essere è finito e capisce solo sempre una parte, alcuni elementi: «latum praeceptum tuum nimis». Solo Dio è infinito. E perciò anche la sua Parola è universale e non conosce confine. Entrando quindi nella Parola di Dio, entriamo realmente nell'universo divino. Usciamo dalla limitatezza delle nostre esperienze e entriamo nella realtà che, è veramente universale. Entrando nella comunione con la Parola di Dio, entriamo nella comunione della Chiesa che vive la Parola di Dio. Non entriamo in un piccolo gruppo, nella regola di un piccolo gruppo, ma usciamo dai nostri limiti. Usciamo verso il largo, nella vera larghezza dell'unica verità, la grande verità di Dio. Siamo realmente nell'universale. E così usciamo nella comunione di tutti i fratelli e le sorelle, di tutta l'umanità, perché nel cuore nostro si nasconde il desiderio della Parola di Dio che è una. Perciò anche l'evangelizzazione, l'annuncio del Vangelo, la missione non sono una specie di colonialismo ecclesiale, con cui vogliamo inserire altri nel nostro gruppo. È uscire dai limiti delle singole culture nella universalità che collega tutti, unisce tutti, ci fa tutti fratelli. Preghiamo di nuovo affinché il Signore ci aiuti a entrare realmente nella “larghezza” della sua Parola e così aprirci all'orizzonte universale dell'umanità, quello che ci unisce con tutte le diversità.

Alla fine ritorniamo ancora a un versetto precedente: «Tuus sum ego: salvum me fac». Il testo italiano traduce: «Io sono tuo». La parola di Dio è come una scala sulla quale possiamo salire e, con Cristo, anche scendere nella profondità del suo amore. È una scala per arrivare alla Parola nelle parole. «Io sono tuo». La parola ha un volto, è persona, Cristo. Prima che noi possiamo dire «Io sono tuo», Egli ci ha già detto «Io sono tuo». La Lettera agli Ebrei, citando il Salmo 39, dice: «Un corpo invece mi hai preparato... Allora ho detto: Ecco, io vengo». Il Signore si è fatto preparare un corpo per venire. Con la sua incarnazione ha detto: io sono tuo. E nel Battesimo ha detto a me: io sono tuo. Nella sacra Eucaristia lo dice sempre di nuovo: io sono tuo, perché noi possiamo rispondere: Signore, io sono tuo. Nel cammino della Parola, entrando nel mistero della sua incarnazione, del suo essere con noi, vogliamo appropriarci del suo essere, vogliamo espropriarci della nostra esistenza, dandoci a Lui che si è dato a noi.

«Io sono tuo». Preghiamo il Signore di poter imparare con tutta la nostra esistenza a dire questa parola. Così saremo nel cuore della Parola. Così saremo salvi.




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